Scandali, Covid, bugie: Johnson è al capolinea

Il Regno Unito si trova in un guado pericolosissimo, stretto fra l’emergenza di salute pubblica riattivata, dopo qualche mese di relativa stabilità, dalla diffusione fuori controllo della variante Omicron, e una crisi politica che parte dal vertice, il primo ministro Boris Johnson, e ha già un impatto su governo e partito di maggioranza, superati nei sondaggi dal Labour. I dati aggiornati della pandemia destano allarme: ieri 91.743 nuovi casi, secondo record dall’arrivo del Covid nel paese dopo i 93.045 di venerdì. È un incremento del 51% sui sette giorni precedenti. Quelli da Omicron ieri erano 8.044, per un totale finora di 45.145. Già prima del manifestarsi di questa nuova ondata la capienza degli ospedali era al 94%,

La notizia positiva è che i morti calano dagli oltre 100 delle settimane passate ai 44 di ieri, e che nel fine settimana i vaccini somministrati sono stati circa un milione e mezzo. Ma il Paese è stremato; guarda al leader e vede un uomo senza etica, sopraffatto da una serie di scandali che ha facilitato, o di cui è protagonista. Ormai da settimane Boris Johnson è al centro di accuse che vanno dal clientelismo all’incompetenza. Quelle che lo stanno danneggiato più profondamente sono però le bugie, reali o percepite, sull’osservanza delle restrizioni anti-Covid a Downing street. I giornali hanno fatto a gara a rivelare dettagli su festini avvenuti nel cuore del potere britannico quando il lockdown li proibiva. A uno di questi, il 15 maggio 2020, avrebbe partecipato proprio Boris Johnson. La ricostruzione ufficiale parla di breve riunione di lavoro nel giardino della sua residenza. Ieri lo scandalo nello scandalo: qualcuno ha passato al Guardian una foto che ritrae BoJo seduto a un tavolino del giardino con altre tre persone, incluse la moglie Carrie con il figlio allora bebè, in quello che ha tutta l’aria di un party di primavera. Attorno, rilassati fra un sorso di vino e un assaggio di formaggio, almeno una ventina di dipendenti evidentemente non alle scrivanie. È una immagine che ha scandalizzato profondamente il pubblico, non solo perché sembra confermare che Downing Street abbia mentito a più riprese sulla vera natura di quel- l’evento, ma anche perché sono fioccate le testimonianze di chi, in quei giorni e in osservanze delle regole imposte dal governo, non ha partecipato al funerale di persone care, non ha preso in braccio nuovi nati, non ha detto addio alla madre morta da sola in ospedale. La percezione è quella di un affronto moltiplicato per milioni di volte, un affronto che da politico diventa personale e, quindi, imperdonabile. È per disgusto che gli elettori del North Shropshire, roccaforte conservatrice da sempre, nelle elezioni suppletive di venerdì, hanno preferito la candidata Lib-Dem, con Boris costretto ad ammettere la responsabilità personale nella sconfitta. Nel partito c’è già chi pensa di farlo fuori, e l’occasione per mandare un messaggio forte e chiaro potrebbe essere vicina: per imporre le nuove restrizioni, che ormai gli esperti del governo invocano con urgenza, Johnson dovrebbe convocare il Parlamento già in vacanza. Il pacchetto di misure blande della scorsa settimana è passato grazie ai voti del Labour, dopo la rivolta di 99 deputati conservatori. Se alza l’asticella rischia di andare sotto: proprio per non collaborare a ‘misure coercitive sul Covid’ sabato a sorpresa si è dimesso il ministro per Brexit David Frost, che potrebbe essere presto seguito da altri grossi nomi dell’esecutivo. Sicuramente contrario a restrizioni è il ministro dell’Economia, Rishi Sunak, che è anche uno dei candidati alla successione.

La pressione politica paralizza Johnson. Domenica non ha partecipato alla riunione del Comitato di emergenza. Ieri è uscito da un lungo Consiglio dei ministri con un nulla di fatto che non accontenta nessuno: “Sfortunatamente devo avvertire la popolazione che dovremo prendere in considerazione la possibilità di ulteriori azioni per proteggere il pubblico, la salute pubblica, la nostra NHS. Non esiteremo”. La ‘popolazione’ però si ricorda dell’anno scorso, quando il Natale è stato ‘cancellato” con due giorni di preavviso, generando caos e risentimento. E quindi, imparata la lezione, annulla viaggi e prenotazioni in locali e ristoranti. Perché considera il premier un bugiardo e nei messaggi ufficiali non ha più fiducia.

Il voto per pochi: l’affluenza crolla, vincono i patrioti la Cina festeggia

L’affluenza alle elezioni legislative che si sono tenute domenica è crollata al 30,2%; è il dato più basso che si è registrato alle urne nell’ex colonia britannica dopo essere tornata nel 1997 sotto la sovranità cinese. È stato il modo pacifico ma diretto per parte della comunità di far sapere alla governatrice Carrie Lam e a Pechino che il nuovo corso imposto dal Dragone non è gradito. Del resto, Hong Kong tra il 2019 e il 2020 ha visto una repressione evidente delle libertà, con l’emanazione della “legge sulla sicurezza”, gli arresti di massa dei leader del movimento pro democrazia e di esponenti della comunità: persino l’anziano editore Jimmy Lai è stato condannato di recente a diversi anni di carcere solo per aver preso parte al raduno in memoria del massacro di Tienanmen; un tema, questo, che è tabù per la Cina. Con le Legislative aperte per i candidati “patrioti”, e con i mandati di cattura spiccati verso i dissidenti che dall’estero dove sono fuggiti invitavano a boicottarle, queste elezioni sono sembrate poco più che un esercizio di potere da parte del governo che rappresenta il volere di Pechino. Stati Uniti, Australia, Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda con i loro ministri degli Esteri hanno mosso critiche: “Prendiamo atto dell’esito delle elezioni del Consiglio legislativo di Hong Kong, ed esprimiamo la nostra grave preoccupazione per l’erosione degli elementi democratici del sistema elettorale”. Ma Pechino liquida questi commenti come quelli di avversari occidentali a cui ha sempre ribadito di farsi gli affari propri: Hong Kong ormai è cosa sua, e il Dragone ha ottenuto quello che voleva, ovvero la blindatura del Consiglio legislativo. La governatarice Carrie Lam si è detta soddisfatta e altrettanto lo è Pechino che ora pubblica un libro bianco sullo sviluppo della democrazia nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong per rileggere la storia: si intitola Hong Kong: Progresso democratico sotto la struttura di un Paese, due sistemi e sottolinea come “il dominio coloniale britannico non ha portato una vera democrazia a Hong Kong, ma ha posto insidie nascoste per il suo sviluppo”.

“Cile, Boric è la scommessa”. “Pinochet resta un incubo”

Quando il prossimo 11 marzo Gabriel Boric si insedierà alla Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago, avrà 36 anni e sarà il più giovane presidente della storia del Cile. Bruno e tatuato, ieri il nuovo leader, sul palco della vittoria, ha salutato il Paese promettendo “giustizia sociale e democrazia”. Mentre adesso i cileni festeggiano nelle piazze di ogni città, il professore di Scienze politiche Claudio Fuentes, nelle aule dell’Università Diego Portales di Santiago, riesamina le cifre che nessun esperto sudamericano aveva previsto.

Professor Fuentes, la vittoria di Boric è stata una sorpresa per lei?

Non direi. Da due settimane tutti gli analisti sapevano che il candidato di sinistra avrebbe vinto. Molti sondaggi avevano mostrato che i numeri di Kast erano in calo, ma ci aspettavamo solo sei punti di differenza tra i due: alla fine sono stati 11. Per me è stato inaspettato il livello di partecipazione della popolazione: oltre otto milioni di cileni hanno votato, oltre il 55% dei cittadini. È stata impressionante la capacità di mobilitazione di Boric per spingere le persone alle urne: ha infuso speranza di cambiamento.

L’ascesa politica dell’ex leader studentesco è stata accelerata dall’estallido social, l’esplosione sociale delle proteste del 2019.

Solo in parte. Boric fa parte di una generazione diventata politicamente rilevante già nel 2011, che vuole influire sull’agenda post-industriale, sulle scelte ambientali e di genere. È diventato deputato nel 2013 ed è stato rieletto 2017, prima delle manifestazioni di piazza. È simbolo di un processo graduale della nascita di una nuova sinistra. Di certo il 2019 è stato un anno chiave per molti, ma lui è arrivato dieci anni prima.

Quale sarà il primo grande problema che affronterà?

Il livello di ineguaglianza socio-economica e le differenze tra indigeni e non indigeni. La sua sfida sarà la ridistribuzione del potere sociale, economico e politico. La promessa di cambiamento e la capacità di portare queste istanze di trasformazione sulla scena politica gli hanno garantito la vittoria.

Jose Kast è stato sconfitto. L’era Pinochet allora è finita?

No, non è finita per niente. Oltre il 40 per cento dei cittadini ha supportato Kast, ultrareligioso, ultranazionalista e nostalgico del dittatore, talmente conservatore che ha dovuto fondare un partito tutto suo, quello repubblicano. Quasi la metà della popolazione lo ha comunque scelto alle urne e dunque rimane a favore di politiche da pugno duro, nessun rispetto dei diritti umani e anche la revisione dei processi ai militari che attualmente sono in prigione per averli violati. Non è la fine di un’epoca, ma di certo l’inizio di un processo politico ancora più complesso.

Le prime parole del presidente sono state pronunciate in lingua mapuche: ha ringraziato “tutti i popoli, tutti gli uomini e le donne, che abitano il Cile”.

Gli indigeni nel nostro Paese rappresentano il 13 per cento della popolazione, sono distribuiti in dieci comunità riconosciute: la più numerosa è quella mapuche che costituisce l’8 per cento del totale. Già dalle sue prime parole Boric ha voluto omaggiare la loro presenza, forse prima ancora la loro stessa esistenza. È stato un segno di riconoscimento culturale per dei popoli che vivono nella povertà, che quotidianamente vengono discriminati, che si battono dal 19º secolo per riavere le loro terre nel sud del Paese, che vogliono raggiungere una loro autonomia come è accaduto in Canada o Nuova Zelanda. Non dimentichiamo che è una mapuche l’accademica Elisa Loncon che guida l’Assemblea che sta riscrivendo la Costituzione dello Stato.

La vostra Carta costituzionale, che risale all’era Pinochet, è stata un altro motivo di polarizzazione della società.

L’Assemblea costituente che si occupa della rielaborazione del testo è istituzionalizzata, un organo autonomo dal potere politico, ha un mandato preciso, ma è composta da membri moderati e di sinistra che hanno una grande affinità su quali siano i principi chiave che regoleranno il futuro del Cile. La presenza di Boric al palazzo della Moneda non farà che migliorare questo allineamento degli attori.

La vittoria del barbudos varcherà i confini e contagerà tutti gli altri Paesi dell’America Latina?

Oggi Santiago ha mostrato alla regione sudamericana un nuovo percorso: c’è una generazioni di giovani che sta dimostrando non solo di essere coinvolta in politica, ma di saperla trasformare, e adesso guida il Cile.

Mail box

 

Il virus muta di continuo, al contrario della politica

Nella storia c’è sempre una sottile ironia per chi sa vederla, e sta avvenendo anche con gli eventi che stanno accadendo. È infatti incredibilmente ironico che uno dei banchieri più potenti d’Europa, divenuto capo del governo italiano per i suoi meriti riconosciuti a livello internazionale, sia stato sconfitto da un umile microorganismo. Purtroppo il potere ha una arroganza che non gli permette di riconoscere il giusto valore delle cose, e non si vuole ammettere che un semplice virus sia molto più potente delle istituzioni politiche ed economiche. Ciò che manca completamente è la corretta dose di umiltà che dovrebbe far considerare il virus nella sua chiara natura di microrganismo, capace di mutare e adattarsi alle condizioni, cosa che le istituzioni sono completamente incapaci di fare. Da due anni si cerca di combattere il virus con l’utilizzo di ridicoli certificati e di una malsana burocrazia inutile, oppure con l’arroganza di una scienza che non rispetta la natura, ma si è trasformata in un apparato tecnologico al servizio degli interessi commerciali delle multinazionali. Quello che sta accadendo è la lezione della storia, che punisce l’arroganza del potere: fingere di non vederlo è decisamente ingenuo.

Cristiano Martorella

 

I danni fatti dal Caimano da quando non canta più

Nel leggere quello che ha combinato negli ultimi 45 anni l’unico autocandidato alla presidenza della Repubblica, ovvero il “grande statista” Berlusconi, mi piacerebbe che gli si rendesse onore con un’ultima puntata che riassuma i danni economici da lui prodotti a questa povera patria da quando ha smesso di cantare nelle navi da crociera. Quelli concernenti l’etica e la morale sono stati già descritti negli articoli di Travaglio che Il Fatto sta pubblicando.

Francesco Battaglia

 

Possibile che non si trovi qualcuno meglio di B.?

Berlusconi al Quirinale è l’ennesima barzelletta di un anziano, ormai ex politico. Tuttavia quello che dovrebbe destare preoccupazione non è la battuta in sé o la farsa che stanno inscenando Meloni e Salvini, consapevoli dell’impossibilità di quel che vanno dicendo. Ciò che richiederebbe una riflessione è la volontà di molti italiani di vedere un uomo talmente abominevole a rappresentare l’Italia per i prossimi sette anni. Guccini dice che gli uomini “non imparano, dimenticano”: nulla è più corretto in riferimento agli italiani. Ma senza essere eccessivamente negativi, la più grande amarezza resta il fatto che non riusciamo a immaginare cittadini, sopra i 50 anni, maggiormente autorevoli e meritori di un condannato. “Il mondo era un tempo un posto più grande” recitava Geoffrey Rush in Pirati dei Caraibi. “Il mondo è sempre uguale, è il resto che è più piccolo” rispondeva Johnny Depp. Ecco, forse siamo davvero più piccoli di un tempo anche noi, esseri umani.

Lorenzo Aio

 

Isolare Putin sarebbe una scelta autolesionista

La minaccia di isolare il sistema bancario di Mosca avrà conseguenze negative sulla nostra già fragile economia. Putin è pronto a chiudere i rubinetti del gas, con il conseguente aumento dei prezzi. Basti pensare che la Russia fornisce all’Europa circa il 40 per cento delle importazioni di questo tipo di energia: l’ennesimo atteggiamento miope e autolesionista della nostra politica.

Gabriele Salini

 

Non riesco a fare la terza dose a domicilio

In quanto individuo fragile per patologia, e invalido al 100 per cento, ho chiesto da un mese all’Asl Roma 5 la somministrazione della terza dose del vaccino a domicilio, non essendo in grado di uscire di casa. Chiamato più volte il numero verde della Regione Lazio, mi è stato risposto che bisogna soltanto attendere. Ma i soggetti fragili non avrebbero dovuto avere la precedenza rispetto agli altri?

David Ferrigno

 

Deve esserci prudenza anche con Omicron

Io vaccinandomi ho fatto una scelta ed esercitato un mio diritto. Anche chi sceglie di non vaccinarsi lo fa perché tale trattamento contro il Covid non è obbligatorio. Ma entrambi abbiamo un obbligo nei confronti dell’altro: si chiama rispetto della scelta e si esercita attraverso l’assunzione di forme di precauzione contro l’infezione, il vero nemico sociale numero uno. Tutti noi dobbiamo indossare mascherine, rispettare il distanziamento, rimanere in luoghi pubblici il minimo indispensabile. “Prudenza” dovrebbe diventare la parola che ci unisce nella lotta al virus.

Paolo Antolini

Paradossi. “Mio figlio ha anticorpi alti ma nessun diritto a ricevere il Pass”

Gentile redazione, non sono una fanatica e non mi considero una no-vax. Sono solo una madre preoccupata che si pone molte domande. E che soprattutto si chiede perché il Green pass non viene rilasciato anche a chi, essendo entrato in contatto con il virus Covid-19, ha sviluppato un titolo anticorpale molto elevato. È il caso di mio figlio, che ha 14 anni e non può più condurre la normale vita di un adolescente. Non può usufruire del trasporto pubblico per andare a scuola, non può integrarsi con gli amici né condividere con loro alcuna attività, a partire da quella sportiva. Io, mio marito e la nostra figlia più piccola lo scorso ottobre ci siamo ammalati di Covid. Solo il ragazzo è sempre risultato negativo al tampone molecolare. Avevamo sempre rimandato la vaccinazione perché avevamo molti dubbi, che sono aumentati dopo le tante indicazioni discordanti sul vaccino AstraZeneca. La morte della giovane Camilla Canepa e del militare Stefano Paternò, deceduti dopo la somministrazione, non ha fatto altro che aggiungere paura. Siamo usciti dalla quarantena il 10 novembre. E a quel punto abbiamo deciso di sottoporre nostro figlio a un test sierologico dal quale è emerso che ha un livello di anticorpi molto alto. Io e mio marito, essendo guariti, abbiamo ottenuto il certificato verde, che invece viene negato al ragazzo. Lui frequenta l’istituto tecnico per geometri che dista 25 chilometri dal paese dove abitiamo, Garessio, in provincia di Cuneo. Così lo accompagno e lo vado a prendere. Sono 100 chilometri al giorno. Lo accompagno anche a fare gli allenamenti di calcio in un campo sportivo che dista 45 chilometri da casa. Tre volte alla settimana. E ogni volta sono altri 90 chilometri. L’azienda sanitaria di Cuneo a cui mi sono rivolta mi ha risposto che “al momento la presenza di un test sierologico positivo non è considerato un elemento valido per il rilascio del Green pass”. Questo a differenza di altri Paesi, come la Svizzera. Mio figlio ha momenti di crollo psicologico, si sente discriminato e piange. Il medico di famiglia mi ha solo detto di vaccinarlo. Certo, potrei dare il consenso. Ma il carico psicologico ed emotivo che ciò comporta è davvero molto pesante: non riesco a stare tranquilla. E prima di farlo, in ogni caso, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché un titolo anticorpale alto non dà diritto al certificato verde. Finora nessuno mi ha risposto.

Cristina Mao

 

Ecco Novavax, il siero per No-Vax

L’Ema, Agenzia europea per il farmaco, ha dato il via libera all’immissione in commercio condizionata in Europa, per i soggetti dai 18 anni in su, del vaccino Novavax, il primo vaccino anti-Covid a base di proteine. A differenza dei precedenti, è costituito direttamente dalla proteina Spike, che si trova sulla superficie del virus (i vaccini genici, a Rna e a Dna, invece, inducono la produzione di tale proteina, una volta che ne hanno dato l’input genico), e da un adiuvante, sostanza capace di potenziarne l’effetto stimolante la produzione di anticorpi. È una notizia molto importante: innanzitutto perché si aggiunge un altro vaccino e ciò allenta la “dipendenza” dalle aziende produttrici. Le caratteristiche diverse dagli attuali in uso potrebbe inoltre convincere almeno una parte dei non vaccinati, che non sono No-Vax ideologici, ma coloro che continuano a esser scettici alla tipologia dei vaccini genici.

È triste che una “nascita”, da molti attesa, sia festeggiata in tono minore rispetto ad altri vaccini. Ricordiamo le innumerevoli conferenze stampa, le dichiarazioni istituzionali che ne hanno preceduto l’arrivo. È come stesse arrivando il figlio non desiderato e il motivo è difficile da capire. È noto come i No-Vax siano stati al centro delle preoccupazioni di questa campagna vaccinale, in maniera persino eccessiva, rispetto alla grande rispondenza positiva della quasi intera popolazione. Questo arrivo potrebbe essere un significativo strumento per recuperare almeno parte di essi. Dvrebbe farci gioire, perché avrebbe il significato di risparmiare casi severi e decessi. Ricordiamo che le terapie intensive sono occupate principalmente dai non vaccinati. L’autorizzazione arriva dopo il completamento di una soddisfacente sperimentazione clinica che ha arruolato circa 30.000 soggetti, in Usa e Messico. I risultati ottenuti, pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine riferiscono un’efficacia pari al 90,4%. Studio condotto anche in UK su circa 14.000 volontari e risultato d’efficacia all’89,7% e pubblicati nella stessa rivista. Quando arriveranno le dosi? Non c’è tempo da perdere.

 

Covid feroce in periferia: la doppia sfiga degli sfigati

La novità è che non siamo uguali nemmeno nella paura di morire. Perché c’è una quota di quasi esenti e una di proscritti nel gorgo infernale del Covid. Nulla che non si sapesse già. Ma fa ugualmente impressione misurare il virus secondo la quantità di euro nel portafogli. Chi ne ha pochi si ammala di più, chi ne possiede molti spesso lo scampa. L’ingiustizia sull’ingiustizia, che in questo caso appare come la diseguaglianza al cubo, è stata misurata da tre accademici, Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tommasi, che hanno diviso Roma in sette fasce (“le sette Rome”) numerando per ciascuna l’indice di contagio. Che sale, fino a perdersi in cielo, tra gli ultimi delle borgate più difficili e più esterne alla cintura urbana. Nei 14 mesi radiografati (tutti i dettagli sul sito mapparoma.info) la malattia subisce un declino in diretta proporzione con la vicinanza al centro storico. I contagiati di Torre Angela, per esempio, sono in media 925 su 10mila, ma si riducono a 809 su diecimila appena entrati nel Tiburtino, quartiere periferico ma con una identità sociale e una base economica meno fragile, si riduce ancora di più al Prenestino (760 ogni 10mila abitanti) fino ai 593 dei Parioli, quartiere bene della Capitale.

La ricchezza non solo costruisce più solide difese immunitarie (c’è un eccesso di diabete, obesità e malattie cardiovascolari nelle fasce povere) ma riduce le probabilità di contatto con il virus. I lavori più umili (rider, magazzinieri, camerieri, cassieri) non contemplano lo smart working e spesso neanche le misure di distanziamento sul luogo di lavoro sono osservate. Cosicché la pandemia che è tagliola economica per le fasce più deboli diviene anche, nei confronti dello stesso ceto sociale, più aggressiva e mortale. Il Covid non livella la società, non restituisce a tutti la medesima paura. Alcuni li lascia in salotto e magari anche con la mascherina. Altri, tanti altri, li spinge fuori dalla porta e amen.

Origini del Natale: da Sinter Klaas alle case lapponi

Doni. Cento secoli prima di Cristo, giunti al culmine dell’inverno, gli uomini festeggiavano e ciascuno tirava fuori il cibo o la bevanda che aveva risparmiato. Scambiatisi i doni (tutta roba da mangiare) si ballava e cantava fino all’alba.

Inverno. Al culmine dell’inverno, gli antichi persiani festeggiavano Mitra, il dio della Luce, i Germani Odino, principe degli Dei, capace di galoppare su un cavallo a otto zampe, portando regali o castighi agli abitanti del mondo. Come l’Uomo Inverno dei finlandesi o l’Old Winter dei Britanni.

San Nicola. San Nicola di Patara, in Turchia (poi di Bari), un giorno salvò tre bambini da un oste che voleva cucinarli e servirli come porcellini da latte. Di qui grande fama di santo protettore dell’infanzia, con migliaia di chiese ovunque, specie nei Paesi nordici, specie in Danimarca. In Danimarca San Nicola era chiamato Sinter Klaas (o Sinter Claes).

Abete. I missionari, vedendo che i Germani adoravano la quercia, mostrarono loro l’abete. “Vedete? Un triangolo: nel vertice in alto c’è il Padre e nei due in basso il Figlio e lo Spirito Santo”. I Germani chiesero se i loro dèi avrebbero potuto dimorare nell’abete. I missionari risposero: “Senz’altro”. I Germani adottarono Gesù Cristo tra i loro dèi e adorarono l’abete.

Olandesi. Gli americani del XVII secolo considerarono con curiosità l’abitudine dei nuovi venuti olandesi di pregare Sinter Klaas. S’impossessarono poi di quel rito e chiamarono il santo Santa Claus.

Lapponi. I lapponi si difendevano dal freddo vivendo in case interrate, che avevano la porta sul tetto.

Moore. Il professor Clement Moore, ordinario di Letteratura greca e orientale all’Università di New York, aveva sei figli e per renderli allegri a Natale scrisse la poesia: A Visit from St Nicholas cioè “Una visita di San Nicola”. I versi dicevano all’incirca: “Bum bum bum / Batte sul tetto / una slitta, son le renne / Salta giù dal caminetto / San Nicola con le strenne”. Pubblicata, la poesia ebbe un enorme successo e diffuse in tutto il mondo la saga di San Nicola, cioè Santa Claus. Gli esperti videro subito che Moore, con l’aria di comporre uno scherzetto, aveva fuso i miti più svariati, l’Uomo inverno che girava con le renne e l’abitudine lappone di entrare nelle case dal tetto. Le renne della slitta di Babbo Natale erano otto come le zampe del cavallo di Odino. Per inciso, è praticamente impossibile guidare una slitta tirata da otto renne.

Alberto. In occasione del Natale 1840 il principe Alberto, marito della giovane regina Vittoria, installò, secondo l’uso germanico, un albero decorato nel castello di Windsor. L’abitudine si diffuse subito in tutta l’Inghilterra, accoppiata alle leggende relative a Old Father Christmas. L’albero però era giunto anche negli Stati Uniti, grazie agli emigranti tedeschi, e da qui l’Europa (Inghilterra compresa) lo ricevette una seconda volta di rimbalzo, fuso ormai con le leggende di Santa Claus (con le renne e il resto). Di conseguenza, Babbo Natale e Santa Claus divennero una cosa sola.

Santa Claus. Il vecchio Santa Claus era vestito di pelle o di pelliccia, con calzoni verdi o celesti, la pipa in bocca, la bottiglia di vino in mano. L’attuale Babbo Natale è come è per via della Coca Cola, che lo scelse come testimonial della sua bevanda a partire dal 1931 e fino ai primi anni Sessanta. I colori bianco e rosso sono quelli del marchio, la barba bianca, il cappuccio, l’aspetto rotondo, rubizzo e ridanciano sono invenzioni del pittore-cartellonista Harold Sundblom. Se non succede qualcosa, Babbo Natale resterà così nei secoli dei secoli.

Notizie tratte da: Desmond Morris, “Christmas Watching”, Jonathan Cape, pagine 112, 56 euro

 

Meloni, meno lagne e pensi (molto) di più alla classe dirigente

In una involontariamente comica intervista concessa due giorni fa a La Stampa, Donna Giorgia Meloni ha dato nuovamente il meglio (?) di sé. Ripercorriamola insieme.

Silvio al Quirinale. Così Meloni: “Penso che Berlusconi sia stato l’uomo più processato della storia d’Italia, e credo che in questo abbia avuto un ruolo il suo impegno politico. Al mio identikit (di patriota al Quirinale, nda) corrisponde, poi bisogna vedere se ci sono i numeri perché quelli del centrodestra non bastano”. Berlusconi, secondo Meloni, ha il record di processi, ma Donna Giorgia si dimentica di dire per cosa sia stato processato (e in alcuni casi condannato). Giova poi sottolineare come per la Meloni, che fino all’altroieri riteneva (giustamente) Paolo Borsellino espressione massima di “patriota”, lo sia anche Berlusconi. Una curiosa concezione inclusiva del concetto di “patriota”. È però anche vero che la Meloni è la stessa che votò Ruby nipote di Mubarak. Ed è sempre la stessa che propose Vittorio Feltri al Quirinale. Quindi vale tutto.

Aperitivi sbagliati. “Dovevo cacciare Chiara Valcepina perché è andata a un aperitivo con le persone sbagliate?”. Questa cosa dell’“aperitivo sbagliato” è meravigliosa. Meloni, quando vuole, caccia. È appena successo due giorni fa nei confronti di tal Raj Ducci (ex) responsabile del circolo di Fratelli d’Italia di Fino Mornasco (Como) che aveva scritto un post schifoso e vomitevole. Brava Meloni. Su Valcepina, però, il suo comportamento è imbarazzante. Valcepina, avvocatessa eletta in consiglio comunale a Milano, nell’inchiesta di Fanpage non aveva “sbagliato aperitivo”. Aveva pronunciato battute sessiste; aveva fatto il saluto romano; aveva dimostrato feeling totale con Jonghi Lavarini; e aveva riso all’ipotesi di un suo interlocutore che aveva appena proposto di risolvere il problema migranti facendoli saltare in aria. Questo non è “sbagliare aperitivi”, ma sbagliare tutto. E tenere ancora dentro il partito certa gente squalifica interamente Fratelli d’Italia.

Il fior fiore. Gran finale: “La verità è che c’è il fior fiore del giornalismo italiano che passa le giornate a esaminare qualsiasi profilo Facebook vicino a Fratelli d’Italia. Se lo facessero con gli altri cosa troverebbero?”. Un altro passaggio sublime, perché tradisce tutto il fastidio della Meloni per questo tema. Ringrazio anzitutto per quel “fior fiore”, che a volerlo tradurre letteralmente suona così: “C’è perfino gente come Scanzi che spulcia i nostri social e poi ci scrive sopra i libri, gne gne gne!”. Vorrei poi rassicurarla: tutte le pagine vengono esaminate, non solo quelle di Fratelli d’Italia. E infatti, di casi umani, se ne trovano in continuazione. Tra i renziani (ove esistenti), tra i 5 Stelle, nel Pd. Ma solo nelle pagine di Fratelli d’Italia, oppure della Lega, oppure di figuri legati alla destra, si trovano (non sempre, ma neanche così di rado) esimi gaglioffi che fanno il saluto romano; che pronunciano battute antisemite; che non festeggiano il 25 aprile; che non si dichiarano antifascisti; che esultano per la morte di Gino Strada, che flirtano con la frangia più criminale no-vax. Eccetera. Cara Meloni, un consiglio: frigna di meno e seleziona di più (e soprattutto meglio) la tua classe dirigente. Se attorno a te hai così tanti impresentabili moralmente, la colpa non è del fior fiore della stampa, ma tua. Una “colpa” ben ponderata, perché quel tuo cadere ogni volta dal pero (facendo poi la brava democratica una volta l’anno ad Atreju) ti porta voti. E lo sai bene, perché tutto sei fuorché impreparata o scema. Ossequi.

 

Monsignor Paglia, si confronti sulle torture inflitte a Mario

“Mario” non è il suo nome vero, è un nome di copertura. Vera, verissima, atroce, è invece la sua sofferenza. 43 anni, da undici tetraplegico a seguito di un incidente, “Mario” non ha più una vita, ma una “vita” di tortura. Quando la Corte costituzionale, il 22 novembre 2019, con la sentenza numero 242, depenalizza parte della legge fascista che puniva l’assistenza al suicidio, “Mario” è convinto che la liberazione dalla tortura possa essere vicina. Ma per 14 mesi la Regione Marche e l’ASUR (Azienda Sanitaria Unica Regione Marche) fanno finta che la sentenza della Corte non ci sia stata e “continuano a condannarmi a una vita di torture” (così “Mario” in uno straziante video).

Ci vorranno due diffide legali, e due sentenze definitive del Tribunale di Ancona, perché “Mario” ottenga il parere del Comitato etico dell’ASUR, che riconosce il suo diritto al suicidio assistito poiché ricorrono tutti i criteri enunciati dalla Corte costituzionale. Ma l’ASUR e il Comitato Etico si rimpallano il dovere di accertare, secondo l’ordinanza del Tribunale, “se le modalità, la metodica e il farmaco prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile”. Il farmaco prescelto è il Tiopendone sodico, la quantità 20 grammi, la modalità l’endovena, ma ASUR e Comitato Etico rifiutano di stabilire l’idoneità della procedura (qualsiasi specializzando in anestesia è in grado di rispondere, e fornire eventuali alternative).

“Mario”, di fronte a queste vigliacche tortuosità che fanno impallidire le mostruosità giuridiche del manzoniano Azzeccagarbugli, dopo aver inutilmente scritto “quanto dovrò ancora aspettare per la verifica del farmaco ordinata dal Tribunale di Ancona? Mi state condannando a soffrire ogni giorno di più, a essere torturato prima del suicidio assistito che, dopo le verifiche del Comitato Etico, è un mio diritto, come dice la Corte costituzionale (…) Ora basta, chi deve si prenda le sue responsabilità. Il vostro comportamento è di una gravità assoluta, mi state costringendo a soffrire, mi state torturando”, e stante le feroci orecchie da mercante che riceve in risposta, ha fatto quello che in realtà la Procura avrebbe dovuto fare di propria iniziativa, visto che la notitia criminis era di pubblico dominio: “Ho denunciato per il reato di tortura nei miei confronti l’azienda sanitaria delle Marche e il comitato etico”.

Ci sarà, almeno questa volta, il famoso “giudice a Berlino”? Perché, chi immagina che la parola “tortura” sia anche minimamente eccessiva per le sofferenze che da undici anni, e in progressivo crescendo, assediano e sommergono il corpo di “Mario”, si soffermi a riflettere almeno settantasette volte sette. Legga una sola delle descrizioni che “Mario” ha fatto delle sue giornate di dolori, delle sue ore di spasimi, dei suoi minuti di angosce, metta in funzione i neuroni dell’empatia e provi a sentire sulla propria carne quelle sofferenze senza speranze, quegli strazi cui subentrano solo altri strazi, quei minuti disumani che si vorrebbe fossero gli ultimi e a cui invece seguiranno altri minuti, e ore, e giorni …

Su queste stesse pagine, questa estate, sul tema del fine vita, invitavo l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia della Vita, a un dibattito pubblico, anche in vista del prossimo referendum (o ce lo scipperanno?). Ci conosciamo da decenni, di rapporti amichevoli e di stima, ma Vincenzo ha preferito la maleducazione, che non è davvero nelle sue corde, pur di non dover avanzare argomenti, che evidentemente latitano. E a Giovanni Fornero, autore di un poderoso e ponderoso volume su Indisponibilità e disponibilità della vita (Utet), ha fatto rispondere da Fabrizio Mastrofini, dell’ufficio stampa.

Vincenzo, davvero hai così poca fede nei tuoi argomenti? E davvero ti sembra carità cristiana impedire a “Mario” di porre fine alla sua tortura? Ecco perché ti rinnovo l’invito a un confronto pubblico: perché di dialogo, e non di dogmi, abbiamo bisogno. Non fuggire.