Fermi immobili, almeno fino a dopo le elezioni Europee 2019. Al governo sanno da tempo che i numeri su cui è stata impostata la legge di Bilancio 2019 sono ben lontani dalla realtà, ora arriva il momento di ammetterlo. Ma non di trarne le conseguenze. Il 10 aprile il ministero del Tesoro guidato da Giovanni Tria presenterà il Documento di economia e finanza (Def), primo passo verso la prossima legge di Bilancio.
Come anticipato dal Sole 24 Ore ieri, il Tesoro scriverà stime tendenziali (cioè senza considerare i provvedimenti da approvare) che tengono conto della recessione in corso: l’andamento del Pil 2019 verrà rivisto da +1 a +0,1%, il deficit salirà di conseguenza da quel 2,04 faticosamente negoziato con Bruxelles al 2,4 che il governo aveva indicato come obiettivo nella prima versione della manovra, salvo poi ridurlo sotto la pressione di Ue e mercati.
Con questi numeri, dovrebbero scattare i tagli di spesa automatici da 2 miliardi di euro previsti dalla legge di Bilancio. Non un “tesoretto”, come qualche ministro continua a presentarlo, ma un sacrificio inevitabile. Alcuni di quei tagli alle dotazioni dei vari ministeri sono anche su voci sensibili: 70 milioni a “Istruzione universitaria e formazione post-universitaria”, altri 30 tolti a “Diritto allo studio e sviluppo della formazione superiore”, altrettanti si recuperano dai fondi alla ricerca. Al governo possono aggrapparsi solo a due speranze: che ci siano poche domande di reddito di cittadinanza, e quindi avanzi qualcosa dai 7 miliardi stanziati, oppure che il decreto Crescita produca qualche effetto. Nelle bozze continua a gonfiarsi, ormai è oltre i 60 articoli, con un po’ di incentivi agli investimenti delle imprese. E poi c’è lo “sblocca-cantieri”: meno gare e controlli per far partire un po’ di appalti. Ma nessun miracolo è alle viste.
Il Centro studi di Confindustria, che prevede un Pil 2019 a crescita nulla, ricorda poi che c’è il problema delle clausole di salvaguardia sull’Iva per il 2020: se il governo non indica coperture alternative, da gennaio prossimo l’imposta sui consumi salirà di 23 miliardi. Con un impatto negativo sulla crescita 2020, -0,3% (anche se il rapporto tra debito e Pil migliorerebbe dello 0,9). Lega e M5S hanno promesso che non lasceranno salire l’Iva, ma senza non spiegare come.
Difficile che la Commissione Ue voglia andare allo scontro con l’Italia alla vigilia delle elezioni europee: il presidente Jean Claude Juncker sa che la richiesta di una manovra correttiva favorirebbe il voto-euroscettico. Ma la relativa indulgenza di Bruxelles potrebbe non bastare.
In un discorso con diversi inviti alla cautela, ieri il presidente della Bce Mario Draghi ha ricordato che dal 1970 nell’attuale zona euro ci sono state 50 fasi di rallentamento (per due trimestri consecutivi), l’ultima nel 2016, ma soltanto quattro recessioni (crescita negativa). Ancora non è chiaro se la frenata nel 2019 sarà la quinta.
Finora i problemi dell’Italia – che è già in recessione – sono stati soprattutto interni: calo dei consumi e blocco degli investimenti. Ma il peggiorare del contesto esterno potrebbe aggravare la situazione. Anche per questo Draghi ha assicurato che “non siamo a corto di strumenti per rispettare il nostro mandato”, cioè l’inflazione vicina al 2 per cento (ora è all’1,6 nelle previsioni). Una frase che a qualcuno ha evocato il whatever it takes del luglio 2012. Con quel discorso Draghi evitò l’esplosione dell’euro. Chissà se con questo riuscirà a prevenire l’euro-recessione.