2006, 1 gennaio. L’anno si apre, a tre mesi dalle elezioni, con lo scoop del Giornale, che a San Silvestro ha pubblicato una telefonata segretata e non depositata dai pm di Milano agli atti dell’inchiesta sulle scalate bancarie perché penalmente irrilevante. È quella della primavera del 2005 fra il patron di Unipol Giovanni Consorte e il leader Ds Piero Fassino, che gli domanda a proposito di Bnl: “E allora siamo padroni di una banca?”. Il contraccolpo politico-mediatico contribuirà a ridurre il vantaggio del centrosinistra sul centrodestra, insieme a quello per lo scandalo dei buchi e dei derivati di un’altra banca vicina ai Ds: il Monte dei Paschi di Siena e alle calunnie lanciate a Romano Prodi (su fantomatici rapporti con il Kgb) dal “supertestimone” farlocco Mario Scaramella nella commissione Mitrokhin presieduta dal forzista Paolo Guzzanti. Si scoprirà poi che l’intercettazione Fassino-Consorte è stata trafugata da un dirigente della società privata che l’ha captata per conto della Procura, il quale l’ha portata in dono prima a Paolo Berlusconi e poi a Silvio, e di lì è finita sul Giornale di famiglia. I due fratelli Berlusconi verranno condannati in primo grado per violazione del segreto e poi salvati in appello dalla prescrizione.
11 gennaio. Berlusconi e i suoi approfittano degli ultimi giorni di legislatura per sistemare gli ultimi impicci del premier, prima dello scioglimento delle Camere fissato il 29 gennaio. FI blocca un ddl di An, appoggiato da tutti gli altri partiti di maggioranza e opposizione, per la vendita collettiva dei diritti televisivi delle partite di calcio: così il grosso della torta seguiteranno ad accaparrarselo i soliti big (Juventus, Milan e Inter) a scapito di tutti gli altri.
12 gennaio. Il Parlamento approva definitivamente, a tempo di record, la legge Pecorella che vieta al pm e alle parti civili di appellare le assoluzioni e i proscioglimenti di primo grado; per le condanne, invece, l’imputato potrà seguitare a ricorrere in appello. Il tutto in barba alla parità fra accusa e difesa sancita dalla Costituzione. Guardacaso Berlusconi è in attesa del verdetto d’appello del processo Sme-Ariosto, in cui il pm di Milano ha impugnato la sua assoluzione e la sua prescrizione di primo grado. Processo che ora viene abolito da una legge imposta dall’imputato e firmata dal suo avvocato.
20 gennaio. Ciampi boccia la legge Pecorella perché “palesemente incostituzionale”. E in nove giorni non si fa più in tempo a modificarla e riapprovarla. Berlusconi sfida il Quirinale: la ripresenta pressoché identica e minaccia di spostare le elezioni a maggio-giugno. Il capo dello Stato si piega al ricatto: rinvia lo scioglimento delle Camere di due settimane e firma la Pecorella-2, addirittura peggiore della prima versione (un emendamento dell’Udc l’ha estesa ai processi d’appello che tornano indietro dalla Cassazione dopo l’annullamento con rinvio: è il caso del processo a Mannino, parlamentare dell’Udc). Nel gennaio 2007 la Corte costituzionale cancellerà la Pecorella: tutti i processi d’appello da essa aboliti riprenderanno vita. Compreso quello al Cavaliere per l’affare Sme-Ariosto.
10 aprile. Dopo una notte di drammatica incertezza, l’Unione di centrosinistra guidata da Prodi vince per un soffio le elezioni politiche. Berlusconi grida ai “brogli”, si proclama il vero vincitore e invoca il ricalcolo delle schede (che gli darà torto), rifiutando per un mese di lasciare Palazzo Chigi e riconoscere la sconfitta. La beffa peggiore, per lui, è la scoperta che col vecchio Mattarellum avrebbe rivinto il centrodestra: è stato il suo Porcellum, grazie al voto degli italiani all’estero, a propiziare la vittoria dell’Unione per sole 25mila schede. Il governo Prodi-2 si regge al Senato su una maggioranza di appena 3 seggi. E presto si ritroverà contro anche il neopresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, grande fan delle larghe intese. Berlusconi inizia una forsennata campagna acquisti fra i senatori del centrosinistra per ribaltare le elezioni e rovesciare l’esecutivo.
11 aprile. All’indomani del voto, in una masseria presso Corleone, la Polizia arresta Bernardo Provenzano.
4 maggio. La Cassazione conferma la condanna del neo-rieletto deputato Cesare Previti a 6 anni per la corruzione giudiziaria Imi-Sir.
5 maggio. Previti si consegna al carcere di Rebibbia, per evitare che i carabinieri lo portino a San Vittore sotto il controllo dei giudici di Milano.
10 maggio. Dopo soli quattro giorni e mezzo di detenzione, Previti ottiene dal rapidissimo Tribunale di sorveglianza di Roma gli arresti domiciliari, previsti dall’apposita ex Cirielli per gli ultrasettantenni come lui. Però dovrà lasciare il Parlamento, essendo stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, e restare chiuso per sei anni nella sua casa di piazza Farnese, a meno che il Parlamento non vari un provvedimento di clemenza. Da quel giorno, nell’agenda sovraffollata di inizio legislatura, irrompe da destra, dal centro e da sinistra una irrefrenabile priorità che nessuno aveva annunciato in campagna elettorale: l’indulto.
15 maggio. Giorgio Napolitano viene eletto presidente della Repubblica al posto di Carlo Azeglio Ciampi.
25-26 giugno. Il centrodestra perde rovinosamente il referendum costituzionale sulla controriforma della “devolution”: 61,3% di No e 38,7 di Sì.
27-29 luglio. Mentre Berlusconi fa shopping nelle sue file, l’Unione regala a lui, a Previti e agli altri coimputati un indulto extralarge di tre anni firmato dal nuovo ministro della Giustizia Clemente Mastella e votato da tutti i partiti tranne Idv, Pdci e Lega, a tappe forzate. La Camera lo approva il 27 e il Senato il 29. La scusa è la solita: il sovraffollamento delle carceri. Ma il “liberi tutti” – che in pochi mesi farà uscire 30mila criminali e non ne farà più entrare almeno il doppio – è esteso ai reati finanziari e fiscali, alla concussione e alla corruzione, che sulla popolazione detenuta incidono zero. E persino a delitti di mafia come estorsione e voto di scambio. Così i 6 anni che deve scontare Previti in carcere (cui presto si aggiungeranno 18 mesi per la Mondadori) diventano una burletta: in cella ha trascorso solo cinque giorni, grazie all’ex Cirielli; ma dovrebbe almeno restare ai domiciliari per 3 anni prima di ottenere l’affidamento ai servizi sociali. Invece quei 3 anni gli vengono abbuonati dall’indulto e così nel febbraio 2007 verrà affidato a una comunità antidroga per qualche visita, tornando di fatto completamente libero, appena 8 mesi dopo l’arresto. Berlusconi invece intasca un bonus di impunità triennale da spendere alla prima condanna definitiva. Già che c’è, in piena sindrome di Stoccolma, l’Unione lo salva anche dall’ineleggibilità, calpestando per la seconda volta (come già nel 1996) la legge 361/ 1957 sui concessionari pubblici, col solito trucco di dichiarare ineleggibile Confalonieri al posto suo.
(17 -Continua)