Dunque sono 70 le candeline che oggi Massimo D’Alema dovrà spegnere, l’età saggia di chi ne ha viste tante e tante ne ha fatte, nel bene e nel male, comunque sempre con la passionaccia dei vent’anni”. Con queste parole “Democratica”, il giornale online del Pd diretto da Andrea Romano e fino ad ora renzianissimo, dedica un saluto affettuoso al Lìder Maximo. “Noi che ce lo ricordiamo al Congresso della Fgci del 1978 – durante i terribili 55 giorni del rapimento Moro! – avvertiamo come questa maledetta invenzione che chiamiamo “tempo” è sul serio una brutta cosa: sembra ieri che D’Alema era il capo prima dei giovani comunisti, poi dei postcomunisti, poi addirittura del governo italiano”. E ancora: “Ora ha scelto il limbo della sua Fondazione, il buen retiro umbro, qualche discorso qua e là, forse dopo tanti anni e relative batoste non gli va più. Il mondo è cambiato, la gente pure”. Finale nostalgico ma aperto. Il nuovo corso di Zingaretti si sente: “Massimo D’Alema è invecchiato, come tocca a tutti, ma la passionaccia è sempre in agguato. Chissà. E comunque, in alto i calici idealmente col suo vino chinato non casualmente Sfide”.
L’affare sporco sull’energia pulita vale 1,5 miliardi
Gli affari sporchi sul business da un miliardo e mezzo di euro annui dell’energia pulita sono finiti al centro di diverse inchieste. Procure e forze di polizia hanno inseguito le tracce degli interessi di mafie e della criminalità in giacca e cravatta in un affare formatosi per lo più nel mezzogiorno, dove il pericolo di infiltrazioni malavitose è più alto.
Il maggior numero di impianti eolici si trova in Basilicata, 1.409 per un totale di 1.242 megawatt, di cui 1.180 nella taglia dei 20-200 kW. Mentre la maggiore potenza complessiva si è realizzata in Puglia, 2.503 megawatt grazie al lavoro di 1.180 impianti, la maggiore quota di potenza eolica installata in Italia, il 24,8% del totale, con 92 impianti sopra i 10 megawatt.
Al secondo posto c’è la Sicilia, 1828 megawatt realizzati tramite 875 impianti. Al terzo posto la Campania, 1453 megawatt risultato di 606 impianti. La corsa alla Champions League della produzione eolica è una questione meridionale, in sole sei regioni – le più ventose – si fabbrica il 91% dei 10.094 megawatt complessivi made in Italy, che valgono un miliardo e 491 milioni di incentivi all’anno, dato del giugno 2017. Nella classifica infatti seguono la Calabria, 1.086 megawatt su 412 impianti, e la Sardegna, 1.042 megawatt su 592 impianti. E proprio in Sardegna esplose nove anni fa la più rumorosa inchiesta sull’eolico, che si intrecciava con le manovre della P3: tra i piani della loggia segreta di Flavio Carboni (6 anni e 6 mesi in primo grado), oltre a pilotare sentenze, nomine in magistratura e candidature alle elezioni attraverso lobbying occulto e dossieraggio, c’era anche quello di orientare le decisioni nel settore delle energie rinnovabili tramite il controllo dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale, snodo fondamentale sul versante delle autorizzazioni. In primo grado, sentenza del marzo 2018 non definitiva, è stato condannato a un anno e dieci mesi l’ex presidente Arpa Sardegna Ignazio Farris.
E poi ci sono le mafie, dicevamo. Capaci di condizionare il settore, taglieggiandolo, dopo essersi progressivamente disimpegnate dall’investimento diretto nelle aziende nel ramo “da quando è finita la pacchia degli incentivi ‘a babbo morto’ che spingeva più di dieci anni fa a costruire impianti inefficienti, tanto i finanziamenti arrivavano lo stesso, mentre ora gli incentivi sono in conto energia, vincolati all’effettiva produzione”, spiega Sergio Ferraris, giornalista scientifico e direttore di QualeAmbiente, rivista all’avanguardia nel campo dell’informazione ambientale.
Nel luglio 2018 gli arresti dell’operazione ‘Via col vento’ in Calabria hanno svelato come la ndrangheta abbia costretto multinazionali dell’energia come Gamesa, Nordex e Vestas a sottostare ai suoi voleri durante la realizzazione di parchi eolici nel reggino, nel catanzarese, nel vibonese e in provincia di Crotone. Per evitare danneggiamenti nei cantieri od ostacoli con le amministrazioni locali, bisognava rivolgersi a Giuseppe Evalto, un intermediario dei clan Paviglianiti, Mancuso, Anello e Trapasso, “espressione – secondo il capo della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Bombardieri – della ndrangheta unitaria”.
In Puglia l’anno scorso sono diventate definitive alcune condanne del processo ‘Helios’ sul racket della Sacra Corona Unita intorno agli impianti di energia rinnovabile nel brindisino. Le indagini della Dda di Lecce hanno colpito tre generazioni del clan Buccarella. “Gli obiettivi assunti con l’Ue dicono che l’Italia dovrà raddoppiare la produzione di energia pulita entro il 2030 – ricorda Ferraris – e siccome per realizzare una pala da 3 megawatt bisogna investire tre milioni di euro, è facile immaginare quanto si dovrà investire nei prossimi 10 anni. Intorno a questa enorme torta futura di 10 miliardi di incentivi bisognerà tenere alta l’attenzione contro le estorsioni mafiose e contro la corruzione delle pubbliche amministrazioni per avere le autorizzazioni necessarie”. Per le quali occorrono tempi lunghissimi, fino a nove anni, come in un caso nel tarantino. Secondo il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli “per arginare infiltrazioni criminali serve anche una semplificazione amministrativa, che non vuol dire annullare le autorizzazioni. Ma un imprenditore non può bussare a 25 porte diverse per avere il via libera. Meno autorizzazioni e più conferenze di servizio che le concedano, c’è più trasparenza in un collegio. Ed è necessaria la tracciabilità dei flussi finanziari: dobbiamo sempre sapere da dove arrivano i soldi e a chi appartengono”.
Dal sole alle rottamazioni: ecocriminali senza confini
Il mondo del crimine ambientale si rinnova e amplia il tradizionale campo d’azione, specie nel settore dei rifiuti. Non solo la criminalità organizzata, che accaparra con corruzione e intimidazione lucrosi appalti per la raccolta di rifiuti solidi urbani, specula sullo smaltimento illecito di rifiuti, sull’abusivismo edilizio e sull’esportazione illegale di rifiuti; ma soprattutto la nuova criminalità economica che “fa capo a gruppi imprenditoriali di spessore, con interessi commerciali diversificati, i quali si avvalgono della competenza e delle prestazioni di figure di elevata professionalità, evitando contatti diretti con criminalità organizzata ed esponenti mafiosi”.
L’hanno detto, il 6 marzo, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati, due persone che di queste cose se ne intendono: il generale Angelo Agovino, comandante dei Carabinieri Unità forestali, ambientali e agroalimentari, e il generale Maurizio Ferla, comandante dei Carabinieri per la tutela ambientale (Noe).
Non solo “ecomafia”, dunque, ma colletti bianchi, anche se spesso tutto finisce nel fumo degli incendi “liberatori” di rifiuti. E così diminuiscono i “roghi tossici” ma aumentano gli incendi di rifiuti regolarmente stoccati. Per dirla con il generale Agovino, “le criminali imprese di settore per il perseguimento dell’illecito profitto acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti anche a prezzi fuori mercato, omettono di sottoporli ai necessari trattamenti e li avviano a smaltimento e/o a riciclo, assegnando codici fasulli attraverso la tecnica del giro bolla o altre questioni che noi conosciamo. L’illecita esasperazione di simili condotte comporta alla fine l’eliminazione con il fuoco dei materiali giacenti”.
E ormai l’illegalità investe sempre più spesso anche la filiera dei rifiuti urbani il cui flusso cresce specie nel Nord. Con il coinvolgimento diretto di imprenditori titolari di impianti autorizzati, utilizzati come specchietto per le allodole, al fine di acquisire commercialmente le commesse sui rifiuti, per poi smaltirli abusivamente tal quali in capannoni dismessi, dislocati soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, “di fatto delle discariche abusive che diventano poi bombe ecologiche” dove, spesso, il ciclo si chiude con il fuoco che cancella tutto. Perciò, s’assiste ormai a una ricerca “spasmodica” di capannoni in disuso.
Questo, a volte, con l’aiuto involontario di qualche legge, come lo Sblocca Italia: se prima i rifiuti solidi urbani potevano esser trattati solo all’interno del bacino di produzione, ora il decreto “ha aperto tali confini per supportare i bacini in situazioni d’emergenza nelle aree del Centro e del Sud e ha consentito l’esportazione in altre regioni, dove vengono stoccati in hangar dispersi sul territorio in quantità e modalità che non rispettano le norme”. Invertendo così il flusso dei rifiuti che prima andava dal Nord al Sud.
E l’illegalità aumenta, giungendo a lambire il settore delle energie alternative: il fotovoltaico, soprattutto, dove spesso gli ecocriminali, quando un pannello giunge a fine vita, “fanno una dichiarazione fasulla di sottoperformanza e quindi non è più un rifiuto, ma è un pannello che si può vendere come usato in altre parti del mondo, per cui si sono aperte rotte commerciali verso Paesi del terzo mondo”.
Anche nel settore della rottamazione auto dove, alle illegalità esistenti, s’è aggiunto il “canale di demolizione illegale” per la “cannibalizzazione” di veicoli a fine vita, quando parti di veicoli illegalmente demoliti vengono dichiarate materiale usato, nascoste in container sotto pezzi di ricambio veri e mandate in Paesi terzi insieme a “rifiuti elettronici, batterie, oli usati, etc”.
Così vengono al pettine anche le carenze della nostra legge sugli ecoreati quando punisce l’inquinamento e il disastro ambientale solo se vengono provocati “abusivamente”. Delitti che, come dice il generale Ferla, “restano lettera morta o quasi, perché formulati con un preliminare ‘abusivamente’ che sta bloccando molte Procure, autorità e polizia giudiziarie…”.
*magistrato, esponente dei Verdi
Modello Arata: “Tangenti per sbloccare l’impianto”
Un inceneritore, camuffato sotto le vesti di un impianto per la produzione di biometano. In Sicilia, a Calatafimi, c’è il progetto “Biometano Gallitello” della Solgesta Srl, azienda amministrata da Alessandra Rollino, moglie dell’ex parlamentare forzista e imprenditore Franco Paolo Arata, vicino alla Lega e al sottosegretario Armano Siri. Arata è coinvolto nell’inchiesta di Palermo sul settore dell’energia rinnovabile, accusato di corruzione e attribuzione fittizia di beni aggravate dal metodo mafioso, perché collegate a Vito Nicastri, altro imprenditore del settore eolico già condannato in via definitiva per i reati di corruzione e truffa aggravata, e considerato vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro. Un impianto osteggiato dal M5S, sospettato di essere qualcosa di diverso da quanto dichiarato, e spinto con una serie di conoscenze che sono finite nelle carte dell’inchiesta.
La Solgesta nel maggio 2017 deposita alla Regione e al Comune di Calatafimi Segestra, in provincia di Trapani, uno “studio preliminare ambientale” di 74 pagine e una “relazione tecnica illustrativa” di 105 pagine. In entrambi i casi si parla di un “impianto di produzione integrata di Biometano da 600 Sm3//h” ed “energia in assetto cogenerativo Car da Biomasse”. Ma qualcosa non torna. “Avevamo visto un avviso in Regione che ci ha fatto drizzare un po’ le orecchie – racconta da deputata pentastellata Valentina Palmeri –, ho fatto richiesta di accesso agli atti, per visionare progetto e atti, che però la Regione non ci ha mai fornito”. A quel punto la deputata decide di rivolgersi all’assessorato competente. “Ho potuto vedere fisicamente una serie di relazioni progettuali – spiega la Palmeri – e abbiamo capito che non si trattava di un impianto a biometano, ma di un inceneritore di rifiuti organici”.
Secondo una relazione tecnica presentata da Legambiente al comune di Calatafimi sul progetto di Solgesta, si evidenzia che “l’impianto ha una potenzialità quattro volte maggiore del limite inferiore per cui scatta l’obbligo della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), e che i rifiuti trattati non riguardano solo la categoria R3 (Recupero di Materia) ma anche la R1 (Recupero Energetico), ulteriore motivo per il ricorso obbligatorio alla VIA”. L’azienda avrebbe quindi provato un escamotage, presentando un progetto di biomassa che necessita dell’Autorizzazione Integrale Ambientale (AIA), così da non dover seguire le procedure più complesse.
Ma le anomalie non sarebbero finite qui. “Nella relazione progettuale si evince che non c’è una corrispondenza tra la denominazione dell’impianto, e quello che effettivamente avrebbe fatto – aggiunge la Palmeri –, soprattutto abbiamo notato che i funzionari e i dirigenti degli uffici competenti non ci mettevano in condizione di avere le carte e i progetti”. Forse non è un caso: “L’incartamento era in mano a Tinnirello, che poi è stato coinvolto nell’indagine”.
Secondo le indagini della Procura di Palermo, infatti, all’interno dell’Assessorato all’Energia regionale, gli imprenditori Arata e Nicastri avrebbero fatto “affidamento su almeno due pubblici ufficiali, Alberto Tinnirello e Giacomo Causarano”. Tinnirello è indagato per corruzione per l’esercizio della funzione in concorso con Arata padre e figlio: secondo i pm, avrebbe mostrato “asservimento agli interessi della Sogesta” e “delle altre società del gruppo Arata-Nicastri”, e avrebbe ricevuto “somme di denaro non quantificate” per seguire con attenzione le procedure, e garantire in cambio “informazioni sullo stato delle pratiche amministrative inerenti la richiesta di autorizzazione integrata ambientale per la costruzione e l’esercizio degli impianti di biometano di Calatafimi”. È proprio al suo dipartimento, quello su l’Energia, che viene presentata l’istanza, nonostante fosse quello sbagliato, visto che la competenza era dell’ufficio Acque e rifiuti. “È un’altra anomalia e irregolarità procedurale di questa storia”, prosegue la Palmeri.
Per bloccare il progetto, sono intervenute anche le associazioni ambientaliste locali, che hanno lanciato una petizione online che ha raccolto la sottoscrizione di 4 mila utenti. Lo scorso gennaio, il sindaco Vito Sciortino, che inizialmente si era mostrato a sostegno dell’opera, ha deciso di revocare in autotutela il precedente parere favorevole. Secondo l’amministrazione non sarebbero state rispettate “le condizioni di rispetto dell’ambiente e del paesaggio rurale circostante”: “il progetto non garantisce il rispetto delle normative”.
“C’è stata una mancanza di trasparenza e pubblicizzazione”, conclude la Palmeri. È così che Arata voleva costruire il suo impianto.
Acciona, il gruppo spagnolo in Italia punta sull’eolico
Una grande multinazionale con 7,5 miliardi di fatturato nel 2018 in crescita del 3,5% rispetto all’anno precedente. Una società che si occupa di infrastrutture, di energia, eolico e fotovoltacio. Nel 2018, il fatturato proveniente dall’energia è cresciuto del 15%. La filiale italiana di cui Luigi Patimo è il “responsabile infrastrutture” ha realizzato opere importanti in Italia come l’incrocio ferroviario dell’Alta velocità a Bologna, l’ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino, la linea alta velocità Milano-Napoli, il Centro agroalimentare a Roma e interventi sulla rete idrica in Toscana e in Puglia. In particolare Acciona Energia è focalizzata fondamentalmente sull’eolico. Infine, ha una presenza di rilievo nel mercato dell’acqua italiano, con un servizio che raggiunge 2,5 milioni di persone. Tra le più importanti, l’impianto di Depurazione di Nuoro, l’impianto di Guidonia, gli Impianti di Bari Est ed Ovest (1a fase), la realizzazione dell’impianto di Potabilizzazione di Pedra Majore e di Reggio Calabria, la gestione e conduzione degli oltre 200 Impianti di Depurazione e 500 Stazioni di sollevamento delle Province del centro-nord Sardegna.
I 5Stelle accelerano sulla legge e lanciano segnali di dialogo al Pd
Il M5S rilancia la proposta di una legge sul conflitto di interessi da portare al più presto in Aula. L’iniziativa si rafforza nei giorni dell’inchiesta nei confronti del sottosegretario della Lega Armando Siri. La notizia pubblicata ieri dal Corriere della Sera è stata confermata all’AdnKronos da “fonti” del Movimento stesso e si tradurrà in una iniziativa di legge parlamentare. Dal Pd arrivano segnali di disponibilità da Francesco Boccia, deputato alla Camera e già candidato alle primarie: “Vediamo se è la volta buona”. In realtà una legge sul conflitto di interessi è prevista nel contratto di governo tra Lega e M5S, con tre punti distinti: “Estensione del conflitto di interesse oltre il mero interesse economico, estensione a chi esercita la funzione pubblica, estensione per chi svolge incarichi non governativi ma che hanno capacità di influenza (sindaci grandi città oppure dirigenti di società partecipate dello Stato)”.
Nei giorni scorsi il dossier è stato tra i temi di un incontro tra il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e il presidente della commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia. Ora, l’accelerazione.
Mister Flat Tax e il faraone indagato per corruzione
Non solo Paolo Arata. Nella rete di relazioni di Armando Siri – il sottosegretario leghista indagato a Roma per corruzione – c’è anche un altro imprenditore importante: Luigi Patimo, barese classe ‘71, manager del colosso spagnolo Acciona Agua, multinazionale attiva in Italia dal 1999, che si occupa di servizi idrici e energie rinnovabili. Come Arata, ma per fatti separati e diversi, anche Patimo ha avuto qualche guaio giudiziario: è indagato dalla procura di Reggio Calabria per corruzione.
Con lui, il sottosegretario Siri aveva anche interessi economici. Fino allo scorso 8 ottobre, infatti i due erano soci nella Profilo Srl, azienda creata nel 2004 di cui il sottosegretario e il manager avevano entrambi il 33,3 per cento di quote. Siri, come risulta dalla dichiarazione patrimoniale depositata in Parlamento, ne era anche presidente del Cda. Già a giugno del 2018, pochi giorni dopo il giuramento di Siri da sottosegretario, i due decidono di chiudere la società che si occupa di promozione e commercio di capi di abbigliamento. Lo si apprende da un verbale di assemblea del 18 giugno quando si discute dell’“accertamento delle cause di scioglimento della società”. “Il presidente Armando Siri – è scritto nel verbale – informa i presenti che la società Profilo Srl non ha mai iniziato la propria attività”. I due, Patimo e Siri, si riuniscono di nuovo l’8 ottobre 2018: ne decidono lo scioglimento, approvando “il bilancio finale di liquidazione (…) con un risultato pari a zero”. Ossia, senza né perdite né ricavi nell’anno precedente.
Non c’è nulla di illecito nell’attività, ma la società certifica di certo un rapporto tra i due. Patimo, grazie al suo incarico in Acciona, ha contatti internazionali prestigiosi, dallo spagnolo Javier Solana al businessman romeno Adriean Videanu, ex sindaco di Bucarest. Ma frequenta anche i tavoli della politica italiana. È nel libro di Giovanni Tiziano e Stefano Vergine Il libro nero della Lega, che si parla di una cena organizzata nell’ottobre del 2015, proprio da Siri per raccogliere nuovi finanziatori per il partito. Si teneva – secondo quanto riporta il libro – a Milano e tra gli invitati c’era anche Patimo. Qualche mese più tardi, ad aprile del 2016, il manager ha partecipato al panel su “Ambiente e giustizia: diritto alla salute e impresa responsabile”, nell’ambito del Salone della Giustizia organizzato a Roma alla presenza di ministri, magistrati e alti funzionari dello Stato, e moderato dall’attuale direttore del Tg1 Gennaro Sangiuliano.
La cena e il convegno avvengono prima che in Calabria scoppiasse l’inchiesta in cui è finito coinvolto il manager. È un’indagine in cui il 48enne barese è accusato di corruzione, perchè “portatore d’interessi e rappresentante sostanziale sul territorio reggino della spagnola Acciona Agua Servicios S.L., ma anche di ulteriori imprese operanti nella città di Milano ed in Sardegna”. Secondo il capo di imputazione prometteva a un dirigente del Comune di Reggio Calabria, l’assunzione del figlio in una delle società collegate alla multinazionale o anche “l’assegnazione di incarichi di consulenza o la partecipazione a una newco operativa per l’analisi delle acque in favore del fratello”.
Gli interessi di Patimo, che altri indagati in un’intercettazioni dell’inchiesta calabrese chiamano “faraone”, vengono così descritti negli atti della procura di Reggio Calabria: “Il rappresentante della società spagnola Acciona Agua Servicios S.L. (che è una filiazione della Acciona Agua s.a., società leader del settore, con sede ad Alcobendas – Madrid, dei cui requisiti economici e strutturali si è avvalsa la prima, per partecipare alla selezione indetta dal Comune di Reggio Calabria) che con la Idrorhegion S.c.a.r.l. ha costituito dapprima il R.T.I. unico partecipante e, quindi, aggiudicatario del bando di gara per la depurazione delle acque ed il servizio idrico della città di Reggio Calabria, quindi, sempre in compartecipazione con Idrorhegion S.c.a.r.l., ha costituito la società di progetto Rhegion Agua Scarl tramite la quale doveva essere gestito l’appalto, intorno al quale ruotano le vicende corruttive oggetto d’indagine”.
A luglio del 2016 il Gip del Tribunale di Milano non aveva convalidato il fermo chiesto dalla Procura di Reggio. “La scelta del gip – disse all’epoca l’avvocato di Patimo, Francesco Paolo Sisto – si è fondata oltre che sulle dichiarazioni di Luigi Patimo, soprattutto sui documenti tra l’indagato e i pubblici ufficiali, in cui è dimostrato l’aspro conflitto sussistente fra la società del Patimo e i funzionari del Comune di Reggio Calabria. Fatto che rende non plausibile il clima di favore ipotizzato nella contestazione”.
L’indagine calabrese è ancora in corso: non se ne conoscono gli esiti. Ma non ha nulla a che vedere con quella romana, dove Siri è accusato di aver messo la propria funzione di senatore e sottosegretario a disposizione dell’imprenditore Paolo Arata, a sua volta ritenuto dai pm (stavolta di Palermo) prestanome di Vito Nicastri, quest’ultimo – sempre secondo i magistrati – legato al boss Matteo Messina Denaro.
Secondo le accuse romane quindi Siri aveva tentato di portare in Parlamento emendamenti che favorissero Arata, in cambio di una dazione di denaro data o promessa di 30 mila euro. Nelle prossime settimane sia Siri che Arata potrebbero essere interrogati dai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi.
Il buco nel cerchio magico: attorno a Salvini c’è il vuoto
C’è anche Armando Siri tra gli artefici della svolta salvinista della Lega. Conobbe il leader del Carroccio durante la campagna elettorale del 2012 per la Lombardia. Ideologo della flat tax, fu lui quello che andò da Steve Bannon a luglio a illustrarla. E oggi è l’emblema dell’ennesima difficoltà del cerchio magico di Matteo Salvini.
Il più vicino tra i ministri era Lorenzo Fontana. Ma ora le cose tra i due non vanno benissimo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il Congresso delle Famiglie a Verona, che tra i suoi sponsor politici principali aveva proprio Fontana: prima ancora di arrivare Salvini si era già pentito, visti gli eccessi che stava andando ad avallare. E in quella sede si è spinto ad attaccare il sottosegretario a Palazzo Chigi, Vincenzo Spadafora, per il poco lavoro fatto sulle adozioni: peccato che la delega ce l’avesse lo stesso Fontana. L’altro fedelissimo al governo, Gianmarco Centinaio, in questi ultimi giorni ha mostrato un attivismo eccessivo che tradisce nervosismo. Pare che a Salvini non sia andato giù di essere dovuto intervenire direttamente nella vicenda dei pastori sardi, ricevendoli al Viminale.
La questione dei rapporti con Giancarlo Giorgetti è particolarmente complessa. Il sottosegretario a Palazzo Chigi è il riferimento di tutta una serie di mondi che contano, dai quali il Salvini di governo non può prescindere: da Mario Draghi agli Stati Uniti. Ma i due più che uniti sono alleati obbligati: ognuno gioca la sua partita. In questa fase, Giorgetti ha rinsaldato il suo potere di influenza: dall’inizio, è il più dubbioso sull’alleanza con i Cinque Stelle, oggi è quello che ha il ruolo di avvertire ogni giorno Salvini sui pericoli a cui si va incontro, andando avanti. Senza contare che ormai a Palazzo Chigi si rivive l’atmosfera del governo Gentiloni, con la diarchia tra lui e Maria Elena Boschi, Chigi 1 e Chigi 2. Il sottosegretario praticamente con Giuseppe Conte neanche ci parla più. E da grande tessitore, è uno di quelli per cui passa l’ipotesi di governo tecnico a cui si sta pensando, dal Quirinale in giù, nel caso in cui l’esecutivo cada, con il compito di fare il Def e poi portare il Paese al voto. Evidente, dunque, come per Salvini sia una risorsa, ma pure un ostacolo e un competitor.
Recentemente, altri vicinissimi hanno avuto un declassamento. Come Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo Economico, che lo stesso Salvini aveva proposto come premier. Durante il lavoro al Mise ai leghisti è sembrato che interpretasse il ruolo in maniera troppo autonoma. Sospetto diventato realtà in occasione della firma degli accordi con la Cina sulla via della Seta: è stato uno dei fautori, ma ha finito per essere stoppato da altri uomini di rilievo del partito, in primis Giorgetti e Guglielmo Picchi. Quest’ultimo, sottosegretario agli Esteri, un passato in Forza Italia e rapporti privilegiati con gli Usa di Donald Trump, lavora per scalare posizioni. E lo fa svolgendo il ruolo di ministro degli Esteri ombra: all’attivo un viaggio negli States, uno in Israele e un filo diretto con il presidente del Brasile, Bolsonaro. Nel frattempo, cerca di approfittare delle difficoltà di Fontana: più il ministro della Famiglia fa fatica a mettere insieme l’alleanza sovranista, più lui lavora in proprio. Per esempio, coltivando relazioni con gli spagnoli di Vox, che agli uomini di Fontana hanno detto no rispetto a un’alleanza per le Europee. E poi, c’è il caso del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Un altro che gioca per sé. In vista delle Regionali vorrebbe contarsi, presentando una lista sua. La Lega nazionale non vuole: l’obiettivo è portare consensi solo al partito.
Intanto, il fronte esterno vede un’ascesa continua di Giorgia Meloni. Al Congresso di Verona è stato evidente, con la platea di lobbisti russi, americani e politici dell’Europa di Visegrad che le tributava un’ovazione. Mentre il gruppo dei Conservatori e Riformisti a Strasburgo l’ha investita del ruolo di interlocutrice in Italia. Salvini rischia di vedersi portare via l’elettorato più di destra.
La storia recente insegna che i leader di lotta (al mondo che c’è) e di governo (con il potere presente) a un certo punto pagano tutto. E Salvini di fronti, interni ed esterni, ne ha sempre di più.
Tregua sul Salva-Roma. Ora Conte tratta su Siri
La settimana di Passione del governo gialloverde non finirà oggi, il giorno di Pasqua. I Cinque Stelle non hanno intenzione di fare passi indietro sulla richiesta di dimissioni del sottosegretario Armando Siri, indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolti gli imprenditori dell’eolico Paolo Arata e Vito Nicastri. E il leader della Lega Matteo Salvini è altrettanto irremovibile: deve restare al governo.
Non hanno aiutato le due interviste che ieri il premier Giuseppe Conte e il vicepremier Luigi Di Maio hanno rilasciato a Corriere e Repubblica: da una parte il capo politico dei Cinque Stelle chiede chiarezza, perché “l’innocenza la decidono i giudici”; dall’altra il presidente del Consiglio fa sapere che la sua “valutazione” del caso è in corso.
D’altronde, sul fronte opposto, non sono piaciuti i retroscena con cui la Lega ha fatto sapere di essere pronta a far precipitare la situazione, né il lapsus (freudiano) con cui Salvini avrebbe annunciato che “il governo dura 4 mesi” anziché 4 anni, né tantomeno la notizia che per il figlio di Arata, Federico, è “in iter” una consulenza da esperto voluta dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti al Dipartimento per la programmazione economica.
I due alleati sono ai ferri corti. E non è nemmeno detto che Salvini e Di Maio si incontrino al Consiglio dei ministri in programma per martedì: l’appuntamento è ovviamente segnato nelle agende ufficiali di entrambi, ma la resa dei conti su Siri potrebbe anche essere rinviata.
In quella sede, toccherà piuttosto affrontare il caso del Salva-Roma, la norma per il taglio del debito della Capitale che il Movimento vuole inserire nel decreto Crescita e che la Lega ha annunciato di non voler votare. Ieri, è stato lo stesso Di Maio a lanciare segnali di distensione, specificando che provvedimenti simili potrebbero essere estesi ad altre città, come la Catania guidata dal centrodestra e Torino, amministrata invece dai Cinque Stelle. Un messaggio che pare aver fatto breccia nella Lega, che ieri avrebbe abbassato i toni sull’aiuto a Virginia Raggi, citando proprio l’ipotesi di usare lo stesso modello anche per altri Comuni. Ipotesi confermata ieri dal viceministro all’Economia Laura Castelli: “Per troppi anni gli Enti Locali sono stati abbandonati a loro stessi: lavoriamo a misure normative che risolvano i loro problemi, non solo per la Capitale ma anche per le altre città”.
Non sarà martedì, quindi, il giorno in cui si scioglierà la grana Siri. Anche perché per la prossima settimana è atteso l’interrogatorio del sottosegretario. E c’è chi ritiene che il colloquio privato annunciato dal premier Conte possa anche essere posticipato all’incontro con i pm: il comportamento che l’esponente leghista terrà in Procura, ragionano, potrebbe essere uno degli elementi di valutazione di cui il premier ha bisogno. Un atteggiamento di collaborazione con l’autorità giudiziaria, per dire, potrebbe aiutare a leggere diversamente la sua posizione. Al momento, l’unica concessione che i Cinque Stelle dicono di essere disposti a dare è quella di dimissioni “temporanee”, una sorta di sospensione dall’incarico pronta ad essere revocata nel momento in cui ci siano novità positive. Una strada, va detto, difficilmente conciliabile con i tempi della giustizia.
Nell’attesa, il Pd ha deciso di presentare una mozione di sfiducia al governo. Si tratta più che altro di una provocazione: “Questo teatrino deve finire”, dice il segretario dem Nicola Zingaretti, convinto che veder votare compatti Lega e Cinque Stelle a sostegno dell’esecutivo dimostrerà al Paese che i due “litigano di giorno e si accordano di notte”.
10 domande a Salvini
Abbiamo chiesto un’intervista al Matteo Salvini. Nessuna risposta. Casomai ci ripensasse, queste sono le domande che avremmo voluto porgli, per il dovere di trasparenza che è richiesto a un uomo di governo della sua importanza dinanzi ai cittadini.
1. Ministro Salvini, lei parla e twitta su tutto, dal menu delle sue colazioni al festival di Sanremo, da quel che dovrebbero fare gli altri ministri a come si governa Roma: possibile che non trovi il tempo per dire una parola sulla famiglia Arata? Chi e quando le ha presentato Paolo Franco Arata, genovese, 69 anni, ex parlamentare di Forza Italia che in un’intercettazione si definisce “socio al 50 per cento” almeno dal 2015 del pregiudicato (per corruzione e truffa) Vito Nicastri, il re dell’eolico siciliano ora ai domiciliari, destinatario di un sequestro preventivo di 1,3 miliardi dalla Direzione Antimafia di Palermo perché ritenuto il finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro?
2. Ha conosciuto prima Arata padre oppure il figlio Federico, 34 anni, che del 2016 risulta seguire i rapporti internazionali della Lega e nel 2017 ha organizzato il fugace incontro Salvini-Trump a New York, grazie ai suoi rapporti con Steve Bannon, aspirante federatore dell’internazionale “sovranista”? Ha mai pensato di prendere informazioni su quella strana famiglia, prima di inocularla come un virus letale nella Lega? Ora che gli inquirenti hanno scoperto quei terribili legami fra Arata sr., Nicastri e Messina Denaro, perché non rassicura i suoi elettori e tutti i cittadini sul fatto che terrà Arata e la sua famiglia alla larga della Lega e del governo?
3. Da anni Paolo Arata possiede varie società nel settore energia e questo, diversamente dai suoi rapporti con Nicastri, lo sapevano tutti: bastava una ricerca su Google o una visura camerale. Perché lei, malgrado il suo plateale conflitto d’interessi, lo incaricò di scrivere il programma della Lega proprio sull’energia, lo invitò a parlare al convegno programmatico di Piacenza nel luglio 2017?
4. Lei ha compiuto sforzi immani per riverginare l’immagine della Lega, screditata dagli scandali di Belsito, della Family Bossi, dei 49 milioni scomparsi ecc. Perché diede proprio ad Arata, legato a tutta la vecchia politica siciliana e non (da Mannino a Miccichè ad Alberto Dell’Utri), un ruolo così centrale nel suo “nuovo” partito, al punto che – come risulta dalle carte dell’inchiesta delle Procure di Palermo e Roma – fu addirittura Arata a sponsorizzare la nomina dell’amico e corregionale Armando Siri a sottosegretario ai Trasporti?
5. In dieci mesi di governo, Arata e famiglia hanno beneficiato di una serie impressionante di favori targati Lega. Lei, ad agosto, tentò di farlo nominare presidente dell’Authority dell’energia, cioè controllore di se stesso, visto il suo palese conflitto d’interessi di imprenditore dell’eolico (nomina stoppata da Di Maio). Siri, fra luglio e dicembre, provò in ogni modo a far approvare una norma chiesta da Arata per favorire la sua azienda eolica (quella a mezzadria col finanziatore di Messina Denaro). Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha appena assunto il figlio Federico Arata a Palazzo Chigi come “esperto” del Dipartimento programmazione economica, dopo che quello l’aveva aiutato nella discussa trasferta di marzo negli Usa. La Lega deve qualcosa a quella famiglia? Salvini può garantire che mai gli Arata hanno finanziato la Lega?
6. Ora Arata sr. è accusato di aver corrotto il sottosegretario Siri con una tangente di 30mila euro in cambio dell’emendamento su misura per la sua società eolica, che avrebbe moltiplicato i guadagni suoi e del socio occulto siciliano. La presunta tangente dovranno accertarla o smentirla i giudici, e non risulta che lei ne sapesse alcunché. Ma l’emendamento ad Aratam è già arcisicuro: “le tariffe incentivanti e i premi di cui al decreto ministeriale 6 luglio 2012 e ai suoi allegati, del ministero dello Sviluppo Economico, si applicano agli impianti aventi accesso diretto agli incentivi ai sensi del… medesimo decreto, alla condizione che siano entrati in esercizio fino al 30.9.2017 e documentino di aver inviato la comunicazione di fine lavori al competente gestore di rete entro il 30.6.2017”, quindi senza rispettare il termine di legge. E guardacaso proprio in quella situazione si trovava la società di Arata (e Nicastri). Cosa pensa Salvini di quella legge ad aziendam e dei suoi che l’hanno spinta?
7. I massimi funzionari dello Sviluppo economico hanno raccontato ai pm che a luglio Siri tentò di far passare l’emendamento ad Aratam nel dossier sulle Rinnovabili, e fu da loro respinto; il capogruppo leghista Romeo ci riprovò in dicembre, nella legge di bilancio, e fu bloccato dal ministro dell’Ambiente Costa; Siri ritentò e ricevette l’alt del ministro dei Rapporti col Parlamento Fraccaro; ma non si arrese e azzardò il colpaccio nel Milleproroghe, scontrandosi con i sottosegretari pentastellati Castelli e Crippa. Intanto Arata rassicurava Nicastri (ai domiciliari) tramite il figlio Manlio: “Ci pensa il mio uomo”. Salvini ha mai saputo niente di quel pressing? Se sì, perchè non l’ha bloccato, visto che non riguardava interessi generali, ma affari personali di Arata? Se no, come giudica il comportamento del sottosegretario Siri, asservito a quegli interessi privati?
8. Giovedì, appena appreso di essere indagato, Siri ha dichiarato: “Non so assolutamente chi sia questo imprenditore coinvolto (Arata, ndr), non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole, credo che si tratti di un errore di persona”. Venerdì, smentito persino dal suo capogruppo Romeo, ha cambiato versione: “Ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori”. Ieri ha raccontato un’altra storia ancora: “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico… mi ha fatto una testa così e io gli ho detto: va bene, mandamelo”. A prescindere dalle accuse di corruzione (da dimostrare) e dall’asservimento della sua funzione pubblica a interessi privati (dimostrata), Siri è un bugiardo seriale: non basta questo per dimissionarlo dal “governo del cambiamento”?
9. Ministro Salvini, lei ha difeso Siri perché è “soltanto” indagato per corruzione e ha ricordato ai 5Stelle il precedente di Virginia Raggi, più volte indagata. Ora, la Raggi non c’entra nulla: non è mai stata indagata per corruzione, è stata assolta e prosciolta e archiviata da tutto, e non si comprende perché lei ne abbia chiesto le dimissioni, se non per coprire lo scandalo Siri. Ma, sulla presunta corruzione di Siri, lei ha ragione: finché non si proverà che Arata se l’è comprato con 30mila euro, il fatto resta controverso e nulla autorizza nessuno a cacciarlo dal governo in quanto corrotto (semmai per le sue bugie e i suoi traffici per una norma ad aziendam, e che aziendam!). Però il suo “garantismo” su Siri “solo” indagato cozza col fatto che la sua fedina penale riporta già una sentenza definitiva di colpevolezza: un patteggiamento del 2014 a 1 anno e 8 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Cioè: è stato lui stesso a concordare la pena per avere svuotato le casse di una società, lasciando 1 milione di buco e occultando parte del bottino nel paradiso fiscale del Delaware. Quindi Siri non deve uscire dal governo perché indagato: non avrebbe dovuto entrarvi perché ha patteggiato. Che le è saltato in mente di nominare sottosegretario e ideologo della politica fiscale leghista un bancarottiere e frodatore del fisco?
10. Se lei, ministro Salvini, avesse tenuto a distanza, se non dalla Lega, almeno dal settore energia, un faccendiere in conflitto d’interessi come Arata e, se non dalla Lega, almeno dal governo un sicuro bancarottiere e frodatore come Siri, oggi il governo non sarebbe scosso dal suo primo scandalo e la Lega non sarebbe in imbarazzo per il suo ennesimo scandalo. Non è il momento di fare un po’ d’autocritica e di pulizia, di cestinare le mele marce, di presidiare meglio le porte del partito e di chiedere scusa al premier Conte, agli alleati, ai leghisti e soprattutto agli italiani?