L’undicesimo anniversario della rivoluzione dei gelsomini, come è stata battezzata la rivolta popolare tunisina contro l’allora dittatore Ben Alì, anziché motivo di festeggiamenti, è diventato occasione di nuove manifestazioni pro e contro il presidente della Repubblica, il costituzionalista Kais Saied, che lo scorso 25 luglio ha congelato il Parlamento e avocato a sé il potere esecutivo governando a colpi di decreto.
Per questo c’è chi lo accusa di avere realizzato un golpe bianco e chi invece lo ritiene il protettore della rivoluzione, minacciata dalla corruzione degli islamisti. Le proteste, non solo a Tunisi, contro il docente di diritto costituzionale diventato capo dello Stato nel 2019, in realtà hanno visto la partecipazione di poche centinaia di persone. La maggior parte dei detrattori di Saied scesi in piazza è costituita da militanti – molti pagati –, del partito islamico Ennahda, affiliato alla fratellanza musulmana, che dalla rivoluzione fino alla sua vittoria alle elezioni di due anni fa è stato al governo senza occuparsi di portare la Tunisia fuori dalla crisi economica, senza preoccuparsi della corruzione dilagante, anzi adottandola come sistema per consolidare il potere acquisito, e senza cercare un modo per attrarre investimenti seri così da mitigare la disoccupazione che spinge migliaia di giovani a tentare di raggiungere le coste del nostro paese a bordo di gommoni e barconi. Negli anni scorsi molti ragazzi disoccupati, specialmente della zona di Kasserine, erano andati a combattere nelle fila dello Stato Islamico fino alla sua caduta per avere un salario decente, più che per motivi religiosi. La gestione negligente, per usare un eufemismo, della pandemia da parte di Ennahda è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso lo scorso luglio quando Saied ha avuto gioco facile a congelare un Parlamento molto frammentato e litigioso. Ma c’è il rischio che il braccio di ferro tra chi vede positivamente la decisione di Saied di trattenere nelle proprie mani il potere esecutivo e chi ne teme la deriva autocratica possa degenerare. A decidere del futuro della Tunisia saranno comunque i giovani che sono i veri protagonisti del malcontento. Sebbene quelli che sostengono Saied abbiano finora accolto con fiducia le sue rassicurazioni in merito alla lotta alla corruzione anche attraverso il colpo di mano non propriamente democratico, non vedono alcun cambiamento a breve termine per quanto riguarda il collasso economico dato che il presidente non ha finora dimostrato di avere un piano per fermarlo. Per molti tunisini, il problema più urgente è, per l’appunto, l’economia che sta scricchiolando sotto l’elevata inflazione, il debito vicino al 100% del Pil e il 18% di disoccupazione, il tutto aggravato dalla diffusione senza ostacoli del coronavirus.
I colloqui con i donatori internazionali per un quarto pacchetto di salvataggio, in un decennio, rimangono sospesi e aumentano i timori che il Paese possa essere insolvente, ma Saied ha dato la priorità alla riscrittura della Costituzione. Chi finanzierà questa lunga transizione e come verranno gestiti i risparmi del Paese nei prossimi mesi, non è dato saperlo. Giovedì scorso il Consiglio europeo ha accolto la tabella di marcia di Saied come “un passo importante verso il ripristino della stabilità e dell’equilibrio istituzionali”. Ma a Jebiniana, città storicamente laica e di sinistra, c’è molta delusione tra i giovani e non basta loro sapere che Saied abbia fissato al 2022 le elezioni anticipate per tornare alla normalità. Lunedì, l’ex docente universitario ha prolungato la sospensione del parlamento fino alle nuove consultazioni e ha annunciato un referendum a livello nazionale per elaborare una nuova costituzione, innescando nuove tensioni.
Se lo slogan dei manifestanti anti-Saied è “la gente vuole che il colpo di Stato finisca”, quello dei suoi seguaci è “la gente vuole che i corrotti vengano processati”. Il presidente Saied ha affermato più volte che la rivoluzione è stata dirottata da politici corrotti e ha ripetutamente proposto di modificare la costituzione del 2014, che aveva introdotto il sistema parlamentare-presidenziale ibrido fonte, a suo avviso, della loro ascesa. L’attuale Costituzione è stata giudicata come un compromesso storico tra Ennahda e i suoi oppositori laici. Youssef Cherif del Columbia Global Centers for North Africa nota che la maggior parte dei tunisini ha mostrato scarso interesse per gli ultimi annunci e che l’opposizione è “debole e divisa. C’è una minoranza attiva che ha espresso il proprio malcontento e continuerà a protestare contro qualsiasi mossa di Saied”. Intanto il collettivo ‘Cittadini contro il colpo di Stato’, guidato dall’attivista Jaouhar Ben Mbarek, che due giorni fa aveva dato il via a un sit-in a oltranza nel cuore della capitale, ha annunciato la sospensione dell’iniziativa per riorganizzarla al più presto in modo da consentire la resistenza in modo più efficace.
Formato in gran parte da simpatizzanti di Ennahda e della coalizione islamista radicale Al Karama, il gruppo chiede una tabella di marcia per la ripresa dei lavori del Parlamento, la difesa dell’attuale Costituzione e una data certa per elezioni legislative e presidenziali anticipate.