Di Maio si smarca sul 25 Aprile: “Ci sarò, sostengo i partigiani”

Anche la festa della Liberazione è un pretesto per marcare le differenze nella corsa elettorale che porta al voto europeo del 26 maggio. Luigi Di Maio parteciperà alla celebrazione del 25 aprile, Matteo Salvini invece no: sarà, tanto per cambiare, in campagna elettorale. Per il “nuovo” Di Maio che cerca di aprire a sinistra per contrastare l’ingombrante alleato, il 25 aprile “è un giorno importante per la nostra storia, un giorno in cui festeggiamo i nostri nonni che hanno combattuto una battaglia contro un regime e che hanno ottenuto il risultato di darci la libertà e la democrazia”. Il ministro del Lavoro ha aggiunto: “Io ho ben chiaro da che parte stare il 25 Aprile, dalla parte dei partigiani che ci hanno liberato, non dalla parte di chi dice che non è stato il giorno della liberazione”. Salvini al contrario aveva già chiarito di non avere alcuna intenzione di festeggiare la ricorrenza (non l’ha mai fatto da quando è leader leghista, non lo farà nemmeno ora che è ministro dell’Interno): “Il 25 aprile – ha detto – vado a Corleone a sostenere le forze dell’ordine nel cuore della Sicilia. Non intendo sfilare qua e là con fazzoletti rossi, verdi, neri, gialli e bianchi”.

In trasferta da Orbán: adesso Salvini cerca la benedizione ungherese

“Salvini e il governo italiano hanno provato che l’immigrazione può essere fermata, anche in mare, e questo è molto importante”. Così parlava Viktor Orbán il 26 marzo, in una conferenza stampa subito dopo la sospensione del suo partito, Fidesz, dal Ppe. Una menzione interessante per le future alleanze europee. Perché il premier ungherese potrebbe essere il vero ago della bilancia: ha usato per anni il Ppe come uno scudo rispetto alle autorità della Ue, per applicare le sue politiche in patria e, nello stesso tempo, allargare verso destra i margini della coalizione e portare a pieno titolo in Europa l’agenda nazionalista e sovranista.

Dal canto suo, Matteo Salvini sta cercando di organizzare una gita in Ungheria, prima delle elezioni di maggio. Perché l’incontro e l’asse con Orbán potrebbero essere l’unico modo per lui per riuscire a giocare un ruolo nell’Europa del dopo elezioni.

Il leader leghista avrebbe voluto mettere su un gruppo unico, che partisse dall’Europa delle Nazioni e delle Libertà (dove siede ora la Lega, con il Rassemblement National di Marine Le Pen, l’Fpo austriaco, il Partito della Libertà dell’olandese Geert Wilders), allargandolo a destra, per arrivare poi allo stesso Orbán e al leader polacco Kaczynski. Per adesso, un progetto fallimentare. Lunedì, al lancio della sua campagna elettorale a Milano c’erano solo l’Afd, i Veri Finlandesi e il Partito popolare danese. “Una scelta”, ha detto lui, che poche ore dopo si è fatto fotografare a Parigi con la leader dell’estrema destra. Ma l’assenza di Orban e Le Pen è saltata agli occhi.

E il Pis di Kaczynski intende rimanere nel gruppo dell’Ecr: la visita in gennaio di Salvini a Varsavia è stata piuttosto improduttiva (l’interlocutore italiano per loro è Giorgia Meloni ). E Orbán per ora non si espone. Anzi, quando c’era il rischio che i Popolari lo espellessero, aveva dichiarato che si sarebbe alleato con il Pis. Dunque per Salvini riuscire a rafforzare il rapporto con Orbán prime delle Europee è centrale. In un Parlamento che potrebbe vedere alleato il suo gruppo con il Ppe, l’Ecr e l’Efdd (dove attualmente siede il Movimento 5 Stelle).

I due si sono già incontrati a Milano ad agosto. In quell’occasione, Orbán definì Salvini “eroe”. In questi mesi, il peso del leader leghista sembra essere già in parte ridimensionato. Ma i due potrebbero avere degli interessi convergenti. Così Salvini cercherà di approfittare dell’invito a Varsavia che gli fu offerto l’estate scorsa.

Altro che liti, è il primo governo che va avanti grazie all’amicizia

Secondo: in quale altra democrazia conosciuta la guida effettiva del governo è, oltre che bicefala, fondata sulla reciproca, conclamata fiducia tra due vicepremier?

Terzo: nella difficile situazione della nostra economia, qual è il punto di rottura oltre il quale anche lo stretto rapporto personale tra il leader grillino e quello leghista potrebbe non essere più sufficiente?

Quarto: l’opposizione che non vuole comprendere l’eccezionalità del caso italiano, e che continua a puntare sulla rottura che non c’è, quanto somiglia ai gattini ciechi di staliniana memoria, che vagano senza meta incapaci di comprendere la realtà?

Sul tema dell’amicizia come cemento di governo vi è vasto materiale. Del “gioco delle parti tra Salvini e Di Maio”, che fanno finta di litigare (preferibilmente su questioni extra Contratto), la sondaggista Alessandra Ghisleri parla come di un fatto così evidente da risultare ovvio. Come del resto non fanno che confermare i dioscuri scambiandosi, tra una polemicuzza e l’altra, dolci effusioni. “A Matteo dico grazie per il sostegno offerto al cambiamento”. Anche se “siamo diversi e alcune diversità riemergeranno in campagna elettorale” (Di Maio al Corriere della Sera di lunedì scorso). Ricambia Salvini, il giorno successivo, sempre al Corriere: “Quando il mio amico Luigi Di Maio – e dico amico e non compagno di governo – va a Parigi e incontra qualcuno che mette in difficoltà il governo (i Gilet gialli ndr), io non commento”. Ora, dite voi, quando mai nella storia repubblicana due alleati di governo, ma perfino due esponenti dello stesso partito, o addirittura due politici tout court si sono espressi con tale reciproco garbo, affetto, stima, corrispondenza di amorosi sensi? Grazie! Prego, amico e non compagno! Tutto con tale evidenza, e trasparenza, da recidere di netto qualsiasi illazione sull’uso biforcuto dell’encomio (ti bacio per meglio avvelenarti), così frequente tra i crotali di Palazzo. Infatti, mai immagine fu tanto preveggente e autentica come il celebre murales, opera di Tvboy, che li immortalò avvinti con dietro un cuore rosso. Apparso nel centro di Roma, il 23 marzo 2018, quando del Salvimaio si vagheggiava appena.

Tutto questo per dire che l’informazione politica fa, ci mancherebbe altro, il suo mestiere nel riportare i grossi, medi e minuti scazzi che a ogni ora del giorno e della notte agitano il campo di governo.

Una stampa incisiva nell’esortare alla coesione nazionale con risoluto piglio paterno: anche se magari quei discoli li avrebbero volentieri annegati in fasce (“Smettetela di litigare”: Repubblica del 9 aprile). Nell’elencare con minuzia certosina, una per una, le “271 bufale” dell’“incompetenza gialloverde” (Il Foglio). Malgrado poi, sulle stesse colonne, il direttore Claudio Cerasa riconosca che “i due vicepremier hanno ancora un rapporto ottimo e s’intendono quasi su tutto”; anche se “il problema è ciò che succede a mano a mano che si allontana dalla luce dei due leader”.

Certo, ci si diverte nel definire il Def, Dépliant di finanza elettorale (Repubblica). E si ha buon gioco nel preconizzare un post elezioni europee da incubo, quando un’Italia con le pezze al culo presenterà una manovra “già ipotecata per 23 miliardi nel 2020” (Corriere della Sera). Ok, infiliamo pure il nostro sciagurato Paese nel buco più nero del buco nero, ma ciò non impedirà a quei due di scambiarsi coccole con le rispettive fidanzate e di farlo sapere al mondo, imperturbabili. Mentre l’allegra brigata si completerà con le zingarate del premier Giuseppe Conte (oscar per la battuta più fantasy: “Sarà un anno bellissimo”) che festoso alza il gomito al Vinitaly e poi sgomma sulla Ferrari della polizia.

Insomma, cari colleghi, affanniamoci pure a comprimere la storia del presente in una narrazione che forse non funziona più (tensioni, fibrillazioni, continui preannunci di crisi). Sempre consapevoli però che nel Salvimaio la forza di attrazione è direttamente proporzionale ai sondaggi favorevoli, e alla repulsione suscitata da Forza Italia e Pd. Oppure, visto che siamo in tema, determinata da congiunzioni di potere tipo la cometa di Halley (richiamata dal compare di Marcello De Vito, l’ex cinquestelle capitolino finito dentro). Per dirla terra terra: a questi quando gli ricapita più?

Xylella: “Task force per chi non eradica le piante malate”

Emergenza xylella: il ministero e la Regione Puglia hanno partecipato ieri ai vertici, tenuti nelle prefetture di Bari e Lecce, sul batterio che rischia di devastare gli olivi del territorio. E con essi, l’economia della regione. “Faremo una task force per punire i furbetti che non sradicheranno le piante infette”, ha annunciato il ministro per l’Agricoltura Gian Marco Centinaio, aggiungendo al termine dell’incontro di essere consapevole che servono 300 milioni di euro per combattere la Xylella, in accordo anche a quanto detto dal ministro per il Sud Barbara Lezzi. Nei dieci punti “per migliorare il decreto Emergenze” che Centinaio ha ricevuto ieri da Onofrio Spagnoletti Zeuli, il portavoce dei Gilet arancioni (il movimento degli olivicoltori), sono inclusi anche lo “Stanziamento dei primi 30 milioni del piano Xylella esclusivamente per le aziende agricole, i frantoi ed i vivai, e l’immediata disponibilità di ulteriori 70 milioni con le stesse finalità di ricostruzione dell’olivicoltura salentina”. “Vorrà dire che gli altri 200 milioni di euro li andremo a chiedere all’Europa, come é stato promesso dai Commissari”, ha chiosato il ministro.

“Al Carroccio fa gola il ministero della Salute”

L’aggettivo lo ripete più volte: “La presa di posizione di Massimo Garavaglia è stata strana”. Per la ministra della Salute, la 5Stelle Giulia Grillo, è “strano” che il viceministro all’Economia della Lega si sia opposto alla nomina di un nuovo commissario alla Sanità in Campania al posto del governatore Vincenzo De Luca, spingendo per la fine del commissariamento. Ma lei insiste: “Vado avanti solo per fare l’interesse dei cittadini campani, sulla base di rilievi e procedure esclusivamente tecniche”.

Garavaglia ha posto obiezioni oggettive: da 4 anni la sanità campana è in equilibrio finanziario, e i livelli essenziali di assistenza rispettano gli standard richiesti.

Il 29 marzo, senza alcun preavviso, ho ricevuto una lettera dal ministero dell’Economia che mi chiedeva la nomina dei commissari alla Sanità in Campania e nel Lazio. Ma appena abbiamo dato il via libera ai commissari, Garavaglia ha detto stop. E io chiedo come mai, se i conti erano in equilibrio già anni fa, il commissariamento sia proseguito: evidentemente c’erano ragioni concrete. E ricordo che per interromperlo servono Lea abbondantemente sopra i livelli minimi. La decisione del tavolo tecnico di stasera (ieri, ndr) ci dà ragione.

Perché Garavaglia voleva fermare tutto? Magari perché De Luca pesa nella Conferenza Stato Regioni?

Le ipotesi sono le più varie. Di certo il viceministro aveva un ruolo di punta nella Conferenza che lo porta ad avere rapporti privilegiati con alcuni governatori. Ci pare strano che la Lega difenda De Luca.

Avrete parlato, no?

Lui insisteva sui conti in ordine. Ma noi ci preoccupiamo dei livelli di assistenza. La Campania ha il più alto tasso di mortalità materna e di morti evitabili. Sono stati fatti dei progressi, ma che non possa uscire dal commissariamento lo ha deciso il tavolo tecnico tra Mef e ministero della Salute, non Grillo, Garavaglia o De Luca.

Quindi serve un nuovo commissario.

Io voglio applicare la legge, secondo cui le cariche di governatore e commissario alla Sanità sono incompatibili.

De Luca sostiene che i “5Stelle vogliono oscurare il fatto che in pochi anni abbiamo fatto una rivoluzione nella sanità campana”.

Assolutamente no. Mi dispiace deludere il governatore, ma non è lui l’oggetto dei nostri pensieri. Se pensa di essere sempre al centro del mondo è un suo problema.

E per la Lega il ministero della Salute è un problema? Cioè vuole la sua poltrona?

Io credo che questo ministero faccia gola alla Lega e alla politica in generale, perché ha rapporti con le Regioni e perché gestisce tutta la partita della farmaceutica. E capisco tutte le attenzioni su di me.

Assieme al Carroccio dovreste varare le autonomie. E uno dei rischi è quello di creare sistemi sanitari regionali di serie a e di serie b.

Le Regioni hanno già molte competenze in campo sanitario, e con le autonomie avrebbero anche la gestione del personale. Sono disponibile a concederla, ma lavoro a livello nazionale lavoro per rimuovere i limiti per tutti gli enti regionali, così da ridurre al minimo le differenze. Per questo ho rimosso il tetto di spesa per il personale.

Nel frattempo quota 100 sta svuotando l’Italia di chirurghi. Le associazioni parlano di 1500 professionisti in uscita, lei ha parlato di 600 domande arrivate finora. E sono comunque tantissime.

Sì, sono tante. Ma non è tenendo al lavoro le persone con i compiti più usuranti che si risolve un problema che viene dalle mancate riforme.

Come lo affronterete?

Stiamo lavorando, ma non si risolve da un giorno all’altro.

In Parlamento ha detto che “il vero ministero della Salute risiede in via XX Settembre”, cioè nella sede del Mef. Ma allora lei di cosa si occupa?

Il ministero è stato fortemente ridimensionato, perché è compresso dalle Regioni, e perché ogni atto deve essere bollinato dalla Ragioneria dello Stato. Non ho paura ad ammettere che talvolta mi trovo in grande difficoltà. Ma ho un mio spazio d’azione, e lo utilizzo tutto.

Asse di ferro Lega-De Luca sulla sanità in Campania

Il clima è teso da giorni tra Lega e Cinque Stelle sulla Sanità in Campania. Da martedì i pentastellati spingono per la nomina di un nuovo commissario al posto del governatore della Regione, Vincenzo De Luca. Alla vigilia dell’ultimo Consiglio dei ministri, circolava il nome di un tecnico, Enrico Desideri, fino a marzo scorso manager della Asl di Arezzo (oggi Azienda Toscana Sud Est). Sembrava cosa fatta, ci si aspettava la sola approvazione per rispettare la norma sull’incompatibilità tra le due cariche (commissario e governatore) inserita a dicembre nella manovra dalla maggioranza. Invece è arrivato lo stop.

A opporsi è il viceministro leghista all’Economia, Massimo Garavaglia, che ha la delega alla valutazione dei Piani di rientro delle Regioni. “Da quattro anni in Campania si registra l’equilibrio finanziario – ha detto in una intervista al Corriere del Mezzogiorno – il Tesoro non ha motivo di commissariare”. La Grillo aveva replicato sostenendo che il 29 marzo era stato proprio il ministero a chiederle di concertare la nomina del commissario e del subcommissario della Campania e del Lazio. E che questo cambiamento di rotta era incomprensibile anche alla luce delle condizioni in cui versa la sanità in Campania, come denunciato in questi giorni dalla consigliera regionale del M5S, Valeria Ciarambino che, sull’operato di De Luca parla di mera “operazione contabile”.

Si entra così nei retroscena. Visto con occhio campano, l’interesse della Lega per il governatore della Campania trova spiegazione nella volontà di mantenere con De Luca una porta aperta che potrebbe tornare utile in qualsiasi momento, anche per le regionali del 2020. De Luca è da sempre vicino anche agli ambienti di centrodestra, sposta le percentuali decisive ed è quello delle liste civiche che si sono rivelate vincenti. E alla Lega, che sa di non avere grande potere in una regione come la Campania, fa comodo avere un credito da riscuotere, soprattutto in un futuro in cui De Luca potrebbe non essere il candidato del Pd. Il secondo aspetto, non meno marginale, riguarda il tema della sanità in Campania che oltre a essere molto sentito dai cittadini, è anche un forte presidio elettorale del M5S. Lasciare il commissariamento nelle mani di un nome scelto dal ministero della Salute significherebbe intestare il controllo della sanità in Campania ai pentastellati e consegnare loro una di vittoria morale.

Intanto ieri la Campania, al tavolo di verifica del piano di rientro della sanità al ministero dell’Economia, ha portato i dati con cui contava di mettere fine al commissariamento: una certificazione dei livelli essenziali di assistenza a 163 punti dal 105 del 2015 e il consolidamento del pareggio di bilancio da cinque anni. Il livello dei Lea è quindi oltre quello minimo di 160 punti, ma è comunque troppo basso: al termine di una analisi durata diverse ore nel pomeriggio di ieri, fonti del governo hanno fatto sapere che i tecnici dei due ministeri hanno deciso che per il momento la Regione non è nelle condizioni di uscire dal commissariamento. La Campania potrebbe riprovarci a luglio quando si dovrà discutere del Piano di rientro. Resta invece in sospeso il nodo della nomina che si spera di riuscire a sciogliere già nel prossimo consiglio dei Ministri.

La Lega ha ancora troppo spazio nei Tg (anche rispetto ai 5S)

Secondo Agcom – l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni – le apparizioni televisive dei partiti sono divise in modo poco equilibrato. Lo rileva il monitoraggio effettuato sulle emittenti tv dal 25 marzo al 7 aprile (le prime due settimane di campagna elettorale): il Movimento 5 Stelle sarebbe meno rappresentato della Lega nei notiziari dei canali di punta, soprattutto nel Tg2. La Lega ha più spazio degli altri anche su SkyTg 24. Forza Italia, invece, avrebbe concentrato la maggior parte delle attenzioni del Tg5 a scapito dei suoi avversari. Sono stati tenuti in considerazione, per la valutazione, anche la fascia oraria dei notiziari, i principali eventi della cronaca politica e l’organizzazione dei programmi di approfondimento rispetto al loro ciclo di trasmissioni. L’Agcom ha già effettuato precedentemente richiami mirati al rispetto della par condicio, che hanno portato a un “complessivo riequilibrio”. L’autorità, però, non perde d’occhio la situazione, nonostante “si riservi di valutare, a partire dalla terza settimana, il rispetto della parità di trattamento nei programmi di approfondimento informativo”.

Pillon condannato: ha diffamato un’associazione LGBT

Il senatore leghista Simone Pillon è stato condannato in primo grado dal tribunale di Perugia a versare 30mila euro a Omphalos (un’associazione che aderisce all’ Arcigay) e a un suo attivista, per averli diffamati. Pillon è il primo firmatario del contestato disegno di legge sulla riforma dell’affido condiviso. Oltre a una multa, è stata disposta la sospensione della pena condizionata al pagamento di una provvisionale alle parti civili, ventimila euro alla Omphalos e diecimila euro a un militante. La condanna per diffamazione è per avere affermato che le lezioni contro l’omofobia organizzate dall’associazione con gli studenti degli istituti superiori fossero in realtà degli inviti ad avere rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso. Pillon però insiste (su Facebook): “Sono stato condannato in primo grado per aver osato difendere la libertà educativa delle famiglie, che a quanto pare non possono più rifiutare l’indottrinamento gender propinato ai loro figli. Ricorreremo in appello”. Replica Francesca Chiavacci presidente nazionale di Arci: “Essere omofobi può costare caro e questa volta il senatore Pillon si renderà conto che non può impunemente insultare le persone senza doverne rispondere”.

Di Maio: “Noi 5Stelle lavoriamo più della Lega”. Ma i dissidenti protestano

Un’assemblea congiunta sulla riorganizzazione prossima ventura, e non solo. Ieri sera il capo politico del M5S Luigi Di Maio ha riunito i parlamentari a Montecitorio (ma c’erano diversi assenti), illustrando le linee per arrivare alle nuove regole e alla nuova struttura, con dei referenti regionali e una segreteria nazionale. “Per un’apertura ad alleanze tra il Movimento e liste civiche nelle amministrative ci sarà bisogno di tempo” ha spiegato Di Maio, annunciando che “nei prossimi 10 giorni due parlamentari per regione dovranno sondare i territori e fare assemblee con attivisti”. E comunque la sperimentazione partirà “ma dopo le Europee”. Poi il vicepremier ha dato una stoccata alla Lega: “Si lavorerà per portare avanti gli impegni politici e quelli per la campagna delle europee. Non è una novità o un mistero che lavoriamo più di Salvini”.

Però anche Di Maio ha i suoi problemi. Per esempio la scelta di nominare cinque capilista esterne per le europee ha fatto infuriare gli europarlamentari uscenti e tanti altri eletti. E allora il vicepremier cerca di smussare: “Le Europee non sono le nazionali. I capilista sono tali per la posizione, non della probabilità di essere eletti, perché ci sono le preferenze”. Però Riccardo Ricciardi, deputato dissidente, chiede: “Chi è lo staff che si cela dietro la piattaforma web Rousseau quando si certificano le liste?”. E un altro deputato, Giorgio Trizzino, esorta: “Riapriamo un confronto col mondo riformista, con i cattolici, con i movimenti meridionalisti”.

Il “suocero” Verdini divorzia da Angelucci

Denis Verdini dice addio al gruppo Angelucci. L’ex parlamentare forzista si sarebbe già dimesso dalla presidenza della Tosinvest, società della famiglia Angelucci proprietaria di numerose cliniche ospedaliere nel Centro-Sud, dove da poco più di un anno si occupava di coordinare le attività editoriale del gruppo. Ovvero la gestione manageriale di Libero, Il Tempo e di una serie di quotidiani locali: il Corriere dell’Umbria, di Siena, di Arezzo e di Viterbo. La decisione non sarebbe dovuta a scontri con il re delle cliniche o coi direttori dei due principali giornali controllati, Vittorio Feltri (Libero) e Franco Bechis (Il Tempo).

I motivi sono diversi. Se Verdini vanta una profonda sintonia con Antonio Angelucci, patron e fondatore di Tosinvest, nonché deputato di Forza Italia alla terza legislatura, lo stesso non si può dire del figlio Giampaolo, che spinge per tornare a gestire in prima persona i giornali del gruppo. E che, secondo alcune fonti, non farebbe toccare palla a Denis. Inoltre la grande sofferenza economica dei quotidiani in questione – dovuti alla crisi dell’editoria in generale, ma anche ai tagli alle sovvenzioni pubbliche di cui il gruppo Angelucci per anni ha beneficiato – non gli permette di muoversi come vorrebbe. Anche su qualche firma che avrebbe voluto a Libero, gli è stato detto di no. E in più, una vera sintonia con Vittorio Feltri non è mai sbocciata, nonostante i rapporti formali tra i due fossero buoni.

Insomma, Denis si sarebbe stufato dei troppi paletti: da qui la decisione di firmare gli ultimi bilanci e levare le tende. Nel suo ufficio a Palazzo Wedekind, a piazza Colonna, dove ha sede anche Il Tempo, è dall’inizio di marzo che l’ex leader di Ala non si fa vedere. Nelle ultime settimane, infatti, ha eletto a suo ufficio la sede della società del figlio, Tommaso, a Via Della Scrofa. Prima, invece, era sempre a piazza Colonna, tanto che spesso si intratteneva con i cronisti del quotidiano romano per commentare i fatti del giorno. Ora, invece, è sparito.

I rapporti col patron Antonio, però, restano ottimi: i due si vedono spesso e qualche sera fa hanno cenato insieme da PaStation, il ristorante a due passi da Montecitorio di cui è socio il figlio Tommaso. Luogo dove, tra l’altro, si sono conosciuti Matteo Salvini e Francesca Verdini. Un legame, quello con Angelucci, in passato sancito anche da un prestito di 10 milioni del deputato forzista a Verdini per ripianare un suo debito col Credito fiorentino, prestito a garanzia del quale fu messa un’ipoteca su alcuni beni immobili di Simonetta Fossombroni, moglie di Denis. Per il crac di quella banca Verdini è stato poi condannato a 6 anni e 10 mesi in appello, ora è in arrivo la Cassazione.

Che Salvini c’entri qualcosa nel divorzio tra Verdini e Angelucci? Le cose non sarebbero collegate. Risulta però che Denis e Matteo si siano visti almeno un paio di volte negli ultimi tempi. E quando il vicepremier è stato ospite di Francesca in una tenuta di famiglia a Firenze, un paio di weekend fa, Denis ha organizzato una cena in suo onore. Chi lo frequenta esclude un suo ritorno in politica: per ora darà una mano al candidato salviniano alle Comunali fiorentine, l’ex renziano Ubaldo Bocci.