Deutsche Bank sarebbe pronta ad un aumento di capitale tra i 3 e i 10 miliardi di euro per prepararsi alla possibile fusione con Commerzbank, di cui il governo è azionista al 15%. L’indiscrezione è del Financial Times e ipotizza che il governo tedesco vorrebbe che Deutsche Bank raccogliesse più capitale possibile in modo da evitare che il gruppo che nascerà dalla fusione sia costretto a tornare sul mercato subito dopo l’operazione. Dall’istituto di Francoforte è arrivata secca la smentita, proprio mentre le azioni di Deutsche Bank stavano scendendo: “Per essere chiari, non ci sono state discussioni nel consiglio di gestione di Deutsche Bank circa un aumento di capitale in relazione a una potenziale transazione con Commerzbank. Ogni speculazione di questo tipo è errata. Peraltro, non abbiamo neppure deciso se fare una transazione con Commerzbank”. Per stimare l’entità di un aumento di capitale per l’acquisizione di Commerzbank, il quotidiano economico tedesco Handelsblatt, citando fonti finanziarie, sostiene che l’aumento potrebbe aggirarsi tra i 3 e i 5 miliardi. Anche perché l’istituto dal 2008 ha chiesto ai suoi investitori già sei volte di intervenire per una cifra pari a circa 33 miliardi di euro.
Banche, offensiva Lega-5S: “Roma chieda danni all’Ue”
La mossa è ardita e potrebbe aprire scenari inediti nei rapporti tra l’Italia e Bruxelles e nella gestione europea delle crisi bancarie. Con una mozione depositata ieri in Senato, Lega e M5S vogliono impegnare il governo a chiedere i danni alla Commissione europea per i disastri avvenuti a seguito dello stop al salvataggio di Banca Tercas. Il testo, a prima firma Daniele Pesco (M5S), presidente della commissione Bilancio, è stato sottoscritto da 87 senatori di maggioranza. L’iniziativa è avallata dai massimi vertici e sarà calendarizzata nella riunione dei capigruppo la prossima settimana. Nel giro di un mese potrebbe approdare in aula. Nel frattempo si cercherà di coinvolgere anche gli altri partiti.
La mozione parte dalla sentenza con cui il Tribunale Ue ha dato torto alla Direzione Concorrenza guidata da Margrethe Vestager: i soldi usati dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), che sono delle banche, per aiutare Popolare Bari a caricarsi la disastrata Tercas non erano aiuti di Stato. Lo stop di Bruxelles arrivò a dicembre 2015, ma – ricorda la mozione – ebbe un peso decisivo nel bloccare l’uso del Fitd, già deliberato, per salvare le 4 banche (Etruria, Marche, CariFe e CariChieti) poi mandate in “risoluzione” dal governo Renzi con l’azzeramento, oltreché degli azionisti, anche degli obbligazionisti subordinati in ossequio alle norme Ue sugli aiuti di Stato. Nell’operazione venne poi fissato per decreto un “prezzo” assai basso per i crediti deteriorati delle 4 banchette (il 17,6% poi rettificato al 22%), automaticamente diventato quello di riferimento per l’intero comparto bancario, che in Borsa perse il 60% in pochi mesi. Secondo l’Abi, l’associazione delle banche, il costo di quel salvataggio è salito dai 2,2 miliardi stanziati dal Fitd a oltre 5. A cui vanno aggiunti i 780 milioni degli obbligazionisti, in parte rimborsati con soldi delle banche. La decisione Tercas ha impattato anche nella gestione della crisi delle due Popolari venete, dove le banche si sono tassate per intervenire con il fondo Atlante senza successo.
La mozione impegna il governo a chiedere il risarcimento per i “danni economici enormi causati al Paese, ai risparmiatori e al sistema bancario”. Per quantificarli, si potrà avvalere della Corte dei conti e dell’Avvocatura di Stato. Lo spiraglio giuridico è offerto dall’articolo 266 del Trattato sul funzionamento dell’Unione che dispone, dopo una sentenza di annullamento, l’obbligo per l’istituzione che ha adottato l’atto, “del ripristino adeguato della situazione del ricorrente”, cioè il governo italiano. Se approvato, il testo aumenterà la pressione sull’esecutivo, proprio mentre il Tesoro tratta con Bruxelles il via libera ai rimborsi per i 300 mila ex azionisti e piccoli investitori di quelle banche. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, ha già aperto a un’azione “da valutare con l’Abi”, considerata “cosa buona e giusta” dal premier Giuseppe Conte. Resta però da vedere se Vestager ricorrerà contro la sentenza: ha due mesi di tempo per farlo.
Irpef, 13 milioni di italiani sono sotto la soglia minima
I datisulle dichiarazioni dei redditi 2018, pubblicati ieri dal dipartimento delle Finanze del Mef, parlano chiaro: l’Irpef non viene pagato da 12,9 milioni di italiani. Questo accade in parte perché molti contribuenti rientrano nella soglia di esenzione di 8.100 euro, e in parte perché il bonus 80 euro ha compensato il conto della tassa dovuta. Tra i paganti, il 45% ha un reddito che si ferma a 15mila euro (e dichiara il 4% dell’Irpef totale), mentre il gettito principale (57%) arriva dalla metà dei contribuenti che si colloca tra 15mila e 50mila di reddito personale. Oltre quella soglia troviamo solo il 5,3%, il cui peso però è notevole: versano quasi il 40% dell’Irpef totale. Il reddito dichiarato complessivamente cala invece di 5 miliardi rispetto all’anno precedente, attestandosi attorno agli 838 miliardi di euro, per un valore medio di 20.670 euro. Il reddito medio da lavoro, infatti, ha subito una leggera flessione, nonostante la crescita di quello da pensione. L’analisi territoriale, infine, conferma le spaccature interne al Paese: mentre in vetta alla classifica dei redditi più alti troviamo la Lombardia e la provincia autonoma di Bolzano, la Calabria si posiziona ultima, con un reddito medio dichiarato di 14.120 euro.
Tra lobbisti e ricorsi, la guerra del Superenalotto
È guerra totale per il Superenalotto, gioco famoso e ricco che l’anno passato ha raccolto 1,4 miliardi e da quando è stato lanciato, 22 anni fa, ha incassato oltre 42 miliardi. Da sempre è stato gestito da Sisal, ma poco tempo fa la concessione è scaduta e i Monopoli dello Stato hanno opportunamente deciso di affidarla al miglior offerente con una gara. Mercoledì mattina la commissione esaminatrice composta dal presidente aggiunto della Corte dei conti e da altri 4 tecnici non ha fatto neanche in tempo ad aprire gli scatoloni contenenti le offerte che è scoppiata la rissa.
I concorrenti sono tre: la stessa Sisal che punta al rinnovo, poi Lottomatica, cioè la rivale storica di Sisal che già gestisce giochi molto popolari, dal Lotto al Gratta e vinci. E infine c’è un terzo incomodo tra i due contendenti, Sazka, la più antica compagnia di lotterie della Repubblica Ceca.
Sisal ha subito sganciato una bomba sulla gara: ha chiesto alla commissione esaminatrice l’immediata estromissione di Lottomatica. Ed è facile prevedere che la faccenda finirà nelle aule dei tribunali come già c’è finita la storia del Gratta e vinci. Anche per i “grattini” la concessione era scaduta e in quell’occasione Sisal e Lottomatica si affrontarono a parti rovesciate. Sisal avrebbe voluto che i Monopoli indicessero una gara a cui avrebbe partecipato. Titolare della concessione era Lottomatica che vedeva invece la gara come fumo negli occhi. La spuntò Lottomatica che ottenne il rinnovo automatico per altri 9 anni facendo leva sul comma di una legge approvata ai tempi in cui capo di Gabinetto del ministero del Tesoro era l’influentissimo Vincenzo Fortunato.
Sisal sostiene che la gara per il Superenalotto sia macchiata da un peccato originale: Lottomatica sapeva quanti erano e chi erano i concorrenti prima che fossero aperte le buste. Nell’esposto consegnato alla commissione esaminatrice, ritiene che questa circostanza “è tale da provocare un inammissibile vantaggio competitivo… con un effetto distorisivo sulla procedura di gara”. Lottomatica sarebbe venuta in possesso di queste informazioni tramite la controllata Lottomatica Italia Servizi-Lis, l’azienda incaricata di ricevere e gestire il pagamento del contributo versato dai concorrenti all’Anac, l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, necessario per poter partecipare alla gara.
Non è finita perché Sisal chiede l’esclusione di Lottomatica anche per alterazione della concorrenza: ritiene che Lottomatica “in via preliminare, a prescindere dall’eventuale aggiudicazione della gara in oggetto… attualmente ricopre una posizione dominante nel mercato delle lotterie” e con il Superenalotto “consoliderebbe un monopolio”.
Lottomatica incassa le bordate della rivale, forte di una capacità di lobby che non ha uguali. Di recente due professionisti che gravitano intorno alla sua galassia, Gianluca Comin e Gaetano Caputi, sono entrati nello staff del Tesoro di Giovanni Tria che attraverso i Monopoli è il ministero di riferimento per i giochi. Comin è considerato il principe dei comunicatori d’azienda ed è la punta di diamante della squadra Lottomatica. Per lui al Tesoro è stato inventato un ruolo del tutto nuovo: deve gestire la comunicazione del capo di Gabinetto, Luigi Carboni, aggiungendosi ai comunicatori del ministero. Caputi è invece considerato l’alter ego di Vincenzo Fortunato che ora fa il legale di grandi gruppi e annovera tra i principali clienti proprio Lottomatica di cui difende le ragioni al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato nella causa intentata da Sisal per il Gratta e vinci. Fortunato inoltre rappresenta Caputi in una causa che vede entrambi contrapposti allo Stato per una storia legata alla determinazione dei loro stipendi come professori della Scuola nazionale d’amministrazione.
L’Aeronautica ha 4 velivoli a rischio, ma volano ancora
Non sono soltanto i Boeing 737 Max 8 a usare un software sospettato di aver provocato gli incidenti in Etiopia e Indonesia che hanno ucciso oltre 300 persone tra cui otto cooperanti italiani. Anche quattro aerocisterne KC-767A dell’Aeronautica militare ne sono dotate, ma non risulta che lo Stato Maggiore abbia adottato alcuna misura cautelare per evitare che si possano ripetere incidenti analoghi. Interpellato dal Fatto, lo Stato Maggiore ha confermato che i tanker di Boeing operati dall’Aeronautica italiana hanno un sistema Mcas (Maneuvering Characteristics Augmentation System). Tuttavia, l’architettura, l’implementazione e l’interfaccia pilota del Mcas del Boeing 767 Tanker differiscono da quelle del 737 Max. Ma non specifica se siano state adottate delle precauzioni particolari.
L’Aeronautica Usa, che impiega Mcas sui nuovissimi KC-46, appena entrati in servizio dopo un travagliatissimo sviluppo, ha deciso di adottare un atteggiamento prudenziale ordinando che i piloti ricevano uno specifico addestramento per le procedure di emergenza e si esercitino al simulatore. Dopo l’incidente al Boeing della Ethiopian Airlines nel quale morirono 157 persone, è stata disposta la messa a terra di tutti velivoli con l’Mcas. La dinamica dell’incidente era la stessa che aveva provocato la caduta di un 737 inabissatosi nel mare di Giava con 189 persone. Fino a qualche giorno fa si pensava che il sistema Mcas fosse montato solo a bordo di due modelli di 737 Max. Si scopre adesso che ne sono dotate anche le cisterne volanti derivate da un aereo più grande, sempre Boeing, il 767. Un aereo dalla vita travagliata.
L’Aeronautica italiana ne aveva ordinati quattro all’inizio del 2002 per una spesa di oltre un miliardo di dollari. L’ordine era stato dichiarato urgentissimo perché i quattro aerei, ribattezzati KC-767A, avrebbero dovuto sostituire altrettante cisterne giunte al termine della vita operativa. Ma il 767 entrò in servizio soltanto nel 2011, quasi dieci anni più tardi. Boeing non riusciva a risolvere gravi problemi di turbolenza provocati dai dispositivi per il trasferimento di carburante dall’aerocisterna ai velivoli riceventi. Fu forse per questo che sugli aerei italiani vennero installate le prime versioni del sistema Mcas, progettato proprio per migliorare la gestione dell’inviluppo di volo.
Difficile dire se ci siano stati problemi provocati dal Mcas dei tanker. Di questi aerei ne esistono solo otto esemplari al mondo, i quattro italiani e quattro in servizio nell’Aeronautica giapponese.
I 737 “fallati” sono già più di 300, dunque statisticamente le probabilità di incidente sono infinitamente più alte. D’altronde la storia del tanker derivato dal 767 è piuttosto “avventurosa” per usare un eufemismo. Con alcuni piccoli e grandi “gialli”. Come ad esempio l’annuncio pubblicato dalla Rivista Aeronautica, organo ufficiale dello Stato Maggiore, sulla gara per le aerocisterne italiane vinta dalla Boeing battendo la competizione di Airbus.
Peccato che quando la rivista uscì la gara non fosse ancora stata fatta. Anche negli Usa l’aereo ebbe una vita piena di vicissitudini e alla fine non entrò mai in servizio. La competizione fu inizialmente vinta da Airbus, ma poi invalidata e assegnata a Boeing. Che non riuscì mai a produrre l’aereo per i troppi problemi. Una funzionaria del Pentagono responsabile delle trattative con Boeing, Darleen Druyun, fu anche riconosciuta colpevole di aver favorito il gigante aeronautico e fu condannata a 16 mesi. Da notare che a parte Italia e Giappone, in tutte le altre aeronautiche del mondo, gli aerei rifornitori sono Airbus. Solo da tre mesi anche la United States Air Force ha ricevuto dei tanker della Boeing, i KC-46 Pegasus, con oltre tre anni di ritardo rispetto alle previsioni. Anche questi montano il Mcas.
Scarcerato anche il secondo indagato del presunto stupro
Libero anche il secondo. Il Tribunale del Riesame di Napoli ha disposto ieri la scarcerazione di un altro dei presunti aggressori della 24enne di Portici, che sarebbe stata violentata nel vano dell’ascensore della stazione Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano lo scorso 5 marzo. Si tratta di Antonio Cozzolino, 19 anni. Venerdì scorso un’altra sezione del Riesame aveva scarcerato il 18enne Alessandro Sbrescia. I difensori dei tre indagati hanno tutti sostenuto la tesi della consensualità del rapporto sessuale che, però, al momento, non sembra trovare riscontro negli accertamenti clinici a cui la ragazza si sta ancora sottoponendo: una recente visita medica, infatti, pare evidenziare segni di violenza sulla giovane. Per il momento, però, il Riesame si è pronunciato per rimettere in libertà due dei tre accusati di violenza sessuale, avvenuta in una delle cabine della Circumvesuviana. Il terzo ragazzo, Raffaele Borrelli, invece è ancora in carcere e non risulta avere presentato ricorso contro il provvedimento cautelare.
Rollandin, ex re della Vallée condannato per corruzione
Dopo più di 40 anni di attività politica a vari livelli (sindaco, consigliere regionale, Presidente della Regione, Senatore) e qualche intoppo giudiziario precedente (condannato a 16 mesi in via definitiva già nel 2004 per favoreggiamento in appalti), il Gup di Aosta ha condannato Augusto Rollandin a 4 anni e 6 mesi e l’interdizione dai pubblici uffici per corruzione. Il pm aveva chiesto 6 anni e 6 mesi. In camera di consiglio è decaduta l’accusa di associazione a delinquere. La vicenda affonda le radici in un complesso ed articolato giro di affari legato, in particolare, ad una partecipata regionale che vedeva coinvolti anche l’ex-direttore del Forte di Bard Gabriele Accornero e l’imprenditore Gerardo Cuomo. Una sentenza-choc per la Valle d’Aosta. Anche se, oramai, erano in molti ad aspettarselo. Il nome dell’ex presidente compariva in troppe iniziative giudiziarie. Quasi scontato che, prima o poi, anche Rollandin scivolasse.
Ovviamente questa non è che una sentenza di primo grado, ma già sufficiente a far crollare tante certezze. E dietro l’angolo c’è già un altro rinvio a giudizio per abuso d’ufficio aggravato e continuato per aver sottoscritto 3 lettere con le quali chiamava la Regione a garante dei debiti del Casinò di Saint Vincent. Lettere che non sarebbero mai state condivise con i colleghi di giunta e di consiglio.
Intanto, nel processo di ieri, sono stati condannati anche l’ex-amministratore unico della Casa da Gioco Luca Frigerio (4 anni e 6 mesi) e Gerardo Cuomo, titolare del Caseificio Valdostano (3 anni e 8 mesi). Ritenuti colpevoli anche il libero professionista Simone D’Anello (2 anni e 8 mesi), l’artigiano edile Simone D’Anello (5 mesi e 200 euro di multa), l’imprenditore Davide Bochet (5 mesi), mentre è stato assolto Francesco Maruca, anche lui artigiano.
Avverso la sentenza i legali dell’ex presidente hanno già annunciato ricorso.
Provincia contro la legge Merlin: “Lo Stato ci permetta di legiferare sulla prostituzione”
“Abolite la legge Merlin”. L’appello arriva da Trento: la città dal profondo sentimento religioso, dove regnava il principe vescovo. Ma anche la città della facoltà di Sociologia, del Sessantotto e della sua rivoluzione dei costumi. La richiesta di tornare alle “case chiuse” passa con una mozione dei Cinque Stelle. Approvata, a sorpresa, anche con il voto favorevole di parte della maggioranza, composta da liste di centrosinistra e autonomisti. Se si pensa che a livello provinciale governa da qualche mese la Lega – che nei gazebi raccoglie le firme contro la legge Merlin – la legalizzazione delle prostitute può davvero partire da Trento? In realtà un consiglio comunale non ha questo potere. I Cinque Stelle credono che si possa intanto pensare a un inedito regolamento sulla prostituzione. Chiedendo poi alla Provincia di rapportarsi con lo Stato per ottenere la libertà di legiferare in materia. Nascerebbe così la prima provincia italiana in cui l’autonomia si estende anche alle prostitute. Con una sorta di alleanza del nord-est, dato che anche in Veneto si sta cercando di fare altrettanto. Andrea Maschio, consigliere dei Cinque Stelle a Trento, spiega che l’intento è di “eliminare lo sfruttamento della prostituzione e la tratta delle donne straniere”. Le “case chiuse” non risolverebbero il problema, ma almeno “il fenomeno sarebbe confinato in ambienti più facilmente controllabili, sia dal punto di vista sanitario sia da quello fiscale”. È un mantra che accomuna i sostenitori delle “case chiuse”, ma che questa volta ha ottenuto più consensi del previsto, con il sì di Lega, Cinque Stelle, autonomisti, ma anche di alcuni consiglieri del Pd. Il tutto mentre a Trento, da un anno esatto, si cerca di frenare lo sfruttamento della prostituzione multando i clienti: da marzo 2018 ne sono stati sanzionati 25.
“Te sparo in testa”. Due arresti per l’aggressione fascista ai giornalisti dell’“Espresso”
“Io tiro fuori er ferro e te sparo in testa, pezzo di merda”. E ancora: “A me non me devi toccà, sennò te sfondo la capoccia”. Così Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova e storico ultrà romanista, si rivolgeva a due giornalisti de L’Espresso, colpevoli solo di voler documentare la cerimonia di commemorazione della strage di Acca Larentia. Ieri Castellino, insieme a Vincenzo Nardulli, esponente del movimento Avanguardia Nazionale, è finito ai domiciliari su disposizione della Procura di Roma, accusati di aver aggredito il 7 gennaio scorso un giornalista e un fotografo de L’Espresso, Federico Marconi e Paolo Marchetti. Il pm Eugenio Albamonte e il gip Mara Mattioli li accusano di rapina e lesioni aggravate. “Alcuni militanti – si legge nell’ordinanza – (tra cui Castellino e Nardulli) li hanno aggrediti in quanto avevano effettuato le riprese senza il loro consenso, accerchiandoli separatamente, in modo che i due non potessero intervenire l’uno in aiuto dell’altro, minacciandoli”. I due sono accusati di aver aggredito “violentemente Marchetti, picchiato con calci e schiaffi Marconi” e strappato di mano la macchinetta al fotografo “impossessandosi della relativa scheda (non più rinvenuta)” e dello smartphone del cronista, “restituito a quest’ultimo solo dopo l’intervento delle forze dell’ordine”. “A me delle guardie non me ne frega un cazzo – diceva Castellino a Marchetti – Io tiro fuori er ferro e te sparo in testa pezzo di merda. Sta banda de infami. So peggio del peggio, degli sbirri siete. Giornalisti bastardi”. Secondo il gip, Castellino e Nardulli sono due “personalità prepotenti, aggressive, incapaci di controllare gli impulsi” e “privi di qualsivoglia remora”, fattore che giustificherebbe la misura cautelare. Su Facebook, il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, ha difeso i suoi militanti: “Si tratta dell’ennesimo attacco contro Castellino”, scrive, dando appuntamento “per sabato 30 marzo alle ore 16 in piazza Scotti (sotto casa di Castellino) per chiedere l’immediata liberazione” dei due.
Il neomelodico e la vedova del boss. Una città in ostaggio delle nozze trash
Il cocchio in stile Casamonica, al culmine di tre giorni di festeggiamenti in città tra carrozze e musica era trainato da quattro cavalli bianchi come il vestito della sposa. Era in fondo al corteo che ieri mattina ha attraversato via Tagliamonte a Secondigliano, Napoli, fatto di giocolieri, trampolieri, clown e majorette da circo. Sul cocchio sorrideva radiosa in abito nuziale Tina Rispoli, la vedova di Gaetano Marino, ucciso il 23 agosto 2012 sul litorale laziale di Terracina, due killer gli scaricarono addosso 11 proiettili, uno dei più crudi episodi della cosiddetta “terza faida di Scampia” tra gli Scissionisti e i Girati, Gaetano era il fratello di Gennaro Marino, l’ex boss al 41-bis delle Case Celesti di Secondigliano. La vedova si stava recando al Maschio Angioino per convolare a seconde nozze civili con Tony Colombo, palermitano che ha fatto fortuna tra i neomelodici napoletani, cinque anni fa era nel cast di Ballando con le stelle, i suoi concerti fanno i pienoni nei palasport.
Tony e Tina, un sogno d’amore iniziato nel 2017, quando lui lasciò la moglie e madre dei suoi tre figli e la nuova storia si dipanò tra i social e gli applausi, molti, e i rimproveri, qualcuno, dei tantissimi fan. Nei pressi del Maschio Angioino si è consumata la seconda parte di questo supermatrimonio “che ha preso in ostaggio un’intera città”, denunciano i Verdi “tra l’altro al Maschio Angioino era previsto un convegno anticamorra, che è stato spostato per celebrare il matrimonio di una vedova di camorra”. E che matrimonio. Marcia nuziale suonata dai trombettieri, la sposa giunta in una sobria Rolls Royce. Per la calca, i vigili hanno dovuto sgomberare la rampa di accesso. La festa è poi proseguita nella capitale mondiale delle celebrazioni in stile trash-neomelodico: il Grand Hotel La Sonrisa a Sant’Antonio Abate, la location de Il boss delle cerimonie. Il tutto in streaming sui siti dei cultori del genere, con l’annuncio dello sposo in collegamento in diretta da Barbara D’Urso: “Tina ha un ritardo, farai la commarella a questo bambino”? Auguri.
Mentre ancora non si era sopita l’eco dell’addio al nubilato della sera del 25 marzo: doveva essere un semplice flash mob nel salotto di Napoli, piazza Plebiscito, questo almeno era scritto nei permessi chiesti e ottenuti dagli organizzatori, “invece dalle immagini che abbiamo acquisito, nella piazza si è svolto un mini concerto con installazione di un box, un palco, luci, musica, band” afferma l’assessore alla Polizia locale Alessandra Clemente. “È un fatto grave, le immagini sono eloquenti, addirittura sono affluite auto, furgoni e una limousine”. L’assessore di De Magistris annuncia una raffica di sanzioni e i vigili urbani stanno indagando, raccogliendo le notizie per una informativa, dopo le multe già comminate al cocchio. “Non consentiremo – dice Clemente – che Napoli si trasformi in un palcoscenico oleografico dove celebrare nozze sfarzose, di dubbio gusto e senza rispettare le regole minime”. Ma il danno d’immagine è compiuto. E le salatissime multe in arrivo per i wedding planner del matrimonio tra il neomelodico e la vedova del boss, saranno solo un risarcimento parziale.