Una platea più corta, una sala più stretta, una cena più sobria. Non è consigliata neppure la tipologia di abbigliamento. Milano depura l’associazione garantista “Fino a prova contraria” di Annalisa Chirico dagli eccessi di Roma. Appena tre mesi fa, tra cappotti dal taglio slanciato, pellame dai colori arditi, magistrati, avvocati, politici, lobbisti, senatori e deputati s’erano riuniti agli esosi tavoli (600 euro a sedia) del ristorante la Lanterna, sotto le volte in acciaio disegnate dall’architetto Fuksas, per discutere di “una nuova giustizia: un’impresa che serve all’Italia”.
Stavolta a Milano per la replica, il 7 maggio in villa Necchi Campiglio, in un tempio del decò degli anni Trenta, donato al Fondo per l’ambiente italiano, il raduno sarà più intimo – un solo giudice – e non meno politico.
Per educazione, le istituzioni salutano e per Chirico il saluto istituzionale, previsto in locandina, è abbondante e leghista o comunque di centrodestra: Matteo Salvini, il segretario del Carroccio, vicepremier e ministro dell’Interno, nonché amico di Annalisa che l’ha messo ai fornelli nel carcere di Bollate, proprio Matteo, il fautore della legittima difesa e l’indossatore di divise militari; Attilio Fontana, il governatore lombardo, autonomista, un uomo del Nord, un simbolo del Carroccio che fu; Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, l’ultima berlusconiana non arresa ancora al salvinismo. Assente Giuseppe Sala, il sindaco di centrosinistra.
Forza Italia ha lasciato ai leghisti anche la giustizia, l’utopia di una riforma. Adesso Chirico, che ha altri titoli, prende il posto di Niccolò Ghedini, che di mestiere è avvocato e non patisce la stessa passione salottiera. Chirico introduce Salvini nel vasto e spesso distorto agone del garantismo, in passato frequentato dai renziani, che serve ai rapporti, ai convegni e non fa male ai consensi.
Il gruppo degli oratori è ridotto, stampato sui volantini, ma non proprio ufficiale: l’avvocato Paola Severino, vicepresidente dell’Università Luiss, ex ministro della Giustizia; Marina Tavassi, presidente della Corte d’appello di Milano; Luciano Violante, ex presidente della Camera; Carlo Bonomi, capo di Assolombarda. Chirico ha invitato il pentastellato Alfonso Bonafede, il Guardasigilli, che ha declinato.
Per sfuggire a una inelegante commistione tra codice penale e tartine al caviale, tra pensose riflessioni e invasioni di parlamentari, a Roma diversi illustri ospiti – annunciati sul manifesto stracolmo di nomi – s’erano dileguati per i soliti, e spietati, sopraggiunti impegni. C’era l’intero Parlamento, una maggioranza schiacciante, adatta a riscrivere la Costituzione riscrivibile, non c’erano i Cinque Stelle che s’infuriarono con l’alleato Salvini e i vertici delle aziende pubbliche paganti e presenti (la campagna elettorale era lontana, dunque la polemica verace). Oltre a Luca Cordero di Montezemolo, Marco Tronchetti Provera, Flavio Briatore e Urbano Cairo, c’erano gli sponsor Eni, Poste, Enel e Fincantieri. A Milano ci sarà un monocolore leghista. Un giorno di lotta, un altro pure.