Il dirigente Siae: “Non diffidiamo il Pd sennò ci si inculano”

Il 10 ottobre 2017, secondo una denuncia presentata all’Autorità nazionale anticorruzione, negli uffici romani della Siae si realizza la seguente scena. Il responsabile dell’ufficio recupero crediti autorali discute con il direttore della sede interregionale di Roma, Alessandro Bracci, che peraltro è una filiale piuttosto estesa, visto che include Lazio, Abruzzo e Umbria. I due parlano di una Festa dell’Unità che s’è tenuta tra il 10 e il 19 settembre 2015 ad Aprilia. Il Partito democratico locale è debitore, nei confronti della Siae, e quindi degli autori ai quali devono essere corrisposti i relativi diritti, di 815 euro. Al netto delle penali per 156,74 euro, e dell’Iva per 115,16 euro, gli autori dovrebbero ricevere 522,46 euro. Non è certo una grande somma. Ma il punto è un altro: è il dialogo tra il dipendente e il direttore Bracci che è stato allegato nella denuncia all’Anac. “Questa del Pd… – dice Bracci nel dialogo riportato all’Anac – io non l’ho approvata perché ci parlo io con questi. Ma io se te l’annullo e ci scrivo trattativa… ok? Trattativa per recupero… se eventualmente fallisce la trattativa, la puoi rimettere la diffida? Nel caso ne facciamo una nuova… questa l’ho annullata…”. Il perché di questa scelta, nel documento inviato all’Anac, viene spiegato da Bracci con queste parole: “Perché mandare una diffida al Pd oggi, da un punto di vista, come dire, della giustizia sarebbe no giusto, più che giusto! Ma ho la sensazione che se faccio partire questa diffida, facciamo una di quelle cazzate… ma proprio che ci si inculano. Dal punto di vista del rapporto non ci possono dire niente, ci mancherebbe, però sai poi mi chiama il direttore generale (Gaetano Blandini, ndr), Sugar (Filippo Sugar, ex presidente della Siae, ndr) e mi tocca mandarli a fanculo … E prima di mandarli un’altra volta a fanculo… ci sto ragionando… ma c’ho una sensazione…”.

La replica: “Non facciamo sconti a nessun partito”

Stando a queste parole, quindi, Bracci, con la “sensazione che ci si inculano”, preferisce annullare la diffida del pagamento al Pd di Aprilia, avviare una trattativa, e solo nel caso non andasse in porto, rimettere in modo la pratica. Il Fatto ha chiesto con una email sia a Bracci, sia al direttore generale della Siae, Gaetano Blandini, sia a Sugar, se quanto sostenuto nella denuncia – e quindi anche su altri punti oltre il Pd e la diffida in questione – corrisponda al vero. Il primo ci ha risposto così: “Ho doverosamente informato della sua richiesta la Siae, che fornirà tutte le informazioni necessarie sugli argomenti… oggetto della sua inchiesta”. Le parole di Bracci non possono essere considerate né una conferma né una smentita del dialogo riportato. Il direttore generale Blandini sul punto precisa: “Trovo singolare che mi chieda di rispondere ‘a vista’ a 15 domande particolarmente articolate, alcune delle quali peraltro fanno riferimento a virgolettati e affermazioni attribuite al direttore della sede di Roma. Ne vengo a conoscenza oggi, sono a dir poco basito e certamente, per quanto mi riguarda risponderò anche a quelle ma né io né la Siae possiamo essere chiamati a rispondere di affermazioni riferite a un non meglio identificato dipendente da un direttore di una nostra sede territoriale”. Anche in questo caso, riguardo il dialogo tra Bracci e il dipendente, non si tratta né di una conferma né di una smentita. La smentita secca arriva invece da Sugar: “Non ho mai parlato con Bracci al telefono in tutta la mia vita”.

Sul trattamento che Siae ha riservato al Pd di Aprilia, invece, il direttore generale Blandini risponde: “Nessun movimento o partito politico ha avuto mai sconti sul diritto d’autore!”. Dagli allegati depositati all’Anac però emerge un dettaglio che sembra coerente con il dialogo tra Bracci e il dipendente. Il 23 ottobre 2017, infatti, la Siae indirizza una lettera al Pd di Aprilia diffidandolo a pagare e avviando la “messa in mora per debiti per diritto di autore”. La firma in calce è quella di Bracci. Nello stesso giorno, però, esattamente come dichiarato nel dialogo con il dipendente, la diffida viene annullata. Alla casella “utente annullamento”, nel sistema informatico, si legge: Bracci. E nelle note v’è scritto: “Contattato mandatario di Aprilia. In attesa di contatti con la parte e valutazione per la transazione”. Esattamente come nel dialogo riportato dal dipendente che ha denunciato all’Anac. Blandini ha precisato ulteriormente: “Ci è stato riferito che l’evento era stato organizzato da persone molto giovani che, compresa l’entità del conto, hanno chiamato il mandatario chiedendo di non emettere la diffida perché non avevano a disposizione quella somma. Peraltro, essendo inferiore ai mille euro, è un microcredito finito nel calderone delle somme per le quali non procediamo, poiché le spese legali supererebbero la cifra che ci spetta”. Qualche ora dopo Siae ci fornisce la copia di altri pagamenti del Pd di Aprilia, per dimostrare che il caso in questione è un’eccezione, ma l’annullamento resta, così come le dichiarazioni di Bracci, finora non smentite, sulle quali Siae dovrebbe far luce.

Tra gennaio e marzo 2019 ok a 4 mila segnalazioni

La denuncia inviata all’Anac non riguarda soltanto la diffida al Pd di Aprilia. Il responsabile dell’ufficio recupero crediti di Roma elenca 4.221 diffide inviate a Bracci dal gennaio a dicembre 2018 che non sarebbero mai state approvate. Il tutto – si legge nella denuncia – per “un importo superiore a un milione di euro”. Bracci – si legge ancora – dopo “un anno di inerzia per sedicenti problemi di natura tecnica, ha provveduto ad approvarle massivamente solo nei mesi di gennaio e febbraio 2019”. “Il sottoscritto – scrive il dipendente Siae all’Anac – tra le varie mansioni… si occupa… di visionare tutti i verbali di controllo elevati e di processare i relativi atti di diffida (protocollati dai propri collaboratori) al fine di attivare la procedura per il recupero del credito (stragiudiziale e giudiziale) derivante dal mancato pagamento dei diritti di autore dovuti a fronte di manifestazioni autorizzate o abusive”. Le diffide devono poi essere “approvate” dal direttore della sede che è “indispensabile per poter procedere alla successiva notifica e proseguire con l’iter di recupero dei crediti” .

“Nonostante – continua il dipendente – il sottoscritto abbia provveduto, nell’arco dell’anno 2018 (dal 1° gennaio al 28 dicembre) a ‘validare’ e a porre all’approvazione del direttore della sede interregionale di Roma, Alessandro Bracci, un numero elevatissimo di diffide, questi, alla data del 28 dicembre 2018 non ne ha approvate ben 4.821 per un importo complessivo pari a 1.276.013,45 euro”. In effetti, da alcune mail depositate all’Anac, si ricava che Bracci denunciava dei problemi tecnici. Il 31 dicembre il direttore scrive: “È da giorni che cerco di approvare le diffide da te segnalatemi ma non solo il sistema mi fa attendere un tempo assolutamente inaccettabile, per chi deve fare il direttore di sede con le altre tantissime cose da fare, ma al termine dell’attesa lo stesso sistema mi segnala errori (…). Come sappiamo è una problematica di cui abbiamo parlato più volte e in relazione alla quale ci siamo trovati insieme a fare una serie di proposte alla Direzione generale per cercare di snellire la procedura e risolverla. Aspettiamo con trepidazione che ciò avvenga. Riproverò nei prossimi giorni ad approvare le diffide in generale e quelle sotto indicate in particolare. Grazie”. Il 2 gennaio la storia si ripete: “Anche oggi ho cercato di approvare le diffide ma sono riuscito ad approvare solo l’ultima dell’elenco. Per le altre 2 mi dà sempre lo stesso errore (Errore Id) come da precedente segnalazione. Vedi se c’è qualcosa che non va e fammi sapere. Grazie”.

Un altro dipendente scrive al responsabile dell’ufficio recupero crediti, affinché solleciti Bracci ma, a quanto pare, gran parte delle volte inutilmente: “Di seguito ti elenco le diffide da approvare da parte del direttore, per le quali era già stata fatta richiesta da parte mia e tua ma a oggi sono ancora da approvare… Pensi sia il caso di sollecitare?”.

E ancora: “Cortesemente puoi approvare quantomeno le diffide riepilogate in calce in quanto trattasi di macrocredito. Tieni presente che per l’apertura di alcune e il relativo passaggio di status ci vuole molto tempo per cui dovresti armarti di santa pazienza… Grazie”. L’inadempimento, secondo il denunciante, ha “determinato l’impossibilità di notificare ai debitori morosi … diffide di pagamento per un importo complessivo pari a 1.276.013,45 euro con conseguente danno per gli interessi degli aventi diritto…”.

Il tutto però si sblocca tra gennaio e marzo 2019 quando circa 4mila vengono approvate da Bracci. Con una media impressionante: il 10 gennaio ne vengono approvate 21, l’11 gennaio ben 111, l’11 febbraio addirittura 206. Se Bracci l’11 febbraio ha lavorato la media di 8 ore, dobbiamo dedurne che ha approvato una diffida ogni 2 minuti e mezzo senza poter prendere neanche una pausa. Segno che il problema informatico non soltanto è stato risolto. Ma che al software è stato installato un motore turbo. Su questo punto il direttore generale Blandini ha precisato: “Solo dal 2017 a oggi il dottor Bracci, in qualità di direttore della sede di Roma, ha inviato 9496 diffide!”. Di queste, negli ultimi tre anni, dai documenti depositati all’Autorità anticorruzione, si evince che ben 4.310 sono state approvate nei primi tre mesi del 2019.

Dell’intera questione s’era occupata anche la trasmissione tv Le Iene, con il suo cronista Giorgio Romiti, al quale abbiamo chiesto perché il servizio non sia mai stato realizzato: “Riceviamo molte segnalazioni in generale, anche sulla Siae – è la risposta del collega – ma non è detto che tutte finiscano in un servizio. Evidentemente abbiamo valutato che non meritavano un approfondimento”.

Ambiente: l’ex pm Guariniello guiderà commissione amianto

SaràRaffaele Guariniello, ex procuratore di Torino, noto per le sue battaglie ambientali tra cui il processo per i sette morti alla fabbrica Thyssen, a guidare il nuovo gruppo di lavoro al ministero dell’Ambiente sull’amianto. A comunicarlo è stato lo stesso ministro Sergio Costa: “L’amianto è un grande problema, a livello normativo attraversa tre competenze, il ministero della Salute, del Lavoro e dell’Ambiente. Io faccio un gruppo di lavoro, costruisco un’ossatura della proposta normativa e della riorganizzazione per la gestione dell’amianto e la propongo agli altri ministeri”. La commissione si occuperà dunque della riforma normativa che riguarda il settore dell’amianto Secondo i dati ministeriali, ci sono 32 milioni di tonnellate di amianto ancora in circolazione in Italia. “Inizieremo subito: entro la fine di giugno la commissione produrrà i primi risultati”, la promessa di Costa. L’incarico di Guariniello – noto tra le altre cose per le sue inchieste sul doping nel calcio, la tragedia della ThyssenKrupp e la lotta all’amianto – sarà a titolo gratuito.

Migranti, il mistero del mercantile dirottato

Nel tardo pomeriggio di ieri il mercantile El Hiblu era già in acque maltesi mentre a Roma, il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo monitorava costantemente la situazione. Il punto è che il mercantile, con a bordo diverse decine di naufraghi salvati a ridosso delle coste libiche, potrebbe invertire la rotta verso le coste italiane incorrendo – con grande probabilità – nell’ “Alt” delle nostre navi militari.

Non solo. Secondo il Viminale, a bordo del mercantile, si sarebbe realizzato un vero e proprio dirottamento. “Poveri naufraghi – ha dichiarato ieri il ministro dell’Interno, Matteo Salvini – che dirottano il mercantile che li ha salvati perchè vogliono decidere la rotta della crociera”. Su Facebook il ministro, indicandolo su una cartina, ha mostrato il punto in cui si trovava la nave: “A mezza via tra Italia e Malta. Io dico ai pirati: l’Italia ve la scordate. Questa è la dimostrazione più evidente che non si tratta di un’operazione di soccorso, ma un traffico criminale di esseri umani che arriva addirittura a dirottare un’imbarcazione privata. È un atto di delinquenza, di criminalità organizzata. Le acque italiane sono precluse ai criminali”.

In realtà, per quanto risulta al Fatto, l’idea che la nave sia stata “dirottata” è frutto di una deduzione, legittima sotto il profilo della logica, che non risulta suffragata da allarmi lanciati dal comandante del Mercantile. Secondo i media maltesi, negli ultimi messaggi, il capitano ha parlato di nave “in mano ai pirati”.

Alcune ore prima, il mercantile che batte bandiera delle isole Palau era stato contattato dalla Guardia costiera libica per intervenire in un soccorso. Una volta effettuato, seguendo le indicazioni della Guardia costiera, si è diretto verso Tripoli per lo sbarco dei naufraghi. A 6 miglia dalla costa, però, la prua ha cambiato direzione e il mercantile s’è diretto verso Nord. Più volte è accaduto che i migranti, compreso che l’imbarcazione che li aveva salvati li stava riportando in Libia, temendo di ritornare nei centri libici – dove, come documentato da Onu e Medici Senza Frontiere, si consumano quotidianamente violazioni dei diritti umani – si siano ribellati, spingendo il capitano della nave a cambiare rotta. Se davvero fossimo di fronte a un dirottamento, però, questa sarebbe davvero la prima volta. Fonti maltesi riferiscono che a bordo ci sarebbero 77 uomini e 31 donne. L’ong Mediterranea Saving humans ha chiesto che alla El Hiblu 1 sia “immediatamente assegnato un porto sicuro in un paese europeo dove alle persone salvate siano garantiti i diritti umani fondamentali”.

“I governi che si oppongono a questo salvataggio – continua l’organizzazione umanitaria – e pretendono che la nave consegni i naufraghi in un porto libico, compiono un reato oltre che un atto disumano. Facciamo appello alle istituzioni europee perché non voltino la testa da un’altra parte e aiutino le persone in fuga dai campi di concentramento libici”.

Che sia stato dirottato o meno, però, un fatto è certo: il mercantile è venuto meno alle regole del coordinamento dei soccorso, che è stato gestito dalla Libia. E in questi casi ogni Stato, quindi anche Malta, è legittimata a rifiutare la concessione di un porto sicuro. E infatti ieri immediatamente, alle forze armate di La Valletta è stato ordinato lo stato di allerta.

Sea Watch dopo la Diciotti: Salvini è di nuovo a rischio

Matteo Salvini rischia una nuova indagine. Un nuovo caso Diciotti. La Procura di Roma, infatti, per la vicenda Sea Watch 3 – che a fine gennaio ha dovuto attendere 12 giorni davanti al porto di Siracusa prima dell’autorizzazione a sbarcare – sostiene che sia stato commesso un sequestro di persona.

E così salgono a due le procure che, dinanzi allo stallo nel concedere ai naufraghi un porto sicuro dove sbarcare, intravedono lo stesso reato: sequestro di persona. Il fascicolo – come vedremo – da Roma è stato trasferito alla procura di Siracusa che, a sua volta, l’ha immediatamente consegnato ai colleghi di Catania, dove ha sede il tribunale dei ministri. Toccherà adesso alla procura guidata dal procuratore Carmelo Zuccaro stabilire se il fascicolo debba essere archiviato oppure no. Quel che è certo, però, è che bloccare un’imbarcazione, impedendo lo sbarco sul territorio italiano, rischia di configurare ogni volta il reato di sequestro di persona. Con tutte le conseguenze connesse, sotto il profilo penale e politico. Dopo Agrigento – da cui è partito il caso Diciotti – la situazione si è quindi riproposta nella capitale.

A Roma infatti la Procura ha ipotizzato solo il reato (sequestro di persona) mentre il fascicolo resta contro ignoti. Stessa sorte a Siracusa, dove il procuratore Fabio Scavone non ha effettuato iscrizioni. Ad autorizzare lo sbarco – e quindi anche a negare, seppure attivando uno stallo e senza emettere atti di diniego – è però solo il Viminale, quindi il ministro Matteo Salvini.

La nuova vicenda riguarda l’imbarcazione della Ong tedesca che il 19 gennaio scorso soccorre i naufraghi al largo della Libia. Per sfuggire a una tempesta si avvicina all’Italia. La nave per giorni viene lasciata davanti a Siracusa: l’autorizzazione a sbarcare a Catania arriva solo il 31.

Successivamente gli avvocati dell’associazione “Lasciateci entrare” ha chiesto ai ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture, ai sensi del decreto legislativo sull’accesso civico e la trasparenza, di pubblicare “provvedimenti” e “comunicazioni” sul “divieto di approdo nei porti italiani” per Sea Watch e la loro risposta alla richiesta dei giudici minorili di far sbarcare subito i minori, che godono di speciale tutela. Il capo di gabinetto del Viminale, Matteo Piantedosi ha risposto che “la tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria”. Così l’associazione ha presentato un esposto a Roma. Che ha indagato per rifiuto di atti d’ufficio e per sequestro di persona. Atti inviati a Siracusa che, a sua volta, li ha indirizzati a Catania.

Il rischio è che ci si ritrovi di fronte a un nuovo caso Diciotti. Nell’agosto del 2018 era stato impedito lo sbarco di 177 persone a bordo. La procura di Agrigento ipotizzò per Salvini il reato di sequestro di persona aggravato. Gli atti poi furono trasmessi al procuratore Zuccaro che chiese l’archiviazione ritenendo che il ministro fosse “giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale”. Tesi non condivisa dal Tribunale dei ministri il quale, invece, ha ritenuto che Salvini avesse “abusato dei suoi poteri” tenendo i migranti sulla Diciotti per motivi “meramente politici”. Il Senato il 20 marzo ha negato l’autorizzazione a procedere, evitando a Salvini il processo. Un iter che potrebbe ripetersi anche in questo caso. E forse altre volte ancora.

Traffico di influenze, nuovo fascicolo aperto a Firenze

Il padre dell’ex premier Tiziano Renzi è indagato ai Firenze anche per il reato di traffico d’influenze illecite. Le indiscrezioni sono state pubblicate ieri dal quotidiano La Verità . La Procura di Firenze non ha nè smentito nè confermato la notizia. Il fascicolo sarebbe stato aperto da poco partendo dalle fatture (false, secondo la tesi accusatoria) che l’imprenditore Luigi Dagostino ha pagato alle società di Tiziano Renzi e della moglie Laura. Quei pagamenti nasconderebbero, secondo i pm, una sorta di remunerazione per un’attività di lobbying. Uno dei primi a essere sentito a sommarie informazioni, testimone non indagato, è l’imprenditore Andrea Bacci. L’amico storico della famiglia Renzi (da qualche tempo in fredda) ha risposto a domande sull’attività (lecita) del cognato di Matteo Renzi, Andrea Conticini, che si appoggiava per incontrare imprenditori e persone varie in un ufficio romano in via degli Scialoja, vicino a Piazza del Popolo, quando Matteo Renzi era premier. Ai pm interessa anche la natura dei rapporti economici tra Luigi Dagostino e Tiziano Renzi. Dagostino non ha mai fatto mistero che non avrebbe pagato così tanti soldi per quelle consulenze a Tiziano se non fosse stato il babbo del premier. Dal suo punto di vista, i pagamenti insomma erano gonfiati per ragioni diverse da quelle tipiche del reato fiscale di false fatture. Il pm Christine Von Borries si interessa anche ai rapporti di Dagostino con il professore di diritto tributario Roberto Franzé, nominato in Cdp Investimenti nell’era Renzi. A segnalarlo a Luca Lotti potrebbe essere stato proprio Bacci al quale lo avrebbe presentato Dagostino. I pm sono interessati alla nomina anche perché Cdp investimenti ha approvato (va detto con il voto unanime di tutti i 9 consiglieri, tra i quali Franzé) la proposta di acquisto di Dagostino per il Teatro Comunale d Firenze. La pm Von Borries è incuriosita anche dal rapporto di Dagostino con il pm di Trani Antonio Savasta, poi arrestato per altre storie e ieri il pm ha dato parere favorevole alla scarcerazione dopo che ha collaborato e ha annunciato di voler lasciare la magistratura. Savasta ha incontrato Lotti per proporgli una normalissima questione normativa. I pm probabilmente sono curiosi perché anche in questo caso sarebbe stato Bacci a favorire l’incontro. “Non abbiamo avuto nessun tipo di comunicazione”, ha detto ieri l’avvocato Federico Bagattini, legale di Tiziano.

Le dritte via chat di Russo a Bonifazi: “Accreditami ma non fare il nome di T.”

Nella memoria del telefono di Carlo Russo “svelata” dai periti della Procura di Roma due anni dopo il sequestro, c’è un messaggio che imporrebbe una riflessione. Invece il pm Mario Palazzi lo ha depositato al Gip Gaspare Sturzo senza una riga di commento. Carlo Russo il 4 marzo 2015 scrive all’allora tesoriere Pd Francesco Bonifazi: “Buongiorno Francesco, solo per evidenziarti i passaggi fondamentali dell’incontro di stamani: lui deve capire che io sono il suo unico interlocutore e che ho rapporti privilegiati, senza che venga fuori il nome di T. Grazie, è davvero importante per noi, a dopo. Carlo Russo”. La lettera “T.”, secondo il pm di Roma, sarà poi usata da Alfredo Romeo il 14 settembre 2016 davanti a Russo per indicare senza nominarlo Tiziano Renzi.

Il messaggio è importante perché Russo è indagato per millantato credito. Era noto che Russo aveva incontrato Bonifazi nel settembre del 2016 per proporre Romeo come possibile acquirente de l’Unità. Non erano noti due fatti stati svelati dal Fatto grazie alle nuove chat Telegram depositate dai pm: 1) a favorire l’incontro sarebbe stato – secondo i Carabinieri – Tiziano; 2) Bonifazi aveva rapporti con Russo da marzo 2015. E che rapporti.

Russo si permetteva di indicargli cosa doveva dire (probabilmente in sua presenza) a un misterioso interlocutore per accreditarlo come unico referente. Di chi? Forse del Pd renziano. Quel messaggio svela poi che Bonifazi sapeva del ruolo di T. (Tiziano Renzi?) dietro Russo. Non solo: Bonifazi era consapevole che quel ruolo doveva essere nascosto all’esterno. Bonifazi non risponde al messaggino. Resta un grande dubbio: l’incontro si è svolto? E chi era l’interlocutore verso cui Russo voleva accreditarsi grazie al tesoriere del Pd? Oggi Bonifazi dice al Fatto di non ricordare nulla e i pm non lo hanno convocato.

Dagli atti però sappiamo che il 26 febbraio del 2015, pochi giorni prima del messaggio di Russo a Bonifazi, Alfredo Romeo parla con l’amico Alfredo Mazzei che sta cercando di organizzare un caffé tra Renzi e Romeo per farli conoscere dopo l’assoluzione di Romeo per una vecchia vicenda giudiziaria napoletana.

Romeo, intercettato, dice: “Ma io ti devo veder da vicino perché ti devo dire una cosa… che mi hanno mandato addosso una persona e non so capire cosa vuol dire e quindi la devo commentare con te, uno dei loro… papà cose cazzi questo genere”. La persona legata al papà per gli investigatori potrebbe essere Russo. Ricordato ciò, Romeo potrebbe non essere la persona misteriosa evocata senza nome nel messaggio del marzo 2015 da Russo a Bonifazi. Romeo sapeva bene che dietro Russo c’era T. (sempre che fosse Tiziano) mentre nel messaggio Russo dice a Bonifazi di nascondere la circostanza. Inoltre nelle conversazioni del 2016 tra Russo e Romeo si parla di Bonifazi come un nemico di Romeo e non risulta mai invece che i due si conoscessero. Chissà se poi Bonifazi ha recepito le direttive di Russo, che per la Procura è un millantatore anche se talvolta a intermittenza. Anche l’allora sottosegretario Luca Lotti nel 2014 accreditava Russo con l’allora sindaco di Bari Michele Emiliano via sms così: “Lo conosciamo (…) ha un buon giro tramite il mondo della farmaceutica. Se lo vedi 10 minuti non perdi tempo”. Tornando a Bonifazi, Russo scrive altre due volte all’ex tesoriere Pd. Il 31 marzo 2016: “Sono Carlo Russo, l’amico di Tiziano Quando posso disturbarti un attimo?”. Poi il 24 giugno 2016: “Posso venire adesso a disturbarti un attimo o preferisci quando scendiamo?”. Bonifazi non risponde.

Le domande senza risposta sull’archiviazione di Tiziano R.

Il Giudice per le indagini preliminari Gaspare Sturzo deve decidere sulla richiesta di archiviazione presentata dal pm Mario Palazzi, con l’aggiunto Paolo Ielo e il capo Giuseppe Pignatone, per il traffico di influenze illecite contestato a Tiziano Renzi per il caso Consip. Il pm Palazzi, dopo il deposito dell’informativa con i messaggi delle chat di Carlo Russo con Tiziano Renzi, Alfredo Romeo e Francesco Bonifazi, ha confermato pochi giorni fa che “le nuove acquisizioni non mutano punto le conclusioni a cui è arrivato questo ufficio nella richiesta di archiviazione”. La Procura sostanzialmente ritiene Russo un millantatore e Renzi sr. un innocente, quasi una vittima, perché Russo è stato intercettato mentre spendeva il nome di Tiziano per chiedere denari a Romeo, ma non è provato che Tiziano lo sapesse. É molto probabile, quasi certo, per i pm che il 16 luglio 2015 Tiziano abbia incontrato Romeo con Russo a Firenze. Ed è quasi certo che mentano tutti sul punto.

Ma questo ai pm non basta. Perchè? Tra luglio 2015 (data dell’incontro ‘probabile’) e le intercettazioni in cui Romeo e Russo trattano il compenso per Tiziano (a sua insaputa) passa troppo tempo. Inoltre è vero che Russo incontra l’ad di Consip Luigi Marroni su raccomandazione di Tiziano nel settembre 2015, ma Marroni sostiene che gli parlò di una società di cui non ricorda il nome e nega di avergli raccomandato Romeo.

Ora, a prescindere dalle sue conclusioni in punto di diritto (la più probabile archiviazione, la meno probabile imputazione coatta, la richiesta ai pm di nuove indagini), il gip a nostro parere non dovrebbe lasciare ombre in punto di fatto. Perché quel fatto è molto importante nella vita pubblica e perché la ricostruzione del fatto può mutare le conclusioni in punto di diritto: in ogni caso le motivazioni dovrebbero tenerne conto. Il giudice potrà anche archiviare, ma prima sarebbe bene spiegasse e ricordasse alcuni fatti.

1) Romeo dice al telefono a Italo Bocchino nel luglio 2015, una settimana prima di incontrare (“probabilmente”, per i carabinieri) Tiziano e Russo a Firenze, che il tema di cui Russo vuole parlare è Grandi Stazioni.

2) Il 16 luglio, quando Russo è probabilmente già con Romeo e Tiziano sta arrivando, l’imprenditore chiama la sua collaboratrice Paola Grittani per parlare delle gare Grandi Stazioni.

3) Russo incontra fino all’autunno 2016, presentandosi come emissario di Romeo, l’amministratore di Grandi Stazioni Silvio Gizzi per parlare delle gare a cui partecipava Romeo.

4) Russo, nell’ottobre 2016, dice a Romeo che in precedenza avevano già raggiunto l’accordo per il 2-3% sulla gara Grandi Stazioni, ma è stato l’imprenditore a voler estendere il raggio d’azione del loro “accordo quadro” a Consip (“Se lei si ricorda, noi inizialmente parlammo di un riconoscimento… dal 2 al 3 per cento e io ho fatto il conto di calcolare quel 2 o 3 per cento …. soltanto…. su grandi Stazioni. Io è una cosa che già ci abbiamo in tasca… il resto… lei ha voluto fare l’accordo quadro… a me mi sta benissimo”);

5) Russo ha contattato, su raccomandazione di Renzi sr, Marroni, ad di Consip, pochi giorni dopo l’incontro ‘probabile’ con Romeo e Tiziano.

6) Russo teneva informato Romeo nel maggio 2016 dei suoi incontri con “il colorato” (Marroni).

7) Dalle intercettazioni risulta che nel settembre 2016 Russo e Romeo parlano del salvataggio dell’Unità in cambio della protezione alla società Romeo da parte del Pd.

8) É certo che Russo abbia incontrato il tesoriere Pd Francesco Bonifazi per parlargli dell’operazione; è altamente probabile che lo abbia incontrato grazie all’intermediazione di babbo Renzi.

Ora che i pm e i carabinieri sono quasi certi che Tiziano e Russo abbiano incontrato Romeo a Firenze con modalità carbonare il 16 luglio 2015, Matteo Renzi dovrebbe scusarsi con il Fatto: politicamente si era molto esposto su questo punto nel maggio 2017, attaccando il nostro giornale e mostrando di credere al padre, che negava quell’incontro. Ieri abbiamo pubblicato le chat di Tiziano e Russo proprio di quel giorno, che confermano l’incontro. Quindi attendiamo le scuse dell’ex premier.

Tiziano invece dovrebbe dire finalmente la verità agli italiani: altrimenti molte persone potrebbero mettere in difficoltà suo figlio Matteo in futuro, ricordando quel che oggi dicono di non ricordare: Romeo e Russo, ma non solo. Probabilmente sanno di quell’incontro, stando alle conversazioni intercettate, anche l’ex parlamentare Bocchino e la responsabile gare della Romeo, Paola Grittani.

Ma, al di là della potenziale “ricattabilità” della famiglia Renzi, tema più politico che giudiziario, c’è un problema che dovrebbe interessare anche il gip Sturzo. Se – come ipotizzano i Carabinieri – l’incontro c’è stato, se Tiziano lo nega ancora e se davvero vi si è parlato di gare e di società pubbliche come Grandi Stazioni, se in seguito Carlo Russo ha incassato “utilità” (vacanze gratis come ricordano i Carabinieri di Roma nell’ultima informativa, ma anche una consulenza alla cognata, secondo i rapporti del Noe), se lo stesso Russo ha trattato soldi per Tiziano Renzi in cambio di “protezione” e “appoggi” di Tiziano Renzi e di esponenti del Pd renziano, si può davvero considerare Russo un millantatore?

Davvero si può archiviare tutto senza nemmeno sentire la Grittani su quell’incontro Russo-Tiziano del 2015 e sui messaggi da lei scambiati con Russo nel 2016 sulle gare di Grandi Stazioni e sugli appuntamenti con Marroni? Davvero si può archiviare senza sentire Bonifazi, allora tesoriere Pd, sull’incontro del settembre 2016 con Russo? In fondo quell’incontro – secondo la lettura delle chat su Telegram fatta dall’Arma – è stato organizzato grazie alla mediazione di Tiziano.

Davvero si può archiviare un’indagine simile senza ascoltare la versione di Bonifazi sul messaggino che pubblichiamo oggi? Davvero il Gip non vuole sapere perché Russo si permetta di scrivere al tesoriere Pd: “Buongiorno Francesco solo per evidenziarti i passaggi fondamentali dell’incontro di stamattina: lui deve capire che io sono il suo unico interlocutore e che ho rapporti privilegiati senza che venga fuori il nome di T. Grazie è davvero importante per noi”? Davvero non gli interessa chi sia il soggetto che doveva incontrare Bonifazi con l’accordo di Russo o perché la cosa era importante per “noi”? E “noi” chi?

Davvero non interessa al gip sapere chi doveva incontrare Bonifazi su input preciso di Russo che lo guida via sms con la bacchetta?

Per la vicenda Consip la Procura ha chiesto di archiviare Tiziano per traffico illecito di influenze e di contestare a Russo il millantato credito. E per le gare Grandi Stazioni ha chiesto l’archiviazione per turbativa di gara per l’ad Silvio Gizzi, Romeo e Russo. I pm romani non hanno derubricato, nemmeno per il solo Russo, il presunto reato sulle gare Grandi Stazioni in traffico di influenze illecite. E hanno persino scritto nella richiesta di archiviazione: “In relazione a questa gara, nei giorni in cui il Russo interloquiva con Romeo, la posizione in graduatoria delle società dell’imprenditore campano era già cristallizzata… Questi dati oggettivi sottolineano, senza tema di smentite, la natura millantatoria delle mirabolanti promesse di Russo a Romeo in ordine alle gare indette da Grandi Stazioni, al dì là della accertata conoscenza, da parte del primo, dell’ing. Gizzi. Resta il dato, non perfettamente chiarito, delle ragioni delle loro frequentazioni, che non possono comunque essere correlate alle vicende di Romeo”.

Ma qui ci sono due imprecisioni. A) La gara delle pulizie non era assegnata definitivamente e Romeo, che era secondo quando parlava con Russo di pagamenti (a sua insaputa) a favore di Tiziano, poteva diventare primo se il vincitore fosse stato escluso. B) Gizzi a verbale smentisce i pm sulle sue frequentazioni “non correlate a Romeo”: “In tali incontri Russo si è manifestato come espressione delle società riconducibili all’imprenditore napoletano Rome, mi ha chiesto notizie in ordine alle gare in corso, gare relative alla manutenzione e alle pulizie, gare a cui partecipava la Romeo Gestioni Spa”.

Il gip Sturzo, quale che sia il suo provvedimento, dovrà spiegare anche questo.

Ramy, il capitano e il gelato privato

Dopo mille traversie i giovani eroi del bus di San Donato Milanese sono finalmente stati accolti al Viminale per la rituale benedizione del Capitano. Non solo Ramy e Adam, a cui sarà presto riconosciuta la cittadinanza italiana, ma pure Aurora, Fabio e Nicolò, altri tre ragazzi che hanno contribuito a sventare la strage. Il ministro Salvini gli ha consegnato una medaglia ricordo e gli ha dato un consiglio paterno: “Ora tornate alla vita normale, la scuola, il pallone”. Poi, brillante trovata, ha deciso di accompagnarli a prendere un gelato di fronte a Palazzo Chigi. Una “passeggiata privata” – dice lui – talmente privata che inevitabilmente sono stati circondati da decine di fotografi e telecamere. Matteo è l’amico che tutti i bimbi vorrebbero avere: “Abbiamo parlato di calcio e di gite. Mi sono complimentato per il loro coraggio”. L’ottimo umore del ministro è stato turbato soltanto da un paio di considerazioni. Primo, il merito della cittadinanza a Ramy e Adam non è di Di Maio: “Accolgo i suggerimenti di tutti, ma mi sono convinto da solo”. Secondo: questi bimbi sono stati strumentalizzati. Ma non da Salvini, eh: da Fazio, Di Maio, il Pd. “Chiedetelo a chi li ha usati in studio per fare audience e li ha usati come una bandiera politica”. Per fortuna poi è arrivato lui e li ha portati a prendere un gelatino.

Meloni: “Querelerò Calenda. A sinistra mi sanno solo dire cozza”

Giorgia Meloni è tornata a parlare di alleanze nel centrodestra ieri sera durante Accordi e Disaccordi, il talk show condotto da Andrea Scanzi e Luca Sommi su Nove: “Il rapporto con Berlusconi? Dipenderà dal voto delle Europee. Con la Lega oggi ci sono più affinità di quante non ce ne siano con Forza Italia. Vedremo quindi dopo i risultati delle elezioni di fine maggio. Non faccio mistero di credere in un centrodestra diverso, nuovo per il futuro e per lavorare affinché il mio partito sia il secondo movimento del centro destra insieme al Carroccio”. La leader di Fratelli d’Italia ha parlato anche dello scontro con Carlo Calenda su Twitter riguardo il Congresso delle famiglie di Verona. “Lo sto per querelare per le sue dichiarazioni contro di me”. Calenda infatti le ha scritto sul social network: “Ma ti sei bevuta il cervello? I matrimoni misti! Cosa sei la versione burina del KKK. Prenditi una pausa. Lunga”. “Mi sono stufata – replica Meloni – perché verso di me si prendono delle libertà che io verso gli altri non mi prendo. Definirmi ‘burina’ è tipico di una sinistra radical chic che vive nei suoi bei salotti. Vuol dire che di me nel merito politico hanno poco da dire e quindi devono dire che sono una cozza o un cesso”.

“A Verona io non ci vado, ora è uno spot per Salvini”

Paola Binetti al Congresso delle famiglie di Verona non ci sarà. Stufa di essere rappresentata come quella del cilicio o dell’Opus dei, la senatrice dell’Udc marca le distanze da un certo modo di interpretare i valori cattolici in politica: quello di Matteo Salvini. “La manifestazione di Verona – dice – è diventata uno spot per la Lega”.

I princìpi del Congresso però sono anche i suoi, no?

Sono importanti anche i toni. Quelli di Verona sono troppo forti e poco inclusivi. È proprio la cifra della Lega.

Eppure tra lei e il ministro Fontana ci sarebbero più affinità che divergenze.

Forse in circostanze diverse, con un governo di centrodestra, ci sarebbe stata una dialettica differente e si sarebbe potuta trovare una sintesi.

Ne fa una questione di partito, non di valori.

Il valore che ci separa su questi temi, è lo stile. Noi siamo all’opposizione. Per questo non vado a Verona: è stata costruita su una piattaforma leghista.

Ma in termini concreti cosa la separa dalla Lega?

Siamo d’accordo sulla sostanza, sul bisogno di misure a favore della famiglia, ma poi bisogna vedere come le declini. Ad esempio, Salvini ha detto che la 194 non si tocca. Forse la mia posizione non va di moda, ma penso ancora ci siano valori “non negoziabili”: uno di questi è la vita.

Eppure con una Lega così forte potreste raggiungere molti obiettivi comuni in questa legislatura.

Non so se ci sia una maggioranza in Parlamento su questi temi. Penso ad esempio alla legge sull’eutanasia, che i 5Stelle appoggiano. Ecco, se ci sarà una spaccatura nella maggioranza, spero sia su questo, e che la Lega si assuma una responsabilità a favore della vita.

Si può intervenire sulle unioni civili?

Sono state approvate nella legislatura precedente, non si torna indietro. L’unica battaglia è per evitare di arrivare all’utero in affitto.

E sull’aborto?

Non ci sono margini. È intoccabile. Mi auguro soltanto che la 194 diventi una volta per tutte quello che dovrebbe essere: tutela sociale della maternità.

In passato ha definito l’omosessualità “una devianza”.

Ho massimo rispetto per le persone a prescindere. La persona omosessuale ha i suoi diritti personali ed è giusto che li faccia valere. Io ho votato contro le unioni civili non tanto per i diritti di coppia ma per le ambiguità sul tema della stepchild adoption. E su questo continuo a provare riserve e perplessità, ma non credo che vadano usate come un’arma contundente.

È diventata più moderata.

Lo sono sempre stata. Sono per la cultura dell’inclusione. Ai tempi fui strumentalizzata, faceva notizia che fossi nel Pd.

Ma pensa ancora sia una devianza o no?

(Molto seccata) L’omosessualità è uno stato. La persona omosessuale vive la sua condizione al pari della persona eterosessuale. Ognuno di noi cerca di farlo con la maggiore dignità e il maggior rispetto degli altri possibile.

Come è cambiato il rapporto tra Chiesa e politica rispetto agli anni del cardinal Ruini?

Francesco ha un approccio intensamente declinato nella dimensione sociale.

Non c’è più ingerenza nella politica italiana?

Non credo ci fosse nemmeno negli anni di Ruini e di Benedetto XVI.

Molti dei più strenui difensori dei valori cattolici in politica, hanno alle spalle più di un divorzio e altrettante famiglie. Non è ipocrisia?

Un uomo pubblico risponde della difesa pubblica dei valori che rappresenta. Nella sua vita privata penso che debba prevalere il rispetto della privacy.

Però contano anche l’esempio e le azioni, no?

L’esempio è importante, ma non siamo manichei. Nel cuore di ogni uomo c’è del bene e ci sono delle debolezze. Come dice papa Francesco: “Chi sono io per giudicare?”.