Crescita zero, il governo rinvia il problema a dopo le Europee

Fermi immobili, almeno fino a dopo le elezioni Europee 2019. Al governo sanno da tempo che i numeri su cui è stata impostata la legge di Bilancio 2019 sono ben lontani dalla realtà, ora arriva il momento di ammetterlo. Ma non di trarne le conseguenze. Il 10 aprile il ministero del Tesoro guidato da Giovanni Tria presenterà il Documento di economia e finanza (Def), primo passo verso la prossima legge di Bilancio.

Come anticipato dal Sole 24 Ore ieri, il Tesoro scriverà stime tendenziali (cioè senza considerare i provvedimenti da approvare) che tengono conto della recessione in corso: l’andamento del Pil 2019 verrà rivisto da +1 a +0,1%, il deficit salirà di conseguenza da quel 2,04 faticosamente negoziato con Bruxelles al 2,4 che il governo aveva indicato come obiettivo nella prima versione della manovra, salvo poi ridurlo sotto la pressione di Ue e mercati.

Con questi numeri, dovrebbero scattare i tagli di spesa automatici da 2 miliardi di euro previsti dalla legge di Bilancio. Non un “tesoretto”, come qualche ministro continua a presentarlo, ma un sacrificio inevitabile. Alcuni di quei tagli alle dotazioni dei vari ministeri sono anche su voci sensibili: 70 milioni a “Istruzione universitaria e formazione post-universitaria”, altri 30 tolti a “Diritto allo studio e sviluppo della formazione superiore”, altrettanti si recuperano dai fondi alla ricerca. Al governo possono aggrapparsi solo a due speranze: che ci siano poche domande di reddito di cittadinanza, e quindi avanzi qualcosa dai 7 miliardi stanziati, oppure che il decreto Crescita produca qualche effetto. Nelle bozze continua a gonfiarsi, ormai è oltre i 60 articoli, con un po’ di incentivi agli investimenti delle imprese. E poi c’è lo “sblocca-cantieri”: meno gare e controlli per far partire un po’ di appalti. Ma nessun miracolo è alle viste.

Il Centro studi di Confindustria, che prevede un Pil 2019 a crescita nulla, ricorda poi che c’è il problema delle clausole di salvaguardia sull’Iva per il 2020: se il governo non indica coperture alternative, da gennaio prossimo l’imposta sui consumi salirà di 23 miliardi. Con un impatto negativo sulla crescita 2020, -0,3% (anche se il rapporto tra debito e Pil migliorerebbe dello 0,9). Lega e M5S hanno promesso che non lasceranno salire l’Iva, ma senza non spiegare come.

Difficile che la Commissione Ue voglia andare allo scontro con l’Italia alla vigilia delle elezioni europee: il presidente Jean Claude Juncker sa che la richiesta di una manovra correttiva favorirebbe il voto-euroscettico. Ma la relativa indulgenza di Bruxelles potrebbe non bastare.

In un discorso con diversi inviti alla cautela, ieri il presidente della Bce Mario Draghi ha ricordato che dal 1970 nell’attuale zona euro ci sono state 50 fasi di rallentamento (per due trimestri consecutivi), l’ultima nel 2016, ma soltanto quattro recessioni (crescita negativa). Ancora non è chiaro se la frenata nel 2019 sarà la quinta.

Finora i problemi dell’Italia – che è già in recessione – sono stati soprattutto interni: calo dei consumi e blocco degli investimenti. Ma il peggiorare del contesto esterno potrebbe aggravare la situazione. Anche per questo Draghi ha assicurato che “non siamo a corto di strumenti per rispettare il nostro mandato”, cioè l’inflazione vicina al 2 per cento (ora è all’1,6 nelle previsioni). Una frase che a qualcuno ha evocato il whatever it takes del luglio 2012. Con quel discorso Draghi evitò l’esplosione dell’euro. Chissà se con questo riuscirà a prevenire l’euro-recessione.

La scomparsa di Maddie e la comparsa dell’odio web

Per una strana coincidenza, sono usciti quasi in contemporanea, due documentari che raccontano il mondo dei bambini violato dagli adulti. Di un – quello su Michael Jackson e le accuse di pedofilia – parlano tutti. Perchè c’è la star, ci sono i racconti pornografici, c’è Neverland. Nessuno, perfino la giustizia, ha forse mai voluto sapere davvero chi fosse Michael Jackson. Poi c’è un documentario più lungo (otto puntate su Netflix), quasi ossessivo per la puntigliosità con cui ricostruisce gli eventi, che sta facendo poco rumore. È La scomparsa di Maddie McCann, la storia della misteriosa sparizione nel 2007 in Algarve della bambina inglese di tre anni in vacanza coi genitori.

Se ne parla poco perchè il documentario indaga più su chi ha indagato sulla vicenda che sulla scomparsa della bambina, finendo per porre interrogativi inquietanti: è più terribile finire nelle mani di un rapitore o nella morsa della giustizia? Perchè di Maddie ci ricordiamo, ma di come si sia evoluta la vicenda ci siamo persi parecchi pezzi.

La prima parte del documentario ricostruisce i fatti: Maddie è in vacanza con i fratelli gemelli e i genitori Kate e Gerry in un villaggio turistico a Praia da Luz, in Portogallo. I genitori cenano con amici al ristorante dopo aver fatto addormentare e lasciato i tre figli in camera da soli. La camera è a 100 metri dal ristorante. Ogni mezz’ora uno dei commensali va ad accertarsi che i bambini non si siano svegliati. Quanto tocca alla mamma di Maddie, questa scopre che la piccola non è più nel suo letto. È il 3 maggio del 2007. Da quel momento, della bambina bionda con lo sguardo vispo e una macchia marrone nell’iride dell’occhio destro, non si saprà più nulla.

I genitori di Maddie non hanno mai approvato il documentario e non è difficile comprenderne il perché. Dopo un primo momento di commozione e solidarietà da tutto il mondo, di conferenze stampa in cui i due genitori chiedono aiuto stringendo il peluche rosa della figlia in mano mentre la polizia portoghese segue la pista del rapitore pedofilo (una testimone vide un uomo andar via con una bambina in braccio quella notte), il coordinatore delle indagini Gonçalo Amaral punta i sospetti sugli unici di cui non si era sospettato: i genitori dei Maddie Kate e Gerry McCann. Da questo momento il documentario si concentra sulla figura di quest’uomo che su La Stampa, nel 2007, fu definito “Il Montalbano dell’Algarve”, e su come i giornalisti cavalcarono le ipotesi più surreali e infamanti delle sue indagini. Qualche giornalista afferma di provare ancora dei sensi di colpa per avere scritto degli articoli credendo ciecamente a certe ricostruzioni della procura.

I McCann furono massacrati. Gonçalo Amaral sospettava che Maddie fosse morta incidentalmente, forse a causa di un sonnifero che i genitori entrambi medici le avevano somministrato, e che la coppia l’avesse poi fatta sparire. Sul come, ci sarebbe da confezionare un documentario a parte, perché le fanta-investigazioni sono di per sè un male assoluto, ma nella storia di Maddie diventano grottesche. Secondo la polizia portoghese i McCann avevano conservato in un frigorifero il corpo di Maddie, quella sera, per poi farlo sparire giorni dopo. Siccome il corpo non si troverà mai, il Montalbano dell’Algarve in seguito sosterrà che i McCann l’abbiano fatto cremare nella bara di una donna inglese, introducendosi di soppiatto in una chiesa mentre la tizia veniva cremata.

I McCann dovranno abbandonare il Portogallo, dovranno smettere di cercare Maddie nei luoghi in cui l’hanno persa, dovranno sopportare titoli infamanti sui giornali e dichiarazioni insinuanti di Amaral tipo: “Non so se Kate sia colpevole, ma so che non vorrei che fosse mia madre”. Diranno che lei è fredda, che lui è antipatico, che sono dei lucidi assassini.

Nel documentario vengono mostrati i primi fenomeni di hating sul web. Nel 2007 infatti i commenti erano ancora pochi e l’odio online meno diffuso di oggi, ma già ai tempi l’opinione pubblica si scatenò contro Kate e Gerry. “Maddie non era figlia di Gerry”, “L’hanno drogata e poi fatta sparire”, “Kate strega bugiarda” erano i commenti che anticipavano il fenomeno dell’hating mescolato al populismo giudiziario a cui assistiamo oggi in maniera sempre più preoccupante, tra petizioni online perchè l’ex fidanzata di Marco Vannini non possa più studiare da infermiera o pagine Facebook che sostengono i vari Bossetti accusando polizia giudiziaria e magistratura di frode o corruzione.

Per la cronaca, i McCann hanno poi denunciato il Montalbano dell’Algarve, ma dopo una prima vittoria in cui lui è stato condannato a risarcirli (aveva anche scritto un libro sulla vicenda), i coniugi hanno perso in appello.

Appaiono poi altri personaggi incredibili quai investigatori privati in cerca di pedofili tra allevatori di maiali o il milionario proprietario di un’azienda in cui si producono doppi vetri che finanzia le investigazioni perché si affeziona alla storia o ancora un nerd russo che finisce nella lista dei sospettati perché colpevole di conoscere un altro sospettato. Insomma, una storia torbida ed emblematica di quel cortocircuito che si innesca nei casi di cronaca nera che diventano mediatici e che racconta quanto sia rischioso imbattersi in un Montalbano deciso a passare alla storia come quello che risolve il caso di cui scrivono tutti.

Sullo sfondo, inevitabilmente, l’ombra del giudizio più implacabile: quella sera i McCann avevano lasciato tre bambini di due e tre anni da soli in camera. Se fossero stati genitori più attenti, più responsabili, un uomo non avrebbe turbato il mondo candido di quei bambini. Ed è qui, su questa inquietante, forse immeritata riflessione finale, che il documentario su Maddie e quello sui bambini che frequentarono Michel Jackson, si incontrano. Perché il mondo è crudele e i genitori non possono permettersi distrazioni. E non riesci a non pensarlo, anche se sai che è sbagliato.

“Era in buona fede”: Beppe Sala prosciolto, ecco le motivazioni

Beppe Sala “era in buona fede” quando, da commissario unico di Expo, optò per l’affidamento diretto nella fornitura di 6mila alberi per l’Esposizione universale. Sono queste le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello ha confermato lo scorso 25 gennaio il proscioglimento dall’accusa di abuso di ufficio, già deciso dal gup, dell’attuale Sindaco di Milano, sottolineando per altro che l’indagine era nata da un audit interno depositato ai pm dallo stesso Sala. “Il commissario unico di Expo aveva il potere di procedere all’aggiudicazione diretta di appalti pubblici” e ciò garantisce – si legge nel dispositivo – “piena legittimazione” al suo operato, “in virtù del potere di agire in deroga” al codice degli appalti. Al centro del contendere la fornitura degli alberi per l’Esposizione universale assegnati attraverso un affidamento diretto, quando – secondo l’accusa – si sarebbe dovuto invece procedere attraverso una gara pubblica. Sala, però, secondo i giudici “ha agito in buona fede, confidando nella legittimità del proprio operato”.

Indagato Sasso, l’architetto M5S delle Olimpiadi: turbativa d’asta sul dossier affidato senza gara

Sospetti sul dossier di candidatura di Torino e delle sue valli alle Olimpiadi invernali del 2026, candidatura poi naufragata a favore del tandem Milano-Cortina. La Procura torinese ipotizza che l’incarico per la preparazione dello studio di fattibilità sia stato affidato in maniera poco trasparente all’architetto Alberto Sasso, esperto di rigenerazione dei borghi alpini, ma soprattutto amico di Beppe Grillo, candidato del M5s non eletto alla Camera, consulente della giunta di Virginia Raggi per rivedere il progetto dello stadio della Roma e adesso presidente della società Eur spa nella Capitale. A giugno l’Unione montana dei comuni olimpici della Via Lattea, che include località sciistiche come Sestrière, Oulx e Cesana, ha affidato a Sasso un incarico da 49.900 euro lordi, pari a 36.400 euro netti, appena seicento euro sotto la soglia per la quale le leggi prevedono una gara pubblica. Per questo il beneficiario è indagato per turbativa d’asta in concorso con il presidente dell’unione montana, Maurizio Beria D’Argentine, e altri sindaci. Valter Marin, primo cittadino di Sestriere, afferma di aver fatto tutto in maniera trasparente: “Abbiamo visto il preventivo, che era sotto la soglia, e ci è sembrato corretto”. Conferma Lorenzo Colomb, sindaco di Cesana: “Siamo tutti amministratori con esperienza e le regole le conosciamo”. Il nome di Sasso è stato suggerito da Appendino: “Non lo conoscevo personalmente, ma mi è sembrato una persona con esperienza sul territorio”, continua Colomb secondo il quale l’indagine è “una questione politica”. A destare l’interesse della Procura era stato il capogruppo Pd al consiglio comunale di Torino, Stefano Lorusso. Sasso ha “agito nell’esclusivo interesse pubblico”, spiega il difensore Gian Piero Chieppa. Intanto gli inquirenti proseguono gli approfondimenti. Tra i temi da verificare ci sono la congruità del compenso rispetto al lavoro svolto e il ruolo della sindaca Appendino.

L’avvocato ambientalista Arnone di nuovo in carcere: fermato per aver distribuito un volantino

Per un volantino elettorale postato su Facebook e poi distribuito davanti al Tribunale di Agrigento finisce di nuovo in carcere l’avvocato ambientalista Giuseppe Arnone, candidato all’Ordine degli avvocati, arrestato ieri mattina su ordine del Tribunale di Sorveglianza di Palermo che ha sospeso l’affidamento in prova del legale ai servizi sociali.

Per la Procura guidata da Luigi Patronaggio la finalità elettorale è “palesemente strumentale”: distribuendo il volantino Arnone ha violato le prescrizioni imposte dal Tribunale alla sua condizione di affidato in prova, in seguito a una condanna passata in giudicato a 3 anni e 5 mesi. Secondo i pm, infatti, il volantino “non rappresenta concreti programmi elettorali” e non è stato “distribuito ai soli avvocati”, ma “riproduce la copertina di un libro di prossima pubblicazione dal titolo Storie comiche di 8 importanti pessimi magistrati”. Un libro, sostiene la Procura nella nota, in cui Arnone “prende di mira due magistrati in servizio alla Procura di Agrigento, Salvatore e Alessandra Vella”.

Arnone ha un record molto particolare: è il legale più processato d’Italia. Contro di lui sono aperti 110 processi penali, per lui i pm hanno chiesto, finora senza esito, 13 anni e mezzo di carcere. Una “guerra” che va avanti da anni, da quando le sue denunce tengono costantemente sul chi vive gli inquirenti, a cui segnala le omissioni, le coperture e gli abusi rimasti impuniti indicando, in modo colorito, i presunti responsabili.

Per questo, secondo il diretto interessato, l’arresto “è una gravissima violazione della libertà di espressione”. Secondo l’avvocato Arnone dietro il suo fermo ci sarebbe addirittura uno scopo ben preciso: “Ero stato autorizzato a diffondere il volantino – ha aggiunto prima di essere condotto in carcere – mi sono stati negati gli arresti domiciliari perché si vuole impedire l’uscita del mio libro”.

Rocca Cencia, il Tmb bruciato volontariamente? Ipotesi dolo dalla prima perizia tecnica

Potrebbe essere doloso l’incendio della notte di domenica scorsa del Tmb di Rocca Cencia, nella periferia romana, che ha incenerito circa 400 tonnellate di rifiuti e danneggiato i macchinari utili alla separazione della spazzatura. Secondo indiscrezioni, si tratta di una prima e non completa ricostruzione dei periti incaricati dai pm di Roma Carlo Villani e Nunzia d’Elia, che hanno disposto una consulenza tecnica per accertare le cause delle fiamme. La consulenza ancora non è completa. L’impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) – di proprietà dell’azienda dei rifiuti romana, l’Ama – aveva un ruolo centrale per lo smistamento dell’immondizia della Capitale, ma da tempo era soggetto a uno stato di massima allerta: già a dicembre la sindaca Virginia Raggi aveva sollecitato un supporto dell’esercito, presentando una richiesta al ministro della Difesa Elisabetta Trenta, poichè individuava nell’impianto di Roma Est un possibile “obiettivo sensibile” degli eventuali “sabotatori” a causa di un pericoloso precedente.

Quello dell’11 dicembre scorso, quando il fuoco aveva divorato un “gemello” dell’impianto di Rocca Cencia, il Tmb del Salario. Riguardo quest’ultimo, i magistrati avevano disposto due fascicoli, nei quali si ipotizzavano i reati di inquinamento ambientale e attività di rifiuti non autorizzata, prima ancora di quella data. Ma tra i due impianti ci sono anche altre analogie: nè l’ uno nè l’altro dispongono infatti di telecamere di sorveglianza, utili ai pm per far luce sul caso. Il primo ne è sprovvisto, mentre il secondo è stato soggetto a un misterioso spegnimento delle stesse quattro giorni prima del rogo.

Per quanto riguarda Rocca Cencia, a breve – forse già domani – l’impianto verrà dissequestrato. Potrà tornare a pieno regime la settimana prossima.

“Per me sei malattia e cura”: arrestata la prof. incinta dello studente 13enne

Irapporti sessuali, la gravidanza e le minacce di suicidarsi se lui non avesse continuato la relazione. “Per me sei la malattia ma anche la cura”, scriveva quando il rapporto ormai era già incrinato. La donna, infermiera di 31 anni, era indagata dallo scorso 8 marzo per violenza sessuale sul suo studente di 14 anni: da ieri si trova agli arresti domiciliari con un altro capo di imputazione, quello di violenza sessuale per induzione. La Procura di Prato, infatti, ha rilevato la possibilità che la donna potesse inquinare le prove ed esistesse un concreto pericolo di reiterazione del reato. Nel cellulare della donna, infatti, i magistrati hanno appurato la frequentazione di siti pedopornografici e, una volta iniziate le indagini, avrebbe tentato nuovi approcci con il giovane. “Non abbiamo verificato casi di contatti con altri minori – ha spiegato ieri il Procuratore di Prato, Giuseppe Nicolosi – ma la possibilità che questi potessero avvenire, date le premesse, ci ha spinto a chiederne l’arresto per possibile reiterazione del reato”.

Tutto era iniziato nella primavera del 2017, quando i genitori del ragazzino avevano mandato il proprio figlio – allora 13enne – a ripetizione di inglese dalla donna, infermiera laureata in Lingue, in vista del suo esame di terza media. Secondo le ricostruzioni dei pm, le ripetizioni avvengono tra la primavera e l’estate del 2017 a casa di lui e già lì si verifica il primo rapporto sessuale, raccontato dal ragazzino al proprio istruttore di palestra. Gli incontri sessuali vanno avanti dal settembre al novembre 2017. La conferma arriva anche dalle 175 pagine di chat che i pm hanno potuto consultare: “Il tenore della messaggistica – scrive il gip di Prato, Francesca Scarlatti, nell’ordinanza di custodia cautelare – deve ritenersi altamente indiziante in ordine alla circostanza che in occasione degli incontri concordati tra l’indagata e il minore si siano verificati dei rapporti sessuali”. Durante uno di questi continuati rapporti sessuali, la donna rimane incinta: e lo dirà al giovane nel dicembre 2017. Il figlio è nato l’estate scorsa e gli esami del dna svolti dieci giorni fa hanno appurato che il padre sia proprio il ragazzino. Inoltre, i pm ipotizzano anche il reato di violenza sessuale per induzione tra fine 2018 e inizio 2019: quando il giovane si accorge di non volere più alcun rapporto con la donna, lei minaccia di suicidarsi o di portare il loro figlio in palestra. Per questo la relazione tra i due va avanti e secondo il giudice il presunto “accordo” può essere considerato “un vero e proprio ricatto”. Inoltre le minacce di suicidarsi da parte della donna, sempre secondo il gip, celano “una precisa strategia volta a suscitare il coinvolgimento emotivo del minore e farlo sentire in colpa”. E il suo tono sopraffatto si nota in diverse chat come quella del 17 gennaio scorso: la donna gli ricorda i termini dell’accordo e lui risponde in tono dimesso: “Facendo così mi obblighi a venire, io ho voglia di studiare, e anche tanta, ho poco tempo anche per me stesso”. A fine febbraio il ragazzino ha confessato alla madre dei rapporti sessuali e della paternità e a quel punto i genitori hanno presentato querela in Procura. Ieri i pm di Prato hanno iscritto nel registro degli indagati anche il marito dell’infermiera con l’accusa di aver alterato lo stato del figlio del figlio riconoscendolo come suo.

L’ennesimo annuncio della Regione: “Il 50% lo paga l’Ue”

Ancoraun altro annuncio informale, ancora nessuna dichiarazione ufficiale e ancora, comunque, nulla che cambi la valutazione dell’analisi costi – benefici: l’Ue finanzierà al 50 % la Torino-Lione secondo quanto riferito ieri dall’assessore ai Trasporti della Regione Piemonte, Francesco Balocco. “Lunedì – spiega Balocco – è stato deciso che i finanziamenti relativi alla prossima programmazione per il Corridoio mediterraneo nell’ambito dei progetti per l’interoperabilità, la decarbonizzazione e la digitalizzazione saranno pari al 50%”. “Motivo in più per farla” ha detto il vicepremier Matteo Salvini. Il placet leader leghista arriva dopo una giornata di battibecchi con il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, sul referendum Tav bocciato dal ministero dell’Interno. “Evidentemente l’opinione dei cittadini fa paura”, ha detto il governatore. “Non posso convocarlo, la responsabilità è della Regione. Sono Chiamparino, il Pd e la sinistra a non averlo reso possibile” ha risposto Salvini. La cifra (1 miliardo) ad ogni modo sarebbe distribuita tra Italia e Francia e non cambierebbe lo squilibrio che c’è tra le quote dei due paesi. Inoltre, l’analisi costi-benefici nel suo conteggio considera già la quota dell’Ue.

Dieselgate, riconosciuto in Italia l’inganno di Volkswagen. Ma i risarcimenti restano lontani

T re anni dopo lo scoppio del Dieselgate, anche in Italia viene riconosciuto l’inganno della Volkswagen sulle emissioni delle auto diesel. Ma il risarcimento per i clienti è tutt’altro che scontato. Oggi al tribunale di Verona viene presentata e discussa la perizia disposta nel 2016 dal giudice delle indagini preliminari Raffaele Ferraro. Il documento, prodotto dopo lungaggini burocratiche, dichiara l’esistenza del defeat device. Si tratta del computer di bordo che intuisce se il veicolo è sottoposto a test di omologazione su rulli in laboratorio o se, invece, è in situazione di guida reale su strada: nel primo caso attiva i sistemi di controllo delle emissioni, nel secondo li disattiva, rilasciando nell’aria eccedenze di ossidi di azoto (NOx), responsabili di 75.000 decessi prematuri l’anno in tutta Europa.

Gli 8 modelli sequestrati sono stati testati sui banchi a rulli in due tappe successive: secondo le modalità previste dall’Ue, alle quali il software risponde limitando lo scarico di NOx; poi con tecniche non convenzionali (come brusche sterzate) e non prevedibili dal software che così rilascia NOx in eccesso. Lo scarto tra le emissioni costituisce la prova del defeat device.

La scoperta del trucco al motore non è però sufficiente per condannare Vw a pagare per i suoi raggiri: la perizia spiega che l’installazione del software pulito – che Vw ha offerto gratuitamente a tutti i clienti coinvolti al posto di quello originale taroccato – avrebbe, infatti, risolto il problema facendo rientrare nella norma le emissioni. Tanto che “la conclusione dei periti nominati dal giudice lascerebbe erroneamente supporre che il danno per il consumatore sarebbe venuto meno”, spiega Matteo Ferrari Zanolini, avvocato di Federconsumatori che, insieme a Codacons e Adusbef, nel 2015 si era costituta parte civile nel processo penale contro VW a tutela delle migliaia di italiani truffati con l’acquisto di auto certificate Euro 6 che in realtà, fino alla pulizia del software, inquinavano oltre i limiti di legge. L’eventuale insussistenza del danno ventilata nella perizia farebbe decadere l’ipotesi di truffa in commercio che è il reato contestato a Vw dalla procura.

Federconsumatori insiste, però, sul diritto all’indennizzo: “L’analisi effettuata dal nostro perito dimostra che la rimozione del defeat device ha peggiorato o migliorato il livello dei consumi a seconda del veicolo”, aggiunge Zanolini anticipando quanto evocherà oggi in aula. “Inoltre, c’è il rischio che alcuni dei modelli di auto esaminati subiscano dei danni strutturali sul lungo periodo a causa dell’invecchiamento precoce di alcuni componenti, in particolare agli iniettori di carburante che non erano state progettate per funzionare in condizioni diverse da quelle determinate dal defeat device”.

Il deposito della perizia chiude di fatto la fase delle indagini preliminari, a meno che vengano richieste ulteriori prove tecniche. Spetterà poi al pm Marco Zenatelli decidere se e quando chiedere un rinvio a giudizio dei vertici italiani di Vw. In fase dibattimentale, l’accusa dovrà anche dimostrare che il gruppo fosse al corrente del defeat device e che ne abbia tratto un profitto per l’azienda (aumento delle vendite). Altrimenti niente condanna e niente indennizzo.

“Perché No Tav”, trent’anni d’interessi dietro l’opera inutile

Pubblichiamo un estratto di “Perché No Tav” in vendita da oggi in edicola e in libreria

L’impresa non è mai stata delle più semplici: difendere, anzi nobilitare, anzi beatificare una “grande opera” tanto inutile quanto inquinante che scaverebbe un buco di quasi 60 chilometri nella montagna e un altro di svariati miliardi in quel che resta del bilancio dello Stato per far risparmiare un’oretta nel trasporto di merci prive di qualsivoglia fretta. Stiamo parlando del Tav Torino-Lione, concepito 29 anni fa, nel 1990, quand’era appena caduto il Muro di Berlino, al governo c’erano Giulio Andreotti e Paolo Cirino Pomicino e alle Ferrovie Lorenzo Necci, tutti puntualmente spazzati via da Tangentopoli o peggio da Mafiopoli. Un’altra èra geologica, quando i politici megalomani confondevano lo sviluppo con la Muraglia Cinese e la Piramide di Cheope. Poi sappiamo bene che cos’hanno lasciato di grande in eredità: il terzo debito pubblico del pianeta.

Eppure sono quasi trent’anni che la grande stampa asservita ai partiti asserviti ai costruttori si impegna allo spasimo in quella mission impossible. Nascondendo agli italiani che quei soldi buttati basterebbero per cablare l’intero Paese a 100 megabyte, o ripianare tutti i tagli alla cultura, alla ricerca, all’università e alle forze dell’ordine dell’ultimo decennio, perché ogni traversina del Tav è un banco di scuola, un girello di asilo nido, un posto letto di ospedale e di ospizio, un ricercatore, un poliziotto in meno. Il prezzo da pagare a questa gigantesca impostura, naturalmente, è quello di raccontare balle spaziali e di screditare vieppiù quel che resta dell’informazione in Italia. (…)

Il Tav Torino-Lione (anzi, “la Tav”, come lo chiamano i suoi trombettieri convinti, chissà perché, che l’articolo maschile a un acronimo maschile – Treno ad Alta Velocità – ne sminuirebbe la portata epocale) è divenuto così la palestra perfetta per sperimentare il pensiero unico del peggiore mainstream politico-affaristico-mediatico, con la criminalizzazione e la censura del dissenso. Prendiamo uno dei programmi più seguiti e longevi della Rai: Che tempo che fa, in onda dal 2003 (prima su Rai3 e poi su Rai1) e da sempre condotto da Fabio Fazio. Nasce 16 anni fa come un talk show costruito attorno alle previsioni del tempo, affidate al climatologo Luca Mercalli (tra gli autori di questo libro, ndr). Il quale spiega i fenomeni naturali e le loro conseguenze sempre più devastanti, dalla distruzione del territorio al consumo del suolo, a causa delle politiche anti-ambientali dei governi. Ed, essendo torinese ed esperto del Tav, ne critica spesso l’utilità.

Nel 2011 viene linciato da tre parlamentari del Pd, tutti esagitati Sì Tav che non possono tollerare il suo dissenso informato: Stefano Esposito, Giorgio Merlo ed Enrico Farinon, accusano Mercalli di leso “servizio pubblico” mediante “propaganda contro la Tav” e “uso militante della tv contro la Torino-Lione”. Tre anni dopo, bersagliato dalle campagne trasversali di Forza Italia e del Pd, Mercalli viene escluso dalla squadra di Che tempo che fa. Nel 2015 ha un piccolo programma su Rai3, Scala Mercalli, ma dura meno di un anno: nel 2016 la direttrice turborenziana della rete, Daria Bignardi, già artefice della cacciata di Massimo Giannini e dell’abolizione di Ballarò, glielo chiude senza tante spiegazioni. Il pensiero unico ha sempre ammesso, sul tema, soltanto la posizione Sì Tav: il No è una bestemmia, un sinonimo – se non di eversione – almeno di ignoranza, di “decrescita”, di scarsa propensione al progresso e alla scienza. E pazienza se i maggiori esperti indipendenti di infrastrutture hanno sempre sostenuto, dati alla mano, l’inutilità anzi la perniciosità anzi l’assurdità del Torino-Lione. (…)

La propaganda terroristica del partito-ammucchiata Calce&Trivello, che affratella la “sinistra” di scuola Marchionne (il Pd dei Chiamparini e dei Fassini), FI, Lega, triade sindacale, Confindustria, coop biancorosse lobby e cricche varie inizia a vaneggiare di fantomatiche “penali” da pagare e di miliardi (due, o forse tre) da restituire non si sa bene a chi, nonché di un “referendum” da lanciare contro “l’isolamento del Nord-Ovest”, di un “rischio Brexit per l’Italia”. Tutte scemenze rilanciate dalla grande stampa (…). Resta comunque inspiegabile – al netto di eventuali mazzette – quest’ossessione unanime, fanatica, ideologica se non addirittura religiosa, tipica di certe sètte estremiste, per quel gigantesco pertugio nella montagna. Alcuni psicanalisti, di fronte a certi grattacieli e ad altri ecomostri fallici che deturpano le città, parlano di invidia del pene. Per gli adepti della Banda del Buco, non c’è altra spiegazione che l’invidia dell’ano.