“Cantù come Locri”: oltre 100 anni di condanne per i nove boss

Un secolo di carcere. Sono stati tutti condannati i nove imputati nel processo sulla ‘ndrangheta a Cantù, il comune in provincia di Como che tra il 2015 e il 2016 è diventato il teatro di un piccolo romanzo criminale con sparatorie, pestaggi e una gambizzazione nelle vie del centro. La corte del tribunale di Como ha inflitto la condanna più dura a Giuseppe Morabito, nipote del boss omonimo detto “U Tiradrittu”: 18 anni. Poco meno a Domenico Staiti (16 anni e 6 mesi) e a Rocco Depretis (16 anni e 4 mesi). Inferiori ai dieci anni la pena per Antonio Manno, Valerio Torzillo, Emanuele Zuccarello, Jacopo Duzioni, Andrea Scordo, Luca Di Bella.

Le indagini dei carabinieri erano iniziate nel 2015 a seguito di una serie di episodi violenti avvenuti nella piazza centrale della cittadina. A partire dal 4 ottobre 2015, quando la discoteca “Spazio” venne devastata da un gruppo di calabresi legati alla famiglia Morabito di Africo. L’unico a opporsi alla furia fu il 23enne Ludovico Muscatello, nipote di Salvatore Muscatello, anziano boss capo locale di Mariano Comense: dopo pochi giorni fu ferito con sei colpi di pistola mentre era davanti a una panetteria assieme ad alcuni dipendenti della discoteca. Una volta uscito dall’ospedale Muscatello si trasferì nel Milanese, lasciando campo libero a Morabito e soci che diventarono i “signori” della piazza. E a quel punto le violenze hanno cominciato a moltiplicarsi. Minacce, spari in strada, risse. L’ultimo episodio è il tentato omicidio di Andrea Giacalone, un barista della zona, che il 4 agosto 2016 è stato ferito da due colpi di fucile a canne mozze perché aveva corteggiato la donna di Manno. Il capo dell’antimafia milanese aveva paragonato “Cantù a Locri”. Il Comune, invece, aveva sempre rifiutato di costituirsi parte civile, parlando di semplici “atti di bullismo”. No, non era semplice bullismo.

Corona resta in carcere. “Dovrà scontare di nuovo i cinque mesi di affidamento”

Contro i ”deliri di onnipotenza” di Fabrizio Corona, il carcere è “una soluzione necessaria”. A stabilirlo è il Tribunale di Sorveglianza di Milano, che hanno deciso che l’ex paparazzo dovrà restare dietro le sbarre. Non solo: secondo i giudici, dovrà scontare di nuovo i 5 mesi di affidamento terapeutico che aveva ottenuto per curare la sua dipendenza dalla cocaina, ma che non sono stati ritenuti validi per le tante infrazioni commesse. Accolta la linea sostenuta dall’avvocato generale Nunzia Gatto, numero due della Procura generale. Contrariamente a quanto sostenuto dai difensori Andrea Marini, Antonella Minieri e Ivano Chiesa (il suo legale “storico”), che avevano provato a ottenere nuovamente l’affidamento terapeutico con Corona in libertà – come era successo nel febbraio 2018 -, i giudici non hanno ritenuto che lasciare l’imputato a piede libero fosse opportuno, anche in considerazione delle ripetute infrazioni commesse da Corona nell’ultimo periodo. E lui stesso ha aggravato la sua posizione con le dichiarazioni che rilasciava nei programmi televisivi, a cui secondo la Gatto “partecipava solo per insultare e fare risse”. Inoltre, l’ex agente fotografico avrebbe dimostrato “insofferenza” alle regole e “incomprensione” della misura dell’affidamento, manifestati sia in un video su Instagram sia in un’intervista di fine febbraio. “Ammetto di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma chiedo un’altra opportunità” aveva detto Corona ai magistrati nel corso dell’udienza a porte chiuse di martedì, per mezzo del suo avvocato Ivano Chiesa. “Gli sono state concesse tutte le chance”, aveva commentato Nunzia Gatto. Dopo una lunga serie di violazioni delle prescrizioni, Corona è rientrato in carcere lo scorso 25 marzo, e a causa dei suoi trascorsi giudiziari potrebbe essere costretto a rimanerci fino al 2022. La pena, ora, riparte da zero.

Crac Bagnoli, per Corte dei Conti 11 milioni di danno erariale. C’è De Magistris tra gli “avvisati”

Sulla speranzadi riqualificare Bagnoli si sono sprecati diciassette anni e accumulati quasi 100 milioni di euro di debiti, fardello sui mutui del Comune di Napoli. Ed ora la magistratura presenta il conto del fallimento di BagnoliFutura spa, società al 91% comunale, nata per ridare vita all’ex area industriale e che invece l’ha accompagnata a morire. La procura regionale della Corte dei conti guidata da Michele Oricchio – pm Marco Catalano – ha riassunto in 44 pagine le ragioni di 11 inviti a dedurre per sindaci, assessori e dirigenti municipali, ex ed in carica, ipotizzando un danno erariale di 11.188.947 euro da dividere a fette di circa 932mila euro ciascuno (tranne i tre dirigenti ai quali si chiede più di 1 milione e 200mila euro). Mentre per un altro danno erariale di circa 33 milioni per la mancata acquisizione del complesso Porta del Parco, la procura contabile si riserva altre azioni.

Tra gli 11 “avvisati” a controdedurre ci sono l’ex sindaco Rosa Russo Iervolino, e l’attuale, Luigi de Magistris. Quest’ultimo è chiamato in causa per la sua prima consiliatura (BagnoliFutura è fallita nel 2014). Secondo le indagini del comando provinciale della Finanza, de Magistris avrebbe contribuito al dissesto di BagnoliFutura attraverso un’altra speranza mai realizzata per Bagnoli: portare qui le regate e il quartier generale della Coppa America nel 2012 e 2013. Protocolli tra i vari soggetti pubblici e privati coinvolti individuarono in BagnoliFutura la titolare dei diritti dell’evento, spostato in extremis sul lungomare Caracciolo dopo il mancato nulla osta del ministero dell’Ambiente. “BagnoliFutura spa – si legge nell’atto notificato – ha sostenuto una serie consistente di costi finalizzati alla realizzazione di un evento sportivo (…) non strettamente connessi con gli esclusivi scopi sanciti dall’oggetto sociale”. De Magistris ne ha parlato a radio Kiss Kiss Napoli: “L’America’s Cup rilanciò l’immagine di Napoli nel mondo. Siamo tranquilli e chiariremo la correttezza del nostro operato”.

Un’antenna di 33 metri a due passi da casa. A Zelarino scoppia la rivolta dei cittadini

Vivere con un ripetitore telefonico di 33 metri, nel giardino di casa. Accade a Zelarino, in provincia di Venezia. Una questione arrivata anche negli uffici romani dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, ma nel frattempo le famiglie lanciano un nuovo appello: “Non accendete quell’antenna”.

Partiamo dall’esposto firmato dal Comitato CMP (Comitato Marco Polo), inviato all’Anac, in cui si legge: “L’impianto sarebbe privo delle necessarie autorizzazioni per il suo regolare funzionamento e le stesse non potrebbero essere concesse per palesi irregolarità”. I cittadini contestano da sempre che per l’installazione dell’antenna – praticamente nelle loro abitazioni – siano state adottate fin dall’inizio “motivazioni di pubblica utilità”.

Il pennone di via Comboni è noto a tutti anche perchè svetta tra una casa e l’altra. La vicenda inizia nella primavera del 2015 quando la struttura viene montata a soli 4,55 metri dal confine stradale della via privata (come da perizia stilata a settembre 2017) e all’interno di un’area che secondo il materiale presentato dai cittadini dovrebbe essere tutelata da vincolo paesaggistico. I residenti da subito si mobilitano, raccolgono firme e iniziano il loro calvario tra le scartoffie: primo passo una richiesta di rimozione dell’antenna al Comune, poi un esposto/denuncia in Procura per “profili di illiceità”; nel 2017 il diniego degli abitanti alla richiesta di transito della società “e-distribuzione” (gruppo Enel) per canalizzare il terreno. Pur di far funzionare l’antenna nel frattempo viene sistemato e attivato un gruppo elettrogeno a gasolio che oltre a essere rumoroso emana un insopportabile cattivo odore. Troppo persino anche per forze dell’ordine chiamate dai residenti: alla fine viene disattivato.

L’antenna ora è spenta ma c’è chi vorrebbe farla funzionare. Valentina Buzzo, cresciuta proprio in via Comboni, non si rassegna. “Il Comitato ha deciso di impugnare l’ultima delibera della Città Metropolitana con la quale autorizza ‘e-distribuzione’ al passaggio coattivo di un elettrodotto, per fare in modo che l’antenna della Wind venga alimentata direttamente con la corrente elettrica e non attraverso il generatore”. I cittadini sono disposti a tutto per fermare l’iniziativa della Città metropolitana, che vuole concedere il passaggio per effettuare i lavori necessari alla riattivazione. I residenti si appellano alle normative sulle distanze da rispettare tra ripetitori e luoghi sensibili (come scuole, ospedali oppure abitazioni) ma per il momento i vari ricorsi presentati sono ancora in attesa di una prima udienza e gli esposti non hanno avuto alcun riscontro ufficiale. Qualcuno teme addirittura che con l’arrivo di 5G l’antenna possa diventare un avamposto di sperimentazione delle nuove tecnologie. Per queste ragioni i cittadini sono arrivati al punto di bloccare il traffico fino a Mestre. “Siamo pronti a denunciare chiunque abbia fatto finta di niente e non ha preventivamente verificato i contenuti della documentazione. Vogliamo che emergano le responsabilità di chi sta lavorando per far procedere e portare a termine l’iter di occupazione coattiva”, afferma Buzzo. Aggiungendo: “Su questa vicenda si sono trovate mille soluzioni per tutto. Eccezion fatta che per la tutela della salute dei cittadini”.

Blitz degli attivisti anche a Parigi: “Macron tossico”

Blitz ambientalista a La Défense, il quartiere degli affari alle porte di Parigi. Un gruppo di militanti ecologisti ha bloccato le sedi di grandi gruppi come Total, Société générale e Edf nel quadro dell’annunciata giornata di “disobbedienza civile” per il clima. “Il movimento climat français denuncia l’alleanza tossica tra Emmanuel Macron e il suo governo e le grandi aziende la cui attività accelera il cambiamento climatico”, scrivono Greenpeace, Les Amis de la Terre e Anv-COP21 in una nota congiunta, in cui rivendicano la partecipazione di oltre 2.000 persone. Denunciano, tra l’altro, che Société générale investa nelle energie fossili peggiori (gas di scisto, trivelle nelle acque più profonde o nell’Artico). Ma anche che Total spenda miliardi per influenzare la legiferazione europea, ma anche il finanziamento da 10 miliardi dello Stato in Edf e Areva, società del nucleare da cui proviene il primo ministro Édouard Philippe.

Le Ong invocano “misure radicali e immediate” per “riuscire a limitare il riscaldamento climatico a +1,5 gradi entro la fine del secolo”.

La odiate? Una “grande cecità” vi ha già colpiti

Se Libero, e il suo direttore Vittorio Feltri, avessero letto La grande cecità di Amitav Ghosh non avrebbero definito Greta “una rompiballe”. O forse lo avrebbero fatto lo stesso per il gusto di provocare (e non ha senso invocare una censura) ma si perderebbero il cuore del problema. Lo scrittore indiano, che ha scritto il suo saggio nel 2016, interpella proprio gli scrittori, l’arte e i giornalisti. Tutti loro, tutti noi, verranno un giorno “ricordati non per la loro audacia, non per la loro difesa a spada tratta delle libertà, bensì per la loro convivenza con la Grande Cecità”.

Siamo tutti abbastanza “inconsapevoli della crisi imminente” e infatti non ne scriviamo o, almeno, non abbastanza. Oppure, come Libero, per deridere la ragazzina con le treccine che sta svegliando una generazione. Certo, ci sono gli esaltati di Greta, quelli che hanno inquinato il pianeta e ora fanno i selfie con lei. Ma fa parte del gioco ipocrita del potere.

Quello che vale la pena osservare è come ci siano così poche “intelligenze letterarie” consapevoli della “voce della terra” e della sua atmosfera.

Le ragioni? Sicuramente l’eccessiva centralità della “morale individuale” che domina la letteratura e anche la politica per cui l’individuo è l’agente risolutore della narrazione e l’azione collettiva scivola sullo sfondo. “Cosa fai tu per salvare il pianeta” chiedono i giornalisti ai ragazzi in piazza. E quelli rispondono “noi”: e i due discorsi non coincidono. C’è il terrore per la crisi evidente dello “Stato-nazione” come strumento per affrontare l’emergenza globale e la goffa propaganda dei “sovranisti all’amatriciana” lo dimostra. E c’è la voglia di non essere svegliati dal proprio torpore, dalle proprie comodità, dall’illusione che l’interesse individuale corrisponda necessariamente al benessere collettivo. Fermare il riscaldamento globale significa rimettere tutto in gioco. Gli adulti non ne hanno voglia. I ragazzi, forse, ancora sì.

I duri a Londra: “Blocchiamo tutto”

Dopo una lunga parentesi in cui le protese si esaurivano con infiammati post sui social network, gli attivisti sono tornati a portare le loro battaglie pacifiche nelle piazze. Non solo Greta Thunberg ma anche il gruppo ambientalista radicale Extinction Rebellion (XR, Ribellione contro l’estinzione).

Nato un anno fa nel Regno Unito e propagatosi in molti Paesi occidentali tra i quali il nostro, il movimento ambientalista da giorni sta bloccando gli snodi più trafficati di Londra come il Waterloo Bridge, Marble Arch, la piazza di Westminster e Oxford Circus. Lo scopo è imporsi all’attenzione di quanta più gente possibile e di sfidare le istituzioni e i media mainstream accusati di non informare adeguatamente sulla questione. Le forze dell’ordine hanno reagito arrestando finora circa 400 “ribelli”. Si tratta di un esito auspicato dagli stessi provocatori per diffondere il metodo Xr. Se, come sembra, le proteste continueranno, e di conseguenza i fermi, la polizia metropolitana di Londra si troverà addirittura a corto di celle.

L’altroieri un gruppo di attivisti ha coinvolto anche la rete metropolitana e ferroviaria, mentre un altro ha raggiunto la casa del leader laburista Jeremy Corbyn incollandosi fisicamente alla recinzione che la protegge. Secondo Xr, Corbyn è “l’ultima speranza”. Ma il controverso leader di quanto resta della sinistra britannica si è rifiutato di parlare con gli attivisti.

“Noi da qui non ce ne andiamo finché non ci daranno ascolto” dice il cofondatore del gruppo, Stuart Basden. I leader di Extinction Rebellion hanno inviato anche una lettera alla premier Theresa May per chiedere di essere ricevuti. I due obiettivi principali del gruppo sono: emissioni zero entro il 2025 e creazione di assemblee permanenti e vincolanti di cittadini sui temi ambientali.

Nonostante la giusta causa, numerosi commercianti iniziano a non poterne più perché i blocchi stradali stanno tenendo lontani i clienti. Secondo le stime c’è stato un crollo del 25% degli acquisti. “Lo spiegamento di polizia messo in campo per rimuovere a forza i manifestanti è stato impressionante”, ha titolato l’Evening Standard mentre il Quartz sottolinea: “Extinction Rebellion ha portato le proteste contro l’inazione politica nei confronti dei cambiamenti climatici a un nuovo livello: basta manifestazioni rispettose, è ora di infrangere un po’ di leggi sbagliate”.

La disobbedienza civile potrebbe aumentare esponenzialmente nel Regno Unito come reazione al sistema uninominale secco che soffoca la voce di tutti quei cittadini che non votano per un partito con ambizioni maggioritarie. Nel 2017 mezzo milione di persone ha votato per i Verdi britannici ottenendo tuttavia solo un seggio in parlamento.

Extinction Rebellion ha goduto fin dalla fondazione dell’appoggio di un centinaio di accademici, e anche dell’arcivescovo di Canterbury, che hanno firmato un invito all’azione nell’ottobre 2018 lanciato da Roger Hallam, Gail Bradbrook, Simon Bramwell e altri attivisti della campagna Rising Up! Il movimento trae ispirazione dai movimenti di base come Occupy, il movimento indipendentista di Gandhi, le Suffragette e Martin Luther King. Il 15 maggio a Milano è prevista una manifestazione.

Greta e i suoi fratelli: ora basta moderazione

“Scusa, ti prego, mi dai un titolo? Non ho capito niente”. Il giornalista coi capelli bianchi è nel panico. Greta Thunberg ha appena parlato dal palco ecologico di piazza del Popolo a Roma, alimentato dalle pedalate di cento ciclisti accaldati, ma nessuno ha pensato di tradurre il suo breve discorso in inglese, come invece in Senato. E non ce n’è bisogno, infatti, perché le migliaia di ragazzini dei Fridays for Future nati dopo il 2000 che affollano questa piazza – 25.000, secondo gli organizzatori –, capiscono senza problemi e scandiscono le parole di Greta con scrosci di applausi.

Lei, sempre seguita dal padre Svante – baffi, capelli lunghi castani e sorriso perenne – riprende il discorso fatto in Parlamento giovedì. “Possiamo comprare tutto, ma ciò di cui abbiamo bisogno è un futuro. Milioni di studenti sono scesi in piazza, ma nessuno sta facendo niente e le emissioni aumentano. Però noi stiamo cambiando il mondo e continueremo a combattere”.

Sotto il palco, una piccola bambina tiene un cartello verde con una scritta tranchant: “Se moriremo, vi porteremo con noi”. Un altro cartello ironizza sui poteri forti – “Se il clima fosse stato una banca l’avrebbero salvato” – mentre qualcuno, su uno dei tanti foglietti appesi a un filo (una specie di “muro” dei pensieri sul clima), ha scritto col pennarello: “Ah regà, che caldo!”. Ben 14.455 gli euro raccolti in piazza – molte banconote da 50, dicono gli organizzatori – per coprire parte delle spese. E mentre gli interventi dai toni apocalittici si susseguono dal palco, alternati alla musica della band dei Têtes de Bois, c’è chi si abbraccia nello stand dedicato ai free hug, troupe di giornalisti sudati intervistano i partecipanti, con al collo solo un cordino e un cartoncino senza plastica con scritto “stampa”, che anche l’accredito è diventato ecologico.

Quando chiedi a chi è venuto in piazza – da Grottaferrata, Civitavecchia, Bracciano, Latina – se ha cambiato il suo stile di vita, la risposta è: differenziata sì, niente bottigliette di plastica, solo mezzi pubblici, anzi a piedi, che a Roma non funzionano. Ma sulla decisione di Greta di non prendere l’aereo vacillano: “Lei è il capo, deve farlo… Noi meglio che partiamo dalle piccole cose, tipo usare la bicicletta”. E ancor più sulla scelta vegana: “Le proteine animali ci servono per crescere!”. “Il problema sono i polli del supermercato, non la carne”, “Vegano è tosto, siamo umani”, dicono in coro. Filippo ha preso il pollo fritto da McDonald’s il giorno prima, anche se ammette “però mi vergogno”, mentre Francesca dice: “Da Mac non ci vado più. Ma perché sono a dieta”. Insomma, come grida qualcuno dal palco, “seguiamo Greta ma a modo nostro”.

Lei, timidissima, sorridente, forse stanca di questa tre giorni nella Città eterna e sicuramente ignara delle intercettazioni del sindaco e delle rogne dell’Ama, distribuisce, prima di andare via, rose rosse ai bambini. Ed è arduo, guardandola, credere alle tesi complottiste che hanno accompagnato il suo arrivo in Italia, dai legami con la massoneria e i poteri forti al presunto, sfrenato, marketing editoriale. I suoi coetanei, infatti, non hanno dubbi. “Greta manipolata? Anche se fosse, non cambierebbe nulla, quello che sta facendo è positivo”, dice una tredicenne, spazzando via ogni dietrologia.

Per loro, Greta Thunberg è semplicemente una persona con un “grandissimo coraggio”, che “si appoggia a fatti scientifici e dice cose vere”, come spiega, secco, Marco, quindici anni di Latina. Un aggettivo per definirla? “Carismatica”. “Intelligente”. “Rivoluzionaria”. “Radicale”. Troppo radicale? “Anche troppo poco per quello che ci vorrebbe. È finito il tempo della moderazione”, commenta Roberta. Mentre Francesco, brufoli e molta timidezza, chiosa: “Nonostante l’età e la complessità della situazione è riuscita a portare avanti un ideale. Che dire? Chapeau”.

Banche, rimborsi ai truffati: “Nessuna svolta dal governo”

“Si è appena svolto a Palazzo Chigi un incontro tra tecnici del governo e rappresentanti del ‘Coordinamento Don Torta” e “Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza”, per confrontarsi in merito alle perplessità avanzate da quelle associazioni sulle proposte normative… in materia di indennizzo dei risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie. Il governo è al lavoro per chiudere rapidamente questa partita in maniera ampiamente condivisa”: è questo quanto scritto ieri in una nota di Palazzo Chigi al termine dell’incontro, sul quale le due associazioni tengono il massimo riserbo nell’attesa di martedì, quando la norma potrebbe entrare nel decreto Crescita, per capire se le loro richieste siano state recepite. “Nessuna svolta – ha detto Luigi Ugone, leader dell’associazione che raccoglie i risparmiatori della Banca Popolare di Vicenza –. È stato un confronto chiarificatore, ma tecnico. I nostri numeri restano distanti da quelli del governo”. Le due sigle respingono il doppio binario previsto dal Tesoro per evitare lo stop dell’Ue (rimborsi diretti a chi ha un reddito sotto i 35mila euro o patrimonio mobiliare di 100 mila, e arbitrato semplificato per gli altri) mentre Di Maio chiede l’unanimità sulla norma.

“Solo 40 euro di reddito”: ecco perché succede

C’è stato un grido di delusione nelle ultime ore, che si è trasformato in frastuono e ha generato l’idea che il Reddito di cittadinanza introdotto dal governo gialloverde assomigli più ai bonus di renziana memoria che a un reddito degno di questo nome: è quello delle famiglie povere che hanno ricevuto i cosiddetti “spiccioli di cittadinanza”, ovvero 40 euro o poco più.

Parliamo di 35 mila casi, il 7% delle 472 mila domande accolte, che sommati ai nuclei che restano sotto i 100 euro, arrivano a 50 mila (13,1%). I dati dell’Inps mostrano un quadro completo. Il 71% delle carte acquisti che stanno per essere distribuite conterranno più di 300 euro. A superare i mille euro, per il momento sono poco meno di 26 mila. La fascia più corposa è quella di chi si è aggiudicato tra i 300 e i 500 euro, la quale conta 138 mila famiglie. Alla prova dei numeri, il reddito di cittadinanza ha svelato la sua natura, che pure avrebbe dovuto essere chiara dall’inizio. Non è uno stipendio da 780 euro mensili distribuito a tutti i disoccupati del Paese, ma solo un’integrazione al reddito di chi vive in grosse difficoltà economiche per aiutare a raggiungere uno standard di vita dignitoso. Era quindi scontato che qualcuno, disponendo già di qualche provento, avrebbe preso poche decine di euro e che in pochi avrebbero raggiunto l’assegno pieno.

I 780 euro al mese, infatti, può prenderli solo chi vive da solo, ha un reddito pari a zero ed è in affitto. Il reddito è composto da 500 euro di sostegno base più 280 per la casa. Se però ci sono altri familiari, si applica la scala di equivalenza. Cioè si aggiungono 200 euro per ogni familiare maggiorenne e 100 euro per ogni minorenne. Quindi una famiglia con marito e moglie e due figli può prendere massimo 1.180 euro. Per calcolare il reddito che prenderà, bisogna sottrarre a questa cifra massima i redditi dei quali la famiglia già oggi dispone. Se per esempio ammontano a 500 euro al mese, il reddito di cittadinanza sarà di 680 euro. Se invece la stessa famiglia avesse redditi pari a 1.178 euro, in teoria il beneficio sarebbe solo di 2 euro, ma c’è una clausola nella legge che prevede la cifra minima di 40 euro.

Questo, quindi, finora era chiaro. Un po’ meno chiaro è l’elenco completo di tutte i proventi famigliari che comportano un taglio al sostegno. Il reddito da lavoro, ovviamente, è da includere. Stesso discorso per l’eventuale sussidio di disoccupazione o l’assegno di mantenimento per i divorziati. Più complesso è capire quali tra le prestazioni assistenziali erogate dall’Inps o dai Comuni riducano il reddito di cittadinanza. Dalla legge sembrano esclusi tutti quelli che non sono legati all’Isee, oltre al bonus bebè. L’Inps però non ha mai diffuso un prospetto completo, essenziale per rendere più trasparenti i calcoli e per capire, ad esempio, se il bonus bebè influisca sulla riduzione dell’importo, nonostante sia escluso dalla legge e nonostante la social media manager della pagina Facebook del Inps (che a detta del presidente Inps Tridico è finita in ospedale per lo stress) abbia sostenuto il contrario in alcune risposte.