Pelé, Kiara, Tattoo e L’Evento: le elezioni più pazze d’Italia

Sono le elezioni più pazze d’Italia. Domenica 28 aprile Mazara del Vallo sceglie il nuovo sindaco. Provincia di Trapani, una città baciata dal mare con 51 mila abitanti e 43 mila elettori. I candidati al consiglio comunale sono la bellezza di 374: ce n’è uno (quasi) ogni 100 votanti; sono divisi in 16 liste a sostegno di 6 aspiranti sindaci. Le elezioni – se ne deduce – sono un circo colossale: hanno mandato la richiesta per fare gli scrutatori nei seggi 2.465 mazaresi, uno ogni 20.

Gli schieramenti tradizionali sono esplosi. La Lega va da sola e lascia Forza Italia al suo destino. Matteo Salvini il 26 aprile sarà in piazza a sostegno del candidato Giorgio Randazzo, nella città con la più grande comunità tunisina d’Italia: chissà cosa dirà dei migranti africani. Poi c’è il Pd. O meglio ci sarebbe: il simbolo di partito non sarà presentato e i candidati sono sparpagliati ovunque; nelle liste civiche ma pure nella Lega.

E poi il colore. Tanto, su manifesti e santini. Il lettore deve sapere che a Mazara si conoscono tutti e i cognomi tendono a ripetersi: nelle liste ci sono 21 Giacalone e 11 Asaro. Quindi si deve lavorare di fantasia. Per esempio ci sono due candidati di nome Vito Asaro, uno con la civica “Volare”, l’altro con l’Udc. Per votare il primo bisogna scrivere sulla scheda il soprannome “Pelé”. El Rey del fùtbol. L’altro Vito, altrettanto sobrio, si fa chiamare invece “L’Evento”. Una candidatura biblica. Ma sono splendidi pure gli slogan. Come quello dell’ex assessore Vincenzo Calafato: “Se sei incazzato vota Calafato”. Non fa una piega. Poi c’è Vito Ganciano detto “Tattoo” che promette: “Se la tua fiducia sarà grande, la mia disponibilità non avrà limiti”. Ecco, forse poteva fare un po’ meno. Nella stessa lista (#diventeràbellissima) si candida anche Chiara Vassallo, detta “Kiara” (per non fare confusione). Maria Mazzagatti invece sul suo manifesto scrive le parole definitive: “L’uomo giusto per Mazara! Per il Consiglio comunale: Vota una donna”. L’importante è avere le idee chiare. Buon voto a tutti i mazaresi.

Il legale della Raggi: “Valutiamo querela contro il manager”

La sindaca Virginia Raggi è pronta a denunciare l’ex presidente e ad di Ama, Lorenzo Bagnacani, “per diffamazione o calunnia”. La battaglia a colpi di querele è iniziata con l’esposto alla Procura di Roma di Bagnacani che, licenziato in tronco a febbraio, insieme a tutto il consiglio d’amministrazione dell’azienda comunale dei rifiuti, sostiene di avere ricevuto pressioni “finalizzate a determinare la chiusura del bilancio dell’Ama in passivo, mediante lo storno dei crediti per i servizi cimiteriali”. Per ottenere questo risultato, avrebbe “spinto il manager a togliere dall’attivo dell’azienda crediti che invece erano certi, liquidi ed esigibili”. Si tratta di 18 milioni di euro raccolti negli anni da Ama per i servizi cimiteriali.

“Attendiamo di leggere l’esposto presentato da Bagnacani – ha annunciato l’avvocato Emiliano Fasulo che difende la Raggi – per valutare se ci sono profili penali, come ad esempio la calunnia o la diffamazione, da parte dell’autore della denuncia”. Non è escluso che l’ex numero uno di Ama possa essere convocato dagli inquirenti per ulteriori approfondimenti. Intanto la Raggi è tornata sulla vicenda sostenendo che il bilancio “era irregolare” e non poteva essere approvato.

Il conto da 18 milioni. Così è nata la guerra che fa tremare l’Ama

Un conto da 18,2 milioni di euro. È questa la cifra alla base dello scontro tra il sindaco di Roma, Virginia Raggi, pezzi da novanta dell’amministrazione capitolina e Lorenzo Bagnacani, ex presidente e ad di Ama, la municipalizzata dei rifiuti. Da oltre un anno una città con un bilancio da oltre un miliardo e un’azienda che fattura circa 800 milioni sono appesi a una cifra che appare irrisoria. Lo scontro, però, sta mettendo in grave tensione finanziaria la seconda azienda della Capitale e in difficoltà la Giunta.

La storia. La vicenda riguarda i 18 milioni di crediti per i servizi cimiteriali vantati da Ama nel bilancio 2017 sui quali Bagnacani, cacciato insieme al cda a febbraio, sostiene di avere ricevuto pressioni per non inserirli nel bilancio perché non riconosciuti dal Comune. È tutto scritto nell’ultimo esposto depositato da Bagnacani alla Procura di Roma, dopo quelli già inviati insieme al cda il 18 febbraio alla Corte dei conti e il 6 novembre scorso sempre in Procura. Bagnacani ha consegnato alcune registrazioni degli incontri con Raggi e alti dirigenti del Comune. In uno degli audio, Raggi dice a Bagnacani (nominato nel maggio 2017): “Lorenzo, devi modificare il bilancio come chiede il socio (….) se ti chiede di fare una modifica la devi fare! Anche se dicono che la luna è piatta”. Secondo Bagnacani, l’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, motivò la necessità di eliminare la posta in bilancio per chiuderlo in passivo. Accuse smentite da Lemmetti, così come dalla Raggi.

I fatti. Il 27 marzo 2018, il cda di Ama approva in via provvisoria il bilancio 2017, inglobando maggiori costi per i servizi cimiteriali dal 2009 al 2017 per 18 milioni, forte di una serie di pareri legali. Il collegio sindacale approva il bilancio, così come i revisori dei conti. Funziona così: Ama svolge il servizio e versa i proventi al Comune al netto dei costi per il servizio. Il contratto di servizio fissa un compenso “minimo”, poi l’azienda può richiedere, motivandoli, maggiori costi. Dal 2009 è successo così ogni anno: Ama ha iscritto maggiori crediti e il Comune non glieli ha contestati. Dopo marzo 2018 parte una disputa che si trascina per un anno. Il Comune non approva il bilancio. Vanno a vuoto 8 assemblee chiamate ad approvare i conti. Vengono chiesti lumi sui 18 milioni, e il 23 agosto arriva la richiesta di stornare l’importo. Il 20 novembre il Comune contesta formalmente il diritto di Ama a “introitare le maggiori somme incassate a titolo di corrispettivo della gestione dei servizi funebri e cimiteriali”. Nasce un nuovo scambio di lettere tra Comune e azienda.

L’escamotage. Il 5 dicembre il cda di Ama decide, forte di un ulteriore parere legale, di approvare il bilancio con un escamotage. Viene accantonato un fondo rischi a copertura dei 18 milioni – visto che la cifra è contestata dal Comune – che però impatta solo sul patrimonio e non sul conto economico, così la società può chiudere in utile per circa 500 mila euro, poco meno di quanto fatto nel 2016. A quel punto il collegio sindacale cambia versione e boccia il bilancio. La motivazione, in sintesi, è che l’escamotage sia di fatto un’ammissione che l’azienda non ha certezza di poter reclamare quella cifra, che deve impattare sul conto economico. L’8 febbraio 2019 la giunta capitolina boccia il bilancio Ama col voto contrario dell’assessore all’Ambiente Pinuccia Montanari, che si dimette. Il Comune, forte del parere del collegio sindacale, revoca il cda di Ama.

Il Campidoglio. Raggi ha spiegato che il bilancio non poteva essere approvato perché il ragioniere generale, il segretario generale, l’assessore al Bilancio e i dipartimenti competenti hanno certificato l’impossibilità di riconoscere quel credito. Dall’assessorato al Bilancio spiegano che le contestazioni dei crediti erano state avviate prima del marzo 2017, al punto che già nella delibera di giunta che approvava il bilancio 2016 si indicava ai vertici di Ama di procedere nell’esercizio 2017 “a eventuali rettifiche che si dovessero rendere necessarie in conseguenza delle verifiche sui crediti/debiti presso strutture dell’amministrazione capitolina”. Secondo i parere legali in mano ad Ama, nessuna contestazione era arrivata prima di marzo 2018. Secondo il Campidoglio era invece già partita un’interlocuzione formale per ottenere i giustificativi degli extra-costi. Raggi ha poi spiegato che il vero obiettivo dell’operazione era chiudere in utile il bilancio per permettere l’erogazione dei bonus di risultato ai vertici di Ama. Accusa smentita da Bagnacani e dagli altri consiglieri del Cda.

Tensioni finanziarie. Bagnacani denuncia che, dopo lo scontro sui crediti, il Comune non ha più concesso il pegno sui conti su cui transita la Tari, che Ama raccoglie e versa alle casse dell’amministrazione, a garanzia dei prestiti da oltre 300 milioni con le banche, che quindi hanno dimezzato le linee di credito. Ama ha così iniziato a versare in ritardo la Tari per evitare di restare senza liquidità. Il Comune ha preteso la restituzione delle somme. Se non si sblocca la situazione, Ama rischia una grave crisi finanziaria.

“Intorno alla buche di Roma c’è più leggenda che sostanza”

L’argomento non era semplice, ma tosto, di quelli che prendono allo stomaco, aprono dubbi, creano incertezze: un uomo accusato ingiustamente di molestie sessuali verso la figlia, dieci e passa anni di processi, tribunali, sei anni di carcere, risorse economiche al collasso. Poi, alla fine, la verità; poi alla fine la fiction L’amore strappato, tre puntate terminate domenica scorsa, con Sabrina Ferilli protagonista su Canale5 e uno share da far invidia alla Rai. Con lei la premessa era chiara: “Non voglio parlare di politica”. Ne è sicura? (attimo di pausa. Poi sorride). La resistenza dura cinque minuti, forse meno, poi senza neanche insistere, cede, preoccupata “per questa inciviltà dilagante, in cui oramai mettiamo sullo stesso piano una violenza sessuale e una parmigiana di melanzane; in cui la televisione è diventata un tribunale quotidianamente aperto, si sparano sentenze, si offrono certezze, e con i social che hanno frammentato e mangiucchiato quotidianamente la notizia, i fatti, le persone”.

Non c’è controllo.

Oramai sono pochi i personaggi riconosciuti e riconoscibili che, oltre a raccontare, riescono a insegnare, e ti permettono di crescere.

Come, chi…

Mi viene in mente Andrea Camilleri.

Mentre la Rete…

Se va bene, e sottolineo “se va bene”, trovi un’informazione che al cinquanta per cento non è neanche vera; però manca la chiave per educare, conoscere e capire.

Torniamo alla fiction.

Prima di affrontare le riprese, abbiamo esaminato centinaia di casi.

Problema così vasto?

C’è un errore nel sistema giuridico: il tribunale minorile è un corpo parallelo, non si coordina con il tribunale penale; in Italia parliamo sempre di questi quattro clandestini allontanati, e si può essere più o meno d’accordo…

Con lei è “meno”…

Ecco, appunto; per me al primo posto c’è sempre la tutela e la sopravvivenza degli esseri umani, di tutti gli esseri umani. E questa storia dei clandestini è una suggestione data in pasto al Paese per non risolvere i problemi seri che gli italiani sono costretti ad affrontare tuti i giorni.

Detto questo…

Siamo un Paese dove se incappi nell’errore giudiziario sei finito, con gli stessi magistrati schiacciati da mole di lavoro e scarse risorse. Nella vita uno deve temere due figure professionali: i medici e i giudici, perché possono ucciderti.

Lavora solo con Mediaset.

(Sorriso malizioso) Perché la preferisco, lì trovo persone libere e ci scegliamo. Mi sento tutelata.

In Rai, no?

Non ci lavoro da 14 anni. E preferisco non dire altro.

“Sabrina è simpatica, profonda e commovente. Spesso mi legge gli articoli e mi fa riflettere”, parola di Mara Venier.

Lei ha il cuore caldo, quando serve è una pronta a dare battaglia. Comunque la mia fortuna è stata quella di avere dei genitori che mi hanno dato la stessa educazione imposta a mio fratello: questa è vera emancipazione, in casa non ci sono mai stati argomenti da femmina e altri da maschio, e grazie a loro sono diventata una femmina emancipata.

Può spaventare.

Solo se trovi uomini complessati.

Quest’anno è stato giudicato l’anno nero del grande schermo.

Il problema del cinema è di essere bacchettone, irretito dai clichè e dal politically correct, nel timore di toccare determinati temi, altrimenti poi insorgono i comitati o le varie associazioni.

“Sparano” addosso…

Gli autori non sono più liberi di raccontare il bene e il male, il razzismo e non; una società colta saprebbe distinguere, invece siamo messi così: male.

Più liberi negli anni 60.

Una scena come quella di Sordi mentre corca di botte la Vitti, oggi non la girerebbe nessuno, ai registi tremerebbe la mano per la possibile accusa di violenza sulle donne. Siamo preda di percezioni superficiali dei fatti, tanto da snaturare i principi e l’essenza degli episodi.

O Giannini in “Travolti in un insolito…” che dice alla Melato “bacia la mano al padrone”.

Appunto, c’era una libertà di racconto, poi non è che tornavi a casa e temevi la replica del marito contro la moglie; gli esempi non esistono, gli esempi siamo noi rispetto alle nostre vite. Poi ci sono persone che si possono stimare.

C’è confusione tra realtà e finzione.

Si è maggiormente concentrati solo sulla pruderie, sulle stronzate degli pseudo princìpi: chiamare uno spazzino “operatore ecologico” non serve, anzi è una presa per il culo; per la sua dignità uno non deve pensare alle definizioni, ma ai diritti e alla retribuzione.

Proverà mai da regista?

Non ci voglio pensare, voglio stare nel mio ruolo, non mi voglio agitare da sola, voglio continuare a vedere questo mestiere dalla mia ottica. Voglio morì così, senza cambiare direzione all’ultimo momento.

Diamo un senso alla direzione…

Resto attrice, lucida, etero, di sinistra, romanista e se potessi pure figa.

Sempre romanista…

Certo, ma quando per anni assisti a uno sbriciolamento del genere, il dispiacere non può che essere grande.

Andrebbe mai a vivere fuori Roma?

Quanto, 15 chilometri?

No, di più.

La campagna romana?

No, di più.

No, scelgo Roma, Roma, Roma.

Perché?

È sempre la più bella del mondo, non si cambia, e reperti, stratificazioni, persone, catacombe, buche non cambiano un dato: è Roma.

Le buche sono più famose delle catacombe.

C’è tanta leggenda intorno a questa storia.

Sicura?

C’è un’esagerazione.

E l’immondizia?

Da che mi ricordo è sempre stato così, solo che ora c’è l’aggravante legata a un problema di coscienza civile: in giro vedo degli schifi incredibili, con divani in mezzo alla strada, lavatrici abbandonate…

Cosa ne pensa del governo?

Mi viene in mente una frase di Bersani: “In amore chi si somiglia si piglia, mentre in politica chi si piglia poi finisce per assomigliarsi”. Quindi attenzione, a buon intenditor…

Per Massimo Popolizio gli attori sono depressi.

Non è proprio così, dipende dall’approccio che hai rispetto alla professione. Io ho dato precedenza alla persona, poi al mestiere, e ciò mi ha reso più solida e forte. Una come me è Fiorella Mannoia.

Infatti siete amiche.

Anche lei ha riempito la sua vita di interessi civili, politici e sociali; così si è meno soli.

Quanti giornali legge?

Quattro, tutte le mattine, da 40 anni. Anche questa è una forma di resistenza civile alla quale non intendo rinunciare, e grazie agli insegnamenti della mia famiglia.

 

Zingaretti chiede urne anticipate: “Parola agli italiani”

Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, prova a infilarsi tra le crepe che si allargano nell’alleanza gialloverde. Su Facebook, Zingaretti annuncia il lancio di una raccolta firme per chiedere le dimissioni del governo e il ritorno al voto, per dare “la parola agli italiani”. Il segretario dem scrive su Facebook: “I ‘complici e alleati’ Salvini e Di Maio litigano su tutto ma non mollano le poltrone. Il prezzo di questa paralisi è drammatico e lo pagano gli italiani. Servono lavoro, investimenti, infrastrutture, incentivi alle imprese, una politica estera degna e l’aumento dei salari. Se non ce la fanno e litigano su tutto è meglio che vadano a casa e che si torni al voto”. Secondo indiscrezioni il leader del Pd sarebbe in procinto di lanciare una raccolta firme per fare pressione sul governo e chiederne le dimissioni. Un modo per ricompattare anche il suo partito che in questi giorni ha dovuto affrontare lo scandalo della sanità umbra e le conseguenti dimissioni – non esattamente spontanee – della governatrice dem Catiuscia Marini. La richiesta di elezioni immediate per Zingaretti è anche una risposta implicita alla minoranza renziana, che continua ad accusarlo di tramare per un accordo con i 5Stelle.

L’esecutivo non cade prima delle Europee: sarà fatale l’Iva

In questi giorni la campagna elettorale per le Europee si somma a differenze strategiche stranote tra i due alleati di governo, col risultato di produrre litigi quotidiani.

È sbagliato considerarlo solo un gioco delle parti, perché il tema del Salva-Roma sarebbe un rospo amaro per la Lega, come lo era stato per i 5Stelle salvare il ministro Salvini sul caso Diciotti. Però al tempo stesso nessuno manderà in crisi il governo prima delle Europee: allora, magari in caso di consensi sopra il 35 per cento per la Lega – eventualità possibile ma molto difficile – le cose potrebbero cambiare. Questioni come il Salva-Roma o il già citato caso Diciotti indicano certamente diversità tra gli alleati, ma il governo cadrà su temi molto più reali e ce ne accorgeremo in autunno, quando si dovranno trovare le risorse per non far aumentare l’Iva. Nel frattempo, però, su queste marcate differenze tra Lega e 5Stelle dovrebbe far leva la sinistra, che invece continua a ripetere che i due alleati sono la stessa cosa.

O i leghisti si rimangiano tutto oppure Conte si deve dimettere

È molto semplice: Matteo Salvini apre di fatto la crisi di governo e a questo punto i cinquestelle devono prenderne atto.

Il vicepremier leghista non fa dimettere il sottosegretario Armando Siri bancarottiere e indagato per corruzione, come giustamente richiesto dall’altro vicepremier Luigi Di Maio? È perché vuole la crisi. Il leader leghista ordina lo stop al Salva-Roma e pretende la cacciata della cinquestelle Virginia Raggi, votata dal 69 per cento dei romani? È perché vuole la crisi. Il ministro degli Interni, in pieno delirio di onnipotenza, impartisce ordini alla Difesa sul blocca porti, commissaria le prefetture, cerca di costringere i sindaci ai suoi voleri? È perché vuole la crisi.

A questo punto, secondo il più elementare abc politico-istituzionale, il premier Giuseppe Conte dovrebbe già essere al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Non gli resta molto tempo. Perché delle due l’una. O Salvini si rimangia seduta stante le sue spacconate. O il M5S si condanna alla sottomissione e dunque all’estinzione.

Salva-Roma, il no di Salvini è il bottone rosso per la crisi

Ora può davvero saltare tutto. Non è più tempo per battutine e sciarade. Perché il caso Siri da crepa si è fatto faglia tra gli alleati per forza, Carroccio e M5S. Con i 5Stelle che ora tirano in mezzo direttamente lui, Matteo Salvini, chiedendogli se sapesse, se fosse a conoscenza del fatto che il figlio di Paolo Arata, indagato assieme al sottosegretario leghista, fosse stato assunto a Palazzo Chigi da Giancarlo Giorgetti. Cioè dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ma soprattutto numero due della Lega, quello che l’alleanza con il Movimento non l’avrebbe mai voluta e che non l’ha mai digerita. E allora, anche se il Carroccio minimizza, tira aria da resa dei conti, quasi da rabbia sfogata.

E c’è già il bottone rosso da poter premere per far saltare in aria la maggioranza, martedì, in Consiglio dei ministri. Basta che Salvini e i suoi (ri)dicano no alla norma Salva-Roma, che il Carroccio dipinge come un favore a Virginia Raggi, e che per il Movimento invece è una trincea che non si può abbandonare. Comunque lo si guardi, il pretesto perfetto per dirsi addio. Almeno per Salvini, che con l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, fino a pochissimo tempo fa giocava a dirsele in pubblico, ogni giorno, visto che la baruffa quotidiana era perfetta per tenere tutte le luci sui gialloverdi e lasciare a fondo pagina il Pd e ciò che resta di Forza Italia. Teatro politico, con i due capi che la sera si scambiavano messaggi e perfino meme (immagini o video scherzosi), come due ragazzini. Ma da qualche giorno non si salutano, neanche negli incontri ufficiali, perfino in un pranzo riservato a tre con il premier Giuseppe Conte.

Dal sangue finto si è passati allo scontro vero, perché la vicenda del sottosegretario leghista indagato è una ferita che spurga guai, una storiaccia in cui ha un ruolo di prima fila anche un prestanome del boss Matteo Messina Denaro. E ieri sera, a spargere sale in abbondanza sulla lesione arriva la notizia che il figlio di Arata lavora a Palazzo Chigi con Giorgetti. Lo scrive il sito del Corriere della Sera, e nel giro di pochi minuti il M5S ringhia, con una nota: “Chiediamo se Salvini fosse a conoscenza di tutto questo. Ci auguriamo e confidiamo che il leader della Lega (non lo definiscono vicepremier o ministro, ndr) sappia fornire quanto prima elementi utili a chiarire ogni aspetto”. Ma il Carroccio ostenta indifferenza: “Parlamentari e ministri della Lega continuano a lavorare anche in questi giorni di festa, non rispondono a polemiche e insulti che si sgonfieranno in qualche ora”. Però nel governo la tensione e i sospetti incrociati si fanno solidi. E adesso Salvini medita davvero, forse per la prima volta, se staccare la spina a un soffio dalle Europee, con il no alla norma Salva-Roma. Quella che il M5S vuole dentro il dl Crescita per dare un po’ di ossigeno al Campidoglio, facendo sì che il Tesoro possa rinegoziare con le banche l’enorme debito della Capitale, “e sarebbero 2,5 miliardi di risparmi per tutti gli italiani” ripetono a una sola voce i 5Stelle, come a ribadire che non è mica un aiuto a Roma. Invece Salvini sostiene proprio questo: “Non penso ci siano Comuni di serie A e di serie B, ci sono tante amministrazioni in difficoltà in Italia. Non si può fare un regalo a qualcuno e agli altri no”. E lo fa ripetere ai suoi generali nei colloqui riservati con il M5S: la norma non può passare.

Un muro, dal capo della Lega che dà l’assedio al Campidoglio, che invita la Raggi “a cambiare mestiere perché non è capace di governare”. E il vicecapogruppo alla Camera del M5S, il romano Francesco Silvestri, risponde dritto: “Tutti hanno capito che Salvini prova ad alzare il polverone su Roma solo per nascondere mediaticamente l’inchiesta che coinvolge Siri”. Però a contare è il no al Salva-Roma che andrebbe inserito nel dl Crescita, da approvare martedì in Cdm.

E potrebbe essere il giorno della conta, che spalancherebbe le porte alla crisi di governo. “Noi in Consiglio abbiamo comunque la maggioranza, il ministro dell’Economia Tria non può che votare sì alla norma”, dicono dai 5Stelle. Però è ovvio, “se il Carroccio votasse contro in Cdm sarebbe comunque crisi”. E allora, che si fa? Da qui a martedì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte proverà a mediare, e intanto fisserà una data per incontrare Siri e convincerlo a dimettersi. E sarebbe un passo importante. Però lo scoglio del Salva-Roma è lì, vicinissimo. E una soluzione per schivarlo, “rumorosa ma possibile” sussurrano dal M5S, potrebbe essere quella della Lega assente in Cdm. Un gesto che sarebbe comunque grave, ma che per il Movimento non giustificherebbe il fine corsa. Di certo “Di Maio non vuole la crisi” dicono in parecchi dal M5S. E la sensazione diffusa è che Salvini “non possa far saltare tutto su Roma, anche perché poi come lo spiegherebbe ai romani? Ci lascerebbe praterie”. E fonti di governo confermano: “L’esecutivo non può saltare sui soldi al Campidoglio o su una vicenda come quella di Arata, altrimenti si dimostrerebbe che il Carroccio ha pegni politici a cui non può sottrarsi, per esempio con Arata”.

Però Salvini è un mistero. “La crisi è solo nella testa di Di Maio” replica in mattinata all’altro vicepremier, che lo accusava di minacciare spesso il fine corsa. Ma il leghista sa che quella della prossima settimana potrebbe essere l’ultima finestra per andare a elezioni anticipate in estate. “L’unica via che avrebbe per capitalizzare un successo nelle urne di maggio” ammette un big dei 5Stelle, che si dice “molto preoccupato”. Perché non si scherza più.

Mimmo Lucano resta in “esilio”: conferma del divieto di dimora

Resta in “esilio” Mimmo Lucano, il sindaco “sospeso” di Riace coinvolto nell’inchiesta “Xenia” sulla gestione dei fondi per l’accoglienza dei migranti. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria che, dopo l’annullamento con rinvio della Cassazione, ha confermato la misura cautelare del divieto di dimora per Lucano che pochi giorni fa, su richiesta della Procura di Locri, è stato rinviato a giudizio e il processo inizierà il prossimo 11 giugno. Se per la Suprema Corte non ci sono le esigenze cautelari, per il Riesame Mimmo Lucano deve stare ancora lontano da Riace. Il provvedimento riguarda solo il favoreggiamento dell’immigrazione e alcune irregolarità nell’appalto per la raccolta dei rifiuti. Per quest’ultimo capo di imputazione, gli ermellini avevano scritto che mancano indizi di “comportamenti” fraudolenti che il sindaco sospeso di Riace avrebbe “materialmente posto in essere”. Adesso Lucano dovrà attendere le motivazioni del Riesame che saranno depositate nelle prossime settimane. Solo dopo potrà ricorrere di nuovo in Cassazione.

Ventimiglia vota, la Lega si affida al “calabrese”

Un leghista calabrese che sbarca al Nord per convincere gli elettori a votare Carroccio. Chissà come avrebbe reagito Umberto Bossi ai tempi in cui urlava ai terùn. A Ventimiglia, al comizio del centrodestra, si presenta un signore con la spilletta di Alberto da Giussano. È Domenico Furgiuele, deputato e già coordinatore della Lega in Calabria. È anche con lui che Gaetano Scullino si augura di vincere le elezioni di maggio, strappando al centrosinistra la cittadina di confine simbolo della nuova immigrazione. Ma Ventimiglia, ben prima dei ‘neri’, ha accolto altri italiani: 6 mila calabresi e 5 mila siciliani su 26 mila abitanti. E senza i calabresi non si vince.

Ecco sbucare Furgiuele in piazza Cattedrale. Vicino a lui il deputato locale Flavio Di Muro, altro salviniano doc, e il candidato Scullino. Avanzano al centro della strada con passo vagamente western. Ma a qualcuno salta in mente di pronunciare una parola che qui è tabù: parlerete di ‘ndrangheta? “Non faccia questa domanda”, sgrana gli occhi Scullino; sì, quello che era sindaco quando il comune fu sciolto per infiltrazioni nel 2012. Il Consiglio di Stato fece retromarcia: niente mafia. Un provvedimento che suscitò polemiche: “Il presidente del collegio era l’ex ministro Franco Frattini, già collega di Claudio Scajola e protagonista di un incontro a Ventimiglia, nel 2007, in occasione della campagna elettorale di Scullino”, sostiene Christian Abbondanza della Casa della Legalità.

Ma torniamo a oggi. Questa Lega combatte davvero la ‘ndrangheta? “Abbiamo Matteo Salvini, campione nella lotta alla mafia”. Furgiuele cerca di riprendere il controllo della situazione: “Qui c’è gente normale, che vuole vivere in pace. E viene segnata a dito perché un loro lontano parente ha rubato un pollo”. Ma l’incanto si è rotto: onorevole, lei è la persona giusta per parlare di criminalità organizzata vista la condanna definitiva di suo suocero per estorsione aggravata dal metodo mafioso e i beni confiscati a sua moglie (non indagata)? “Ho la fedina immacolata. Mi fate domande perché sono calabrese. Se fossi abruzzese, non me lo chiedereste”. Onorevole, ma su Facebook lei ha messo dei ‘mi piace’ su post che parlano di Mussolini come il “più grande statista del XX Secolo”; che scrivono “25 aprile, onore ai combattenti di Salò”. Furgiuele respira a fondo, ma non si scompone: “La storia è il passato e comunque i social non li gestisco io”, dice cercando conferma nelle persone che gli sono accanto. Ma Di Muro, senza accorgersene, fa un passo indietro; Scullino corregge il tiro: “La mafia è un disastro”.

Ma la parata degli onorevoli per le strade della città vecchia riprende. Qui dove, tra vicoli e antichi palazzi nobiliari, trovi scugnizzi scalzi. Povertà vera. Ha ragione Furgiuele, c’è tanta gente perbene. E arriveranno i voti della comunità calabrese di Ventimiglia Vecchia che a volte pare Liguria solo sulla carta. Basta sedersi ai bar del centro storico. Non senti una parola in ligure, solo calabrese e siciliano. I ‘cibi tradizionali’ esposti nelle vetrine vengono dall’Aspromonte. In queste strade che hanno ospitato la processione alla Madonna di Polsi, come a San Luca d’Aspromonte, per quel rito associato ai summit della ‘ndrangheta. Mentre nella cattedrale venivano celebrati i funerali di quelli che gli investigatori definivano “personaggi di primissimo piano della mafia calabrese”.

Ma Scajola tagliava corto: “Rosy Bindi ha detto che la nostra è la sesta provincia della Calabria. E nessuno ha replicato”. Già, il problema sono le parole del presidente dell’Antimafia.