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L’assordante silenzio sul caso di Giulio Regeni

Sono ormai più di tre anni che Giulio Regeni è stato torturato e ucciso in Egitto. In questi tre anni si è assistito a silenzi, depistaggi, intimidazioni e squallidi teatrini internazionali. Ambasciatori richiamati in Italia poi rimandati in Egitto come nulla fosse. La posta economica in palio, infatti, è troppo alta: l’interscambio commerciale tra Italia ed Egitto è addirittura aumentato. Come ingenti accordi petroliferi e vendita di armi, distribuite al paese africano anche dopo la morte di Giulio. Lo stesso Salvini avrebbe sottolineato l’importanza di questo paese come partner commerciale. Non c’è l’adeguata mobilitazione istituzionale in tal senso. Nonostante il tanto decantato sovranismo. I genitori di Giulio restano abbandonati con l’eco di tante promesse disattese dallo scorso governo e da questo. Personalmente sono sdegnato da questa dinamica. Invidiando i cittadini statunitensi sotto questo aspetto. Che, con tutti i loro difetti, possono contare su istituzioni che li proteggono ovunque.

Cristian Carbognani

 

Il Pd è una delusione, e non fa niente per cambiare

Condivido la ricostruzione storica dell’articolo di Travaglio dal titolo “È arrivato il conto”. Gli storici di professione dovrebbero leggerlo per ricostruire la storia degli ultimi 40 anni del nostro sistema politico. Purtroppo molti sono legati al Pd e sarà difficile che la ricostruzione corretta venga fatta nel prossimo futuro. Forse solo in tempi dove il clientelismo non sarà più elemento per decidere il destino e la fortuna degli intellettuali la verità potrà rivelarsi. I fatti parlano da soli e bisogna solo raccoglierli. Inoltre, basta andare in Romagna per capire cos’è il Pd, un ricettacolo del peggiore clientelismo, così dice un mio conoscente che vive lì. Ho abbandonato la Cgil proprio per questo motivo: sapevo che questo cancro la stava mutando e minando. E così è stato. Forse anche le nostre illusioni su un possibile governo Pd-M5S mostrano ogni giorno di più quanto fossimo ingenui. Io non ho mai creduto nell’apparato del Pci neanche quando ero ragazzo. E gli epigoni odierni che ne sono una caricatura ancora peggiore mi respingono ancora di più e li terrei lontani.

Una loro redenzione fa più parte delle speranze sovrannaturali che della realtà storica e politica. La morte della sinistra italiana ne è la prova sperimentale.

Vincenzo Magi

 

DIRITTO DI REPLICA

Gentile direttore, Le scrivo in merito all’articolo apparso sul suo quotidiano il 17 aprile dal titolo Asti-Cuneo, dieci chilometri di investimenti per avere milioni di euro anche da Toninelli. Innanzitutto mi preme sottolineare come l’attuale esecutivo non stia facendo ai concessionari autostradali alcun regalo, ma stia lavorando, da mesi, per realizzare l’opera in questione, attesa dal 2012, senza proroghe di concessioni, senza esborsi per i cittadini e senza gravare sulle casse pubbliche. Il tutto nel pieno rispetto della normativa italiana ed europea, ma in tempi celeri: perché quelli che definite “appena dieci chilometri di autostrada che mancano”, per le popolazioni locali sono una grande incompiuta che divide in due un territorio e i cui cantieri si stanno ora sbloccando. Veniamo ai numeri. Rispetto al vecchio schema di finanziamento incrociato ipotizzato dal governo precedente, riusciremo a far completare la Asti-Cuneo dal concessionario con un risparmio di circa 220 milioni di euro, e un effetto positivo sulle tariffe, che paghiamo tutti. Questo perché con il piano di Delrio il valore di subentro per Satap A4 era sì inferiore a quello ipotizzato oggi (si trattava di circa 423 milioni di euro, non 380 come riportato nell’articolo) ma il costo della proroga dell’A4 avrebbe comportato un esborso di 1.025 milioni di euro, soldi che con il nostro schema vengono risparmiati. La concessione della Asti-Cuneo fino al 2045, di contro, ha un costo di 422 milioni di euro. Il tutto, sommato a un valore di subentro per Satap A4 di 806 milioni di euro, dà comunque come risultato un risparmio, appunto, di circa 220 milioni di euro. L’entità dell’indennizzo da subentro previsto per la Torino-Milano è compatibile con gli orientamenti espressi dalla stessa Unione europea in passato e risulta sostenibile in relazione alla elevata capacità di autofinanziamento del concessionario, oltre che significativamente inferiore a quelli riscontrabili su società concessionarie recentemente scadute e oggetto di gara, come la Sam e Autostrade centro padane. L’operazione, dunque, è coerente con il quadro normativo vigente e con precedenti indicazioni della Commissione europea già acquisite, e assolutamente non altera la concorrenza.

Danilo Toninelli

 

Com’è risaputo, di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno. Il ministro Toninelli vorrebbe il completamento dell’Asti-Cuneo, pedaggi più bassi e risparmi per lo Stato, ma non fa i conti con l’Europa. Il valore di subentro a fine concessione da lui concordato con i Gavio è superiore più del doppio rispetto al limite massimo che l’Ue ha stabilito non per uno sghiribizzo, ma per favorire la concorrenza anche in ambito autostradale. Per quanto riguarda nel dettaglio i numeri forniti dal ministro sarà interessante registrare a proposito la valutazione che ne daranno a tempo debito l’Autorità dei Trasporti e il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe).

Da.Ma.

Povera Serie A. L’Europa è adrenalina, l’Italia oppio. Nonostante il “viagra” CR7

 

Mercoledì sera mi sono quasi arreso all’evidenza; anzi mi sono proprio arreso: la Champions League è un altro livello, altra seduzione, altri ritmi e competitività rispetto al nostro campionato, cannibalizzato dalla Juventus (otto scudetti sono uno sproposito letale). Così in questi quarti di finale ho respirato calcio, ho finalmente esultato per il gioco, ho discusso di “quel” gioco, dei suoi interpreti, di come sta evolvendo e di come noi italiani siamo involuti in maniera preoccupante, quasi da rimpiangere il catenaccio, almeno era identitario. Dove sono finite le realtà come il Verona di Bagnoli o la Sampdoria di Vialli e Mancini? E le milanesi? Insomma, al piacere si associa la malinconia per un pallone che fu.

Enrico Morisi

 

Nel traslocare dalle emozioni di Champions agli sbadigli del campionato, o viceversa, si rischia di essere etichettati come “banalisti”. Pazienza. L’Europa è adrenalina, l’Italia oppio. Già domani, probabilmente, la Juventus festeggerà l’ottavo scudetto consecutivo – uno sproposito, persino a livelli bulgari – quella stessa Juventus che, martedì sera, è stata crivellata dai giovani cecchini dell’Ajax. Colpa di Madama, ma anche del sistema di cui è diventata padrona e, in un certo senso, schiava.

C’era una volta, nel tardo Novecento, una Serie A che poteva permettersi gli scudetti del Verona e della Sampdoria, un laboratorio che, attraverso il Milan olandese di Sacchi, esportava il futuro. Le Coppe fioccavano: e con le Coppe, la stima, il rispetto, talvolta addirittura l’affetto. L’Europa e il campionato si davano del tu. Oggi, in compenso, si detestano: dal rock allegro di Manchester City-Tottenham al k.o. di Allegri c’è un abisso. La crisi di Milano ha contribuito ad allargare le differenze. Scrivi Champions e ti ecciti. Dici campionato e ti appisoli. Neppure il “viagra” di Cristiano ha mescolato gli estremi. Alla Juventus, nei nostri cortili, basta una mezzoretta. In Champions, basta agli avversari.

I cicli esistono ovunque, si pensi alle quattro Coppe del Real (già fuori, anch’esso, per mano dell’Ajax), ma non c’è paragone con i ritmi e nemmeno con la qualità: delle idee e degli attori, da Messi in giù. I quattrini e le formule sono molto, non tutto. C’entrano concorrenza e dittatura, curiosità e pigrizia. In Champions è noto “il” fine; da noi, “la” fine.

Roberto Beccantini

Purgatori in missione tra la Luna e la nostalgia

Anche la Tv diventa una gara di resistenza quando, tagliando e cucendo immagini di repertorio, Andrea Purgatori traghetta oltre la mezzanotte Atlantide (La7, mercoledì, 21.15). Per rievocare con i filmati della Nasa la corsa alla Luna si parte dal progetto Mercury per arrivare all’Apollo 17. Mancavano solo Dedalo e Icaro, ma lui non si scompone. È un navigatore solitario, Purgatori, alieno sia dal romanticismo di Alberto Angela, sia dalla flemma curiale di Paolo Mieli. Cronista di lungo corso, ottimizza le risorse e mira bene i rari interlocutori, l’astronauta Paolo Nespoli e Tito Stagno, il biondo sosia di Clark Kent che condusse la telemaratona per lo sbarco dell’Apollo 11. Nespoli non vede l’ora di tornare in orbita da turista, convinto che prima o poi “sarà come andare alle Maldive” (abbronzatura a parte). Stagno, sessant’anni dopo, è ancora stregato dalla luna, luccica e si emoziona come fosse oggi. “Non ho mai detto ‘Hanno atterrato’” (in effetti, per atterrare mancava la Terra). “Ruggero Orlando mi corresse, ma quando si fa una telecronaca bisogna giocare d’anticipo”. Purgatori ascoltava in silenzio, forse nostalgico come tutti quelli della sua generazione di quell’insuperato imprinting. “Armstrong e Aldrin ci avevano portato in una sorta di aldilà che vedevamo con i nostri occhi”, scrisse Dino Buzzati. Di quella “scossa viscerale e struggente” con cui si conclusero gli anni 60 cosa resta oggi? Non la conquista di altri mondi. Ci basterebbe salvare il nostro.

Chi può querelare Renzi: breve elenco

Tremebondi, ci accingiamo a scrivere ancora del Dottor Matteo Renzi, ma solo perché lui torna da par suo a far parlare di sé. Implorando il Cielo di non essere nell’et cetera della lista dei querelati resa pubblica da lui ieri l’altro sui social, e pregando due volte al giorno, al mattino e alla sera, di non essere (stati) segnalati dalla sua polizia privata social alla casella mail che il senatore ha predisposto affinché anche l’ultimo troll di Twitter possa fare da delatore, offriamo qui uno stringato compendio di insolenze, insulti, sarcasmi e allusioni che negli anni Renzi ha rivolto a questo e quello. È stato calcolato che se tutti i bersagli dei suoi strali lo querelassero, i tribunali sarebbero ingolfati di cause da e contro Renzi per circa 130 anni.

Sia chiaro che non parteggiamo a prescindere per i suoi avversari; desideriamo solo avanzare il dubbio filosofico che dell’avvelenamento della dialettica politica Renzi possa non essere propriamente una vittima ma un acceleratore.

Essi sono legione: Ignazio Marino: “Al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo”. Salvini: “Sciacallo”, “Dice che chi lancia uova è un CRETINO… Sapete per cosa è stato condannato nel 1999 Matteo Salvini? Lancio di uova”. Pierluigi Bersani: “Esperto di birra”, “La classe dirigente che ha già fallito”, “Quelli del 25%”. Gentiloni: “Non è l’algida sobrietà che fa sognare un popolo”. Ex sodali (Gentiloni e Delrio?): “Da chi ha avuto tutto, pugnalata alle spalle”. La Ditta: “Hanno paura di finire ai giardinetti” (2016), “L’usato sicuro, se vinciamo noi vanno tutti a casa” (primarie 2012, ndr). Di Maio: “Un uomo ridicolo”, “Principe degli impresentabili, “C’è dentro fino al collo nella vicenda del padre”, “Il problema di Di Maio non sono le manine, ma la sua assenza di cervello”. Brunetta: “Dice che parlo del nulla: no, non stavo parlando di lei, Brunetta”. Laura Castelli: “Studi cialtrona, studi cialtrona, studi cialtrona”.

Il Fatto: “Il Falso quotidiano”. Le redazioni di DiMartedì e Ballarò: “Fanno meno della 107esima replica di Rambo”. Travaglio: “Leone da tastiera, quando lo incontri in tv non riesce nemmeno a guardarti negli occhi”. Rosy Bindi: “L’antimafia non può essere usata in modo strumentale, per regolare conti interni al Pd”. Virginia Raggi: “Faccia il sindaco, se le riesce”, “Ha affidato i rifiuti a quelli di Mafia Capitale”. Marcello Foa: “Il presidente della Rai è una fake news che cammina”.

Beppe Grillo: “Beppe Grillo, fai schifo”, “Evasore”. Danilo Toninelli: “Un bugiardo coi riccioli”. Giuseppe Conte: “Un premier del G7 che tenta un concorso pubblico e poi rinuncia quando viene scoperto”. Enrico Letta: “Fare la parte della vittima funziona sempre. Ci sono intere carriere che vengono costruite sul vittimismo anziché sui risultati”. Fassina: “Fassina chi?”. I sostenitori del No: “Accozzaglia”, “L’Italia del piagnisteo”. I costituzionalisti: “Professoroni o presunti tali”, “Professionisti dell’appello”, “Archeologi travestiti da costituzionalisti”, “Ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà e Zagrebelsky”, “Non è che una cosa è sbagliata se non la dice Rodotà”.

Pietro Grasso: “Interviene su un dibattito con una sorta di avvertimento”. I sindacati: “Il vento è cambiato. E la pacchia è finita!”, “Io mi occupo non di far scioperare gli italiani ma di farli lavorare”, “Salvini e Camusso sono facce della stessa medaglia”. Lega-5Stelle: “Avete mentito e truffato gli italiani”, “Incompetenti”, “Cialtroni”. I magistrati: “Da circa un’ora mio padre e mia madre sono ai domiciliari… provvedimento assurdo e sproporzionato… oggi, casualmente proprio oggi”. I non renziani tutti: “Gufi”, “Rosiconi”, “Rancorosi”, “Sabotatori”, “Frenatori”.

Non se ne abbia a male, ma la frase con cui l’autore chiude l’annuncio fa venire i brividi: “Ovviamente è solo l’inizio: qualsiasi vostra ulteriore segnalazione (segue mail, ndr) sarà passata agli avvocati per l’apertura di cause di risarcimento civile. Vi terrò informati sul quantum e sulla destinazione dei risarcimenti”.

Rinfranca però l’epigrafe a corredo della querelona: “La stagione degli insulti e delle falsità è finita per sempre”. Che abbia deciso di ritirarsi?

Ambiente, oramai non si dà retta neanche al Papa

Quattro anni fa, a pochi mesi di distanza l’un l’altro, da giugno a dicembre del 2015, apparsero: l’enciclica Laudato sì’, l’Agenda Onu 2030, l’Accordo di Parigi sul clima. Le più accreditate autorità morali, politiche e scientifiche del pianeta affermarono l’insostenibilità ambientale e l’inaccettabilità sociale dell’attuale modello di sviluppo. Da allora è cresciuta la consapevolezza della gravità della situazione in larghe fasce delle popolazioni, specie tra le giovani generazioni e tra gli abitanti delle zone del pianeta più colpite dal “caos climatico”, dagli inquinamenti, dall’impoverimento. Ma nulla è sostanzialmente cambiato nelle politiche concrete governative. Peggio, stiamo tornando indietro ed è necessario chiedersi il perché. È noto che l’avvento delle destre neonazionaliste e suprematiste, a partire dagli Stati Uniti, ha rilanciato gli “spiriti animali” della competizione economica sregolata. Anche in Italia le cose non vanno nel verso desiderato. L’Asvis, l’associazione diretta da Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat e ministro alle Politiche sociali con Letta, monitora l’attuazione degli Obiettivi dello Sviluppo sostenibile in Italia e negli ultimi rapporti molti indicatori arretrano, tra i quali: energia pulita, consumo di suolo e biodiversità, buona alimentazione, erogazione dell’acqua. Nemmeno il messaggio di Bergoglio – “Questa economia uccide” – sembra riuscire a farsi sentire. Nemmeno nella sua chiesa. L’ultimo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede torna a parlare in latino di Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e assolve mercati, denaro, credito, finanza e persino la Borsa in quanto “mezzi a disposizione della sua [dell’uomo] libertà”. Vale la pena riportare un intero passo, perché ci aiuta a capire le ragioni profonde e generali del fallimento delle teorie e delle politiche mainstream sulla sostenibilità. “Il mercato – afferma la Congregazione –, grazie ai progressi della globalizzazione e della digitalizzazione, può essere paragonato a un grande organismo, nelle cui vene scorrono, come linfa vitale, ingentissime quantità di capitali. Prendendo a prestito quest’analogia possiamo dunque parlare anche di una ‘sanità’ di tale organismo, quando i suoi mezzi e apparati realizzano una buona funzionalità del sistema, in cui crescita e diffusione della ricchezza vanno di pari passo. Una sanità del sistema che dipende dalla sanità delle singole azioni che vi vengono attuate. In presenza di una simile sanità del sistema-mercato è più facile che siano rispettati e promossi anche la dignità degli uomini e il bene comune”. Da cui si deduce che i problemi che riscontriamo quotidianamente in campo ambientale e sociale non si risolverebbero “aggredendo le cause strutturali dell’iniquità” – come esortava il Papa –, ma eliminando le distorsioni dovute all’avidità di alcuni agenti economici e alle condotte immorali di alcuni regolatori pubblici. Riportati nel gregge gli imprenditori e i politici smarritisi, la “linfa vitale” tornerebbe a irrorare ogni atomo umano e scopriremmo di chi è la “mano invisibile” che regola il mercato: quella di dio!

Penso che sia la naturalizzazione e la sacralizzazione dell’economia capitalista di mercato (There Is Not Alternative, dicevano la signora Thatcher e la Goldman Sachs) la ragione per cui gli obiettivi della sostenibilità ambientale e dell’inclusione sociale non riescano ad affermarsi. Ha scritto Fabrizio Barca, anche lui ex ministro alla Coesione territoriale con Monti: “Il pensiero keynesiano ha mostrato i suoi limiti, si deve ricominciare a incidere sui meccanismi di formazione della ricchezza” (MicoMega online, 4.4.2019). Per invertire la deriva che ci sta conducendo all’ecocidio, servono nuove teorie economiche, nuovi indicatori del benessere e nuove pratiche sociali trasformative.

“Sblocca Cantieri”, una follia giuridica

Circola il testo del decreto Sblocca Cantieri, da poco approvato ma non ancora in vigore, e le reazioni e i commenti si sprecano: si tratta dell’ennesimo intervento sul cosiddetto Codice dei contratti pubblici, modificato l’ultima volta con un Decreto legislativo – Decreto legge 50 del 2016 – che ce ne consegna l’ultima versione, ora composto di 220 articoli, 1354 commi, 732 lettere, 32 sottopunti per un totale di 130.000 parole più 25 allegati. Ha di molto allungato i tempi necessari alla P.A. per passare dall’idea di progetto alla conclusione dei lavori e lo steso vale per le forniture. Mancano ancora alcuni decreti di applicazione. Una follia giuridica, il male assoluto.

Parlare di Sblocca Cantieri non ha senso se non si parla contemporaneamente di Sblocca Codice o ancor meglio di riscrittura ab ovo delle stesso: lo dico forte dell’esperienza passata da costruttore, anche di importanti opere pubbliche lunga cinquant’anni, e da otto anni di attività, occupandomi del problema “Codice” come membro della Commissione antimafia del Comune di Milano. Codice = corruzione e dunque mafia.

Gli obiettivi di un Codice dei contratti dovrebbero essere essenzialmente questi: indicare le procedure che tutti gli enti pubblici debbano seguire per la scelta del contraente; ottenere che la P.A. acquisti beni e servizi col miglior rapporto costo/qualità; ottenere che gli enti sviluppino un bagaglio di competenze tecniche e scientifiche che non possiedano; ottenere che queste procedure garantiscano la libera concorrenza; ottenere che vi sia un forte stimolo al progresso tecnologico; ottenere che le procedure siano tali da evitare “manipolazioni” ossia inquinate da fenomeni di corruzione e oggi anche da infiltrazioni della malavita organizzata.

Di questi obiettivi, per altro all’origine della legge Merloni del 1996, non uno è stato raggiunto: la pubblica amministrazione e la sua burocrazia si perdono nei meandri di regolamenti contraddittori e del tutto inutili; la qualità degli acquisti (edifici, strade, infrastrutture) è oggetto di cronache giudiziarie quotidiane; la concorrenza è vanificata dalla corruzione; le “manipolazioni” sono anch’esse terreno inesauribile dell’attività dei magistrati. L’Europa ci ha messo anche del suo.

Siamo arrivati all’assurdo di aver dovuto istituire l’Anac, l’agenzia nazionale anticorruzione guidata da Cantone, un’agenzia per difendere il Codice da se stesso.

Dico, certo di non sbagliare, che si deve ricominciare da zero perché si sa che le continue correzioni peggiorano i testi e li rendono indecifrabili, pascolo quindi prediletto per avvocati amministrativisti. Troppi.

Due considerazioni esemplari: si è fatta la scelta di privilegiare gli appalti assegnati con il sistema del- l’offerta economicamente più vantaggiosa, procedimento lungo e con l’intervento di commissioni giudicatrici e parametri di valutazione: l’obiettivo era quello di scongiurare i ribassi d’asta folli accusati di essere all’origine di ogni male come lo sfruttamento della mano d’opera o la corruzione. Con l’amato sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa l’Impresa Mantovani con lo sconto del 41,8% si è aggiudicata i lavori di Expo 2015. Lo stesso che se fosse stato applicato il banale odiato “massimo ribasso”. Che dire?

Su di una ventina di appalti che ho potuto esaminare gli sconti più o meno folli le imprese se li sono rimangiati tra varianti, nuovi prezzi e trucchi vari. Lo sanno tutti che va così, ma nessuno si muove e non voglio parlare della buffonata sulle norme del “subappalto” e dei cosiddetti progetti esecutivi che tutto sono fuorché esecutivi: la principale causa del male.

Il nuovo legislatore dovrebbe avere l’umiltà di passare qualche mese negli uffici di un’impresa di costruzione, in quelli di una grande amministrazione comunale, in quelli di una società di engineering e in un cantiere, in compagnia di qualche Solone degli uffici legislativi del Ministero delle infrastrutture. Poi ne parliamo. Lavorare sul campo e nel campo.

A Milano nella Commissione antimafia del sindaco, insieme a tre molto esperti e disponibili dirigenti comunali, stiamo lavorando per tappare le smagliature più vistose del Codice, sperando che qualcuno ci ascolti: un manipolo di volonterosi che aspettano con ansia il “Nuovo codice dei contratti” per uscire dal purgatorio mentre la classe politica lastricherà la strada per l’inferno con le buone consuete intenzioni. Per sempre così?

Sblocca Cantieri, ieri approvato (di nuovo) in Cdm

Il Consiglio dei Ministri ieri ha approvato in seconda deliberazione il decreto Sblocca Cantieri, tornato in consiglio dopo i molteplici interventi sul testo di queste ultime settimane. Il testo, si legge nella nota di Palazzo Chigi, semplifica le procedure di gara e di aggiudicazione degli appalti. Tra le principali novità ci sono l’istituzione di un regolamento unico all’interno del quale verranno riuniti una serie di provvedimenti attuativi del Codice dei contratti; la riduzione degli oneri informativi a carico delle amministrazioni; la possibilità di affidare gli interventi di manutenzione sulla base del progetto definitivo; la semplificazione e la velocizzazione delle procedure di aggiudicazione per appalti di importo inferiore alle soglie previste a livello comunitario, con la reintroduzione della preferenza del criterio del minor prezzo e l’eliminazione dell’obbligo di indicare la terna dei subappaltatori; la possibilità, per le stazioni appaltanti, in caso di indisponibilità di esperti iscritti nell’albo dell’Anac, di nominare la commissione di gara anche solo parzialmente; lo sblocco della realizzazione di opere strategiche. Previsti poi indennizzi per chi sta subendo disagi per la ricostruzione del ponte di Genova.

Reddito, caos sulle cifre tra bonus e detrazioni

Lo show dell’ormai celeberrimo social media manager dell’Inps è terminato. Il presidente Pasquale Tridico si è scusato pubblicamente con tutte le persone che mercoledì, dopo aver lasciato commenti di protesta, hanno subito attacchi con toni poco istituzionali da parte dell’account ufficiale dell’istituto di previdenza.

Nota di colore a parte, resta un aspetto da chiarire: il bonus bebè sta comportando una riduzione del reddito di cittadinanza? Stando alla legge votata dal Parlamento, non dovrebbe essere così. Chi ne ha diritto dovrebbe poter percepire entrambi i sussidi senza che uno provochi la decurtazione dell’altro. Tuttavia, in più di una risposta il profilo social “Inps per la famiglia” ha affermato il contrario, cioè che chi prende il bonus neonati dovrebbe vedersi scalato tale importo dalla carta acquisti del reddito di cittadinanza. Ma andiamo con ordine.

Martedì mattina sono partiti i primi sms che comunicavano gli esiti delle domande del nuovo strumento contro la povertà. Dal giorno dopo, ai beneficiari provvisti di un codice pin per i servizi online dell’Inps, o di un’identità digitale, è stato permesso di visionare l’ammontare dell’assegno mensile riconosciuto. Tanti sono rimasti delusi dalla cifra, considerata troppo bassa, e si sono riversati sulla pagina “Inps per la famiglia” per contestare i calcoli. L’impressione è che abbiano sottovalutato un passaggio della legge: quello che prevede il conteggio nel reddito di tutte le prestazioni assistenziali delle quali il percettore già gode. Per esempio il sussidio di disoccupazione o l’assegno per le famiglie numerose. Chi li prende dovrebbe vedersi sottrarre tali somme dal reddito di cittadinanza. E da un paio di risposte su Facebook da parte dell’Inps, sembrerebbe essere stato incluso il bonus bebè, il sostegno riconosciuto dal 2015 ai nuclei che hanno un bambino o lo adottano. “Buongiorno – ha scritto l’utente A.P. – chi ha fatto la domanda per reddito di cittadinanza non prende più bonus bebè?”. Risposta da parte dell’account dell’istituto: “No ma viene scalato dal reddito”. Anche a I.T. I conti non tornano: “Mi esce 619 euro anziché 700”. Il profilo Inps è intervenuto dicendo che “probabilmente ha qualche bonus bebè o altri”, ribadendo in altri passaggi che l’istituto si sta limitando a rispettare la normativa.

Il decretone convertito in legge, però, esclude esplicitamente il bonus bebè tra quelli che causano il taglio del reddito di cittadinanza: “Ai fini del presente decreto – si legge all’articolo 2 – non si include tra i trattamenti assistenziali l’assegno di cui all’articolo 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190”. Le possibilità sono due: o il famoso social media manager ha scritto una cosa sbagliata, o l’Inps sta indebitamente riducendo gli importi del reddito di cittadinanza. “La nostra interpretazione della norma – spiega Simone Zucca dei Caf Acli – è che i bonus non concessi in base all’Isee non andavano conteggiati. Il problema è che l’Inps non ha pubblicato circolari o domande e risposte per chiarire questi aspetti”. Interpellato dal Fatto, l’istituto di previdenza non ha fornito spiegazioni.

Dati Inps sul lavoro: più contratti stabili a gennaio e febbraio

I dati ufficiali dell’Inps danno ragione al decreto Dignità. Nel primo bimestre del 2019, infatti, secondo le analisi dell’Osservatorio sul precariato, le assunzioni sono state 1.063.620, in lieve diminuzione rispetto al 2018 in cui erano state 1.219.743. Quel che risulta in netta crescita, però, sono i contratti a tempo indeterminato, i contratti di apprendistato e i contratti di lavoro intermittente; in diminuzione invece i contratti di somministrazione, i contratti a tempo determinato e i contratti di lavoro stagionale.

Nei primi due mesi del 2019, quindi, si registra, rispetto allo stesso periodo del 2018, “un notevole incremento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato che passano da 90.000 a 164.000 unità (+82,2%)”. Il 2019 è il primo anno in cui gli effetti del decreto Dignità, che aveva introdotto il tetto dei 24 mesi, invece dei 36, e ridotto il numero dei rinnovi possibili in questo arco di tempo da cinque a quattro, alla reiterazione di contratti a termine, si sono dispiegati pienamente. La flessione delle assunzioni complessive è figlia del rallentamento economico, come dimostrano i dati di rettifica delle tendenze di crescita del Prodotto interno lordo, ma nonostante la stagnazione i contratti a termine sono stati trasformati in contratti stabili in misura maggiore rispetto all’anno precedente.

A crescere sono anche i rapporti di lavoro incentivati dall’esonero dei contributi, per giovani sotto i 35 anni, sia nel caso di assunzione che in quello di trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato: in totale sono 23.105 i contratti in più di cui “11.382 riferiti ad assunzioni e 11.723 relativi a trasformazioni a tempo indeterminato” e rispetto allo stesso periodo del 2018 si registra una crescita del 12,7%.

“La differenza tra assunzioni e cessazioni negli ultimi 12 mesi” scrive ancora l’Inps, risulta positivo e pari a +372.000 unità, inferiore a quello del corrispondente mese 2018 (+560.000) e sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente.

Logica la soddisfazione del Movimento 5 Stelle: “Continuano a essere assolutamente positivi i numeri sui contratti di lavoro a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto Dignità”, scrivono in una nota i senatori pentastellati in Commissione Lavoro.

Il dato smentisce due luoghi comuni allo stesso tempo, uno recente e un altro più consolidato nel tempo. Il primo, frutto dello scontro politico, proviene dalla Relazione tecnica che era stata allegata al decreto, al tempo del suo varo, e in cui, sembra a insaputa del ministro, si introduceva una stima relativa alla perdita di almeno 8 mila posti di lavoro a seguito della mancata trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. A farsi interprete di quella stima era l’Inps diretta dall’economista Tito Boeri, che in un’audizione alla Camera spiegava che la riduzione forzosa a 24 mesi dei contratti a termine avrebbe comportato una riduzione dei contratti in essere con “flussi di lavoratori verso la disoccupazione, per scadenza del contratto”.

Le considerazioni di Boeri, ben argomentate, ma forse non del tutto avveratesi, furono rilanciate come la prova che una nuova regolamentazione del mercato del lavoro avrebbe prodotto disastri. E qui veniamo al secondo luogo comune, cardine del neoliberismo e delle politiche del lavoro degli ultimi trent’anni. L’idea che ha animato, infatti, le scelte compiute dal “pacchetto Treu” del 1997, passando per la “legge Biagi” del governo Berlusconi, la Fornero del 2012 e infine il Jobs Act del 2015, è sempre stata basata sul convincimento che il problema del mercato del lavoro fosse la rigidità. Troppe regole, troppi diritti, comprimevano la possibilità di trovare lavoro. E allora si è avviata una politica di flessibilizzazione, di riduzione dei diritti, di limitazione delle prerogative contrattuali e sindacali.

Il risultato è stato quello che vediamo: la disoccupazione in Italia (dati Istat) è passata dall’8% del 2004, l’anno successivo al varo della legge Biagi, all’11,7% del 2016 con punte del 12 e 13% tra il 2013 e il 2015. Un fallimento. I dati di ieri non bastano a dimostrare un’inversione di tendenza, né il pallido decreto Dignità di Di Maio rappresenta una smentita di quelle leggi che nel loro impianto di fondo restano ancora intatte. Ma almeno la discussione può essere fatta su un diverso piano.

Truffati delle banche, oggi a Palazzo Chigi le due sigle “ribelli”

Il governo punta a chiudere la partita dei rimborsi ai cosiddetti “truffati” delle banche. Oggi a Palazzo Chigi sono state convocate le due associazioni – “Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza” di Luigi Ugone e “Coordinamento Don Torta” di Andrea Arman – che non hanno votato a favore della proposta studiata dal ministero dell’Economia. Due settimane fa la partita dei ristori ai 300 mila azionisti e piccoli obbligazionisti di Etruria & C. e delle popolari venete sembrava chiusa. Per evitare lo stop dell’Ue, il Tesoro ha studiato un doppio binario modificando la norma che in manovra ha stanziato 1,5 miliardi nel triennio (ma si punta a spenderne molti meno): rimborsi diretti ai meno abbienti (sotto i 35mila euro di reddito o patrimonio mobiliare di 100 mila euro) e arbitrato semplificato per gli altri. Nell’incontro con il premier Giuseppe Conte del 9 aprile, 17 associazioni su 19 avevano detto sì, ma Di Maio e Salvini hanno imposto che senza l’unanimità non si può partire. Per questo ieri da Palazzo Chigi è partita una nuova convocazione per oggi alle due sigle “ribelli”. In caso di via libera, le modifiche finiranno nel dl Crescita.