Oltre il gender c’è vita: adolescenti “in transito”

Non esiste la bacchetta magica. Nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere simile al membro naturale, ma con sensibilità pressoché nulla. L’erezione non ci sarà, a meno che non venga inserita una protesi biocompatibile. Orinare in piedi resterà con ogni probabilità un sogno. Poi ci sono le cicatrici, le possibili complicazioni e, ancora più difficile da pensare, la scelta consapevole della sterilità, perché, una volta eseguito l’intervento, tornare indietro è impossibile. L’intervento è la “riassegnazione chirurgica del sesso”, l’operazione che, per legge, prevede la modifica (o meglio “l’adeguamento”) degli organi sessuali. Transizione, in gergo tecnico: da donna a uomo (FtM, Female to Male), come in questo caso.

“Il risveglio comincia con due parole, sono e ora. Poi ciò che si è svegliato resta disteso un momento a fissare il soffitto, e se stesso, fino a riconoscere Io, e a dedurne Io sono ora”. Così scrive Christopher Isherwood, nell’incipit del suo romanzo Un uomo solo.

“Bisogna sempre partire dal dramma che sta alla base di una decisione così drastica come è il percorso di transizione, che può portare fino all’intervento chirurgico. La convinzione di appartenere all’altro sesso è precoce, permanente, senza diventare, però, un’idea di tipo delirante o ossessivo”, spiega la professoressa Laura Scati, psicologa e psicoterapeuta. La prima fase, quella in cui si affaccia la “disforia di genere”, va dai 4 ai 12 anni d’età. Tra i 12 e i 18 anni, nella maggioranza dei casi, scompare, ma quando così non è si passa a quella definita dagli esperti “fase diagnostica estesa”. Seguendo un percorso di terapia psicologica, si inizia la soppressione – reversibile totalmente – della pubertà, con le iniezioni di triptorelina, e si interviene poi con la terapia ormonale cross-sex (reversibile parzialmente). Solo dopo i 18 anni, e dopo la pronuncia di un Tribunale, si arriva all’intervento chirurgico – irreversibile – di riconversione del sesso, o “di affermazione del genere”. Nel caso degli MtF, si tratta di tappe tutte particolarmente dolorose, un dolore che è anche fisico (e, dal punto di vista della scienza, con risultati con meno garanzie di “riuscita”, rispetto al percorso di transizione contrario, FtM). E proprio la triptorelina, utilizzata a partire dalla seconda fase del trattamento di persone con disforia di genere, è al centro di un dibattito in Parlamento, dopo che l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, si è espressa per autorizzarne la prescrivibilità e la rimborsabilità, a carico del Sistema sanitario nazionale.

In questi giorni sono in corso, in Commissione Sanità al Senato presieduta da Pierpaolo Sileri (M5S), varie audizioni di pediatri, psicologi e psicoterapeuti, neurologi, endocrinologi e rappresentanti del Comitato nazionale per la bioetica: tutti che si interrogano “in merito alla richiesta sull’eticità dell’uso del farmaco triptorelina per il trattamento di adolescenti con disforia di genere” (sullo sfondo del dibattito politico, si segnala la partenza ai blocchi degli opposti schieramenti sui temi gender). Ma le persone? I diretti interessati?

Voglio uscire. Non ce la faccio più. È da ottobre che entro ed esco da una stanza di ospedale. La settimana prossima è il mio compleanno. Ho contato i giorni, 12. La prima operazione, quella “demolitiva”, l’ho fatta a ottobre: mi hanno asportato le ghiandole mammarie e la pelle in eccesso, incidendomi l’areola, e, contemporaneamente, mi hanno tolto utero e ovaie. Non ho avuto molta paura, mi avevano spiegato tutto per filo e per segno. È stato importante, forse ancora più dell’inizio della terapia ormonale, però è stata più una cosa mia, intima. Sono riuscito per la prima volta a togliermi la maglietta di fronte alla mia ragazza, a non fasciarmi più il petto, a farmi toccare da lei.

So che per alcuni è l’inizio della terapia ormonale la vera “rinascita” e anche per me un po’ è stato così, ma in modo diverso. Le compresse, le punture ogni 28 giorni per bloccare il ciclo… ti consentono di non violentarti troppo, quasi di rilassarti, perché – è vero – è il tuo corpo che inizia a parlare per te: metti alla prova le tue corde vocali, conti i peli, controlli lo stato muscolare…

Il medicinale della discordia: dall’uso antitumorale al Dig

La triptorelina è un farmaco gonado-soppressore, utilizzato, per le donne, in casi di tumore al seno, e capace di bloccare la produzione di ormoni che generano il ciclo mestruale. Il costo, a confezione, è di 170-180 euro, e il dosaggio è da eseguire ogni 28 giorni. Nella scatola, una boccettina con una polverina bianca e una soluzione liquida da miscelare, due siringhe sterili di colore diverso, e un foglietto illustrativo che pare un’enciclopedia. Nei casi di disforia di genere, ha spiegato in Parlamento Luisa Galli, della Società italiana di pediatria, “la triptorelina non blocca, bensì sospende lo sviluppo puberale, e lo fa in maniera reversibile. È un farmaco che utilizziamo in ambito pediatrico già da 30 anni, per ritardare l’adolescenza in bambini e bambine che hanno una pubertà assai precoce. E finora si è dimostrato sicuro”.

Per poter accedere alla terapia a base di triptorelina, è necessaria la diagnosi di disforia di genere confermata dall’equipe multidiciplinare (composta da neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, endocrinologo, psicologo dell’età evolutiva e bioetica), un percorso non soddisfacente di assistenza psicologica, e il consenso dell’adolescente e dei genitori. In Paesi come Gran Bretagna, Usa, Olanda e Belgio la si usa già da tempo. Viene assunta al massimo per due-tre anni: solo a conclusione di questo periodo, si decide poi se continuare la strada verso l’operazione per il cambio di genere. “Diversamente da quanto alcuni hanno riportato, non ha lo scopo di cambiare l’orientamento sessuale degli adolescenti, ma di sospendere temporaneamente lo sviluppo di alcuni caratteri fisici, come barba o seno, e le polemiche in materia non giovano a nessuno, e fanno male soprattutto a chi vive questa condizione”, ha sottolineato il presidente della Federazione italiana dei medici pediatri, Paolo Biasci. Si tratta di ragazzi (in Italia parliamo di meno di 100 casi diagnosticati all’anno, ma i numeri sono sottostimati perché non tutti si rivolgono ai centri specializzati come quelli dell’Onig) “che vivono in modo difficile il momento dello sviluppo e il farmaco permette loro – prosegue Biasci – di ritardarne l’arrivo, in attesa che sia più chiaro in quale genere si sentano identificati”. Il fine è quello di allungare la “finestra di ascolto”, senza subire la sofferenza di un corpo che si sviluppa in una direzione non desiderata.

Non mi interessa il “perché” della cosa, ho sempre guardato al “come”. Sì, come tanti nella mia situazione, da piccolo ero un maschiaccio, con mia mamma che, dato che ero l’unica figlia femmina, ci teneva che mettessi la gonna, che facessi crescere i capelli… Mi ha stupito come hanno reagito i miei genitori, ci sono sempre stati. Alla fine, io non mi sento di aver cambiato sesso, io non sono diventato uomo: io lo sono sempre stato. Mi sono innamorato di lei quasi subito: la nostra storia è nata come un’amicizia, lei è riuscita a entrarmi dentro, ha visto la sofferenza. Poi, è stato molto bello dopo. Anche se difficile, soprattutto per lei. Sapevo già che avrei fatto la falloplastica. Il primo tentativo non è andato bene. Ci sono state delle complicazioni e, poi, sinceramente, non ero molto soddisfatto del risultato. Ma non è un vezzo o un capriccio, è qualcosa di più profondo. Voglio poterle dare tutto ciò che posso. Voglio darle piacere.

Posso dire oggi di sentirmi sereno. Provato e stanco, ma sereno. Cosa voglio ora? Avere la mia vita, basta. Svegliarmi la mattina senza un problema che ti assilla… le cose così, più semplici. Avere una famiglia…

Un caso ogni 9mila: numeri esigui ma in crescita

Spesso si inizia da bambini, a sfidare la “legge di gravità”. Certi giorni si gioca a fare l’Uomo Ragno, altri, ma non sempre, ci si mette la gonna, si dipingono le unghie e si gioca con le bambole. È il genere che è variante, e fluido, specie in questa età, spiegano gli esperti.

Le persone che sfidano le norme di genere sono sempre esistite, lo ha ricostruito in un brillante articolo Ruth Padawer per il New York Times Magazine. “La letteratura medica di fine Ottocento descriveva le donne ‘invertite’ come tremendamente schiette, ‘negate per il ricamo’ e con ‘un’inclinazione e una predilizione per le scienze’. I maschi ‘invertiti’, invece, sdegnavano gli sport all’aperto”. Nessuno sa perchè la maggior parte dei ragazzi si adatti facilmente ai ruoli di genere che gli vengono “assegnati”, mentre altri no. Nessuno sa perché alcuni si sentano in armonia col proprio corpo, mentre altri combattano così duramente per far corrispondere il “fuori” a quello che si sentono “dentro”. “La linea di demarcazione ce l’ha ognuno dentro di sé e dipende da come ci si sente – scrive Mary Nicotra in TransAzioni – perché io certe volte mi chiedo ‘se ero uomo anche prima dell’intervento e sentivo questa mia forte identità, allora perché ho sentito la necessità di operarmi?’. ‘Se fossi nato su un’isola deserta, sarei stato ugualmente transessuale? Avrei avuto il bisogno di operarmi?’”

“Il foglio” incalza raccontando balle

Capita anche questo, nel magico mondo dell’”informazione”: essere chiamati a rispondere sul Foglio da Ercole Incalza, vecchio dirigente delle Fs nonché storico cliente di procure e tribunali (sempre indenne, per carità), di cose mai dette. Sotto il titolo “La Tav spiegata a Travaglio”, Incalza infila 8 affermazioni “false” che non ho mai fatto, con relativa confutazione. Qualche esempio. “L’Ue non ha versato e non intende versare risorse per tale opera”: ho sempre detto che l’Italia e l’Ue hanno stanziato i fondi dovuti per il Tav vero e proprio, cioè il tunnel di base, mentre la Francia mai. La galleria sarebbe “lunga 70 km”: ho sempre detto 60 o, per la precisione, 57,5. “Lo smarino ricco di amianto e materiale radioattivo inquinerà in modo irreversibile tutte le valli piemontesi”: ho detto che inquinerà per anni e anni la Valle di Susa, mentre non ho mai parlato di altre valli che non c’entrano nulla. “Le opere finora realizzate sono relative ad approfondimenti geognostici e non fanno parte di opere legate all’effettiva funzionalità dell’intero collegamento”: ho sempre detto che finora si son fatti tunnel geognostici e discenderie, mentre l’opera vera e propria (il buco di 57,5 km) non è mai iniziata: mancano ancora i bandi di gara. Se cerca conferme, Incalza si legga Perché No Tav (ed. PaperFirst): gli si spalancherà un mondo.

Terra dei fuochi, confiscati 220 milioni ai fratelli Pellini

Il tribunale di Napoli ha disposto la confisca, per circa 220 milioni di euro, dei beni patrimoniali dei fratelli Pellini, imprenditori di Acerra condannati negli anni scorsi in via definitiva per disastro ambientale, per aver inquinato terreni tra l’agro casertano e partenopeo. Lo rende noto Alessandro Cannavacciuolo, uno degli ambientalisti costituitisi parte civile nel processo contro i tre fratelli Pellini, ai quali la Dda, a febbraio del 2017, aveva sequestrato i beni patrimoniali ritenuti provento dell’attività illecita, tra i quali 250 fabbricati, 68 terreni, 50 tra auto e mezzi industriali, tre elicotteri e 49 conti correnti bancari. “Nulla e nessuno potrà restituire il dolore, la sofferenza ed il sacrificio di chi, in questa pagina buia della nostra terra ci ha rimesso la vita per via della mano criminosa di questi soggetti – ha affermato Cannavacciuolo – ma oggi lo Stato, attraverso questa ordinanza di confisca, dà un segnale di presenza e di contrasto a questa organizzazione che ha cumulato un vero e proprio tesoro a discapito di un’intera comunità che sopporta, ancora oggi, il dolore della malattia e della perdita dei propri cari e che vede frantumare un tessuto economico produttivo a forte vocazione agricola”.

“Uno maggio”. La buona musica ormai abita qui

“Un atto rivoluzionario”. Così Diodato definisce l’Uno Maggio di Taranto, il concertone che dalla città dell’Ilva è riuscito in sei anni a fare ombra a San Giovanni. “Quando ero un ragazzino – sottolinea il cantautore – lì avevi solo due possibilità: arruolarti in Marina o lavorare nell’acciaieria. Ora la rivoluzione di Taranto è indurre i nostri giovani a credere che un’alternativa di futuro esista: e che sia la cultura”. Che può diventare, spiega, il volano per un reinvestimento virtuoso delle risorse umane ed economiche sul territorio.

Per Diodato, Roy Paci e l’attore Michele Riondino, direttori artistici dell’Uno Maggio realizzato con il Comitato dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, “solo pochi anni fa era assurdo pensare che stelle come Patti Smith potessero venire a Taranto. Molti artisti sono poi tornati, come Niccolò Fabi, per interagire con i giovani”.

Anche stavolta cast corposo: Max Gazzè con Elio, Malika Ayane, i rapper Cor Veleno, i Colle der Fomento, Dimartino, gli Epo, Andrea Laszlo De Simone, i Tre Allegri Ragazzi Morti, The Winstons, l’Istituto Italiano di Cumbia, Terraross, Bugo, Sick Tamburo, Maria Antonietta e Bobo Rondelli. Molti altri si aggiungeranno, “e tutti a titolo gratuito”, ribadiscono gli organizzatori, marcando la differenza con i maxi-eventi a peso d’oro. Sul palco allestito nel Parco Archeologico delle Mura Greche il conduttore sarà Andrea Rivera, che annuncia un sapido omaggio a Stefano Rosso. Al suo fianco Valentina Correani e Valentina Petrini. Previsti collegamenti con Ilaria Cucchi, il vignettista Mauro Biani e le madri di Plaza de Mayo, più interventi di comitati di lotta da tutta Italia. Il 23 aprile il prologo con il jazz al teatro Orfeo, mentre un contest con quindici gruppi a Roma, Milano e nella stessa Taranto individuerà il nome che aprirà l’Uno Maggio. Che sarà ricco di musica buona, non di pop plastificato.

Il “mostro” e i voti traditi Taranto-M5S, amore finito

Ci sono voluti esattamente sette mesi e sei giorni ma alla fine Luigi Di Maio ha avuto il coraggio di ufficializzare il ritorno a Taranto. Tanto tempo è trascorso dal giorno in cui si è aperta una ferita sanguinante tra gli eletti del M5s che avevano promesso di chiudere ‘il mostro’ cioé l’Ilva e gli elettori tarantini che li hanno votati in massa eleggendo cinque parlamentari con poco meno del 50 per cento. Luigi Di Maio è nel mezzo di quella ferita. Leader e ministro dello sviluppo economico. L’ultima volta che era stato in città il 9 febbraio 2018 aveva evitato accuratamente di impiccarsi alla parola ‘chiusura’: “L’Ilva deve continuare a dare posti di lavoro”. Prudente aveva parlato solo “di riconversione e bonifica”. Il giorno dopo però il M5s di Taranto precisava “la riconversione economica passa ovviamente dalla chiusura delle fonti inquinanti”. Dopo un anno e due mesi, non c’è la chiusura, non ci sono le bonifiche e la riconversione. C’è sempre e solo l’ex Ilva.

Il divorzio tra Taranto e il Movimento 5stelle ha una data precisa: il 6 settembre 2018. Mentre a Roma Luigi Di Maio trionfa per l’accordo tra sindacati e Arcelor Mittal che avrebbe salvaguardato, almeno nelle sue intenzioni, tutti i lavoratori dell’ex Ilva, a Taranto migliaia di cittadini che hanno creduto alla promessa di “chiusura delle fonti inquinanti, bonifica e riconversione” si svegliano.

Rosalba De Giorgi, ex giornalista dell’emittente locale Studio 100 Tv, divenuta parlamentare grazie ai voti di Taranto, unica tra gli eletti, osa sfidare la piazza. Quando la folla le chiede di lasciare il M5s, lei risponde: “E poi me li dai tu i 100 mila euro”, riferendosi alla sanzione prevista nel contratto firmato prima delle elezioni con il Movimento. Il Meetup Amici del Beppe Grillo di Taranto il 19 marzo 2019 posta un comunicato che definisce i due eletti in consiglio comunale nel 2017 che hanno dismesso il simbolo a cinque stelle dopo il ‘tradimento’ sull’Ilva come “abusivi di un ruolo istituzionale che non spetta loro”. I due abusivi sono o meglio sarebbero Massimo Battista, operaio dell’Ilva, eletto con 965 preferenze, pari al 18,6 per cento di tutta la lista e Rita Corvace, che ha fatto la campagna elettorale da malata di tumore, e ha raccolto 635 preferenze pari al 12,2 per cento.

Quando il ministro Di Maio scopre l’esistenza del contratto firmato dal suo predecessore al ministero dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, con i nuovi padroni dell’acciaio, dice di avere le mani legate e lo definisce: il ‘crimine perfetto’. Purtroppo sulla battagliacontro l’Ilva ci hanno messo la faccia lo stesso di Maio, ma anche Alessandro di Battista e Beppe Grillo.

Dopo la firma dell’accordo da parte di Di Maio il consigliere comunale Massimo Battista entra nel gruppo misto al Comune e qualche tempo dopo anche il candidato a sindaco, Francesco Nevoli, chiude la sua esperienza in consiglio comunale: il suo posto sarà preso da Rita Corvace che al suo primo intervento denuncia il tradimento dei 5stelle e si affianca a Battista. Il M5stelle al comune di Taranto scompare. L’emergenza divampa qualche settimana fa con la denuncia delle associazioni ambientaliste sull’aumento delle emissioni dalla fabbrica: Taranto torna in piazza, il Comune chiude due scuole e chiede relazioni ufficiali ad Arpa e all’Asl. La prima conferma che i valori riscontrati negli ultimi mesi sono in aumento, ma aggiunge che rientrano ancora nei parametri normativi.

Resta però un dato preoccupante: la diossina nella masseria ‘Carmine’ del consigliere comunale dei Verdi Vincenzo Fornaro è tornata ai livelli pre-sequestro. Tutto questo spiega perché il il ritorno di Luigi Di Maio mercoledì 24 aprile 2019, alle 10 e 30 alla Prefettura di Taranto per il Cis, il Contratto Istituzionale di Sviluppo, è una data importante.

Per capire cosa attende Di Maio a Taranto bisognava passare ieri alla Casa del cinema a Roma dove si stava presentando il concerto del primo maggio organizzato a Taranto in contrapposizione con quello dei sindacati di San Giovanni a Roma. L’attore tarantino Michele Riondino, famoso per il ruolo del giovane commissario Montalbano, volto e anima della battaglia anti-Ilva, spiegava il corto circuito tra M5s e le associazioni, in testa il Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti.

“Il M5s ha stalkerizzato il Comitato – ha spiegato Riondino – perché entrasse a dare una mano nel Movimento. Ci hanno convinto delle loro promesse. Hanno preso i nostri voti e poi, una volta al Governo, hanno confermato la strada del Pd. Sono esattamente come gli altri politici”. Riondino è stato particolarmente duro con “uno dei cinque dell’apocalisse che io ho votato e ci ho messo la mia faccia in Televisione perché mi fidavo”. A quel punto ha ricordato i post del 2018 del deputato Giovanni Vianello che scriveva ‘Il mostro va chiuso’. “Oggi – ha concluso Riondino – non lo spaventa più di tanto”. Poi il colpo finale: “Luigi Di Maio non è mai venuto a Taranto e ora abbiamo scoperto che verrà il 24 aprile – ha scandito Riondino – ma noi sapremo accoglierlo perché per noi è evidente che comincia un’altra campagna elettorale”.

Vianello replica al Fatto: “Non potevamo fare di più con il contratto di cessione firmato dal Governo precedente”. E la riconversione promessa? “Abbiamo fatto partire il Tecnopolo, stiamo lavorando alla norma per togliere l’immunità a chi gestisce l’ex Ilva e il ministro Di Maio ha preso in capo a sé gli interventi del Cis, il Contratto Istituzionale di Sviluppo di Taranto, sul quale sono stanziati centinaia di milioni che finora erano bloccati ”. Certo, il Tecnopolo ha uno stanziamento di soli 3 milioni all’anno e il Cis era stato creato da Renzi nel 2015 e la fine dell’immunità probabilmente sarà solo ‘parziale’ e entrerà in vigore ‘a rate’, ma Vianello risponde: “Il Cis era bloccato e Luigi di Maio ne ha preso la guida per farlo ripartire. Per questo il 24 aprile sarà a Taranto. La norma anti-immunità ci sarà e, se anche il suo ingresso in vigore fosse scaglionato, stabilirà da subito quando sarà estesa”.

Basta fare un giro a Taranto per sentire che clima attende Di Maio. Alle manifestazioni la rabbia è sempre tanta ma la partecipazione sempre più scarsa. L’ex operaio Ilva Cataldo Ranieri è uno di quelli che ha creduto nel M5s e ora ne è uscito deluso. Però ha trovato una strada personale alla riconversione: “La fabbrica ha offerto 77 mila euro netti a chi usciva. Pochi mesi fa con l’amico e collega Marco Tomasicchio, che si era candidato con il M5s, abbiamo accettato. Con quei fondi stiamo aprendo nel centro di Taranto un ristorantino. Il nome? ‘A casa vostra’. Sai perché? Quando chiedevamo ai colleghi di lottare per cambiare Taranto e far cessare l’inquinamento ci gridavano: ‘E poi se chiude l’Ilva dove vado a mangiare io, a casa vostra?’. Ecco, speriamo che vengano davvero a mangiare da noi. Dobbiamo rischiare se vogliamo riconvertire la città”. Al concerto del primo maggio, come ogni anno, ci sarà certamente anche Padre Antonio Salinaro, con la sua barba ‘rock’. Il parroco di San Pasquale, nel centro di Taranto, ci mostra la pinacoteca all’interno della sua Chiesa con quadri del seicento napoletano e il murales dipinto dal writer Frode Barona e dal pittore Giuseppe Siniscalchi, leader del movimento del fronteversismo, realizzato a dicembre 2018. Si vede San Francesco con l’Ilva e il mare di Taranto sullo sfondo. San Francesco è rivolto verso il buio per convertirlo in qualcosa di positivo. Per Padre Antonio “L’Ilva è un processo complesso come Taranto. Se noi la chiudessimo oggi, senza prima creare l’alternativa non avrebbe senso. L’Ilva accende i riflettori sulla città e la rende parte dell’Italia. Se fosse chiusa nessuno si curerebbe più di Taranto. Dobbiamo lavorare per chiuderla approfittando di questi riflettori per convertirla. Ora”.

Viminale: “Via libera ad abbattimento lupi”. Animalisti in rivolta

Se non c’è alternativa, ok all’abbattimento dei lupi. Lo ha deciso il Viminale, che dà il via libera all’uccisione della razza protetta “a condizione che sia stata verificata l’assenza di altre soluzioni praticabili”. La circolare, firmata dal capo di gabinetto del ministro Salvini, rileva che “di recente, in alcune aree del territorio nazionale”, si è registrato “un aumento della presenza di lupi che, avvicinandosi in branco agli abitati, provocano allarme nella popolazione ovvero causano importanti danni economici agli allevatori, attaccando ovini, caprini e talvolta bovini nelle zone di pascolo e di ricovero.” Da qui “l’esigenza di adottare interventi di carattere preventivo”, compreso l’abbattimento. Immediata, però, la reazione delle associazioni ambientaliste: “I lupi non rappresentano un problema: nel 2018 ci sono state 65 predazioni, con 76.500 euro di indennizzo. Sono invece un preziosissimo equilibratore biologico. Non c’è nessuna emergenza, se non quella creata ad arte per guadagnare qualche voto in più alle prossime elezioni”, attacca l’Enpa, Ente nazionale protezione animali, che minaccia azioni in tribunale. “Se solo un lupo sarà ucciso attiveremo i nostri legali”.

Storia di Anna: diagnosi errata e la lotta per rinascere. Ora servono nuove protesi

Sul profilo Facebook di Anna e sul suo blog “Il coraggio di Anna” campeggiano video che la ritraggono in scene di vita quotidiana. C’è la clip in cui lava i piatti, quella in cui gioca con i suoi figli di 9 e 13 anni, quella in cui mette benzina. C’è la foto in cui sorride insieme alla campionessa paralimpica Bebe Vio. Il ritratto di una vita normale se non fosse che Anna Leonori, 46 anni, di Terni, ha degli arti artificiali al posto delle gambe e delle braccia. Le servono soldi per delle nuove protesi mercoledì 9 aprile e ha lanciato una raccolta fondi sui social: “Dopo tante difficoltà riesco a camminare, avrei però bisogno di protesi di ultima generazione che l’Asl non fornisce. Il preventivo è talmente alto… 90 mila euro”. Quelle che ha non le consentono tanti piccoli gesti normali fino a poco tempo fa: “Non riesco a soffiarmi il naso, a tenere un cucchiaio, ad appoggiarmi mentre scendo le scale. Con il mio braccio amputato invece mi trucco, uso il telefono, mi asciugo le lacrime”. La corsa alle donazioni su Facebook è partita con lo sprint di un centometrista: in quattro giorni appena viene raccolto l’intero importo, 6.000 euro. Anche la onlus ternana “I Pagliacci” ha lanciato una raccolta fondi. La “passione di Anna” comincia nel 2014 quando le viene diagnosticato un tumore alla vescica che due esami istologici indicano come maligno. All’ospedale Regina Elena di Roma le tolgono vescica, utero e ovaie. Poi un nuovo esame istologico sugli organi ribalta tutto: esito negativo. “Non c’era ombra di cellule neoplastiche” ha raccontato la donna al Corriere dell’Umbria. La nuova vescica artificiale le avrebbe poi causato infezioni e nell’ottobre 2017 viene ricoverata per setticemia, finisce in coma per 80 giorni, la trasferiscono a Cesena dove un’infezione le colpisce gli arti, mandandoli in necrosi. Quando si risveglia, le hanno amputato gambe e braccia. Ma lei non demorde, con le protesi torna a camminare e a vivere finché non incontra a Terni, in occasione degli Europei paralimpici di scherma di ottobre 2018, Bebe Vio che le consiglia una clinica specializzata a Budrio.

“Torna a magna’ le cavallette”: imprenditore condannato per insulti a operaio pachistano

“Tu magnavi le cavallette e oggi stai qua. Che ce stai a fa’ dentro casa mia se te senti sfruttato?”. Quando un suo dipendente pachistano ha rivendicato una paga più giusta, Stefano Fancello – proprietario della Grande Impero, azienda romana che produce pane – ha risposto in quel modo. E lo ha pure invitato con le cattive a non rivolgersi ai sindacati. Il tutto senza nascondere le sue ben definite simpatie politiche: “Io sono un fascista e con i comunisti non ci voglio avere niente a che fare, con la feccia non mi ci sporco”.

Il colloquio privato è avvenuto pochi mesi fa; il lavoratore ha registrato le parole dell’imprenditore e, assistito dalla Flai Cgil con l’avvocato Carlo De Marchis, le ha consegnate al Tribunale di Velletri. Mercoledì il giudice ha riconosciuto le discriminazioni e condannato la Strong Srl (titolare del marchio Grande Impero) a pagare 5.500 euro in favore del sindacato e 3.750 euro per ogni lavoratore ricorrente. Nel processo sono venute alla luce le ritorsioni che l’azienda attuava per punire gli addetti che sceglievano di iscriversi ai sindacati. L’ordinanza parla di dipendenti a termine non rinnovati, turni modificati senza motivo e soprattutto “l’esplicita richiesta, rivolta al lavoratore, di scegliere tra la prosecuzione dell’attività lavorativa, rinunciando all’iscrizione al sindacato, o la cessazione del rapporto”. Le trascrizioni dell’incontro registrato mostrano quanto fosse aggressivo il linguaggio: “Il primo che mi fa sentire l’odore del sindacato… io do fuoco alle polveri, do fuoco a tutto”. E ancora, in risposta alle richieste di soldi da parte dei lavoratori: “Questa è casa mia, io non vi darò mai i soldi che chiedete perciò penso sia il caso che poi prendete tutto e lo portate in Tribunale (…). Io so’ fascista, non so’ comunista, a me chi me mette la pistola qui io faccio prima a tagliargli la gola che a dirgli buongiorno”.

L’ultima proposta della Lega: “Alcol test per i lavoratori di Fincantieri in pausa pranzo”

I lavoratoridei cantieri navali di Sestri Ponente alzano troppo il gomito in pausa pranzo? Per togliersi il dubbio, l’assessore alla Sicurezza Stefano Garassino propone l’alcol test. E questo accende le polemiche. La discussione è scaturita da una seduta del consiglio comunale, in cui il leghista Garassino ha preso atto che alcuni cittadini si sarebbero “lamentati per situazioni di degrado nelle vicinanze di Fincantieri”. Come spiegato dal consigliere M5s Fabio Ceraudo, infatti, gruppi di operai in pausa pranzo consumerebbero alcolici per strada, “diventando molesti” e creando scompiglio nella zona dello stabilimento. Nel corso della seduta il Movimento 5 Stelle ha domandato all’assessore alla Sicurezza il perché non fosse stata estesa l’ordinanza anti-alcol – già attivata in altre zone della città – anche al quartiere di Sestri Ponente. La proposta del leghista Garassino, però, è ancora più radicale: “È mia intenzione andare a chiedere alla dirigenza di Fincantieri di fare l’alcol test ai lavoratori che rientrano dalla pausa pranzo. È anche una questione di sicurezza.” Parole che non potevano lasciare indifferente la Fiom Cgil di Genova: il segretario generale Bruno Manganaro ha prontamente ribattuto che le dichiarazioni dell’assessore sono “un insulto ai lavoratori, una provocazione inaccettabile”. Anche la Rappresentanza sindacale unitaria parla di “un insulto ai lavoratori del cantiere navale di Sestri Ponente che, con fatica e sudore, costruiscono le navi più belle del mondo”. Mangaro ha poi ricordato che il lavoro svolto dagli operai è molto pesante, quindi è loro diritto prendersi una pausa per mangiare e bere qualcosa. Ma questo non significa trascurare i controlli sui dipendenti: le verifiche sono già previste nella normativa, ma devono “rispettare i diritti dei lavoratori, non essere messi in atto con le brutte maniere.” “Forse – conclude – l’alcol test lo dovrebbero fare certi politici, e l’assessore per primo”.

Addio cattedrale vegetale: la più grande opera naturale sarà presto abbattuta

La cattedrale vegetale di Lodi, l’opera di arte in natura più grande al mondo, sarà abbattuta. Lo ha deciso l’amministrazione comunale della città guidata dalla sindaca leghista Sara Casanova. Una scelta che arriva dopo la relazione di un perito che ha diagnosticato la presenza di un fungo come una delle cause dei crolli che hanno oggi ridotto l’opera ad avere solo 28 colonne ancora in piedi. La decisione è arrivata come un fulmine a ciel sereno per l’associazione “Giuliano Mauri” che martedì scorso ha organizzato una serata per “salutare” la città: “Noi siamo i detentori del diritto d’autore e dell’idea ma non possiamo fare altro che prendere atto della decisione presa dall’amministrazione comunale. So – spiega Francesca Regorda la nipote dell’artista, vice presidente dell’associazione – che ci sono persone che vorrebbero recuperare l’opera che potrebbe essere restaurata o ricostruita in toto. A Bergamo dove esiste un’altra cattedrale vegetale di Mauri su 42 colonne ne son rimaste in piedi 15 ma c’è la volontà di ricostruirla mentre a Lodi hanno scelto di distruggerla”.

La nipote punta il dito sulla mancata manutenzione e collaborazione dell’amministrazione comunale in carica: “I lavori sono iniziati con la giunta di centrosinistra ma si sono conclusi il 12 novembre 2016 all’epoca in cui il comune è stato commissariato. A luglio del 2017 è arrivata l’attuale amministrazione e siamo stati presi a pesci in faccia”. Regorda non risparmia qualche frecciata anche all’amministrazione di centrosinistra: “Nessuno ha pensato alla manutenzione nonostante noi avessimo insistito molto sulla questione”.

A difendere l’operato dell’amministrazione precedente è l’ex assessore Andrea Ferrari, promotore della Cattedrale vegetale: “Ci eravamo posti l’obiettivo come amministrazione di realizzare l’opera a costo zero per il Comune e ci siamo riusciti. Per coprire i 300 mila euro di spesa abbiamo ottenuto 125 mila euro da Regione Lombardia e tutta la restante parte da sponsor territoriali. Per essere ultimata l’opera richiedeva delle telecamere di videosorveglianza e la manutenzione per la quale avevamo trovato la disponibilità degli sponsor a mettere a disposizione 40 mila euro annui”. Parole respinte dalla prima cittadina che ha un solo obiettivo: “Le priorità dell’amministrazione comunale in questo momento sono garantire la sicurezza dell’area dove si sono verificati numerosi cedimenti delle colonne della Cattedrale vegetale e riaprire in tempi celeri la ciclopedonale adiacente all’opera, chiusa ormai da alcuni mesi per evitare che ciclisti e pedoni corrano pericoli. Non possiamo ancora precisare con quali modalità e tempistiche verrà realizzato questo intervento: potremo procedere solo dopo aver acquisito il parere di un legale che incaricheremo per tutelare gli interessi dell’ente presso le magistrature competenti. Nell’autunno 2018 era stata infatti commissionata una perizia tecnica che aveva evidenziato serie criticità sia nella fase di progettazione sia in quella di realizzazione della struttura inaugurata nel 2017”.