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Negare il cibo ai bambini: almeno questo ci farà svegliare?

L’ultima vergognosa vicenda che vede un sindaco della provincia di Verona umiliare una bambina, negandole il cibo che viene dato ai suoi compagni per la morosità dei genitori nel pagamento della retta, dimostra ancora una volta come gli amministratori leghisti che vogliono emulare l’intolleranza di cui fa quotidiano esercizio il loro leader, inadeguato ministro dell’Interno, Salvini, possano arrecare altrettanto danno alla società civile che dovrebbero governare in base ad ordinari principi di umanità e buon senso. Il sindaco ha anche la spudoratezza di dire che la cosa non doveva essere conosciuta per evitare strumentalizzazioni, perché rivela di non voler amministrare all’insegna della trasparenza. Se un amministratore non comprende che, fermo restando il diritto di agire per recuperare quanto di competenza dell’ente, è semplicemente inumano e inconcepibile far ricadere la colpa su un bambino, i cittadini dovrebbero trarne le relative conseguenze; almeno, così si spera.

Loris Parpinel

 

Proprio perché sono di sinistra, non voterò il Pd

È comprensibile la delusione degli elettori di sinistra che votavano Pd e hanno scelto il M5S alle ultime elezioni, ma mi sfuggono le motivazioni di chi adesso decide di ritornare sui propri passi. Forse comprendo di più chi è rimasto fedele al proprio partito come si fa con una squadra di calcio, o addirittura l’astensione. Emblematica di questo atteggiamento incoerente è l’intervista di Mauro Corona al Fatto, dove si leggono parole a dir poco contraddittorie.

Lo scrittore dice di volere ritornare a votare per il Pd per una questione di sentimenti, di “connessione”, perché lui è “di sinistra”. Però contemporaneamente afferma: “Non voto chi parla la lingua dei banchieri, chi ha tolto l’articolo 18, chi ha fatto il Jobs act, chi parla la lingua delle élite, non voto Zingaretti che come primo atto va a genuflettersi ai miliardi del Tav”. Per chi vota allora? Io al suo elenco aggiungerei: non voto per chi vota contro la Spazzacorrotti e contro il Reddito di cittadinanza insieme a FI, un partito col quale sembra essere troppo spesso sulla stessa lunghezza d’onda. Senza contare le attuali proposte di Zanda, che mi sembrano un altro carico da novanta, e il fatto che in quel partito gli “Etruschi” hanno ancora troppa voce in capitolo. Corona, e qualche noto artista, hanno pensato bene di fare questo tradimento (una sorta di “sveltina”) al loro partito, pretendendo da altri la “rivoluzione” (in meno di un anno e avendo tutti contro) che la politica di sinistra, con i suoi vari nomi e abiti, in decenni non aveva mai neanche pensato di fare. Ha ragione chi dice che le alternative, a sinistra, si costruiscono, ma ci vorrà del tempo, specialmente in un paese che non disdegna per niente la destra, e alla mia età forse non ne vedrò i risultati. Intanto non darò il mio voto al Pd proprio perché sono di sinistra, carissimo Corona.

Enza Ferro

 

Ilaria Cucchi: la forza di un’eroina tragica

Ilaria Cucchi ha finalmente dato degna sepoltura al fratello, avvolgendolo nel candido sudario della verità. Come Antigone, nella tragedia di Sofocle, non si rassegna a far smembrare il corpo martoriato di Stefano dai corvi della calunnia, della falsità. C’è un apparato potente e deviato dell’Arma dei carabinieri che impone omertà e dall’altra parte una famiglia a cui molti consigliano prudenza e sottomissione, nel nome della legge perversa dello scandalo, che il più forte sa sempre come schivare e ritorcere sul più debole.

Dopo 2.461 anni dalla prima rappresentazione di questa tragedia (442 a.C.), il grido di giustizia ha attraversato i secoli e unito due donne, due sorelle. Antigone e Ilaria hanno lottato, con la tenacia inestinguibile che solo le donne sanno esprimere e ci hanno mandato un messaggio potente: la giustizia per gli inermi è il massimo atto morale e politico di una comunità.

Massimo Marnetto

 

I giochi di potere che mettono in dubbio la democrazia

Abbiamo sempre avuto in Italia governi composti da più partiti, spesso con idee molto diverse se non contrapposte. Questo ha portato naturalmente a mediazioni sempre più al ribasso che per accontentare tutti finivano per rendere inutile se non dannosa l’azione governativa. Se a questo aggiungiamo che le forze politiche che componevano i governi erano perennemente in campagna elettorale e attenti a limitare lo spazio elettorale degli altri allora si può ben capire perchè il “sistema Italia” fa acqua dappertutto. Anche il governo attuale si sta infilando nello stesso vicolo cieco, principalmente perchè le forze politiche che lo compongono hanno visioni e interessi politici contrapposti, e in secondo luogo perchè la loro azione politica (almeno per la Lega) sembra più volta ad accrescere i consensi elettorali che a lavorare per risolvere i numerosi problemi del Paese. Insomma la sovranità dovrebbe, secondo la Costituzione, appartenere al popolo, ma c’è qualcuno che può infischiarsene del popolo e condizionare in tutti i modo gli eletti del popolo. Possiamo ancora pensare di essere in democrazia? Sinceramente qualche dubbio mi viene…

Leonardo Gentile

Calcio. Non basta la denuncia di “machismo” di Infantino: per le donne la strada è in salita

 

Gentile redazione, ho sentito poco fa alla radio che il presidente della Fifa Infantino ha ammesso che il mondo del calcio è “machista”. Era ora!, mi viene da dire ma, allo stesso tempo, mi fido poco delle sue promesse sul futuro “roseo”: le cose stanno davvero cambiando? O per le donne – giocatrici, dirigenti, giornaliste… – la strada è, purtroppo, ancora in salita?

Ornella Ticino

 

La strada, gentile Ornella, è ancora maledettamente in salita. Anche se l’autocritica del presidente Infantino è apprezzabile (“quello del calcio è un mondo ancora molto macho”, ha ammesso; e discriminatorio a più livelli se è vero che “nel vedere una donna africana e musulmana in una posizione importante nella Fifa, molti reagiscono scuotendo la testa”, con riferimento al segretario generale Fatma Samoura), come apprezzabile è il raddoppio dei premi stanziati per il Mondiale femminile che si svolgerà in Francia – ci sarà anche l’Italia – dal 7 giugno: 30 milioni, poca cosa in confronto ai 400 distribuiti al Mondiale uomini, ma meglio di niente. Va detto che il calcio femminile non arriverà mai, forse, a muovere lo smisurato giro di soldi generato dal calcio maschile; ma certo il suo sviluppo e la sua affermazione sono stati inibiti, fino a oggi, proprio dal machismo imperante, misto di ignoranza, prevenzione e disprezzo, di cui parla Infantino. Qualche anno fa – era il 2014 –, intervistato da “Report”, l’allora presidente Figc Carlo Tavecchio, testualmente diceva: “Noi siamo in questo momento protesi a dare una dignità anche sotto l’aspetto estetico della donna nel calcio; perché finora la donna si riteneva un soggetto handicappato rispetto al maschio, invece abbiamo riscontrato che sono molto simili”. Come a Super Quark: dopo la scoperta della scimmia simile all’uomo, la sbalorditiva scoperta della calciatrice simile al calciatore! La verità è che il calcio è ancora oggi regno di giornalisti alla Sandro Vessicchio (“Chiederei alla regia di inquadrare l’assistente donna, che è una cosa inguardabile. È uno schifo vedere le donne che vengono a fare gli arbitri”) e di ex calciatori alla Fulvio Collovati (“Quando sento una donna parlare di tattica, mi si rivolta lo stomaco”). E anche se il campionato del mondo alle porte farà da volano a tutto il movimento, la speranza è che il Mondiale donne in tv non si risolva nella solita moda usa & getta, tipo il delirio collettivo per Azzurra e la scoperta dell’amore per la vela che colpirono il Belpaese 35 anni fa. La strada è lunga. Incrociamo le dita.

Paolo Ziliani

L’Istituto Lucetta ovvero Matteo e Francesca di sera alla Scala

Lo spazio di questa rubrica è oggi appaltato al servizio rassegna stampa dell’Istituto Lucetta. Trasmettiamo, da pagina 5 del Corriere della Sera, il servizio “Coccole tra Francesca e Matteo”. Incipit: “Lei incede a occhi chini e un passo dietro al suo uomo. Matteo Salvini la guida tenendola per mano, quasi la tira (…) Francesca Verdini, abito nero e poco trucco, da cena elegante, però elegante davvero (mica come l’altra, ndr), entra alla Scala”. E com’era vestita? “In lungo, spalle e scollatura celati da una pudica stola, schiva con lo sguardo i fotografi. Non è Elisa Isoardi che, sbarcando con lo stesso Salvini a Venezia, attraeva i flash col pensiero e uno spacco da farfallina di Belén (sgualdrina, ndr). Francesca no, sembra aver studiato da fidanzata di ministro”. E che faceva la coppia felice? Si scambiava “effusioni da adultescenti. Lei cerca il contatto spalla a spalla mentre nel foyer brindano col sindaco, o cerca la sua mano, al concerto diretto da Chailly (…) Francesca gli accarezza la spalla, i capelli, lo bacia a più riprese”. Uno direbbe: prendetevi una stanza. Invece no: “Carfagna e Ruben si rallegrano perché, di solito, a tavola, sono gli unici teneroni. Seguono aneddotica e chiacchiere su lui che è dimagrito perché Francesca lo fa correre tutte le mattine. Tanta energia non era scontata (è vecchiotto, ndr)”. Chiude Diego Abatantuono: “Mi ha ricordato me e mia moglie 35 anni fa. Aveva la stessa faccia beata di chi sa di piacere all’amato”. Amor ch’a nullo amato d’altronde, certo, e in ogni caso – nel senso in cui si usa a Roma – ’sti gran cazzi.

Toh, ora il M5S riscopre le ideologie

L’ironia della sorte è quella cosa che fa sì che tu nasca sotto il segno della post-ideologia, che attorno a essa tu fondi la tua ragion d’essere politica, che sotto la sua egida tu ti trovi a raccogliere un popolo dalle istanze plurali e financo eterogenee che neppur troppo di rado finiscono per cozzare tra loro, che in sua difesa ti sobbarchi critiche di ambiguità, di doppiezza, di agnosticismo politico e morale. Critiche che ti valgono il sospetto, quando non il disprezzo di quelli che “sempre e per sempre dalla stessa parte li troverai”. Poi, un bel giorno d’aprile, dopo quasi un anno di salto a ostacoli al governo e a un pugno di settimane dalle elezioni europee, devi ritrovarti a capire che se c’è qualcosa che può salvarti, quello è proprio l’ideologia.

Stiamo parlando dei 5Stelle e vogliamo sgombrare subito il campo da equivoci: l’ideologia e anche la tradizione sono per loro natura mutevoli e capaci d’integrare le sollecitazioni che la Storia offre. E proprio in quest’attitudine ad adattarsi al tempo senza per questo negare se stesse consiste il segreto della loro sostanza imperitura. L’ideologia non è né più né meno che lo scheletro sul quale si tiene un corpo sociale, un corpo i cui muscoli, organi, tessuti potranno poi variare in base alle contingenze. È bene chiarirlo per tutti coloro che, al solo suono della parola ‘ideologia’, sono subito pavlovianamente sopraffatti dall’odore di naftalina.

Tornando a noi, il destino beffardo ha fatto sì che, dopo dieci mesi di alleanza di governo, o più correttamente di lotta nel fango con gli “amici della Lega”, i survivor dei 5Stelle siano giunti alla conclusione che, se la sinistra è morta e la destra è morta, beh anche loro non si sentono tanto bene. Intanto il loro partner Salvini, da buon orecchiante, ripete il ritornello che “le ideologie sono morte” ogni qualvolta gli serva per smorzare qualche polemica relativa alle sue frequentazioni, ma poi si tiene ben stretto il proprio scheletro ideologico di estrema destra. Così i pentastellati, con un occhio ai sondaggi e uno all’alleato-non alleato, sembrano essere arrivati alla conclusione che dotarsi di una “struttura ossea”, se non ideologica, sia inevitabile se si vuole sopravvivere nel mondo politico. Rivendicano i diritti civili (e sociali) come tratto irrinunciabile di una società degna di questo nome. Si dicono preoccupati, con Di Maio, per “questa deriva di ultradestra a livello europeo con forze politiche che faranno parte del gruppo con cui si alleerà la Lega, che addirittura, in alcuni casi, negano l’Olocausto”. Sottolineano l’irrazionalità di stringere intese con Paesi che non accettano la redistribuzione per quote dei migranti lasciandoci soli con la nostra emergenza. Impongono l’alt alla facilitazione dell’acquisto di armi per difesa personale e alle derive demenziali sulla castrazione chimica. E subordinano l’abbassamento della pressione fiscale al carattere “progressivo”, dunque costituzionale, della eventuale riforma tributaria spacciata per Flat Tax.

Bisogna anche dire che, sia pur camuffati dal mantra post-ideologico, provvedimenti come il reddito di cittadinanza e il decreto dignità, facevano già parte di quella spina dorsale che adesso, alla vigilia del voto europeo, viene dipinta come trovata elettorale. E non c’è dubbio che a istanze tradizionalmente “di sinistra” è riconducibile il senso originario delle cinque stelle che oltre 10 anni fa battezzarono l’embrione del Movimento: la tutela dell’acqua pubblica, della mobilità sostenibile, dello sviluppo, della connettività e dell’ambiente.

Ora ci si può indignare, come fanno in molti, per un’ideologia last minute, considerata meramente strumentale; oppure si può sperare, quali che ne siano i moventi, che il corpaccione pentastellato smetta una volta per tutte di dichiararsi invertebrato e tiri fuori la spina dorsale.

Walter Mapelli, un magistrato capace di ascoltare

Ha lasciato alla sua Procura queste parole: “Nel nostro tempo insieme ho cercato di ascoltare e comprendere, di perseguire l’interesse comune e di essere un punto di riferimento autorevole. La vostra crescita è stata la più bella e ammirevole risposta che potessi avere. Qualunque cosa succeda, continuate così: avete forza, qualità e un Aggiunto all’altezza. Un abbraccio dal profondo del cuore”.

È il commiato di Walter Mapelli, procuratore di Bergamo. Se n’è andato l’8 aprile, portato via troppo presto dalla malattia che lo inseguiva da anni. È stato comunque fino all’ultimo presente nella sua Procura.

Lo ricordiamo con la sua bicicletta e la sua borsa da tennis. Oppure seduto dietro la sua scrivania, prima nella sua stanzetta alla Procura di Monza, poi nell’ufficio di procuratore della Repubblica a Bergamo, sempre sorridente e un po’ sornione.

Un pm che ha lavorato a lungo con lui, Giordano Baggio, ricorda che quando erano entrambi alla Procura di Monza, ogni giorno, nel tardo pomeriggio, si ripeteva un rito: Mapelli entrava nel suo ufficio, si sedeva di fronte a lui, chiedeva: “E allora, come va?”. Tra una telefonata e l’altra, i due riuscivano poi a malapena a scambiare qualche parola.

“Non veniva per avere informazioni, ma per fare squadra”, ricorda Baggio. “Io all’inizio, venendo dalla riservata Procura di Torino, non sempre apprezzavo la sua ‘invadenza’. Ma poi, dopo che Walter era stato assente dall’ufficio per qualche giorno, cosa per il vero rarissima, ho capito quanto mi mancasse il suo saluto pomeridiano. Walter è il più forte antidoto naturale a una magistratura chiusa nel suo fortino giudiziario che io abbia mai conosciuto. E meno male che mi è stato somministrato”.

Mapelli era diventato esperto in reati finanziari. Aveva indagato sul crac Cirio, su Impregilo, sul fallimento Burago. Aveva raccontato la sua esperienza nel libro La democrazia dei corrotti (Bur Rizzoli), scritto nel 2012 con Gianni Santucci. L’anno prima, nel 2011, aveva avviato la grande inchiesta sul “Sistema Sesto” e sull’ex sindaco di Sesto San Giovanni, Filippo Penati (prima Pds, poi Pd), accusato da alcuni imprenditori di avere preteso tangenti per concedere i permessi per costruire sulle grandi aree industriali dismesse della ex Stalingrado d’Italia. I processi che ne seguirono furono tortuosi e le accuse a Penati si smarrirono per strada, tra assoluzioni e una prescrizione che cancellò le imputazioni più gravi.

Il capolavoro di Mapelli resta la caccia ai soldi Imi-Sir, “la più grande caccia al tesoro della storia italiana”, arrivata felicemente al traguardo dopo un viaggio (virtuale) che ha toccato gran parte dei paradisi fiscali e societari di tutto il globo, dal Liechtenstein a Cipro, dalle Isole del Canale alle Cayman, dalle Bahamas a Singapore, da Panama a Samoa, dalle Seychelles a Vanuatu. Fino a Labuan, l’isola della Perla di Sandokan…

L’Imi, allora banca di Stato, nel 1994 fu costretta a pagare 1.000 miliardi di lire alla Sir del petroliere andreottiano Nino Rovelli. La sua famiglia incassò il malloppo, grazie a una sentenza del tribunale civile di Roma. Ma era una sentenza comprata (dagli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora) e venduta (dal giudice Vittorio Metta). Mapelli si mise a caccia del malloppo, insieme alla pm Donata Costa e al maresciallo della Guardia di finanza Roberto Pireddu. E lo trovò.

Era un magistrato che lavorava con passione e capacità di ascolto. “Viveva la magistratura come impegno nella società civile”, ricorda l’amico Baggio, “senza mai essere noioso o retorico e andando sempre al sodo”.

L’antifascismo snob contro i bis-bis-nipoti

Nella sua rubrica L’Amaca, pubblicata da Repubblica, Michele Serra trova estremamente disdicevole, e quasi delittuoso, che Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia, abbia candidato alle Europee Caio Giulio Cesare Mussolini, bis-bis-nipote del Duce. Il solo cognome lo manda in deliquio e anche sul nome arriccia il nasetto perché ricorda quella romanità cui il capo del fascismo si ispirava (se potesse, il Serra, metterebbe ai ceppi, riesumandolo, anche Caio Giulio Cesare, quello vero di alea iacta est!).

Più che steso tranquillamente su un’amaca, Serra sembra seduto sui carboni ardenti e scrive: “Mussolini fu un dittatore, un razzista, un’icona del ridicolo e la rovina del suo popolo”. Che il fascismo sia stato una dittatura non è nemmeno il caso di ricordarlo, anche se meno spietata di quelle a lui contemporanee, ma portando pur sempre sulla coscienza il delitto Matteotti, l’assassinio in Francia dei fratelli Rosselli, lo spegnimento, intellettuale e fisico, in carcere di Antonio Gramsci, il fondatore del Partito comunista italiano, e l’orrore delle leggi razziali.

Mussolini poi, a differenza di Francisco Franco, ebbe la gravissima responsabilità di entrare in guerra con un alleato con cui non ci saremmo dovuti alleare e di perderla con tutte le conseguenze che ciò ha comportato. Altrimenti sarebbe morto tranquillamente nel suo letto, come Franco, invece di essere giustamente fucilato e poi appeso per i piedi a Piazzale Loreto, insieme a Claretta Petacci, ai gerarchi, quelli responsabili, quelli meno responsabili e altri di nulla responsabili, in una delle pagine più vergognose della nostra Storia che fece orrore agli stessi vincitori americani che allora erano parecchio diversi da quello che sono oggi.

La potenza retorica dei discorsi di Mussolini, che affascinò decine di milioni di nostri progenitori, può apparire ridicola oggi che sono passati tre quarti di secolo dal suo apogeo, ma allora non lo era affatto (per vedere il ridicolo nella retorica di Michele Serra non dovremo aspettar tanto, ci basta leggerlo oggi).

Il fascismo, con tutti i suoi errori e anche orrori, aveva in testa un’idea di Stato e di Nazione, che cercò di realizzare coerentemente. L’Iri, diventato nel dopoguerra un carrozzone democristiano, fu una risposta intelligente alla crisi del ’29, peraltro agevolata dal fatto che allora il mondo era molto meno “interconnesso”. La “battaglia del grano” (che probabilmente Michele Serra trova “ridicola”) era il tentativo, lungimirante, di trovare un equilibrio fra l’avanzante industrialismo e l’agricoltura, suggestione che sarebbe di capitale importanza recuperare oggi che il capitalismo industriale e finanziario sta assassinando intere popolazioni.

Del resto gli “anni del consenso” non me li sono inventati io. Michele Serra, che è un uomo colto, oltre che un uomo d’onore, avrà sicuramente letto Renzo De Felice e Denis Mack Smith.

Scrivo queste cose con tranquilla coscienza perché mio padre, Benso Fini, si fece quindici anni di esilio a Parigi, soffrendo la fame e la povertà come gli altri, pochi, fuorusciti, in nome della libertà. Se avessi la mentalità da sbirro di Serra andrei a controllare come si comportarono i suoi genitori e nonni durante il regime mussoliniano. Ma io non sono uno sbirro e l’obiettivo del mio articolo è altro.

Mi colpisce come, a 75 anni dalla fine del regime fascista, la sinistra radical chic e radical snob (“cuore a sinistra, portafoglio a destra”) si renda, essa sì, ridicola facendo il ponte isterico al solo sentir il nome di Mussolini, anche se di un bis-bis-nipote. Vorrei ricordare a Michele Serra che nel dopoguerra, quando le lacerazioni del conflitto erano ancora sanguinanti, né Rachele Mussolini, né i figli del Duce, né Edda Ciano furono mai toccati, non solo per la generosa intercessione di quel grande uomo che è stato Pietro Nenni, ma perché la sinistra era ancora una cosa seria e, più in generale, la collettività italiana era meno imbarbarita di quanto lo sia oggi, nell’anno di grazia 2019. Fa specie che una persona che ha un passato e un presente professionale del tutto rispettabile (ufficiale di Marina e dirigente di Finmeccanica) come Caio Giulio Cesare Mussolini sia messa alla gogna solo per il suo cognome da Michele Serra e da tutti i Michele Serra che abitano il nostro Paese, dando così piena ragione a Mino Maccari: “I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti”.

Biglietti e audioguide di Colosseo e Fori: “Ipotesi frode fiscale”

Perquisizioni della Gdf per un’inchiesta della Procura milanese per frode fiscale e turbativa d’asta su Mondadori Electa, casa editrice che si occupa di mostre e sul consorzio di cooperative CoopCulture, in relazione alla gestione della vendita dei biglietti e dei cosiddetti “servizi aggiuntivi” del Colosseo e di altri musei della Capitale. L’ipotesi di reato è frode fiscale, che sarebbe stata realizzata dal raggruppamento di imprese costituito dalla casa editrice (che si occupa anche di mostre e servizi correlati) e da CoopCulture. Un raggruppamento che gestiva i servizi di vendita di biglietti, audioguide e gadget di una serie di siti museali, tra cui il Colosseo con i Fori Imperiali e il Palatino. La frode, secondo l’accusa, sarebbe stata messa in atto attraverso un complesso meccanismo di “condivisione” di utili e perdite tra le due società del raggruppamento, per effetto del quale le stesse non avrebbero pagato l’Iva sulle prestazioni erogate. Da qui il presunto raggiro ai danni dell’Erario. Sulla vicenda dell’elusione Mondadori Enecta dice di aver concordato le regole nel 2003 con l’Agenzia delle Entrate di Milano. Sulla gara Consip del 2017 per la bigliettazione al Colosseo sostiene invece di non aver partecipato.

De Caro e Dell’Utri: 1.500 libri rubati

Un vero e proprio saccheggio quello ai danni della Biblioteca Girolamini di Napoli, con 1500 volumi rubati. L’ex direttore Marino Massimo De Caro è stato condannato nel 2013 a 7 anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per la sottrazione di centinaia di libri. Nell’inchiesta è stato coinvolto anche Dell’Utri, beneficiario di molti volumi. L’ex senatore – già condannato per concorso esterno a Cosa Nostra – è a processo per peculato. Si difende dicendo di non esser stato a conoscenza della provenienza illecita dei testi. 14 volumi provenienti dai Girolamini erano finiti nella sua disponibilità, tutti recuperati e restituiti dall’imputato, con l’unica eccezione di una edizione di “Utopia” di Tommaso Moro del 1518, “sparita”. L’affaire Girolamini è ricostruito anche sulla piattaforma tv Loft (www.iloft.it e app) nel format Disobbedienti condotto da Andrea Franzoso

Girolamini, i bibliotecari-eroi senza contratto da domani

Se c’è una storia capace di raccontare l’Italia com’è oggi, è quella napoletana dei Girolamini. Nella vicenda del direttore-ladro, messo lì da Marcello Dell’Utri, che saccheggia e devasta la Biblioteca statale, troviamo tutto: lo Stato che si squaglia, il servilismo dei giornali, il cinismo degli intellettuali, il dominio del mercato. E, non ultimo, il disprezzo per il lavoro e la sua dignità.

Lo conferma, in questi giorni, quello che sembra un triste epilogo per i tre veri eroi positivi di questa trama: i fratelli bibliotecari Mariarosaria e Piergianni Berardi e il loro collega Bruno Caracciolo. Da poche ore hanno ricevuto comunicazione della definitiva cessazione del loro lavoro: domani, venerdì 12 aprile, spirerà il loro ultimo contratto con la Randstad, l’impresa di lavoro interinale attraverso cui il ministero per i Beni culturali li impiega in Biblioteca.

Già, per quanto sembri pazzesco, i tre bibliotecari sono precari: un precariato lungo una intera vita di lavoro. Le loro vite professionali sono cadute nel buco nero che ha inghiottito i rapporti tra la Congregazione dell’Oratorio, la famiglia religiosa che gestiva il complesso fin dalla sua fondazione, e lo Stato italiano, proprietario del monumento e della biblioteca. Non è affatto chiaro cosa sia successo dalla parte del datore di lavoro: chi non ha versato i contributi, chi non ha regolarizzato i contratti, chi si è – insomma – preso l’enorme responsabilità di fare di questi tre lavoratori tre fantasmi? L’unico dato di fatto è che i tre lavoratori hanno onestamente i loro contributi per ben 49 anni.

Dopo che, nel 2012, sui Girolamini si abbatté il ciclone De Caro, i vari ministri e direttori generali hanno fatto ricorso alla magica scorciatoia dei contratti a termine: così ogni 3 mesi (quando andava bene ogni 6) i tre custodi dei Girolamini dovevano stare col patema d’animo di chi si vedeva licenziare, e poi (forse) riassumere. Fino a questo: che è stato presentato come l’ultimo giro.

E mentre Mariarosaria Berardi avrebbe ormai l’età pensionabile (e dunque potrebbe ricevere una pensione: ma da quando, e di quanto, nessuno lo sa), per gli altri due si apre la prospettiva di un vuoto. E in questo caso il vuoto significa non sapere letteralmente come sopravvivere.

Ogni ministro ha promesso che avrebbe trovato la soluzione. Alla fine Dario Franceschini accettò di provare una strada forse risolutiva: la legge Bacchelli, che è “un assegno straordinario vitalizio a favore dei cittadini italiani, di chiara fama, che abbiano illustrato la Patria con i meriti acquisiti nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’economia, del lavoro, dello sport e nel disimpegno di pubblici uffici o di attività svolte a fini sociali, filantropici e umanitari e che versino in stato di particolare necessità”. I requisiti ci sarebbero in pieno: la fama di questi umili bibliotecari ha fatto il giro del mondo. Essi non solo hanno testimoniato: resistendo agli ordini criminali di un loro superiore senza scrupoli, legato intimamente al peggio del potere italiano, e infine denunciandolo, hanno dimostrato di possedere quelle virtù civili che sono la vera cultura di cui questo Paese ha bisogno. Ogni volta che, in una scuola, i ragazzi mi chiedono di indicare un esempio positivo, li cito: perché erano i più deboli e i più fragili, e sono stati i più coraggiosi.

Ma meglio della Bacchelli sarebbe ovviamente una normale pensione: magari dopo che hanno finito di riordinare quella Biblioteca che così tanto ha ancora bisogno delle loro cure.

Ora il ministro Alberto Bonisoli ha la possibilità di agire, laddove tutti gli altri hanno solo parlato. La possibilità di dimostrare che, dalle sue parti, l’onestà è ancora un valore. Di provare che competenza, dignità e onore trovano ancora rispetto ai vertici dello Stato.

Resta ai domiciliari la donna incinta dello studente 13enne

Confermati gli arresti domiciliari per la donna di Prato indagata per aver avuto un figlio da un suo studente. L’accusa è di atti sessuali con minore e violenza sessuale per induzione, per i rapporti avuti con un ragazzo che ora ha 15 anni, ma che non ne aveva compiuti 14 al tempo dei fatti contestati. La donna gli dava ripetizioni per prepararlo all’esame di terza media e da lui ha avuto anche un figlio alcuni mesi fa. I giudici del tribunale del Riesame di Firenze hanno rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare presentata dai suoi legali, ribadendo quindi la validità dell’ordinanza del gip del tribunale di Prato, emessa per il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. L’indagine è stata avviata l’8 marzo in seguito alla denuncia presentata dai genitori del ragazzo. I legali della donna avevano chiesto la revoca dei domiciliari, anche perché intanto lei ha intrapreso un percorso terapeutico, ma la domanda è stata rigettata. Il 15 aprile si terrà l’incidente probatorio per sentire il minore che, secondo l’accusa, è stato vittima di violenza sessuale.