Saied eroe o golpista: la Tunisia non è più quella dei “gelsomini”

L’undicesimo anniversario della rivoluzione dei gelsomini, come è stata battezzata la rivolta popolare tunisina contro l’allora dittatore Ben Alì, anziché motivo di festeggiamenti, è diventato occasione di nuove manifestazioni pro e contro il presidente della Repubblica, il costituzionalista Kais Saied, che lo scorso 25 luglio ha congelato il Parlamento e avocato a sé il potere esecutivo governando a colpi di decreto.

Per questo c’è chi lo accusa di avere realizzato un golpe bianco e chi invece lo ritiene il protettore della rivoluzione, minacciata dalla corruzione degli islamisti. Le proteste, non solo a Tunisi, contro il docente di diritto costituzionale diventato capo dello Stato nel 2019, in realtà hanno visto la partecipazione di poche centinaia di persone. La maggior parte dei detrattori di Saied scesi in piazza è costituita da militanti – molti pagati –, del partito islamico Ennahda, affiliato alla fratellanza musulmana, che dalla rivoluzione fino alla sua vittoria alle elezioni di due anni fa è stato al governo senza occuparsi di portare la Tunisia fuori dalla crisi economica, senza preoccuparsi della corruzione dilagante, anzi adottandola come sistema per consolidare il potere acquisito, e senza cercare un modo per attrarre investimenti seri così da mitigare la disoccupazione che spinge migliaia di giovani a tentare di raggiungere le coste del nostro paese a bordo di gommoni e barconi. Negli anni scorsi molti ragazzi disoccupati, specialmente della zona di Kasserine, erano andati a combattere nelle fila dello Stato Islamico fino alla sua caduta per avere un salario decente, più che per motivi religiosi. La gestione negligente, per usare un eufemismo, della pandemia da parte di Ennahda è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso lo scorso luglio quando Saied ha avuto gioco facile a congelare un Parlamento molto frammentato e litigioso. Ma c’è il rischio che il braccio di ferro tra chi vede positivamente la decisione di Saied di trattenere nelle proprie mani il potere esecutivo e chi ne teme la deriva autocratica possa degenerare. A decidere del futuro della Tunisia saranno comunque i giovani che sono i veri protagonisti del malcontento. Sebbene quelli che sostengono Saied abbiano finora accolto con fiducia le sue rassicurazioni in merito alla lotta alla corruzione anche attraverso il colpo di mano non propriamente democratico, non vedono alcun cambiamento a breve termine per quanto riguarda il collasso economico dato che il presidente non ha finora dimostrato di avere un piano per fermarlo. Per molti tunisini, il problema più urgente è, per l’appunto, l’economia che sta scricchiolando sotto l’elevata inflazione, il debito vicino al 100% del Pil e il 18% di disoccupazione, il tutto aggravato dalla diffusione senza ostacoli del coronavirus.

I colloqui con i donatori internazionali per un quarto pacchetto di salvataggio, in un decennio, rimangono sospesi e aumentano i timori che il Paese possa essere insolvente, ma Saied ha dato la priorità alla riscrittura della Costituzione. Chi finanzierà questa lunga transizione e come verranno gestiti i risparmi del Paese nei prossimi mesi, non è dato saperlo. Giovedì scorso il Consiglio europeo ha accolto la tabella di marcia di Saied come “un passo importante verso il ripristino della stabilità e dell’equilibrio istituzionali”. Ma a Jebiniana, città storicamente laica e di sinistra, c’è molta delusione tra i giovani e non basta loro sapere che Saied abbia fissato al 2022 le elezioni anticipate per tornare alla normalità. Lunedì, l’ex docente universitario ha prolungato la sospensione del parlamento fino alle nuove consultazioni e ha annunciato un referendum a livello nazionale per elaborare una nuova costituzione, innescando nuove tensioni.

Se lo slogan dei manifestanti anti-Saied è “la gente vuole che il colpo di Stato finisca”, quello dei suoi seguaci è “la gente vuole che i corrotti vengano processati”. Il presidente Saied ha affermato più volte che la rivoluzione è stata dirottata da politici corrotti e ha ripetutamente proposto di modificare la costituzione del 2014, che aveva introdotto il sistema parlamentare-presidenziale ibrido fonte, a suo avviso, della loro ascesa. L’attuale Costituzione è stata giudicata come un compromesso storico tra Ennahda e i suoi oppositori laici. Youssef Cherif del Columbia Global Centers for North Africa nota che la maggior parte dei tunisini ha mostrato scarso interesse per gli ultimi annunci e che l’opposizione è “debole e divisa. C’è una minoranza attiva che ha espresso il proprio malcontento e continuerà a protestare contro qualsiasi mossa di Saied”. Intanto il collettivo ‘Cittadini contro il colpo di Stato’, guidato dall’attivista Jaouhar Ben Mbarek, che due giorni fa aveva dato il via a un sit-in a oltranza nel cuore della capitale, ha annunciato la sospensione dell’iniziativa per riorganizzarla al più presto in modo da consentire la resistenza in modo più efficace.

Formato in gran parte da simpatizzanti di Ennahda e della coalizione islamista radicale Al Karama, il gruppo chiede una tabella di marcia per la ripresa dei lavori del Parlamento, la difesa dell’attuale Costituzione e una data certa per elezioni legislative e presidenziali anticipate.

Allucinazione? No, tutto vero: è ricomparso pure il Tartufòn

Quando, giorni orsono restandone più che sorpreso, lo intravidi, pensai immediatamente di aver avuto un’allucinazione, cosa che però esclusi d’un subito poiché ne conosco la definizione clinica e in più ero completamente sobrio. Però, pungolato da un ragionevole dubbio, volli la certezza di non aver stravisto, quindi mi misi sulle sue tracce. Cioè, per la precisione, sulle tracce di colui che se lo teneva per la mano. Purtroppo il fatto s’era svolto nel vecchio centro del paese il cui dedalo di viuzze permette di eclissarsi in men che non si dica. Così, tra il decidere di partire all’inseguimento e il farlo veramente, mi giocai il tempo necessario e sufficiente a recuperare terreno e di lui non trovai più traccia. Di ciò non parlai ad alcuno, nemmeno in famiglia, temendo dileggi o commenti, tipo che certe curiosità se le può permettere solo chi ha ben poco da fare. Tuttavia il pensiero non mi abbandonò e per un paio di giorni non feci altro che ribattere quegli stessi passi e in quella stessa ora, sperando di rivederlo comparire. Vana speranza che mi portò quasi al punto di pensare di essermi sognato tutto. Vana speranza, ho detto, ma solo fino all’altro giorno quando, appeso al dito di un individuo mi è passato sotto gli occhi dandomi tutto il comodo di guardarlo e convincermi che era proprio lui. A quel punto l’ho comunicato in casa, sollevando in risposta una meraviglia non scevra di incredulità. Per affermazioni siffatte ci vogliono prove, lessi nel sottotesto degli sguardi. E anche fortuna, direi adesso. Fortuna che bacia e che mi ha baciato in fronte l’altro ieri perché, come dono dal cielo, l’ho ricevuto in regalo in cambio di un piccolo piacere fatto. Allora con orgoglio l’ho posto al centro del tavolo di casa, prova vivente, si fa per dire, che non mi sono né inventato né sognato niente: il mitico “tartufone”, o “tartufòn” per chi ha buona memoria, è ritornato anche tra di noi. C’est bon, nevvero ?

L’agiografia di Marchionne a Rai3: 112 minuti di laudatores

Non perdete tempo a guardare tutti i 112 minuti del documentario Rai sulla vita di Sergio Marchionne. Potete cominciare senza problemi dal minuto 61. A meno che non vogliate scoprire chi è più imbattibile (non i suoi collaboratori, perché è umano e comprensibile, ma imprenditori, qualche sindacalista, soprattutto giornalisti) nella gara a lodare, decantare e sbavare per qualcuno che, in quella prima parte del filmato, non ne avrebbe avuto certo bisogno: almeno per quanto riguarda la propria storia e, soprattutto, gli enormi benefici che ha assicurato alla famiglia Agnelli. Molto di più, invece, quel coro di laudatores gli sarebbe servito se il documentario avesse deciso di affrontare le sue responsabilità per le odierne e incerte sorti dell’auto in Italia e la fine della Fiat che fu, oggi feudo francese della Peugeot (e dello Stato transalpino). Non era quello, però, l’obiettivo dei suoi autori: se agiografia si deve fare, agiografia sia sino in fondo e senza cedimenti. Magari persino con tre brevissimi siparietti un po’ banali (e magari un po’ ingrati?) di John Elkann, e la rappresentanza della famiglia affidata di fatto a Lupo Rattazzi che pronuncia forse la frase più divertente, anche se più urticante per la storia dell’azienda: “Il capolavoro di acquistare Chrysler avvenne in un Paese nel quale la battuta era: se compri Fiat, sei sempre dal meccanico…”. Ma che cosa accade, invece, dal minuto 61? La ricostruzione della battaglia sindacale del gennaio 2011 e del referendum che segnò la sconfitta della Fiom. Molto spazio alle voci del dissenso, da Maurizio Landini a Marco Revelli (“Finì la storia della Fiat a Torino, o forse di Torino e della Fiat”), all’apparenza, ma con il gran finale affidato alle immagini di repertorio di Marchionne che afferma: “I diritti sono sacrosanti, ma se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo”. Come dire: onore e gloria al vincitore. E così sia.

Mail box

 

 

Quelli che si oppongono alla rivoluzione di Conte

Vi segnalo l’atteggiamento di alcuni parlamentari, che si sono sentiti offesi dalla precisazione fatta in tivù da Giuseppe Conte nel definire nuovi steccati sul Movimento 5 Stelle. Si sa, le malelingue e i seminatori di zizzania sono ovunque. Possibile che questi soggetti infantili si sentano offesi dall’affermazione che, a partire da oggi, non basterà più essere “onesti”, bensì anche “preparati” e “competenti” per svolgere compiti eccezionali e drammatici ai massimi livelli istituzionali? Quando si svezzeranno questi onorevoli, che vogliono mettere i bastoni fra le ruote a questa “rivoluzione gentile”?

Michele Mazzeo

 

I media sono il riflesso della nostra politica

Nella narcosi delle coscienze che sembra aver contagiato gli italiani al cospetto del governo, come un virus della democrazia, non desta alcuna reazione la dissimulazione dello sciopero generale relegato tra le notizie di second’ordine. Vien da riflettere che abbiamo l’informazione e il governo che ci meritiamo: seguiamo i giornalisti comprando i giornali su cui scrivono o guardandoli alla televisione. Eleggiamo i parlamentari che ci governano. Riflettono le nostre scelte, dunque siamo corresponsabili delle loro. Se cominciamo a vergognarcene, allora cambiamo le scelte di lettura quotidiana, di programmi tivù e, magari, di voto alle elezioni.

Melquiades

 

Amato al Colle sarebbe una scelta pessima

Carofiglio a Otto e mezzo dice la sua sul prossimo presidente della Repubblica, nominando Giuliano Amato. Travaglio gli ricorda che Amato fu il braccio destro di Craxi e in tale veste diede un contributo decisivo alle leggi ad personam in favore di Berlusconi e delle sue reti tivù. Dunque, una personalità che non rappresenta il rinnovamento della politica, bensì la restaurazione dell’ancien régime. Amato è anche noto come il signor “purtroppo”: quando era premier rispose così a una interrogazione parlamentare di Alleanza Nazionale sulla manifestazione gay a Roma nell’anno del Giubileo: “purtroppo c’è la Costituzione”. Quindi il candidato al Colle auspicato da Carofiglio si è espresso nel passato in modo poco rispettoso nei confronti della Carta, come se fosse un peso da sopportare quando invece il compito del capo di Stato è quello di avere il culto della Costituzione e di essere il garante delle norme che custodisce, perché rappresentano i valori più nobili della nostra civiltà.

Maurizio Burattini

 

Stato di emergenza: dov’è finito Cassese?

Da un po’ di tempo mi sorge una domanda: ma quell’eminenza grigia, super-esperto di Costituzione, quello che un anno fa si strappava le vesti per lo stato di emergenza dichiarato da Conte, oggi che fine ha fatto? Non esce più perché senza vesti? O si è ammutolito nella speranzosa attesa della nomina quirinalesca?

Gianfranco

 

Chi mi dà i soldi se resto bloccato all’estero?

Sono in vacanza a Fuerteventura, nelle Canarie, vaccinato e in ottima salute. Martedì, dopo una settimana qui, dovrei tornare in Italia ma apprendo che dovrò avere con me un tampone negativo. A parte il costo del tampone, quando sono partito non era così: non si poteva far partire tutto dopo una settimana, in modo che si applicasse a chi doveva ancora partire e che potesse rifletterci prima? Se per caso risultassi positivo, o falso positivo, che faccio, rimango a mie spese a Fuerteventura e perdo il volo di ritorno? Inoltre, se fossi positivo, non è detto che mi sia infettato qui, visti i tempi di incubazione: facciamo carico alla Spagna dei nostri problemi?

Stefano Zaccaron

 

Tutti i problemi dell’app di Autostrade per l’Italia

In questi giorni Autostrade pubblicizza l’iscrizione a un’app per chiedere un rimborso sul pedaggio nel caso di ritardi dovuti ai cantieri di lavoro, che impattano sulla fluidità del traffico. A parte la macchinosità del sistema che finirà per scoraggiare la maggior parte degli utenti, bisogna considerare poi che ci sono tratte non rimborsabili e non sono inclusi i cantieri per ripristini di sicurezza dovuti a incidenti. Vorrei ricordare che la causa principale di incidentalità sulla rete autostradale è attribuibile a restringimenti di carreggiata per cantieri di lavoro. Di fronte a questa ulteriore presa in giro degli italiani da parte di Autostrade, il Parlamento dovrebbe intervenire per imporre un cashback rapportato ai chilometri interessati dai cantieri.

Antonio Bovenzi

Mattarella-Draghi, finale di partita

 

 

“Io al Colle? Decide il Parlamento. Non è una domanda da fare a me, è offensivo nei confronti del Capo dello Stato”.

Mario Draghi, 29 settembre 2021

 

 

Mercoledì prossimo, 22 dicembre, alla inevitabile domanda nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, Mario Draghi potrà rispondere esattamente come fece tre mesi fa: sul prossimo presidente della Repubblica non decido io ma il Parlamento. Mentre non potrà mancare il rispettoso omaggio a Sergio Mattarella che, a sua volta, la sera del 31 dicembre si rivolgerà alle italiane e agli italiani per quello che quasi sicuramente sarà l’ultimo messaggio del suo settennato. Dunque nell’arco di nove giorni ne sapremo di più sul futuro delle nostre istituzioni? Difficile dirlo anche se entrambi i discorsi pubblici potrebbero fornire delle informazioni che forse non ci aspettiamo. Per esempio, al presidente del Consiglio che farà il punto sui dieci mesi trascorsi a Palazzo Chigi qualcuno di sicuro chiederà se con la corsa al Colle del gennaio/febbraio 2022 il governo Draghi riterrà esaurito il compito che esattamente un anno prima Mattarella gli aveva affidato. Poiché, con la campagna di vaccinazione che corre come un treno e con il Pnrr avviato su binari sicuri, delle due l’una. O sarà lo stesso Draghi a salire al Quirinale e, come prima incombenza, gli toccherà incaricare un altro premier per la formazione del nuovo governo. Oppure, sul Colle arriverà quel qualcun altro a cui Draghi chiederà un nuovo mandato con l’obiettivo di arrivare al termine della legislatura nel 2023. E, chissà che da queste risposte (magari ravanando tra le righe) non si possa cogliere qualcosa di meno generico sulle ambizioni di SuperMario. Quanto a Mattarella farà Mattarella: con il consueto stile sobrio, asciutto, con parole alte quanto si vuole il suo commiato, inevitabilmente concentrato sui sette anni trascorsi al vertice delle istituzioni, non potrà non contenere un viatico, o almeno un passaggio di testimone per i sette anni che verranno. Qualcuno arriva a ipotizzare una investitura indiretta cucita sulla figura di Draghi anche se non crediamo che il personaggio possa spingersi a tanto (pure se nominandolo premier egli era ben conscio che l’ascesa di Draghi al Quirinale, fino a quel momento assai quotata, si sarebbe per forza di cose complicata e, dunque, una qualche forma di ringraziamento potrebbe starci). Insomma, prepariamoci a un interessante finale dell’anno. E di partita.

Antonio Padellaro

Il professor Waltz e gli esperimenti per battere il tempo

Dai racconti apocrifi di H. P. Lovecraft Prima di fare quello che devo fare, penso sia opportuno lasciare una spiegazione. Mi piace vivere e detesto l’idea di farla finita, ma non c’è alternativa. Queste righe servano da monito ad altri uomini brillanti che tenteranno un esperimento simile al mio, ignari dell’esito. Ed è ironico che io sia spinto al suicidio dal tentativo di allungare la vita, la cui brevità mi ha sempre infastidito. Lascio ai progressi della geriatria il prolungamento dell’anzianità. A me interessava estendere gli anni pienamente operativi. Quale eredità artistica molto più ricca avremmo se Mozart avesse avuto anche solo una decade in più di esistenza produttiva! Volevo battere la trappola del tempo. E così cominciai le mie ricerche sul metabolismo corporeo. Testai le mie teorie su animali, prendendo note copiose e registrando le loro reazioni. Topi, cavie, e uno scimpanzé, che chiamai Ulisse. Il trattamento causò una trasformazione lenta, graduale, dei loro corpi. I cambiamenti, all’inizio non percepibili, dopo un po’ divennero evidenti. La loro salute migliorò in modo stupefacente. Ulisse aveva un ginocchio lussato dalla nascita, e poteva fletterlo solo di pochi gradi: dopo tre settimane, l’articolazione era perfetta. Il sogno della mia vita si stava avverando davanti ai miei occhi. Il mio errore fu la precipitazione. Iniettai la soluzione a me stesso prima delle verifiche necessarie. Come con i miei animali, all’inizio non notai alcun cambiamento, ma in breve diventai consapevole di una pace interiore, di una soddisfazione e di una energia crescenti. Allo specchio parevo ringiovanito di dieci anni. Non avevo più bisogno degli occhiali, e la mia digestione difficile adesso era perfetta. Un taglio di bisturi rimarginava in pochi minuti. Era il trionfo! Quei giorni gloriosi valgono, anche ora, tutto il resto. Seguirono eventi meno felici. Notai che gli animali avevano bisogno di più tempo per completare ogni compito. Mangiavano, giocavano, lottavano e facevano sesso, ma come se fossero in un film al rallentatore. Decisi di uccidermi dopo un incidente triviale. Diedi a Ulisse una banana, e gli ci volle un intero pomeriggio per sbucciarla. Sembrava così contento, e così beatamente inconsapevole della sua condizione rallentata, che cominciai a riderne. La mia risata diventò isterica, e terminò in un pianto dirotto. Questa lentezza, se posso usare una contraddizione in termini, accelerò. Eppure tutti gli animali erano al massimo della loro salute, il loro pelo era lucente, e i loro occhi brillavano di un entusiasmo non mitigato. A guardarli, però, sembravano impagliati, e io, senza dubbio, sarei presto diventato come loro. Contando le albe e i tramonti alla finestra, calcolai che mi ci volevano tre giorni per scrivere a macchina una parola di sei lettere. Per questo prenderò la pistola che tengo nel cassetto della scrivania, e mi farò saltare le cervella. Mi chiedo quanto tempo mi ci vorrà per farlo. Come dicevo, la situazione non è senza ironi

Qui termina il testamento del professor Waltz. La pagina, come potete vedere nel tableau vivant, è ancora infilata nella macchina da scrivere, che, come il tavolo, la sedia, e lo stesso professore, sono esattamente come furono scoperti nel suo laboratorio. Benché il professor Waltz sembri imbalsamato, non lo è. È vivo, in buona salute, e si muove. Il suo dito indice, in questo momento, si sta avvicinando al tasto della a finale di ironia, anche se a una velocità che può essere misurata solo con strumenti sofisticati. Il professore oggi ha 350 anni. Una copia di Ulisse in plastica può essere comprata, in varie grandezze, nel negozio del museo

 

Stati Uniti, Natale tra caldo record e allarme tornado

In Italia – Piogge battenti hanno interessato Marche e Abruzzo sabato 11 dicembre con allagamenti a Jesi e Senigallia, poi la metà del mese è trascorsa tranquilla, specie al Nord, coinvolto da un vasto anticiclone centro-europeo. Nell’aria stagnante a bassa quota si sono formate inversioni termiche e nebbie inquinate lungo il Po dall’Alessandrino al Delta, e inizialmente – nello scorso weekend – sulle pianure ancora innevate tra Piemonte ed Emilia le temperature minime sono scese talora a -10 °C mentre tepori anomali hanno regnato per diversi giorni in montagna con massime fino a 15 °C a 1500 m. Variabile e ventoso al Sud, ieri aria fredda dai Balcani ha portato la neve a quote di collina. Dove va l’ambiente italiano? Lo descrive il rapporto Ispra “Transizione ecologica aperta”: foreste e aree protette sono aumentate, grazie alle politiche ambientali la qualità dell’aria è migliorata – nonostante l’accumulo di inquinanti durante le alte pressioni come in questi giorni – le emissioni serra sono calate del 19% in un trentennio, il conferimento in discarica è passato da circa il 70% al 21% in vent’anni (tuttavia deve arrivare al 10% entro il 2030), ma l’ultimo decennio è stato il più caldo mai registrato, si investe poco contro il dissesto idrogeologico, ogni anno asfalto e cemento divorano 60 km2 di suolo e si usano ancora 114.000 tonnellate di pesticidi in agricoltura, spiagge e mari sono invasi dalla plastica e il pesce è sovrasfruttato. L’Italia resta dunque un Paese molto esposto ai cambiamenti climatici, i cui effetti si percepiscono già oggi. Roberto Mezzalama, con l’occhio rigoroso dell’ingegnere ambientale e uno stile giornalistico scorrevole, intervista protagonisti della ricerca e vittime di eventi estremi nel volume uscito per Einaudi Il clima che cambia l’Italia.

Nel mondo – Dicembre 2021 negli Stati Uniti verrà ricordato per le tempeste fuori stagione e il caldo eccezionale. La sequenza di tornado del 10-11 dicembre in Arkansas, Indiana, Kentucky, Missouri e Tennessee è stata la peggiore mai osservata nel primo mese dell’inverno, con 59 vortici censiti di intensità fino al livello EF4 (venti rotanti a 267-322 km/h), almeno 90 vittime, 76 delle quali in Kentucky, dove una sola tromba d’aria ha percorso ben 260 km, pure questo un primato decembrino. Tanta furia è stata il risultato del contrasto termico tra l’aria gelida in arrivo dal Canada e quella subtropicale dal Golfo del Messico, che a più riprese ha portato temperature pressoché estive con 35 °C in Texas proprio il 10 dicembre, e in seguito record nazionali di 22,2 °C nel Wisconsin e 25,5 °C nell’Iowa il giorno 15, poco prima che un nuovo potente fronte temporalesco – chiamato “derecho” in Nord America, e pure questo insolitamente tardivo – causasse altre distruzioni e cinque morti nel Midwest. Nasa e Noaa segnalano che novembre 2021 è stato il quarto più caldo nel mondo dopo quelli del 2015, 2019 e 2020 (+0,9 °C rispetto alla media del ventesimo secolo), ma perfino il più caldo in Africa. Il supertifone “Rai” si avvicina al Vietnam dopo aver colpito le Filippine con inondazioni e interruzioni di strade e linee elettriche: poco prima di toccare l’arcipelago era alla massima categoria 5 con venti oltre 300 km/h. Con una temperatura media di -10 °C, la prima decade di dicembre è stata la più fredda degli ultimi 84 anni a Helsinki (caso precedente nel 1937), ma si è trattato di un’anomalia isolata. Al contrario nel Grande Nord sono sempre più comuni gli estremi di caldo, come quello di 38 °C registrato a Verchojansk (Siberia) il 20 giugno 2020 e ora convalidato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale come record storico per tutta la regione artica. E all’osservatorio di Sodankylä (Lapponia) dal 2000 a oggi i primati secolari di caldo sono stati 32 volte più numerosi di quelli di freddo!

 

La potenza della grazia apre le porte, fa sussultare i feti, mette in moto i piedi

L’obiettivo di Luca è fisso su Maria. La vediamo compiere un gesto quotidiano, semplice, quello di alzarsi dal letto al mattino (Lc 1,39-45). Non c’era bisogno per il seguito della storia di questo dettaglio. E tuttavia ci appare prezioso, delicato. Viene in mente Morning sun di Edward Hopper, dove una donna al risveglio contempla la luce solare seduta sul suo letto. C’è un fermo immagine che dura un attimo, però. Il tempo di mettere i piedi per terra, ed ecco che Maria si mette in cammino in fretta verso la regione montuosa, quella della Giudea. Il passaggio è brusco, repentino: dal riposo notturno alla corsa verso i monti.

Va da sola. Dov’è Giuseppe? Luca non ce lo dice. Evidentemente siamo in un tempo nel quale ancora Maria non era stata introdotta nella casa del marito. Si muove come per un’intuizione, un’ispirazione. Non si spiegherebbero altrimenti i suoi movimenti rapidi, improvvisi. I piedi che dal letto morbido toccano i sassi dei monti. E però, considerando che comunemente la città verso la quale Maria si muove era Ain Karim, dobbiamo contare quattro giorni di cammino. Che cosa avrà fatto, Maria? Quali i suoi pensieri durante questo viaggio?

Luca stacca qui lasciandoci con le nostre domande. Riprende col farci vedere una porta che si apre: quella della casa di Zaccaria, marito di sua cugina Elisabetta. Maria la saluta. Non c’è spazio per le immagini qui. Abbiamo immaginato il piede di Maria, le montagne. Adesso entriamo in una casa. Si stacca il video. C’è solo audio. Solo voci. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. La cugina, considerata sterile, era incinta. Il bambino ascolta le voci d’ambiente, ovattate. Ma l’effetto è dirompente: la voce di Maria lo fa sussultare. Che cosa avrà avuto di speciale il tono di voce di Maria? Il bambino di Elisabetta è avvolto dal liquido amniotico. Il saluto di Maria lo attraversa. Il feto avrà percepito solo il tono.

Elisabetta vive il tempo dell’attesa. Maria portava dentro di sé l’Eterno. Il bimbo di Elisabetta sobbalza e la mamma, con le spinte che avverte, fu colmata di Spirito Santo e quindi esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Maria saluta, il bambino sussulta, Elisabetta esclama. Luca dipinge la scena con i suoni. Registra pure che Elisabetta – che si sente colmata, piena – alza il tono di voce. Questo gioco di echi gioiosi, pieni e in crescendo, è già vangelo, cioè “buona notizia”. Elisabetta sente che la visita della cugina non è una semplice espressione di cortesia, ma un momento divino. La cugina diventa solennemente la madre del mio Signore. È beata. Elisabetta, infatti, chiede: A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Non c’è risposta. Solo constatazione grata e riconoscente di un fatto: ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. Non c’è spiegazione: solo lode, amplificazione del sentimento, intuizione profetica tutta femminile, feconda. Questa è la potenza della grazia che mette in moto i piedi, apre le porte, fa sussultare i feti, fa esclamare a gran voce. Abbiamo disperatamente bisogno di questa grazia che ci visita e allarga il respiro della vita. Quale saluto è in grado di fare tutto questo? Quale messaggio?

Dio non è un motore immobile. Non è un orologiaio che fa girare le cose del mondo per il verso giusto. Dio interviene, visita, fa muovere i piedi, rende fecondo il grembo sterile della nostra umanità e ci regala la possibilità di esultare sin dalle viscere.

 

Libia, strane avventure nel paese che non c’è

È accaduto per puro caso che due notizie sulla Libia, molto diverse e anzi dedicate ad eventi opposti, siano apparse, negli ultimi giorni con la stessa evidenza. Il caso ha voluto che l’impaginazione fosse identica, titoli e fotografie.

Vediamo il primo articolo (inizio dicembre). Sono immagini di due navi di media portata, ciascuna in grado di trasportare elicotteri (si vedevano tre elicotteri su ciascuna tolda) e destinate a “rintracciare uomini in mare” che, come si sa, non sempre è per salvare, specialmente da parte libica. Si tratta di un dono della Repubblica italiana alla Repubblica libica che, all’inizio dell’estate, ha appena cambiato governo. Il Paese è ora condotto da Abdul Hamid Dbeibah, sconosciuto come il suo predecessore, inviato, come allora dalla Segreteria Generale dell’Onu senza che se ne sappiano titoli o ragioni. Ma ci devono essere se nei giorni seguenti la nomina di Dbeibah (subito dopo l’allontanamento del suo predecessore Al Serraj, molto celebrato e poi uscito in silenzio) alcuni importanti articolisti sono entrati in pagina per spiegare, chiarire e affidare alla migliore opinione pubblica il nuovo venuto. Ma il 16 dicembre titola la Repubblica: “Libia, sede del governo circondata alle milizie. A dieci giorni dalle elezioni tornano in azione i signori della guerra.”

L’evento stupisce perché il governo Dbeibah era stato subito sostenuto da importanti forze e importanti politici che avevano presentato il nuovo governo come la soluzione finalmente trovata. Entra in campo, in Italia, un nuovo influente collaboratore de la Repubblica, Marco Minniti (già ministro dell’Interno italiano), che scrive: “Lasciare oggi sola la Libia sarebbe un peccato imperdonabile. Tocca all’Europa, in una rinnovata sintonia transatlantica, sostenere il governo libico contribuendo così a segnare un nuovo assetto del Mediterraneo.”

Il giorno dopo, sul Corriere della Sera tocca al ministro degli Esteri Di Maio. Di Maio sottolinea che la Libia è fondamentale per i nostri interessi geostrategici. L’Italia si prepara a riaprire il Consolato di Bengasi, vuole riattivare l’Istituto di Cultura a Tripoli, pensa al vecchio progetto Leonardo/Finmeccanica per il controllo con droni e sensori del confine sud (dove passano coloro che sono sopravvissuti al deserto). Il nuovo primo ministro libico (in una pagina con foto di combattenti della Guardia Libica intenti a sparare verso chi guarda) è intervistato da Lorenzo Cremonesi, negli stessi giorni. Il nuovo capo del governo libico va senza imbarazzo al vero punto di tutto ciò che (a parte il legame col petrolio) lega l’Italia alla Libia in tutti gli aspetti e dettagli della vita di quel Paese. Dice infatti senza impaccio Dbeibah a Cremonesi: “Credo che la soluzione della crisi dei migranti (che, come si sa, non sono libici, ndr) possa venire dalla cooperazione tra noi e l’Europa. Il problema è non solo umanitario. Si devono aiutare i Paesi da dove la gente scappa” (la Siria, per esempio?). Chi vorrà rileggere con attenzione le citazioni dei vari importanti personaggi italiani e libici che, senza badare a russi, turchi, Egitto, milizia, mercenari e Haftar, che controllano tutto, parlano come se fossero gli azionisti di maggioranza di una nuova Libia (progetto Berlusconi) non saprebbero adesso spiegare l’ultimo titolo dei giornali italiani sulla Libia: “Libia, sede del governo circondata dalle milizie. Voto sempre più lontano.”

 

Il celeste neo-social fa il pieno di insulti

Lui pensava di far cosa gradita e invece l’hanno spernacchiato. Il Celeste Roberto Formigoni è tornato sui social: “Carissimi amici, sono felice di salutarvi e, spero presto, di riprendere rapporti normali”, attacca pur di riagganciare i fan orfani dei suoi post da tempo. Ma soprattutto per fare réclame alla sua ultima fatica letteraria con faccione in copertina e prefazione di Monsignor Ruini. “Si vergogni piuttosto”, tuona un internauta contro l’ex governatore ai domiciliari per aver asservito la sua funzione agli interessi dei colossi privati della sanità lombarda. Che se ne impipa e infatti e si rifà sotto: “Mancano dieci giorni al Natale. Vi ricordo di regalare il mio libro ai vostri amici”. A quel punto si scatena l’inferno e fioccano diecimila commenti. Al vetriolo: “Amici stocazzo, aridacce li sordi”, “dovresti scrivere le mie prigioni”, “in galera! Povera Italia…”. Pure quella sagoma di Pinuccio, l’inviato di Striscia la notizia, declina l’offerta di acquisto del Celeste: “Io regalo pigiami”, scrive alzando la palla a chi non vedeva l’ora: “Per Formigoni ci vorrebbe il pigiama a righe”.