Gualtieri, aumento ai dirigenti con il trucco del “purgatorio”

Sono lontani i tempi in cui l’ultimo sindaco di Roma in quota Pd, Ignazio Marino, annunciava una rimodulazione ragionata (al ribasso) del salario accessorio dei dipendenti comunali. Era il 2014 e, qualche migliaio di funzionari capitolini finirono per contestarlo rabbiosamente ai piedi del Marco Aurelio. Sette anni dopo, il ritorno dei dem in Campidoglio coincide con un primo ritocco degli stipendi (stavolta all’insù), a cominciare però dai soli dirigenti. Dopo aver previsto una nuova infornata di manager, il nuovo primo cittadino Roberto Gualtieri (che è anche assessore al Personale) ha inserito nelle 14 pagine della bozza del nuovo contratto collettivo integrativo dei dirigenti di Roma Capitale un aumento – di fatto – per quasi tutti gli apicali. A seconda della fascia di reddito, si potranno arrivare a toccare anche i 4mila euro lordi l’anno (circa 150-200 euro in busta paga) per profili che vanno complessivamente da 54mila a oltre 92mila euro l’anno.

Interessante andare a vedere l’escamotage con cui maturano questi aumenti – che non sono (solo) a pioggia – Oltre all’adeguamento al contratto collettivo nazionale, fermo in effetti dal 2010, è stata infatti creata una nuova fascia di dirigenti, sezioni che dunque passano da cinque a sei. La novità, di fatto, è rappresentata dalla nuova Fascia 1, definita “incarichi di studio”, che è la più bassa (circa 40mila euro l’anno) e viene definita dagli addetti ai lavori come una sorta di “purgatorio”. Qui, oltre ai manager in prova, verranno relegati quei dirigenti orfani delle loro mansioni, o perché indagati – diversi si trovarono in una situazione di inoperosità, ad esempio, nel 2015, dopo l’inchiesta Mondo di Mezzo – o perché non hanno raggiunto gli obiettivi minimi, o semplicemente perché esclusi dalle macrostrutture per motivi organizzativi o, perché no, politici. Tutti gli altri pienamente operativi si troveranno a compiere il tanto auspicato balzo alla fascia superiore. Dalla 1 alla 2, dalla 2 alla 3 e così via, ognuno per la propria competenza. Un salto che consentirà loro di passare rispettivamente a 54mila, 62mila, 72mila, 80mila e 92mila euro di retribuzione di posizione, cui si aggiungono l’indennità di risultato e, in rari casi, gli assegni ad personam. Il purgatorio dei “dirigenti cattivi”, avrà qualche ripercussione in termini di cassa, circa 1 milione di euro, secondo i primi calcoli.

Nella memoria di giunta n. 75 del 2 dicembre scorso, firmata da Gualtieri, si apprende che “permane una grave carenza di profili dirigenziali dato che, alla data odierna, a fronte di 235 posizioni presenti nella macrostruttura organizzativa, sono in servizio in Roma Capitale a vario titolo soltanto 155 dirigenti”. Insomma, a Gualtieri mancano 80 manager, di cui almeno 27 – come anticipato la scorsa settimana dal Fatto – arriveranno da altri enti o con incarichi fiduciari e gli altri saranno pescati dai concorsi che saranno via via indetti. La bozza dell’accordo sarà discussa questa settimana al tavolo con i sindacati.

Un sisma spaventa la Lombardia. Avvertito da Milano a Bergamo

Ieri mattinaalle 11.34 un terremoto ha scosso la Lombardia. Per l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia il sisma, durato qualche istante, ha avuto una magnitudine di 4.4 con epicentro a Bonate Sotto, paese di quasi 6mila abitanti in provincia di Bergamo. Alla prima è seguita un’altra scossa di assestamento alle 11.57 registrata a Osio Sotto, sempre nello stesso territorio. Attilio Fontana, presidente della Regione, ha confermato sul suo profilo Facebook che “al momento non abbiamo segnalazioni di danni a persone o cose”.

Mazzette sui posti letto. Architetto in manette

Tangentisull’ampliamento della terapia intensiva per i posti dedicati ai malati Covid. Per questo i carabinieri del comando provinciale di Catania hanno arrestato per tentata concussione l’architetto Daniele Inserra, direttore dei lavori del progetto per la realizzazione di 16 posti di terapia intensiva del Policlinico ‘Martino’ di Messina. Un lavoro finanziato dalla Regione Siciliana tramite l’ufficio del commissario delegato per l’emergenza Covid-19. La Procura distrettuale etnea, che ha coordinato le indagini, lo accusa di avere “chiesto 35mila euro alla ditta incaricata dei lavori, la Leil costruzioni Srl di Partinico (Palermo)”, con “l’implicita minaccia di non approvare un computo metrico di una variante dei lavori appaltati”.

Voto Provincia Pavia, indagine su “pressioni”

La Procura di Pavia ha avviato accertamenti su presunte pressioni esercitate alle elezioni provinciali di ieri. Il sindaco Mario Fabrizio Fracassi è stato sentito come persona informata sui fatti. Al voto erano attesi 2.141 amministratori chiamati a scegliere tra i due candidati, entrambi della Lega: Giovanni Palli, sindaco di Varzi e Angelo Bargigia, primo cittadino di Marzano. Palli è sostenuto da Lega, FdI e Forza Italia, mentre per Bargigia si sono schierati diversi esponenti del Carroccio. Fracassi ha parlato di “consiliatura sotto scacco” per la richiesta di votare Palli con la prospettiva, in caso di mancato appoggio, di veder bocciato il bilancio del Comune. Da qui il lavoro della Procura per capire se ci siano state pressioni non consentite.

Graziano Mesina, fine della fuga. Catturato il “re delle evasioni”: 22 tentate, 10 riuscite

Ci sono i banditi sardi. E poi c’è Graziano Mesina, di Orgosolo, 79 anni, detto Grazianeddu, detto il Re del Supramonte, accerchiato e preso dai Cacciatori di Sardegna l’altra notte per la centesima volta. Era nascosto dentro l’ombra di un paese di famiglia: Desulo, fatto di tre rioni, 2 mila anime arrampicate a mille metri d’altezza, tra Orgosolo e la collina delle Tre croci, come nei romanzi di Salvatore Satta, dove solo i morti parlano.

Dormiva vestito, come fanno i fuggitivi. Ha aperto gli occhi davanti alle pistole e alle divise. Ha sospirato. E non ha detto una parola, perché non c’era niente da dire. Specie per uno di pelle dura come lui, cinquant’anni di galera sulle spalle, i processi, ventidue evasioni tentate, dieci riuscite. Migliaia di giorni passati ad aspettare, imprigionato sempre, anche quando libero. Viveva nascosto da un anno e mezzo, uscito sotto il sole di luglio 2020 per decorrenza termini del suo ultimo processo, condannato a 24 anni per traffico di droga, accusa che considera infamante anche per uno con la sua storia fatta di sassi e ghiaia. Le sue carte giudiziarie risalgono al mondo in bianco e nero degli Anni Cinquanta, quando la Sardegna ancora navigava al largo del Continente e i ragazzi italiani di leva la consideravano un esilio. Nasce servo pastore. Orfano a 12 anni, capofamiglia di dieci fratelli e della madre. Coraggioso, carismatico, spietato. Il suo primo arresto a 14 anni perché gira armato di fucile in paese. I primi fuochi quando a 20 anni entra al bar Cavanedda di Orgosolo per vendicare la morte del fratello, spara e uccide. Lo prendono. Si lancia dal treno per evadere. Un’altra volta evaderà scalando il muro del carcere di Sassari. Un’altra con le armi in pugno. Capace di nascondersi due giorni dentro una condotta dell’acqua. E di rimanere una notte intera in cima a un ulivo. I carabinieri che gli danno la caccia gli attribuiscono non meno di cinque sequestri di persona, molte vendette, molti conflitti a fuoco, una banda di almeno trenta soldati. Una “Confraternita cavalleresca”, dirà la mistica del banditismo. Ma naturalmente è sopruso dei più forti sul debole. Quando nel 1992 il bandito guevarista Matteo Boe, sequestra il piccolo Farouk Kassam, 7 anni, l’orecchio tagliato, Mesina, scende dal cielo dei banditi veterani, per trattare la liberazione. Ci riesce. Dirà: “Senza il mio intervento il bambino non sarebbe mai tornato”. Il presidente Ciampi gli concederà la grazia nel 2004. Diventa guida turistica a Orgosolo. Sembra la fine di tutte le storie, il tempo delle interviste, della biografia che tanti anni prima gli aveva offerto persino Montanelli.

Erano le tre di notte, quando lo hanno preso. Nessuna finestra del paese ha aperto gli occhi sulla sua sconfitta, nonostante gli ordini gridati dai carabinieri, le porte sbattute, le luci blu che lampeggiavano sulle stradine a illuminare i murales anche loro muti. Il bandito torna in carcere, forse con il suo ultimo sipario: nemmeno la vecchiaia come via d’uscita.

“Sui Boeing titanio meno resistente”: Leonardo denuncia

La Guardia di Finanza di Brindisi ha sequestrato nello stabilimento di Leonardo a Grottaglie (Taranto) numerosi pezzi destinati alla produzione di alcune sezioni delle fusoliere del Boeing 787, realizzati per il gruppo da due società, la Processi Speciali e la Manifacturing Process Specification (Mps). Secondo la Procura – che ha disposto il provvedimento nell’ambito di un’inchiesta che vede otto indagati per frode e attentato alla sicurezza dei trasporti aerei – le fusoliere e le basi dei pavimenti sequestrati sarebbero state fatte utilizzando materiali difformi per “qualità e provenienza” rispetto a quelli previsti.

Secondo i pubblici ministeri, sarebbe stata “stabilmente utilizzata componentistica strutturale in metallo acquistando il materiale grezzo da fornitori non certificati da Leonardo”. Nella fattispecie, al posto della lega di titanio indicata dal committente sarebbe stato utilizzato titanio di grado 2, che ha “proprietà meccaniche e di resistenza strutturale largamente inferiore”. Leonardo, che risulta parte offesa, aveva sporto querela il 7 dicembre.

Restò paralizzato sul lavoro: il capo simulò incidente

Ha continuato a “coprire” il capo e i colleghi nonostante fosse rimasto paralizzato. Loro invece avevano simulato un incidente stradale, con tanto di auto pirata, per nascondere il suo infortunio sul lavoro. La Procura di Genova ha indagato il titolare di una ditta di Asti che si occupa di manutenzioni stradali e i suoi dipendenti oltre che la stessa vittima. I fatti risalgono a ottobre 2018. Alcuni operai erano impegnati sulla A12, tra i caselli di Chiavari e Lavagna. Dopo l’incidente, il 32enne era stato ricoverato in ospedale in gravissime condizioni, poi rimasto paralizzato. Gli investigatori della polizia stradale hanno acquisito tutte le telecamere e a quell’ora, poco dopo le cinque del mattino, hanno notato una sola vettura passare su quel tratto. Nei mesi successivi in una telefonata anonima in Procura ha raccontato tutta un’altra storia. L’anonimo ha spiegato di avere saputo che la vittima era caduta dal viadotto ‘rio Rezza’ mentre usava un macchinario che si era ribaltato. I colleghi lo avevano preso, caricato su un furgone, e portato in strada simulando l’incidente.

Torino, gru cade su palazzo: tre operai uccisi “Abbiamo fatto una strage, sono tutti morti”

C’è un’autogrù gialla, col suo braccio meccanico telescopico, e una gru blu, di quelle che svettano sui cantieri. Alcuni operai sono al lavoro per terminare il montaggio di quest’ultima, che servirà per i lavori di ristrutturazione di un condominio al civico 107 di via Genova, a Torino, a pochi passi dal Lingotto. Sono circa le 10 del mattino quando la gru blu inizia a tremare. Qualcosa cede e la gru cade prima su un palazzo e poi per strada. Alcuni operai al lavoro precipitano con lei: Roberto Peretto, 52 anni, e Marco Pozzetti, 54 anni, muoiono sul colpo; un terzo, Filippo Falotico, appena 20 anni, viene ricoverato al Centro traumatologico ortopedico e muore poco dopo. “La gru è caduta, abbiamo fatto una strage. Sono morti tutti – urla un operaio al telefono, in un video realizzato da un passante e diffuso dall’Ansa –. Sono morti i gruisti, i tre montatori”. Sono momenti di disperazione. Ci sono altri feriti, un altro gruista (in codice giallo, non grave) e due passanti. L’operaio al telefono dice che “la gru è caduta, non so cosa sia capitato”. “Da un primo accertamento c’è stato un cedimento strutturale che ha comportato, in cascata, il crollo della struttura reticolare”, ha spiegato Agatino Carrolo, comandante provinciale dei vigili del fuoco, intervenuti per estrarre i cadaveri dai blocchi di cemento. Ad approfondire le cause sarà l’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore Giorgio Nicola, che sta per assegnare una perizia tecnica a docente del Politecnico, Giorgio Chiadussi. In una città puntellata dai cantieri, la morte di tre operai richiama il rogo all’acciaieria della Thyssenkrupp per il quale, 14 anni fa, morirono sette operai. “Non voglio morire”, la frase che si sente nel filmato dell’Ansa, è la stessa che si sente nella prima telefonata al 118 fatta da un operaio della Thyssen nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007. Si sospetta (ma è un’ipotesi da verificare) che l’incidente sia dipeso dalla fretta per completare i lavori in modo da ottenere il superbonus. “Non vorremmo ritrovarci ancora una volta di fronte all’ennesima strage nei cantieri legata a tempi e modalità di lavoro – affermano il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini e il segretario nazionale della Fillea Alessandro Genovesi –, dove la fretta e la velocità eccessiva aumentano i rischi, dove la ripresa fa sempre più rima con incidenti e lavoro nero a fronte di una domanda di lavori superiore alla capacità delle stesse imprese”.

Spatuzza ai pm: “Costanzo ostacolo come Borsellino”

L’attentato contro Maurizio Costanzo va assimilato a quello contro Borsellino per il suo scopo ‘politico’. Parola del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che ha detto questa sua tesi in un interrogatorio del 24 settembre 2020 davanti ai pm di Firenze che indagano su Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri per l’ipotesi (tutta da dimostrare) che abbiano avuto un ruolo di ‘mandanti esterni’ per le stragi di Firenze e Milano del 1993 e gli attentati di Roma del biennio 1993-1994.

Il verbale è inedito ed è stato depositato con ampie parti omissate il 14 dicembre scorso al Tribunale del Riesame di Firenze dai pm. Quando i procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli chiedono a Spatuzza lo scopo dell’autobomba esplosa in via Fauro il 14 maggio 1993, si sentono rispondere: “La finalità dell’attentato a Costanzo era l’uccisione del predetto, non un atto dimostrativo”. Totò Riina, il capo di Cosa Nostra, aveva già ordinato ad altri in passato di pedinare a Roma e poi sparare al conduttore nel 1992. Poi Riina ordinò lo stop e avviò la stagione delle stragi spettacolari a Capaci il 23 maggio 1992.

Spatuzza spiega così nel 2020 il movente delle stragi del 1993 e il cambiamento della tecnica: “Se nel 1992 Costanzo era un nemico di Cosa Nostra che si vuole vendicare per gli attacchi subiti da lui in televisione, e per questo va ucciso con le armi, così da mettere la firma, nel 1993 invece è prevista l’utilizzazione nei confronti di Costanzo dell’esplosivo e da ciò deduco che questa azione si è collocata nell’ambito di quello che ho prima definito un’unica strategia del colpo di Stato con metodi terroristici (…) Credo si debba fare un’assimilazione con l’attentato di via D’Amelio: come Paolo Borsellino era un ostacolo alla Trattativa, Costanzo rappresentava un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi che con la strategia stragista si dovevano perseguire e per tale ragione si è fatto ricorso all’impiego dell’esplosivo abbandonando l’impiego delle armi leggere”. Spatuzza fa deduzioni e di più non sa e non dice.

Poi i pm, per capire meglio la strategia a lui riferita dal boss, gli chiedono del famoso incontro al Bar Doney con Graviano nel gennaio 1994. Sulla datazione dell’incontro e sulla presenza a Roma in quel gennaio 1994 di Dell’Utri, i pm hanno depositato anche lo stralcio di un’informativa del 2011 della Dia di Firenze. La Dia da un lato ricostruisce le date della presenza di Dell’Utri alla vigilia delle elezioni del 1994 a Roma, in particolare all’hotel Majestic di via Veneto, situato a poche centinaia di metri dal Doney. Dell’Utri è registrato al Majestic nella notte del 18 gennaio. Nell’informativa la Dia riporta le celle telefoniche impegnate dal telefonino di Spatuzza che lo localizzano nella zona di Roma dal 18 al 21 gennaio. Spatuzza ha sempre detto di essere andato dopo l’incontro al Doney, con Graviano, a Torvaianica, una frazione di Pomezia. La Dia ipotizza quindi che la data più probabile dell’incontro Spatuzza-Graviano al Doney sia il 21 gennaio del 1994 perché alle 11 e 21 di quel giorno il telefonino di Spatuzza aggancia la cella di Pomezia.

La cronologia potrebbe essere questa: il 18 notte Dell’Utri dorme al Majestic dove si fanno le riunioni per le liste di Forza Italia. Tre giorni dopo, il 21 mattina è probabile che Spatuzza incontri Graviano al bar Doney di via Veneto dove gli avrebbe riferito, a suo dire, l’accordo con Dell’Utri e Berlusconi e gli avrebbe dato l’ordine di colpire allo stadio il 23 gennaio. Ovviamente la presenza di Dell’Utri in via Veneto pochi giorni prima potrebbe essere una coincidenza. L’attentato allo stadio fallisce e il 27 gennaio c’è l’arresto di Graviano a Milano. Il giorno prima, 26, ancora una coincidenza, Berlusconi, annuncia la sua discesa in campo.

Tornando al verbale di Spatuzza, i pm chiedono “in ordine alle informazioni da lei ricevute da Giuseppe Graviano nel corso dell’incontro al bar Doney in Roma. Lei ha riferito di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri come dei soggetti con i quali l’accordo si era concluso, che Graviano le aveva detto che i due erano persone più che affidabili, che l’attentato ai Carabinieri allo stadio Olimpico doveva essere portato a compimento nei termini programmati perché ‘gli dobbiamo dare il colpo di grazia’. Può dirci come entrano le stragi nell’accordo? Nello stesso rientrava la realizzazione delle stragi? A cosa doveva servire l’attentato all’Olimpico?”. Spatuzza in realtà ripete concetti già espressi come: “Graviano disse che serviva portarci dietro un po’ di morti così si ‘davano una scossa’; aggiunse che c’era in piedi una cosa che se andava a buon fine ne avremmo tratto dei benefici anche per i carcerati”. Poi precisa: “Entrammo nel bar Doney, Graviano era tranquillo ed euforico e mi disse come ho più volte riferito ‘abbiamo il paese nelle mani’ (…) l’attentato doveva servire per dargli il colpo di grazia. Nel senso che già la vittima, intesa come lo Stato, al 90 per cento era spacciata, occorreva rafforzare quello che noi avevamo già nelle mani e cioè l’accordo con Berlusconi e Dell’Utri”.

I pm chiedono: “Graviano le disse se aveva incontrato Silvio Berlusconi e-o Marcello Dell’Utri o comunque lo comprese se vi fosse stato l’incontro?”. Risposta di Spatuzza: “No, non mi disse di aver incontrato tali persone ma da come era euforico posso dire che qualcuno poco tempo prima gli aveva dato informazioni che lo avevano reso così”. Spatuzza non è stato ritenuto attendibile sull’incontro al Doney dalla Corte di Appello che ha poi condannato Dell’Utri nel 2010 per concorso esterno in associazione mafiosa ma lo ha assolto per i fatti dopo il 1992. La sentenza di Cassazione contro Dell’Utri colloca Berlusconi come una vittima e non come un imputato. Ciononostante non è una medaglia per un candidato al Quirinale.

La sentenza è stata depositata al Tribunale del Riesame dai pm di Firenze per puntellare i sequestri presso terzi e l’accusa contro Dell’Utri e Berlusconi per le stragi del 1993. Nella nota di deposito del pm Tescaroli è riportato un estratto che resta attuale. La Cassazione nel passaggio citato dal pm descrive “un accordo che prevedeva la corresponsione da parte di Berlusconi di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione accordata da parte di Cosa Nostra palermitana. Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti che ad esso avevano aderito grazie all’impegno profuso dal Dell’Utri”.

Emergenza? I renziani si mettono a tavola in 450

Da inizio dicembre hanno invitato iscritti, militanti ed eletti da tutte le province della Toscana. Serviva un evento in grande stile. Nonostante la nuova emergenza pandemica. E così sarà: questa sera al Tuscany Hall di Firenze, ex teatro Tenda, Italia Viva ha organizzato una grande cena di Natale con Matteo Renzi, Ettore Rosato, Teresa Bellanova e Stefania Saccardi (vicepresidente della Regione Toscana) per scambiarsi gli auguri, fare il punto della situazione politica e parlare del futuro del partito. Ciò che salta agli occhi però è il numero dei partecipanti. Non sarà una cena riservata per pochi intimi ma a prenotarsi sono state 450 persone che pagheranno 25 euro per cenare a pochi passi da Renzi. Un numero esorbitante proprio nelle ore in cui la variante Omicron fa paura, i contagi crescono pericolosamente e si parla già di limitazioni per il cenone di Natale e Capodanno. Ma per Renzi e i suoi questo non è un problema. Fonti di Italia Viva assicurano che tutto sarà fatto “rispettando le norme anti-Covid e in estrema sicurezza”.

Una ventina di volontari si occuperanno della registrazione e controlleranno il Super green pass all’ingresso: non basterà, dunque, il tampone ma servirà essere vaccinati. I tavoli saranno da undici persone e il menù a base di tortino, risotto, spinaci e zuppa inglese per concludere. Al termine della cena parlerà Renzi che farà riferimento anche alle prossime mosse di Italia Viva in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica e proverà a spronare i suoi visto che il partito viaggia intorno al 2% nei sondaggi e sul territorio latita. Resta il fatto che, nonostante tutte le precauzioni, in questo periodo organizzare una cena da 450 persone è quantomeno rischioso. E bizzarro, mentre si chiedono sacrifici ai cittadini.