Presidente Conte, dopo la vostra telefonata Angela Merkel si è schierata pubblicamente contro il generale Haftar. Abbiamo un alleato contro la Francia?
Con la cancelliera ci siamo aggiornati sulla crisi: anche lei è molto preoccupata e condivide la nostra linea secondo cui l’opzione militare non può essere una soluzione. Lavoreremo insieme nell’ambito della Ue per perseguire una linea comune ed evitare che si proceda in modo disordinato.
Sentirà anche Macron?
Ci sentiremo senz’altro, i nostri staff si aggiornano costantemente.
Per anni l’Italia ha sostenuto il governo di Al Sarraj, unico interlocutore per la nostra diplomazia. Ora è Haftar l’uomo forte della Libia?
Quello di Sarraj è l’unico governo che è sempre stato riconosciuto dalla comunità internazionale. Da quando il mio esecutivo ha iniziato a occuparsi del dossier libico, ho subito acquisito la consapevolezza che non è però pensabile una soluzione del conflitto senza interloquire con tutti gli attori che hanno un ruolo, locali o internazionali. E Haftar ha sempre avuto un ruolo importante, in particolare in Cirenaica. Noi parliamo con tutti gli attori sul terreno, in base a un approccio inclusivo, avendo come obiettivo il pieno rispetto delle prerogative e il benessere del popolo libico. Per questo ho voluto coinvolgere Haftar nella conferenza di Palermo e l’ho incontrato a Bengasi e ricevuto a Roma.
Repubblica scrive che lei ha incontrato nei giorni scorsi una delegazione di Haftar a Roma. Di cosa avete discusso?
Confermo l’incontro. Mi è stata consegnata una lettera personale del generale Haftar, a conferma della fiducia che ha nei miei confronti. Io ho chiesto ai suoi emissari aggiornamenti sulla situazione sul terreno. Loro affermano di voler liberare il Paese dalle formazioni terroristiche e operare una unificazione delle forze armate e di sicurezza. Io ho ribadito la mia ferma opposizione a una deriva militare che farebbe ulteriormente soffrire la popolazione civile già provata. Ho ribadito la mia disponibilità a mantenere aperto ogni tipo di dialogo utile a pervenire a una soluzione politica.
Sulla Stampa un retroscena attribuisce al ministro dell’Interno Salvini interlocuzioni con il vicepremier Maitig, che con la Brigata di Misurata è il vero garante del governo Sarraj. Può essere lui il perno di un nuovo assetto?
Il dossier libico lo coordino personalmente da Palazzo Chigi e farò in modo di evitare che si proceda con iniziative che potrebbero soggettivizzare il conflitto in corso. L’Italia non scommette sull’uno o sull’altro attore. Noi scommettiamo sulla volontà del popolo libico di vivere in pace e godere delle risorse del proprio territorio. Detto questo, Misurata è una realtà di primo piano, anche militare, nell’assetto del Paese. L’opinione pubblica si concentra sul binomio Haftar-Sarraj ma la situazione è più complessa.
Nella prima fase della crisi ha stupito il silenzio della Farnesina. Ieri, dopo la riunione con i ministri Moavero e Trenta, il sottosegretario Giorgetti e l’intelligence lei ha istituito un gabinetto di crisi. Cosa cambia?
Non è che la Farnesina e Moavero siano mai stati estromessi da un percorso che, ancor prima di Palermo, ci ha visti coinvolti come governo nel tentativo di perseguire la stabilizzazione della Libia. I vari ministri hanno sempre interloquito, ciascuno per le rispettive competenze, con i rispettivi omologhi anche recandosi in Libia. Quello libico è un dossier strategico per l’Italia e io l’ho seguito personalmente per assicurare che le iniziative assunte sui vari fronti si inquadrassero in una strategia ben precisa.
Questa nuova fase di conflitto in Libia farà ripartire i barconi dei migranti? E noi potremo chiudere i porti a chi scappa da una guerra?
C’è il serio rischio che si sviluppi una crisi umanitaria che finirebbe per sfinire una popolazione già provata da otto anni di instabilità. In caso di conflitto armato, potrebbero interrompersi le rotte libiche interne di migranti provenienti da altri Paesi, in particolare dell’Africa subsahariana. Ma da Paese perlopiù di transito, la Libia diventerebbe un Paese di partenza delle migrazioni. Questo metterebbe a dura prova un sistema di accoglienza che non funziona ancora a livello europeo e che stiamo cercando di modificare a Bruxelles. Inoltre, salterebbero tutte le iniziative bilaterali e multilaterali che abbiamo sin qui promosso in una logica di cooperazione con i Paesi di partenza e di transito.
Che conseguenze ci saranno per i soldati e il personale italiano sul terreno?
Tutte le nostre unità sono impegnate a promuovere la stabilità del Paese svolgendo un ruolo fondamentale e universalmente apprezzato. Per ora il nostro personale militare e diplomatico rimane pienamente operativo, ma siamo pronti a intervenire per tutelare la loro sicurezza in qualsiasi momento.
Molti analisti attribuiscono l’attuale caos anche a un disimpegno degli Stati Uniti, reazione alla scelta dell’Italia di aderire alla Via della Seta della Cina. All’inizio delle ostilità, gli Usa hanno ritirato il loro contigente dalla Libia. Ci hanno lasciati soli?
Non c’è nessun disimpegno degli Stati Uniti: per Washington il dossier libico non può avere l’interesse prioritario che riveste per l’Italia. Quel quadrante è oggetto di attenzione degli Stati Uniti soprattutto per il contrasto al terrorismo e la possibile influenza russa. Mentre storia e geografia impongono all’Italia di rimanere in prima linea, cosa di cui lo stesso presidente Trump mi ha dato atto.
Forse nei rapporti con gli Usa ha pesato anche la posizione poco chiara del governo sulla crisi del Venezuela.
Gli Usa sono un nostro partner strategico, c’è un costante aggiornamento a tutti i livelli. La nostra posizione sul Venezuela è stata sin dall’inizio molto chiara. La prossima settimana il mio consigliere diplomatico sarà in missione in Venezuela insieme al nunzio apostolico per incontrare esponenti del governo e delle forze di opposizione e svolgere un’opera di mediazione che possa accelerare il risultato di nuove elezioni presidenziali, credibili e trasparenti. E di questo gli Stati Uniti e i componenti del gruppo di contatto sono stati avvertiti e confidano che la nostra posizione equilibrata possa offrire un contributo alla soluzione di questa crisi.
La Francia invece è un nostro avversario strategico?
Non ho motivo di pensare che la Francia possa avere interessi differenti dalla stabilità e dal pieno recupero della Libia a una prospettiva di sviluppo e di benessere della popolazione. Una Libia instabile non può certo consentire alla Francia di perseguire eventuali interessi economici nazionali. Nel passato sono stati commessi errori di cui non consentiremo la ripetizione.
L’altro fronte su cui lei è impegnato è quello della politica economica: dal Def presentato non si capisce dove troverete 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva.
Per evitare l’incremento dell’Iva dobbiamo operare una spending review alla quale già stiamo lavorando, efficace ma oculata, in modo da colpire le spese superflue e non ostacolare la crescita. Possiamo lavorare anche a una più attenta rimodulazione delle tax expenditures. Confidiamo nella possibilità che le misure già varate e in corso di introduzione possano contribuire a una ripresa economica superiore a quella che ci viene accreditata da alcuni analisti. Sottolineo che secondo l’Eurostat, l’Italia ha dato il maggior contributo, 35,7 per cento, alla produzione totale dell’Eurozona nei primi due mesi del 2019. La produzione industriale è cresciuta per due mesi consecutivi, dello 0,8% a febbraio e dell’1,9 per cento a gennaio. Non credo che avremmo ottenuto questi dati se ci fossimo appiattiti su politiche di austerity.
Un po’ di austerity l’avete fatta anche voi: il Def conferma 17,5 miliardi di tagli lineari alle spese in tre anni, anche a università e ricerca.
Abbiamo sempre agito coerentemente dimostrando che vogliamo tenere i conti in ordine. Segnali incoraggianti vengono anche dal commercio estero. A febbraio 2019 le nostre esportazioni in Cina sono aumentate del 2,5 per cento rispetto a febbraio 2018. E si profila uno scenario ricco di opportunità, visti anche gli accordi sottoscritti nell’ambito della Via della Seta.
Si parla di flat tax. Ma sulla base dei conti che avete prospettato non è immaginabile alcun intervento dai costi importanti per il bilancio pubblico. Sarà una flat tax simbolica o a saldo zero?
Stiamo lavorando a un’ampia riforma che ha l’obiettivo di alleviare il carico fiscale soprattutto per famiglie e ceto medio. Siamo determinati a procedere, ma dobbiamo operare in quadro di compatibilità con la finanza pubblica, contrastando con la massima determinazione l’evasione e l’elusione fiscale per liberare risorse da investire in questo progetto. Questa riforma va attuata per gradi: con la manovra dello scorso dicembre abbiamo realizzato un primo significativo tassello e continueremo a operare in via progressiva investendo le risorse che via via si liberano. Quando andremo a regime, confidiamo che un peso fiscale più leggero possa aiutarci nel contenere le aree di evasione fiscale così che questa riforma possa autofinanziarsi nel tempo.
A proposito, quando verranno riviste le soglie di punibilità per i reati fiscali così da introdurre le “manette agli evasori” sempre rinviate?
Vogliamo rivedere le soglie che in passato erano state abbassate e il ministro della Giustizia Bonafede è al lavoro su questo. Nei prossimi mesi ne discuteremo al fine di individuare e applicare le soluzioni più persuasive.
È proprio sicuro che sarà lei a gestire la prossima legge di Bilancio?
Non “la prossima”, ma “le prossime”.