“Consulenza finta”. A San Marino indagano su Gozi

La notizia arriva a turbare il già disastrato clima della piccola Repubblica del Titano, incancrenita da una guerra fra bande al confronto della quale l’Italia sembra un Paese civile. Sandro Gozi, già parlamentare prodiano, poi renzianissimo ex sottosegretario agli Affari europei nei governi Renzi e Gentiloni, è indagato dalla magistratura di San Marino.

Candidato alle Europee con En Marche! di Emmanuel Macron, Gozi è stato iscritto nel registro degli indagati con Catia Tomasetti, da maggio scorso presidente della Banca centrale sammarinese (Bcsm), per una presunta consulenza “fantasma” da 220 mila euro. Secondo il commissario della legge (il giudice istruttore nell’ordinamento sanmarinese) Alberto Buriani, avrebbero spinto il Consiglio direttivo dell’istituto a stipulare “una consulenza rivelatasi poi fittizia”. L’ipotesi di reato è amministrazione infedele. L’indagine è partita da un esposto depositato a dicembre. L’incarico ha come oggetto “l’adeguamento normativo sammarinese per armonizzare i rapporti con l’Ue”, con cui si cerca di chiudere un’nitesa. Costo: 120 mila euro, con tranche da 10 mila mensili, più una “success fee” da 100 mila euro, che, secondo Buriani, Gozi avrebbe incassato a prescindere dal suo contributo all’accordo.

Sia Gozi che Tomasetti sono considerati vicini a Renzi. Lui di Sogliano, lei di Rimini, il loro rapporto viene da lontano. Tomasetti, già avvocato dello studio Bonelli Erede Pappalardo, uno dei più importanti d’Italia, è stata ai vertici di Acea ed è la moglie di Cristiano Cannarsa, manager renziano di Sogei, poi nominato da Gentiloni in Consip. Secondo gli inquirenti è stato Gozi, nel 2016, a sponsorizzare la sua candidatura all’allora ministro delle Finanze di San Marino, Simone Celli. Nomina poi decisa dal Parlamento il 9 maggio 2018. Un mese dopo, Tomasetti avrebbe fatto nominare consulente il suo presunto sponsor. Secondo le analisi giudiziarie – riportate dall’Ansa – Gozi l’aveva già sponsorizzata a febbraio 2016 alla presidenza della Cassa di risparmio di Cesena, poi salvata dal Fondo interbancario e venduta a Crédit Agricole. Tomasetti avrebbe taciuto al Consiglio questi rapporti pregressi, e sarebbe anche indagata per divulgazione di segreto d’ufficio, per avere indotto i funzionari di Bcsm a trasmettere a una società di consulenza inglese “informazioni riservate” dell’autorità di vigilanza.

Gozi a San Marino è di casa da sempre. Nel 2007 finì indagato nell’inchiesta Why not del pm Luigi De Magistris, con l’accusa di essere il tramite con Romano Prodi del faccendiere Antonio Saladino, nella presunta “loggia massonica di San Marino”. Finirono tutti archiviati. “Non devo incarichi a nessuno – ha spiegato Tomasetti –. La consulenza è pubblica ed è stata decisa dal Consiglio per legittimare il qualificato contributo di Gozi al negoziato con l’Ue”. L’ex sottosegretario ha bollato la notizia come “informazioni fatte circolare per screditarmi”.

La decisione di affidare una consulenza a Gozi superiore allo stipendio annuale di Tomasetti (100 mila euro) aveva già fatto discutere, ma l’indagine non sembra estranea alla guerra di potere che scuote da anni il Paese, gravato da una crisi finanziaria per l’esplosione dei crediti deteriorati delle sue banche (valgono il 40% del Pil). A ottobre scorso un’indagine ha portato alle dimissioni dei vertici della vigilanza bancaria. Un mese prima era stato licenziato il direttore generale Roberto Moretti. Al suo posto il Consiglio ha nominato Giuseppe Ucci, proveniente proprio dalla Carisp di Cesena, al quale era stata affidata una consulenza legale da 16 mila euro nello stesso giorno dell’incarico a Gozi. Tomasetti è arrivata dopo le dimissioni del presidente Wafik Graus a settembre 2017. A febbraio 2018 è finito indagato l’ex dg Lorenzo Savorelli per aver investito i soldi del fondo statale di previdenza nella disastrata Banca sanmarinese Cis. Anche il sistema giudiziario è a soqquadro. Il giudice istruttore Buriani, per dire, è stato denunciato dal capo dei magistrati dirigenti, Valeria Pierfelici, a sua volta silurata dal Csm del Titano. È ritenuto vicino all’ex ad di banca Cis, commissariata tre mesi fa dalla Banca centrale guidata da Tomasetti.

Segnalazioni: dopo i dem, anche la Cgil nell’indagine

Non sarebbero rimasti immuni neanche i sindacati allo scandalo delle raccomandazioni che ha travolto l’azienda ospedaliera di Perugia. Nella richiesta di misura cautelare del pubblico ministero, viene citato anche il segretario generale della Cgil di Perugia Angelo Scatena. Non indagato, secondo i pm, avrebbe anche lui fatto alcune segnalazioni a Emilio Duca, il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera ora finito ai domiciliari. Scrivono i pm: “Scatena (…) dopo aver segnalato una persona che avrebbe già superato una prova concorsuale ‘da sola’ (…), consegna a Duca tre bigliettini con l’indicazione di alcune persone che parteciperanno al concorso per disabili. Duca risponde ‘di avere un kg’ di nomi per le categorie protette, non sa come gestirli e scherzando dice che bisogna fare una verifica per vedere come hanno votato’, garantendo comunque a Scatena che avrebbe fatto tutto il possibile”. Anche questo episodio (non contestato) si colloca all’interno di un quadro più grande: secondo le accuse otto concorsi sarebbero stati truccati da figure di spicco della politica e della sanità umbre.

Nardi, il luminare sgradito ai massoni

L’ulteriore indizio che a sedersi al tavolo della grande abbuffata delle nomine della sanità umbra, insieme alla politica, c’era anche la massoneria, come anticipato da Il Fatto Quotidiano, è in un’intercettazione video del 26 marzo 2018. Si vede Emilio Duca, direttore dell’azienda ospedaliera di Perugia, che confida alla segretaria il venticello che soffia nell’ambiente: il concorso per primario di anestesia e rianimazione lo deve vincere il medico “sponsorizzato sia dall’assessorato che dalle logge”.

Il dottore gradito a politici e massoni si chiama Fabio Gori, deve vincere e vincerà. Anche se il rivale è Giuseppe Nardi e ha un curriculum “straripante”, come ammette uno dei membri della commissione, Diamante Pacchiarini, in un’altra intercettazione con Duca del 20 marzo. Poco male: prima gli si abbasserà di un punto l’analisi del curriculum, che scenderà da 40 a 39/45 senza motivo preciso, “per avvicinarlo – dice Duca – a quell’altri tre nostri”, il cui miglior punteggio, di Gori, si ferma a 34,90. Poi si incroceranno le dita sperando che Nardi non si palesi alla prova orale. “Se non se presenta non ci mette in imbarazzo…” dice Duca in un’altra conversazione. E così andrà, anche perché Nardi agli inquirenti, oltre a confermare di aver appreso anche lui quel venticello (“mi dissero che esisteva un candidato molto forte”), rivela di non avere mai ricevuto la convocazione: forse, ipotizza, l’avranno spedita a un vecchio indirizzo di Roma.

I tre “nostri” a cui fa riferimento Duca sono i candidati locali. Quelli umbri. Mentre Nardi è un estraneo al sistema. L’intercettazione di Duca e Pacchiarini che ragionano di come affossare Nardi “è senza dubbio grave”, afferma il pm nella richiesta d’arresto, prima di snocciolare gli enormi meriti professionali del medico da boicottare. “Il dottor Giuseppe Nardi – si legge – ha un curriculum impressionante. È stato direttore dell’unità operativa di anestesia e rianimazione” dell’ospedale “Infermi” di Rimini dall’anno 2016 ed è noto nel mondo sanitario per essere stato fondatore del centro Shock e Trauma” dell’ospedale San Camillo di Roma. È stato definito dalla stampa come uno dei rianimatori italiani più noti in Europa ed è balzato agli onori delle cronache anche come ‘il precario più illustre d’Italia’”. E precario doveva rimanere, nelle intenzioni della lobby umbra.

Duca si prodiga per accontentare tutti, ma sembra stanco delle pressioni che sta subendo. Lo prova un’intercettazione del 21 marzo 2018 con l’indagato Antonio Tamagnini, coordinatore amministrativo dell’ospedale. Il riferimento è sempre al concorso di primario di Anestesia. “No – si sfoga Duca – ormai io non so più contenermi, non sopporto più questo stato di cose. Ma questi ma perché non si levano dai coglioni e non si sciacquano tutti dai coglioni, hanno rubato a mani basse (…) per 30 anni. Il popolo gli sta sputando addosso, perché non si levano dai coglioni e non si mettono a lavorare seriamente…”. Il discorso poi cade sul concorso. Duca, riassume il pm, “evidenzia che l’assessore alla Salute Luca Barberini parteggia per Gori e che gli aspiranti primari sono tutti piuttosto anziani”.

“Io disabile escluso per colpa della Marini: ora si dimetta”

“Dimettersi. Sì, credo dovrebbe farlo”. Sono tanti in queste ore a chiedere un passo indietro alla presidente della Regione Catiuscia Marini, indagata per i concorsi pilotati all’ospedale di Perugia. Il più titolato è forse Roberto B., un ragazzo di Corciano bocciato alla selezione riservata alle categorie protette perché sprovvisto di un santo in paradiso o nel Pd, che poi fa lo stesso. Il primo degli esclusi. È forse la pagina più vergognosa dell’indagine che ha travolto i vertici sanitari e politici umbri, che vede persino la presidente Marini raccomandare una persona a lei vicina per imporla su altri candidati con disabilità permanenti che per legge hanno diritto a una quota di assunzioni nelle amministrazioni pubbliche. I posti erano quattro a tempo indeterminato, si presentano in 129. A Perugia però la legge che conta è un’altra. “Proprio perché più ambito – annotano i pm – il concorso è oggetto di particolare interesse a livello politico, che ne condizionerà l’esito, al punto tale che tre dei quattro posti saranno appannaggio delle persone indicate dai referenti politici”. E sono l’assessore alla sanità Luca Barberini, il segretario dem Giampiero Bocci, la presidente Marini. “Tutta la procedura viene pilotata e presidiata da Duca (dg dell’azienda ospedaliera, ora ai domiciliari, ndr) in modo da garantire il risultato finale di far vincere e poi assumere personale voluto da loro”.

Insieme all’Italia intera, lo sta scoprendo anche Roberto B., 23 anni. “Un disabile vero, poverino. Che io lo guardavo mentre faceva il tema, c’aveva proprio la faccia da bambino”, dirà la presidente della commissione Rosa Maria Franconi, rifilandogli un 18 molto “politico”. La disabilità di Roberto è solo motoria ma la testa funziona eccome. Nel 2015 si è diplomato al Pascal di Madonna Alta, indirizzo amministrazione e marketing. “Sto facendo il tirocinio ad Assisi, sono 60 km al giorno. Un posto in Regione, a pochi minuti da casa, era una svolta”. In casa ci sono il padre pensionato e la madre operaia. Una famiglia comune, di sinistra. “Abbiamo saputo dai tg. Fa malissimo scoprire di essere stati esclusi per far posto ad altri, di più che la raccomandazione arrivava da qualcuno di sinistra, come noi”.

Il giudizio espresso dalla commissione sulla sua prova scritta è di 18/30, una sufficienza che vale l’idoneità e null’altro. Voto che, spiegano gli inquirenti, veniva dato a tutti non per premiare l’impegno ma “per evitare che venisse fatta istanza di accesso agli atti da parte di qualche candidato escluso”. Roberto resta di sasso. “Ma come, pensavo di essere andato discretamente”. L’arcano sta altrove. Gli altri candidati avevano avuto in anticipo le tracce dai direttori dell’ospedale, Duca e Maurizio Valorosi. A nulla vale il tentativo della presidente della commissione, Rosi Franconi, di salvare, almeno in parte, la coscienza.

“Desta inquietudine – scrivono i pm – che lo stesso giorno della prova, abbia sentito l’impellente necessità di recarsi dal direttore generale. La Franconi entra nell’ufficio di Duca e tira fuori la graduatoria. Dice che una candidata ha sbagliato la prova e che ‘forse andrebbe bocciata’”. I suoi intendimenti si scontrano però con “il rango della segnalazione che supporta la candidata”, in quanto “persona di Bocci e Barberini”. Duca sollecita la Franconi a non bocciarla, aggiunge che Valorosi si è speso molto per questo: è stato chiamato da Bocci perché il giorno prima della prova le desse una mano nella preparazione della prova scritta, giusto perché non lasciasse il foglio in bianco. Per quella orale, era sufficiente che i prescelti non facessero “scena muta”. A partire dalla candidata imposta dalla Marini che, per espressa indicazione del dg, insieme ad altri due, dovrà essere “tra i primi quattro della graduatoria”. Alla fine è stato raggiunto un prezioso equilibrio tra i vari soggetti segnalati, tanto che Duca può affermare di aver fatto un “bijoux”. Certo l’alterazione della procedura non è rimasta priva di conseguenze. “Una candidata, Saccia Cristina, ha fatto bene durante tutte le prove senza avere ricevuto il medesimo supporto. Per lei non c’era spazio. Così sono stati penalizzati altri disabili le cui capacità non sono state proprio considerate. I favoriti, infatti, conoscevano le prove in anticipo, gli altri partecipanti hanno dovuto far conto solo sulle proprie capacità”.

Uno squallore che non s’arresta neanche dinanzi a una scena disarmante: Saccia viene trovata in possesso di un foglietto e, per dimostrare che è in grado di far tutto da sola e bene, decide di spostarsi al primo banco. “Si è resa conto che noi l’avevamo sgamata, poveretta – dice Franconi – e ha chiesto: ‘Posso venire davanti al primo banco?’ Per fare vedere che stavolta lo faccio da sola e poveretta, m’ha fatto un’ottima prova. Ma io per tenere in ballo ’sta gente…”. Duca risolve il cruccio: la inserirà nella graduatoria dei contabili dove – riportano i pm – “non ha, allo stato, nessuna particolare raccomandazione”.

I testimoni poi dagli inquisiti per rivelare l’indagine

La procura di Perugia ieri ha sentito come persone informate sui fatti numerosi testimoni dei concorsi che, secondo l’accusa, venivano manipolati per compiacere i politici locali.

Interrogatori, però, ce n’erano stati anche nei mesi scorsi. E gli inquirenti hanno scoperto in diretta che gli indagati erano al corrente di tutto: “…la Bosco e la Riccardini – dice il direttore generale dell’azienda ospedaliera perugina Emilio Duca ora finito agli arresti domiciliari – le altre due concorrenti le hanno interrogate… e probabilmente avranno anche interrogato… sospettano, ma non ha detto niente… quell’altro… quel dipendente che lavora da un’altra parte che han fatto il bando e l’hanno escluso, capito? Eh, qui (…) è un troiaio della…”. “Le due candidate Donatella Bosco e Donatella Riccardini – scrivono i magistrati nella richiesta di misura cautelare – appena sentite dalla polizia giudiziaria, sono andate immediatamente a riferire il contenuto del verbale alla stessa Milena Tomassini (candidata risultata vincitrice anch’ella indagata per concorso in abuso d’ufficio, ndr) e a Duca.

Si è trattato di un episodio singolare e significativo. Due donne che – per quanto si è visto – erano state penalizzate nell’ambito di una procedura selettiva per un incarico di prestigio nell’amministrazione regionale, eppure hanno ritenuto opportuno comunicare di essere state sentite dalla polizia giudiziaria a coloro che di fatto avevano determinato l’esito negativo della prova concorsuale”.

Un episodio che descrive “un sistema torbido di relazioni e di interessi”: “La prova che due pubblici funzionari regionali, che pure dovrebbero aver fiducia nella giustizia, hanno temuto che le loro dichiarazioni fossero male accolte dal sistema di potere che gestisce il sistema sanitario regionale”.

Da oggi inizieranno gli interrogatori di garanzia. Dopo gli indagati interdetti, dal 18 aprile in poi saranno interrogati Duca, l’ex segretario regionale del Pd Gianpiero Bocci e l’ex assessore alla Sanità Luca Barberini, tutti agli arresti domiciliari.

Zingaretti tentenna e risparmia la Marini

Nicola Zingaretti assiste – più o meno impotente – al progredire delle indagini sulla sanità umbra. La linea al Nazareno è quella di aspettare che la giustizia faccia il suo corso. E dunque, nessun provvedimento verrà preso nei confronti di Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria, indagata per concorso in abuso d’ufficio, rivelazione di segreto e falso. D’altra parte, le inchieste sono le “conseguenze” del governare, ormai note pure a Lega e Cinque Stelle, si ragiona ai vertici del Pd.

E i sondaggi per ora non ne risentono. E allora, l’assunto è che la presidente è espressione dei cittadini, perché da loro è stata eletta e dunque il Pd non ha motivo di decidere su di lei. Mentre, invece, il segretario ha agito sul partito, inviando Walter Verini (deputato, pure lui umbro) come commissario al posto di Gianpiero Bocci, finito agli arresti domiciliari.

Insomma, Zingaretti non intende fare pressioni sulla Marini per convincerla a un passo indietro. E la scelta di Verini, oltre alle motivazioni ufficiali (è il presidente dell’assemblea regionale umbro, oltre a essere un deputato della Commissione Giustizia), va cercata proprio in questa doppia linea. Verini, infatti, è stato lo sfidante di Bocci, nelle primarie per segretario regionale. E le dinamiche del potere in Regione ce le ha ben chiare. Prima di tutto quelle che vedevano scontrarsi da una parte l’anima ex Ds (rappresentata dalla Marini, che era espressione dei Giovani Turchi di Matteo Orfini) con quella ex Margherita (rappresentata dallo stesso Bocci, in origine uomo di Dario Franceschini). “L’esigenza di uno scossone in un sistema come quello del Pd umbro si sentiva già da prima dell’inchiesta”, dice lo stesso Verini. Ma spiega: “Si tratta di un sistema che ha ancora elementi di vitalità, anche se arrancava già. Basta pensare che abbiamo perso Spoleto, Perugia, Todi, Terni, Amelia. E alle ultime Politiche, il Pd ha perso 5 collegi su 5”.

Gli “elementi di vitalità” sono evidentemente quelli che vanno preservati. “Non bisogna andare avanti a tutti i costi, ma non è che altri partiti stiano facendo meglio”, spiega Verini, riferendosi a Terni, dove governa la Lega.

Ecco: il Partito democratico non ha intenzione di consegnare l’Umbria al Carroccio. E allora, va anche bene sostenere che la Marini nega le accuse.

Gestire le conseguenze del potere, sapendo dove si va a mettere le mani: questo, di fatto, è il compito di Verini. Perché poi, in Umbria, le fazioni contrapposte del Pd hanno pure trovato forme di accordo. Come quello clamoroso tra la Marini e Bocci, dopo le dimissioni dell’ex segretario renziano, Giacomo Leonelli, nel quale ci fu lo zampino dello stesso Orfini, nato per contrastare Verini. Che pure era espressione della stessa tradizione diessina della Marini. Ad andare a scavare nelle pieghe del Pd in Regione, ci sono altri due nomi di spicco nel Pd zingarettiano. Anna Ascani, nominata vicepresidente in quota della minoranza renzianissima di Roberto Giachetti, è figlia di un ex vicesindaco democristiano di Città di Castello. E Marina Sereni, natali a Foligno, nominata dal segretario responsabile per le Amministrative, è vicina a Franceschini, ma per via Fassino (lei arriva dal Pci). Come dire, le relazioni sotterranee tra i big umbri del Pd sono complesse.

Con Verini, dunque, Zingaretti ha scelto il nemico numero uno di Bocci, ma, almeno tradizionalmente, non della Marini. Tanto è vero che il commissario traccia una strategia che vede l’invito a trovare regole più stringenti per concorsi e nomine fuori dalla politica e la ricerca di più candidati civici possibili per il futuro, come Giuliano Giubilei, volto noto di Rai3, che corre per Perugia.

Sulla Marini, anche lui ripete che deciderà la Giunta, invece. E lei proprio oggi deve affrontare tre mozioni di sfiducia.

L’ultimo atto di Catiuscia: la proroga dell’arrestato

Con il direttore generale Emilio Duca, preoccupata per le intercettazioni, la governatrice umbra Catiuscia Marini, smanettava sul telefono, per cancellare i messaggi. E sempre con Duca parlava per far assumere la sua raccomandata, Anna C., nelle conversazioni intercettate dalla procura di Perugia. Ed è proprio al manager sanitario che la governatrice ha dedicato l’ultimo atto politico che porta la sua firma. Mentre i pm chiedevano il suo arresto la Giunta ha nominato Duca commissario straordinario. Il 25 marzo la Regione gli ha affidato – con altri tre commissari – la gestione delle aziende sanitarie.

E così, alla luce dell’inchiesta, quella delibera – oggetto di una segnalazione al ministero della Salute dei consiglieri regionali M5S Andrea Liberati e Maria Grazia Carbonari – rappresenta oggi un ulteriore elemento che dovrebbe spingere Marini alle dimissioni. Se negli atti si legge che i direttori generali cercavano di ottenere “consenso presso i propri referenti politici”, per “assicurarsi il mantenimento dell’attuale posizione lavorativa nell’azienda ospedaliera”, possiamo dire che Duca, almeno fino al 31 giugno, ci era riuscito.

Ma è la stessa lettura delle intercettazioni che imporrebbe un passo indietro della governatrice. Secondo la procura Marini spingeva con Duca la sua candidata, Anna C., che per l’accusa figurerà “tra i vincitori della selezione pubblica per quattro posti di assistente amministrativo categoria C”. È il manager sanitario – si legge negli atti – che recupera le tracce per Anna C. e le porta alla Marini. E in un’intercettazione le evidenzia l’importanza della prima prova e la necessità di “attrezzarsi” per farla superare alla candidata. Il manager così va in Regione il 10 maggio 2018. “Ci sono 3 prove – dice Duca a Marini – la prima prova sarà più selettiva.. ci sono (inc.) intanto con lauree magistrali, giurisprudenza, economia, scienze politiche, quindi è naturale che, se non ci attrezziamo…”. Poi tra i bisbigli incomprensibili si sente la voce di Marini: “Ti mando la Marisa? …” Poi Marini chiama il suo braccio destro, Valentino Valentini: “Valentì! (…) La Marisa, quella della Coop… le devi portare sta cosa… la figlia di Fascini (…) mettetelo in una busta”. Il senso dell’operazione è chiaro quando Duca rivolge la parola a Valentini: “Hai sentito… che questa partecipa alla selezione … perché c’ha la prova mercoledì … la prova è scritta… me raccomando eh! Ha da piglià un appunto…”.

Alla fine Duca rassicura la governatrice: “sta tranquilla. C’ha 5 giorni di tempo, perlomeno, fa lo scritto”.

Sull’incontro tra Marini e Duca, i pm annotano: “Emerge con chiarezza che la Marini gli dice di aver ricevuto dalla ‘moglie di Fascini’, tramite la ‘Marisa’, i documenti di una ‘selezione’ che una candidata dovrà sostenere. Quindi la Marini chiede a Duca se ha tutte le domande”. “Ce l’hai tutte? Ha dà fa la selezione”, dice la governatrice e per i pm è una frase inequivocabile. Il giorno dell’incontro tra la Marini e Duca viene registrato anche altro: i consigli della governatrice sulla possibilità di cancellare messaggi dal cellulare. Scrivono i pm: il manager sanitario “si lamenta con la Presidente di non riuscire a cancellare dal proprio telefono un messaggio ricevuto, al che la Marini sembra preoccupata di sapere cosa c’è scritto e cerca di aiutarlo nella sua eliminazione. La Marini avverte Duca sulle modalità di intercettazione dei messaggi da remoto tramite ‘captatore’”. Dice la governatrice a Duca: “(…) A remoto leggono il whatsapp, leggono tutto dal remoto”.

Della segnalata dalla Marini, poi Duca parla anche in un’altra intercettazione con una persona: “Spero che possiamo infilarla su quell’altro casomai (…). Ho portato le domande t’a la Marini…(inc.) se è fatta male così s’è tonta perché gli ho dato cinque giorni di tempo (…) adesso vedemo com’è la situazione (…) su ‘ste cose è sempre un casino (…) a me m’ammazza, questo è il problema”. “A me m’ammazza”, per i pm è verosimilmente un “riferimento alla forte preoccupazione per le conseguenze della mancata assunzione delle persone indicate dai politici”. Oltre quello che interessa la Marini, sono otto i concorsi sui quali si indaga: “Nessun concorso finalizzato alla selezione del personale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia – scrivono i pm – è risultato regolare”. Intanto ieri la governatrice ha incontrato la ministra della Salute Giulia Grillo, che avrebbe sul proprio tavolo già i nomi dei futuri vertici della sanità umbra.

Si passavano le tracce dei concorsi truccati nella sezione del Pd

Se la governatrice per le raccomandazioni brigava negli uffici della Regione, il segretario regionale del suo partito, Gianpiero Bocci, lo faceva invece in via Pallotta: nella sede del Pd. Era lì – negli uffici dell’ex sottosegretario all’Interno con i governi Letta, Renzi e Gentiloni, e attuale segretario regionale dem, Gianpiero Bocci ora finito ai domiciliari – che venivano scambiate le tracce d’esame prima dei concorsi nelle aziende ospedaliere. Lo ricostruiscono i magistrati captando le celle telefoniche degli indagati. È il 6 maggio 2018 quando il direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera di Perugia, Maurizio Valorosi, viene localizzato in via della Pallotta. Quel giorno – ricostruiscono i pm – Valorosi “su richiesta di Bocci, ha preparato”, per una delle sue raccomandate, “le risposte da fornire alla prova pratica”. Lo dice anche il direttore generale Emilio Duca (ora ai domiciliari) intercettato: “È stato un’ora a descrivergli lui quello che doveva scrivere… (omissis) che era andato da Bocci per scrivergli un po’ d’appunti per ‘sta ragazza”. Il riferimento è a una donna segnalata sia dall’assessore alla salute Luca Barberini (anch’egli ai domiciliari) sia da Bocci: risulterà vincitrice nel concorso pubblico per la copertura a tempo indeterminato di quattro assistenti amministrativi. Posti che erano destinati alle “categorie protette”.

Il 6 maggio 2018, quindi, Valorosi va negli uffici del Pd. I pm scrivono: “Dal sopralluogo effettuato dalla polizia giudiziaria il 9 novembre 2018 presso tale numero civico, ha permesso di constatare la scritta ‘Partito democratico’ nella pulsantiera del citofono”. Nell’ufficio quel giorno si trova anche il padre della ragazza “segnalata”. “È evidente – si legge negli atti – che il giorno prima della prova pratica il padre della candidata si reca presso l’ufficio di Bocci, dove era presente anche Valorosi, per ricevere da quest’ultimo lo sviluppo delle tracce d’esame, consegnate un’ora prima circa da Moreno Conti (componente della direzione regionale del Pd, indagato per abuso d’ufficio, ndr) allo stesso Bocci presso il bar Etrusca”.

Bocci fa anche un’altra segnalazione: Elisabetta Ceccarelli (non indagata), attuale assessore alla Coesione sociale nella giunta di Corciano (paesino vicino Perugia) sempre in quota Pd, la quale secondo alcune notizie di stampa locali ieri si è dimessa, anche se non si specificano le ragioni. Allo scritto di un concorso sembra che la Ceccarelli abbia avuto un problema. Ne parlano durante un’intercettazione del 23 maggio 2018, Duca, Valorosi e Conti che “commentano l’episodio occorso alla Ceccarelli durante la prova pratica (…) tenutasi il 18 maggio 2018: nonostante la candidata avesse ricevuto in anticipo le tracce da Duca, in occasione della stampa del documento ha avuto dei problemi e non ha completato la prova”. A questo punto, ricostruiscono i pm, Duca e Valorosi sostengono che, trattandosi di una prova scritta, non c’è nulla da fare (“la carta documenta”, dice Duca), “mentre se si fosse trattato di una prova orale le cose potevano aggiustarsi”. Così riflettono sulla possibilità di assumerla tramite Umbria Salute, società consortile in house delle aziende sanitarie della Regione Umbria. “famo qualcosa con Umbria Salute”, dice Duca.

L’ex sottosegretario Bocci nell’inchiesta perugina è accusato di abuso d’ufficio, rivelazione di segreto ma anche di favoreggiamento per aver avvertito – secondo i pm – i manager sanitari delle intercettazioni all’interno della struttura ospedaliera, “comunicando che gli strumenti di captazione erano stati attivati in occasione dell’intervento dei vigili del fuoco” del 17 novembre 2018. Quel giorno, con la scusa della presenza dell’antrace, i vigili del fuoco entrano nell’azienda ospedaliera e fanno evacuare gli uffici per piazzare le cimici della Procura. Bocci lo sa e lo comunica ai vertici delle aziende ospedaliere. O almeno questo dice Valorosi a Duca mentre i due parlano della possibilità di essere intercettati. Ecco la conversazione. “Quelle ambientali mi sembra strano… cioè il telefono si…”, dice Duca. E Valorosi: “Ambientali (…) qui Bocci m’ha detto pure le ambientali… nella verità, lui m’ha detto che gli dissero… ti ricordi quando vennero i vigili a fare quella storia dell’antrace? Ha detto che sono stati lì, han fatto scappare… ‘fuori, fuori tutti, fuori tutti’… lui dice in quelle due ore, l’han messe qui dentro”.

Che ci faccio tra Sordi e la Loren?

La giornata inizia presto con un servizio fotografico per un settimanale da un milione di copie. Subito dopo una corsa in taxi per registrare un intervento in tv dove mi chiedono di cantare un refrain della mia partecipazione sanremese, poi già che ci sono passo all’altro studio, in diretta, a pubblicizzare il debutto della commedia teatrale che sto provando. Il tempo di una insalata e subito in sala prove fino alla sera. Nel frattempo dovrei imparare a memoria il copione e leggerne uno che mi hanno proposto per quest’estate. La vita si scioglie così, come mi sembra di averla sempre desiderata. Sembra che nel mondo dello spettacolo ci sia solo io, ma non sarà troppo? Ci deve essere qualcosa che non va. Non faccio neanche in tempo a percepire di essere felice che mi sveglio e purtroppo torno nel presente. No, era solo un sogno! La sera passo da mia madre per cena, lei mi apre la porta, sembra entusiasta e mi abbraccia fiera. Non capisco, poi indica il tavolo e lì in bella mostra c’è la Settimana Enigmistica, con il mio faccione in prima pagina. Che emozione, questo è un fatto per lei, ma anche per me! La Settimana Enigmistica c’è sempre stata a casa nostra, la comprava mia nonna e io facevo il gioco dei puntini con la figura da completare. A me sembra un traguardo, a lei, che è un’antica abbonata, un battesimo di successo. Nel portariviste ci sono altre settimane Enigmistiche, con la foto di Sophia Loren, Alberto Sordi, Jane Fonda. L’Enigma più grande, irrisolvibile è, ma io che ci faccio tra loro? Forse sto sognando ancora. Nome di soubrette televisiva, nove lettere, sette verticale. In questo momento una casalinga di Voghera, un bracciante Lucano e un pastore Abruzzese, si stanno sforzando di azzeccare il mio nome. Non sarà l’Oscar, ma so’ soddisfazioni!

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Tasse non pagate? Con Diocleziano saldavano i politici

Non c’è giorno che passa, o anno, o governo, in cui in Italia non si discuta di una nuova riforma del fisco e dei problemi connessi. Dall’eccessiva pressione della tassazione al fenomeno dell’evasione e dell’elusione fiscale dall’impressionante dimensione patologica, il dibattito politico non giunge mai a soluzioni o svolte soddisfacenti. Uno dei punti del “contratto” tra le due forze politiche dell’attuale governo è la cosiddetta “flat tax”, un tetto basso alla tassazione uguale per tutti, senza distinzione di reddito. Poiché non serve ripetere quanto sia illegittima una simile riforma, dimenticandosi come la nostra Costituzione imponga il carattere progressivo della tassazione (chi più ha proporzionalmente e progressivamente più dà), ricordiamo cosa accadeva nell’Impero romano. Tra III e IV secolo d.C., per contrastare una terribile recessione economica segnata da speculazione e inflazione, gli imperatori, a cominciare da Diocleziano autore di una serie di riforme economiche, fiscali e monetarie, riuscirono a strappare l’impero dalle fauci della crisi. In particolare, a proposito del sistema di riscossione fiscale si andò affermando il principio che i decuriones, cioè i notabili che sedevano nei senati locali delle città e, quindi, gli esponenti politici rappresentanti dei ceti più abbienti, erano obbligati a versare alle casse imperiali la parte del gettito fiscale non riscosso. Riusciamo a immaginare quale effetto avrebbe oggi il principio in base al quale parlamentari, consiglieri regionali e comunali dovrebbero rimediare con i loro patrimoni privati all’evasione fiscale? Non sparirebbero forse una volta per tutte condoni e privilegi per i più ricchi? Altro che flat tax!