Forza Simo (Pillon), il Profeta Salvatore che incita se stesso

Con quelle sue idee sbarazzine e libertine, il sempre garrulo Simone Pillon avrebbe fatto sembrare Torquemada un Rocco Siffredi ante litteram. Il disegno di legge numero 735 porta ormai il suo nome. Intende introdurre una serie di modifiche in materia di diritto di famiglia, separazione e affido condiviso dei/delle minori. Il “contratto di governo” prevede chiaramente l’equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e i tempi paritari, il mantenimento in forma diretta senza automatismi e il contrasto della cosiddetta “alienazione genitoriale”. Pillon e Lega sono però andati molto oltre. Di Maio ha detto che così com’è il “ddl Pillon” va completamente riscritto, perché tratta i bambini come pacchi postali. Allo stato attuale il disegno di legge ristagna in commissione Giustizia e così dovrebbe accadere almeno fino a dopo l’estate. Le polemiche divampano da mesi: se i 5Stelle contribuiranno a questo scempio, potranno amenamente sputarsi in faccia da soli nei secoli. Come tutti i Profeti, Pillon va dritto per la sua strada: egli è infatti il Salvatore. Su Twitter si definisce così: “Marito, padre di 3, catechista, avvocato, già Presidente Forum Famiglie Umbria e membro fondatore del Comitato Family Day. Senatore della #Lega”. Nasce a Brescia nel 1971, vive a Corciano (Perugia). Ginnasio, Laurea in Giurisprudenza. Militare negli Alpini. Avvocato cassazionista. Membro del Cammino neocatecumenale, parola di cui conoscono il significato in tre ma che fa già paura così. Eletto senatore con la Lega nel 2018. Sogna un mondo con aborti zero e una legge 194 drasticamente reimpostata sul modello argentino (aborti solo in casi di pericolo di vita per la madre o dopo violenza sessuale). Crede nella teoria del complotto sull’ideologia di genere e nella cospirazione delle lobby gay che tramano per sovvertire l’ordine mondiale (me cojoni).

Ha sostenuto – ed era serio – che nelle scuole di Brescia si insegna la stregoneria, riferendosi a un progetto in cui ai bambini si leggevano semplicemente delle fiabe (dove, come noto, per dare un po’ di brio alla trama a volte compaiono pure le streghe). Durante alcuni incontri, ha sostenuto con consueto fervore teoconservatore che i volantini informativi distribuiti in una scuola nel 2012 dall’associazione Omphalos – contro omofobia e bullismo – servissero a propagandare l’omosessualità e costituissero un invito ad avere rapporti tra persone dello stesso sesso. Di più: per Pillon, l’associazione sarebbe stata un “soggetto che distribuisce materiale pornografico”. Per tali “gravi insinuazioni”, il senatore è stato condannato in primo grado a pagare una multa di 1.500 euro e a risarcire con 30 mila euro l’Arcigay (a cui Omphalos è affiliata). Pillon l’ha presa bene: “È proprio vero che certe condanne sono medaglie di guerra. Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario, diceva Orwell”. Pillon si è gasato (da solo) così tanto che, nei commenti sotto al post, si è incitato (da solo): “Forza Simo!”. Il commento è stato poi rimosso, ma ormai lo avevano già visto tutti. Per fortuna: Pillon che si dice bravo da solo è una cosa meravigliosa e ricorda quell’altra, la Madia, che fece lo stesso a febbraio. Tecnicamente tutto questo si chiama “dimenticarsi di sloggarsi”, ovvero non uscire dall’account ufficiale per usare poi uno dei tanti profili fake per dare al mondo (o a quei pochi che ti seguono) l’illusione che qualcuno la pensi come te. Concretamente tutto questo si chiama “Basaglia ci sopravvalutava e ha fallito”. Estinguiamoci tutti in serenità. Forza Simo!

Ue e migranti, fermiamo questi crimini

Il Tribunale Permanente dei Popoli, tribunale internazionale di opinione promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, ha presentato al Parlamento europeo le sentenze emesse sulla violazione dei diritti dei rifugiati e dei migranti. Nelle sue sentenze il Tpp non esprime posizioni partitiche o di schieramento pregiudiziale; né formula valutazioni su decisioni politiche legittimamente assunte da istituzioni rappresentative nazionali, sovranazionali e internazionali, se non quando esse pregiudicano diritti fondamentali. I giudici delle varie sessioni, svoltesi a Barcellona, Palermo, Parigi e Londra, hanno accertato che le politiche e le prassi adottate in materia di asilo e di immigrazione dall’Unione europea e dai suoi Stati membri, compresa l’Italia, nel loro insieme integrano dei crimini contro l’umanità.

Le sentenze del Tpp muovono da due considerazioni: a) la storia umana è sempre stata segnata dalle migrazioni, che in passato sono state occasioni e cause di guerre e di conflitti atroci; b) l’Unione europea è sorta per contrastare e superare le cause e i fattori delle tante guerre che hanno insanguinato il continente, per combattere nazionalismi e razzismi, per affermare il “mai più” a genocidi, campi di concentramento, oppressioni e discriminazioni razziali.

L’Europa delle Costituzioni e delle Carte dei diritti non può dunque chiudersi in una fortezza, alzando muri materiali o giuridici, senza tradire se stessa e perdere la sua identità. E invece adotta politiche di contrasto all’immigrazione così rigide da trasformare il mar Mediterraneo in un cimitero sommerso, in cui sono morte o scomparse oltre 30.000 persone. Quei morti sono la conseguenza delle politiche di “esternalizzazione” dei confini meridionali dell’Europa, realizzata con finanziamenti miliardari al regime turco di Erdogan per la chiusura della rotta balcanica e alle milizie libiche per il blocco dei migranti africani; chiusura e blocco effettuati con inaudite violenze, sottratti a ogni controllo come risulta dagli allarmi dell’Alto commissario dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

La chiusura di confini e dei porti e il rifiuto di soccorso e aiuto a chi ne ha bisogno costituiscono crimini internazionali, feroci ma anche inutili, giacché mai le migrazioni dei popoli sono state impedite da ostacoli materiali o giuridici.

Il Tpp ha inoltre censurato l’illegittimità delle prassi della stipula di accordi internazionali in forma semplificata, come quelli con la Turchia e con la Libia, che eludono la competenza dei Parlamenti e il controllo dei giudici nazionali e della stessa Corte di giustizia europea. Il Tribunale ha sollecitato l’Ue ad assumersi direttamente la responsabilità di cambiare le sue politiche economiche e la normativa in materia di asilo e di migrazione, giacché i Paesi membri tendono ad assecondare tendenze sovraniste e ad alimentare timori e umori indotti o aggravati dalla mancanza di efficaci politiche di accoglienza. Nel frattempo, è comunque urgente sospendere e ridiscutere gli accordi con Turchia e Libia, e dei finanziamenti miliardari ad Erdogan e alle milizie libiche e porre fine ad ogni ostilità verso le Ong che intervengono in soccorso dei naufraghi e dei migranti in difficoltà.

Infine, il Tribunale, a nome di tanti naufraghi scomparsi senza identità, si è fatto portavoce della richiesta di istituire un organismo, indipendente che si occupi della ricerca dei corpi della vittime e della ricostruzione dell’identità delle persone scomparse. Sarebbe una risposta minima al diritto alla memoria, alla verità e al lutto, componenti essenziali della civiltà umana.

 

Il lamento di Notre-Dame

Mentre scrivo non so ancora se Notre-Dame si sarà salvata. Le immagini della sua agonia rimarranno scolpite nella memoria collettiva mondiale, come quelle delle Torri Gemelle a New York diciotto anni fa.

Il danno è spaventoso, gravissimo, irreparabile: ma sotto i miei occhi lotta un corpo ancora vivo. Un corpo tutto importante: nelle parti medioevali e nelle tante ottocentesche, e in quelle che risalgono a ciascuno degli otto secoli in cui è cresciuto, tra mille peripezie, questo palinsesto prezioso. Tanto più prezioso perché opera collettiva di infinite generazioni.

L’evacuazione dei mille abitanti dell’isola della Cité è un terribile presagio, e il pensiero corre al peggio: se l’incendio della carpenteria in parte ancora medioevale (uno dei capolavori ingegneristici che nella chiesa rimontavano alle origini) farà cedere la volta, sarà l’apocalisse. Verrà giù tutto: metallo fuso, fuoco e fiamme sui monumenti, sugli altari, sulle tombe medioevali e barocche. Sui quadri, alcuni meravigliosi e importantissimi (ricordo un Guido Reni, tra mille cose): che non so se si potranno evacuare in tempo. Se succederà, sarà la fine: come se ci fosse stato un bombardamento aereo.

Ed è proprio per evitare il peggio che non si può usare un canadair, con le sue pesantissime bombe d’acqua, come invece ha invocato su Twitter un Trump che al solito non sapeva cosa stesse dicendo. Salgono alla mente le immagini di un altro incendio atroce in un altro aprile: quello del 1997, quando perdemmo Cappella della Sindone di Guarino Guarini, nel duomo di Torino, vertice visionario del Barocco, stella di marmo nera. Anche in quel caso c’era un cantiere di restauro: e saranno le prossime ore a dirci se oggi la scintilla è partita dall’impalcatura esterna.

In ogni caso, già infuriano sui giornali francesi le polemiche: sacrosante. I politici che oggi si precipitano a Notre-Dame, Macron in testa, e si mimetizzano nella folla attonita, sono gli stessi che da anni negano i circa 150 milioni di euro di cui la cattedrale (che è dello Stato) aveva bisogno come il pane per essere messa in sicurezza. Non è questo il momento delle polemiche, è ancora tutto da capire: ma non c’è alcun dubbio che il gran corpo della cattedrale era ferito, debilitato, insicuro. E che decine di denunce e gridi di allarme anche recentissimi sono stati vani e inascoltati.

“Si sarà salvata? Io non lo so ancora”. Sono, queste ultime, parole di Piero Calamandrei, del 1944: parole che mi martellano l’anima da quando ho acceso il mio computer, su un maledetto treno la cui connessione va e viene. Quelle parole furono pronunciate nel 1944: “Abbiamo sentito che questi paesi sono carne della nostra carne, e che per la sorte di un quadro o di una statua o di una cupola si può stare in pena come per la sorte del congiunto o dell’amico più caro. … Non è passato giorno che io non abbia pensato, come pensavo ai miei parenti e ai miei amici in pericolo, a quel quadro [di Piero della Francesca] abbandonato ai tedeschi. Che ne è successo? Si sarà salvato? Io non lo so ancora”.

Sono parole che sembrano dette oggi, sono gli stessi identici sentimenti.

E lo sgomento di noi tutti è una risposta terribile a una domanda che ci facciamo ogni giorno: crediamo ancora all’Europa, ha un senso l’Europa, ci sentiamo europei?

La risposta urla da quelle fiamme. Non brucia la Francia, brucia la nostra coscienza europea. Non brucia solo la cattedrale di Parigi, brucia un pezzo della nostra storia e del nostro futuro possibile. Non brucia solo un luogo sacro dei cattolici: brucia il nostro spirito fatto pietra e fatto arte. Brucia una delle cose grandi fatte dall’uomo su questa terra. Bruciamo noi. È un terribile paradosso. Si fa così tanta fatica a spiegare perché queste ‘cose’ sono così importanti per tutti noi. Perché il patrimonio culturale non è una questione economica (a Notre-Dame non avevano mai voluto mettere il biglietto “per non snaturare quel luogo”!). Perché salvando i monumenti non salviamo pietre e calce, tele e colori, marmi e bronzi, ma salviamo la nostra umanità, la nostra dignità di persone, il nostro futuro.

Ecco, ora la capiamo benissimo tutti: muti e in lacrime di fronte agli schermi che trasmettono le immagini di questa interminabile agonia. E da domani, ripiombati nell’anestesia della vita quotidiana, saremo ancora capaci di ricordarci la sofferenza personale, profonda, individuale di queste ore? “Il passato è come una divinità. che quando è presente tra gli uomini salva tutto ciò che esiste”: così ha scritto Platone, nelle Leggi. Ma se il passato muore, cosa ci salverà?

Mail box

 

Legge di Stabilità, i cittadini aspettano misure concrete

Cosa accade nel Palazzo in questi giorni? Questa è una delle domande più comuni su cui il popolo italiano si interroga, ogni giorno ma soprattutto in questo particolare momento della vita sociale del Paese. Purtroppo, si è in uno di quei periodi storici in cui l’intera comunità aspetta con ansia le decisioni che il governo dovrà prendere in merito alla legge di Stabilità finanziaria per sanare il debito pubblico e rimanere in Europa. Cari amici politici sia di maggioranza che di opposizione pensate a fare gli interessi comuni di chi a fine mese non arriva con lo stipendio e non sa come deve affrontare la vita, ci vuole un segnale forte da parte vostra, promulgando gli interessi del ceto medio e soprattutto della povera gente che si sta incrementando. L’attività politica deve essere considerata una missione e non un posto di lavoro ben retribuito. Cari amici, il popolo non ce la fa più, sarebbe ora che pensaste un po’ ai problemi della gente comune.

Antonio Guarnieri

 

Papa Francesco ha fatto solo un ammirevole gesto di pace

Papa Francesco che bacia i piedi ai leader politici del Sud Sudan, Paese si religione quasi interamente musulmana, è un fatto che ha destato scalpore. Le critiche sono state molte per questo gesto di apparente sottomissione ma mi pare che Francesco abbia mostrato grande maturità cristiana. Per la quale conta solo la pace e non le fazioni politiche o religiose.

Cristian Carbognani

 

Salvini adesso può smentire chi lo accusa

Proprio ora, con questa guerra in Libia, della quale anche noi europei siamo responsabili, in cui decine di migliaia di cittadini libici rischiano la vita, e vorrebbero fuggire dalla loro terra, gli italiani dovrebbero dimostrare di che pasta è fatta un italiano. E proprio il ministro Salvini, a dimostrazione di quanto affermava, che i porti italiani erano chiusi per disincentivare gli scafisti nel commercio di esseri umani, per smentire tutti coloro che gli davano del razzista e inumano, dovrebbe farsi promotore per aprire un canale umanitario fra Libia e Italia, composto da navi italiane, per trasportare dalla Libia in Italia tutta la popolazione civile libica che intende fuggire dalla guerra.

Una mossa politica che lo trasformerebbe in un grande statista mondiale.

Paolo Randi

 

DIRITTO DI REPLICA

In merito all’articolo “Il sindaco propone a Sgarbi di dirigere il nuovo Auditorium” uscito sul Fatto il 7 aprile, desidero precisare che le associazioni del territorio e le scuole devono collaborare alle iniziative dell’Auditorium ‘Va Pensiero’. Non è affatto vero che, come qualcuno sostiene, le associazioni e le scuole del territorio sono state defraudate dalla presenza di Sgarbi e che non possano partecipare, in quanto escluse, alla vita dell’Auditorium. Nient’affatto, anzi la presenza di Sgarbi, il quale potrà dare vita a importanti eventi di carattere culturale, offrirà la possibilità alle associazioni, alle scuole e ai cittadini di Assago di partecipare in modo maggiormente attivo, in quanto sarà necessario anche il loro importante contributo. Sgarbi è conosciuto da tutti e credo che, grazie alle sue capacità, tutti noi trarremo beneficio dalla sua direzione artistica dell’Auditorium. Bisogna anche riconoscere la necessità di uscire da una dimensione locale per entrare in una dimensione di carattere universale, perché la cultura non è ‘recintabile’. Le nostre associazioni non saranno private del proprio ruolo, anzi avranno più spazi partecipativi e, pertanto, potranno esprimersi maggiormente.

Lara Carano, presidente del Consiglio comunale di Assago

 

In riferimento all’articolo “Aree protette non protette: rischio ennesima multa Ue”, l’assessorato regionale all’Ambiente precisa che sui 463 siti di interesse comunitario, oggetto di lettera di messa in mora da parte dell’Ue, solo 11 riguardano la Regione Calabria. Ma in realtà anche su questi 11 siti i dati non sono aggiornati. La Regione Calabria infatti già 18 mesi fa, con delibera di Giunta n. 537 del 15 novembre 2017, ha definito questi siti come Zona speciale di conservazione (Zsc) i quali, con decreto del ministero dell’Ambiente del 10 aprile 2018, atto finale del procedimento di designazione, sono stati definitivamente recepiti e designati. Anche il sito Valle del fiume Lao, richiamato nell’articolo, rientra in nelle 11 Zsc. Si precisa inoltre che il progetto dell’aviosuperficie di Scalea, proposto nel 1999, è stato autorizzato con Ddg n. 117 del 27 marzo 2000 con il quale è stato rilasciato il provvedimento di compatibilità ambientale. Di fatto perciò il progetto nasce anni prima della definizione della Zona speciale di conservazione Valle Lao.

Ufficio stampa giunta regionale

 

Prendiamo atto della precisazione, ma la lettera di messa in mora Ue riguarda 1) la mancata designazione entro il tempo massimo stabilito; 2) la mancata indicazione di misure di conservazione “chiare”, “specifiche”, “quantificate” e “misurabili”. L’unica iniziativa, poco chiara (indaga la magistratura), ma specifica, quantificata, e misurabile in termini di soldi buttati, per il sito della Valle del fiume Lao è stata per ora quella dell’aeroporto.

M. Mar.

Voto europeo. Civati: “Qui c’è aria pulita”. Padellaro: “Vorrei qualcuno da stimare”

Gentile Antonio Padellaro, Lei fa dell’ironia e fa bene. È sempre il tono giusto per svelare le questioni più serie. E la questione che lei evoca è in effetti grave e serissima. In Italia si cambia legge elettorale a ogni legislatura per permettere al governo in carica di restare dov’è e poi quel governo sistematicamente viene trombato. Questo, nella sua tragicità, è effettivamente comico. Infatti, ridendo della politica e dei suoi inganni, le persone non votano più. Le mie posizioni sulle recenti riforme elettorali sono note e non la annoio ricordandogliele. È importante invece ricordare che la legge elettorale per le elezioni europee è sempre la stessa dal 1979. È la più vecchia vigente in Italia. Probabilmente perché non l’abbiamo fatta noi da soli. Abbiamo introdotto nel 2009 la soglia di sbarramento al 4%. E infatti da noi si parla soltanto di quella. Il sistema è semplice, si sceglie la famiglia europea di appartenenza, ci si candida e se si viene preferiti da un numero di persone sufficienti si viene eletti. I candidati si candidano, insomma. Mi rendo conto che il candore di questa posizione possa suscitare l’ironia di chi è costretto quotidianamente a scrivere di sotterfugi, manovre oscure, secondi fini e assenza di principi. Mi permetto di darle un consiglio, le elezioni europee sono una buona opportunità per disintossicarsi per un mesetto dai miasmi inquinati e inquinanti della cronaca politica italiana. Io ne ho approfittato candidandomi, ne approfitti anche lei. Abbiamo tutti bisogno di un po’ di aria pulita. Per questo, mi farebbe piacere invitarla mercoledì 17 a Roma, alla libreria Feltrinelli in Largo di Torre Argentina. Presento un libro su Greta Thunberg. Ci sono dentro parole nuove che fanno bene. Buona campagna elettorale. Cordialmente.
Giuseppe Civati (Candidato nelle liste di Europa Verde nel Nord Est e Centro Italia)

 

D’accordo su tutto. Soprattutto sull’aria pulita. E sul consiglio garbato che contraccambio. Salvare il mondo con i ragazzi è uno splendido programma. Tuttavia (proprio perché non ho più l’età) mi accontenterei di votare un candidato che stimo (lei lo è) anche se si facesse interprete di un programma meno vasto. Mi basterebbero due o tre piccole riforme da condividere. Ma anche una soltanto. Per esempio: se tutti ogni mattina spazzassero il marciapiede davanti alla propria abitazione non pensa che il mondo sarebbe più pulito? Non c’è ironia, mi creda, anche perché ho copiato un antico proverbio orientale. Forse ai ragazzi dovremmo dire la verità: questo possiamo farlo, questo no. Ecco, mi piacerebbe una politica che salvasse il mondo rendendo se stessa più sincera. Grazie dell’invito.

Antonio Padellaro

Morte Desirée, sono tre gli indagati per omicidio

Torna l’accusa di omicidio per Alinno Chima, in carcere con altri tre uomini per la morte di Desirée Mariottini, la 16enne di Cisterna di Latina trovata senza vita la notte tra il 18 e il 19 ottobre in uno stabile abbandonato nel quartiere San Lorenzo a Roma. La nuova misura cautelare arriva dopo i risultati del test del Dna effettuato sul corpo della vittima e su una serie di reperti. Il Dna di Alinno è stato trovato su un flacone di metadone e su una cannuccia utilizzata anche da Desirée per fumare crack. Per il nigeriano di 47 anni, lo scorso 13 novembre il Riesame aveva fatto cadere l’accusa di omicidio, ora però a incastrarlo ci sono, oltre a diverse dichiarazioni di più persone, anche le tracce del suo Dna. Diventano dunque tre le persone in carcere con l’accusa di omicidio: gli altri sono il 27enne Mamadou Gara, detto Paco (il cui Dna è stato trovato sul corpo, sotto le unghie e sui vestiti della ragazza) e il ghanese Yusef Salia, detenuto a Foggia. Secondo gli inquirenti, avrebbero dato vari tipi di droghe alla 16enne per stordirla e poterne abusare sessualmente. Per il 47enne nigeriano, così come per Gara, Salia e il 43enne senegalese Brian Minthe, resta l’accusa di violenza sessuale.

Un’enorme “ragnatela d’acciaio” nel cuore del Parco della Murgia: associazioni contro l’opera d’arte

Un’installazione artistica è finita al centro delle polemiche a Matera. La capitale della cultura dovrebbe ospitare, a settembre per tre mesi, una ragnatela d’acciaio realizzata dall’artista argentino Tomàs Saraceno, dove si arrampicheranno dei performer professionisti. Il progetto “Airport City Tuning Gravity’s Strings”, voluto dalla Fondazione Matera Basilicata 2019, non è ancora definitivo. Ma le associazioni ambientaliste locali sono insorte. Legambiente avverte: “Da anni denunciamo i problemi del parco, dall’incremento dei flussi incontrollati alle speculazioni edilizie, dalle discariche ai set cinematografici”. L’opera, infatti, sarà realizzata proprio in una zona speciale di conservazione all’interno del Parco della Murgia materana, che fa parte della Rete Natura 2000, e collegherà i due versanti della Gravina, dove scorre il torrente Jesce. “Ci sono rapaci diurni e notturni e rare specie botaniche, tra cui l’orchidea di Matera”, fa sapere Pio Acito, presidente del Gruppo volontari per l’ambiente di Matera. A destare preoccupazione è l’incremento del flusso di visitatori. La decisione spetta alla Regione e all’ente parco, diretto da Michele Lamacchia. “Non c’è nessuna polemica – dice – ma non è possibile perchè si tratta di una riserva naturale a totale tutela ambientale”. “A febbraio abbiamo chiamato la forestale perché sono andati a fare un sopralluogo in modo del tutto abusivo”, denuncia Pio Abiusi dell’associazione Ambiente e Legalità. Anche il Wwf ha espresso parere negativo. Tuttavia Paolo Verri, direttore della Fondazione Matera 2019, rassicura: “L’opera non avrà nessun impatto, anzi vuole indurre a una riflessione sulla natura. Sarà poetica e leggera”. A sua difesa ricorda pure che “l’artista argentino è un esperto ambientalista e che verranno rispettate tutte le normative”. In attesa della conferenza dei servizi preferirebbe un momento di condivisione con le parti coinvolte, ma le associazioni ribadiscono: “Non c’è nulla da discutere, si tratta di normative europee da rispettare”.

Rigopiano, la funzionaria che non ha creduto all’Sos rischia il processo: depistaggio

Chiusa l’inchiesta bis della Procura di Pescara, per depistaggio e frode processuale, sul disastro dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), che il 18 gennaio del 2017 costò la vita a 29 persone. Tra i sette indagati, che ora rischiano il rinvio a giudizio, figurano l’ex prefetto Francesco Provolo e i due viceprefetti distaccati, Salvatore Angieri e Sergio Mazzia, oltre ai dirigenti Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo, Daniela Acquaviva e Ida De Cesaris. A carico di quest’ultima, nell’avviso di conclusione delle indagini a firma del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia, compare l’ulteriore accusa di falso ideologico in atto pubblico. Questo secondo fronte delle indagini, sviluppatosi in parallelo rispetto all’inchiesta-madre, affonda le radici nelle giornate immediatamente successive al disastro, quando la squadra mobile di Pescara si presentò in Prefettura per acquisire tutta la documentazione relativa alla gestione dell’emergenza. Soltanto diversi mesi dopo si scoprirà che da tale documentazione mancavano i brogliacci riguardanti le segnalazioni giunte in Prefettura il 18 gennaio 2017, giorno della tragedia.

L’ipotesi della Procura è che gli indagati abbiano occultato la telefonata effettuata dal resort, il 18 gennaio alle 11.38, dal cameriere Gabriele D’Angelo, poi morto sotto le macerie, che chiamò il Centro coordinamento soccorsi per chiedere aiuto. Gli indagati avrebbero omesso, “in particolare nella giornata del 18 gennaio 2017 – si legge nell’avviso di conclusione delle indagini – di riportare nelle relazioni di servizio redatte tra il 27 e il 31 gennaio 2017” le segnalazioni di soccorso “pervenute in quella giornata da persone presenti nell’Hotel Rigopiano”. Avrebbero anzi “strappato” il foglio nella parte riportante gli estremi della chiamata” mutando “artificiosamente la documentazione costituente corpo del reato”. Daniela Acquaviva è la funzionaria che non credette alle prime richieste di soccorso e che a un carabiniere riferì: “La mamma degli imbecilli è sempre incinta”.

La banda degli “spaccaossa”: mattoni e tubi di ghisa per truffare le assicurazioni

La stanza degli orrori era in un piccolo appartamento di via Imera, a pochi passi dal Palazzo di giustizia. Qui venivano spaccate le ossa delle braccia e delle gambe di uomini e donne che, in cambio di soldi, si facevano spappolare gli arti. Un giro d’affari che sfiorava quasi i due milioni di euro, quello scoperto dalla Procura di Palermo che ha emesso un provvedimento di fermo per 42 persone. Sono oltre 250 gli indagati.

Erano tre i capi delle due organizzazioni “spaccaossa” che mettevano in scena falsi incidenti stradali con finti testimoni e complici, tra medici, avvocati e periti assicurativi. Le vittime che hanno deciso di raccontare quanto accadeva nella stanza degli orrori sono una cinquantina. I loro racconti sono raccapriccianti. Le vittime reclutate venivano messe su un tavolo e immobilizzate con mattoni e poi colpite con dischi di ghisa o borse piene di mattoni in modo da fratturargli gli arti. Gli inquirenti hanno ricostruito 76 episodi ma i casi potrebbero essere molti di più. Le vittime hanno raccontato che in alcuni casi gli “spaccaossa” fratturavano gli arti anche a sette persone a sera. I racconti delle vittime sono tutti uguali. Dolore, sangue, ossa fratturate. In una intercettazione si sentono due della banda che parlano di una vittima a cui era stata fratturata una gamba e che gridava per il dolore: “Sembrava una gallina… lo sai, quando gli stirano il collo?”.

“Solo qualche giorno fa abbiamo evitato che a un ragazzino di 16 anni gli venissero fratturate le ossa – spiega il capo della Squadra Mobile di Palermo Rodelfo Ruperti – La bravura dei nostri operatori che hanno percepito le intenzioni di due dei fermati oggi, ci ha permesso di evitare un’altra vittima”. Le vittime venivano reclutate soprattutto fra le persone in difficoltà, era questo il criterio principale. “Molti sono stati reclutati alla stazione centrale di Palermo – aggiunge Ruperti – dove c’erano proprio dei reclutatori che li avvicinavano raccontandogli di conoscere delle persone, gli spaccaossa, che potevano aiutarli e che sarebbero stati in grado di farli svoltare nella loro vita”.

“Impossibile uscire vivi dai Casamonica”. Nuovo blitz contro l’“anti-Stato” romano

“Questo non è un gioco. È pura verità. I Casamonica oggi non fanno più usura con le minacce… Faccio il commerciante da una vita e di furbetti ne ho trattati tanti ma vi ripeto loro sono degli abili soggiogatori… non è possibile uscirne vivi”, le parole del titolare di un noto mobilificio romano, contenute nell’ordinanza con cui ieri la Procura di Roma ha chiesto e ottenuto l’arresto nei confronti di 23 esponenti della famiglia Casamonica, confermano la forza criminale del clan di origine Sinti.

“Fanno bene i giornali a definirlo un clan”, racconta la vittima. I Casamonica riescono ad avere “rapporti anche con importanti famiglie di ‘ndrangheta tra cui i Piromalli di Gioia Tauro – rivela invece un collaboratore – Io ho sempre frequentato ambienti di ‘ndrangheta e fin da piccolo, quando ero in Calabria, ho sentito dire (…) che a Roma erano temuti e rispettati”. I reati contestati ieri spaziano dall’estorsione fino allo spaccio di stupefacenti, l’usura, le minacce, l’intestazione fittizia di beni e il possesso d’armi. Il tutto aggravato dal metodo mafioso.

L’operazione Gramigna bis, seguito dell’indagine che la scorsa estate aveva portato i carabinieri del Comando Provinciale di Roma ad arrestare 37 persone, colpisce i Casamonica su quel territorio che pretendono controllare: la zona di Porta Furba. “Sono tanti e organizzati”, ripetono le vittime. La forza dei numeri consente al clan dai 1.000 affiliati di “sfidare lo Stato”: Asia Sara Casamonica nell’ottobre scorso aveva rioccupato la “casa simbolo”, quella appartenuta al boss Giuseppe Casamonica, già confiscata nel 2014 e sgomberata durante la precedente operazione. Voleva mandare un “messaggio allo Stato e ai cittadini romani – si legge negli atti – circa la volontà della struttura criminale di continuare ad aggredire le garanzie dello Stato di diritto e imporre, sebbene ferita, la propria prepotenza mafiosa”.

Come la “Gramigna” il clan ricresce prepotentemente. Dopo gli arresti organizza viaggi per importare con un aereo 7.000 chili di cocaina dal Sud America, intimidisce chi potrebbe denunciarli fin dentro il tribunale di piazzale Clodio o in carcere, e utilizza diverse tattiche per realizzare estorsioni ed usura: L’acconto per un finanziamento nell’acquisto di mobili si trasforma in un prestito che deve essere ripagato con interessi. “Vi dico anche cosa fanno per farti avere timore: ti fanno assistere a delle scene di scazzottate tra loro, anche con l’uso di armi, per farti capire che possono essere anche violenti”, spiega il commerciante divenuto vittima del clan. È la stessa persona che parla di Luciano Casamonica: “È stato in una cena politica ospite di Alemanno perché ha fatto da tramite in un campo rom di Castel Romano mettendo d’accordo più occupanti provenienti da diverse etnie. Per questa opera di mediazione so che Luciano prese 30 mila euro in contanti, che ho visto con i miei occhi, e 3 mila Euro al mese”. “Non eravamo certo io o il Comune di Roma a pagare Casamonica, quei soldi glieli dava Buzzi”, ha replicato l’ex sindaco della Capitale a ilfattoquotidiano.it