Giorgia, Matteo & C. La strana “bellezza del matrimonio”

Affermare la sacralità della famiglia, tutelare il “ruolo della donna”, ma soprattutto celebrare “la bellezza del matrimonio”. Il Congresso della famiglia di Verona, al centro delle polemiche per la partecipazione di diversi esponenti politici e del governo, dichiara così alcuni dei suoi intenti per gli incontri di fine settimana. E sarà forse per tener fede a simili impegni che il congresso ha invitato autorevoli esperti in materia di “bellezza del matrimonio”, uomini e donne talmente appassionati di famiglia tradizionale da collezionarne anche due o tre: figli fuori dal matrimonio o nati da relazioni diverse, separazioni, divorzi, convivenze decennali senza passare dall’altare.

Tutte cose normali e che sarebbero rimaste nella sfera privata dei relatori se non fosse per la contraddizione coi valori sbandierati al congresso: “L’obiettivo – si legge nella presentazione dell’evento – è di unire e far collaborare leader, organizzazioni e famiglie per affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”.

Tra i più attesi a Verona ci sarà Matteo Salvini. Fresco di gossip per la relazione con Francesca Verdini, figlia 26enne di Denis, il ministro dell’Interno è sposato, divorziato, due volte padre (da due donne diverse) e ancora in età per onorare chissà quante altre famiglie tradizionali. Il primo figlio, nel 2003, è nato dal matrimonio con Fabrizia Ieluzzi, la seconda, sei anni fa, dalla relazione post-divorzio con Giulia Martinelli, a sua volta naufragata prima della celebre parentesi amorosa con Elisa Isoardi.

Ce n’è abbastanza per tenere alto il buon nome della Lega, che già in passato aveva messo il cappello sulle varie riproposizioni del family day nonostante la storia personale dei propri esponenti. Basti ricordare, a riguardo, il caso di Roberto Calderoli, che si è da poco ri-accasato con Gianna Gancia dopo il pittoresco rito celtico con cui nel 1998 si era unito a Sabina Negri. Una tradizione onorata anche da Roberto Castelli, che sposò Sara Fumagalli con druidi al seguito dopo aver avuto un figlio dalla prima moglie Silvia Galbiati. Vecchia e nuova Lega poco importa, se si tratta di allargare la famiglia.

Tra i volti più recenti del Carroccio c’è il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti: anche lui, separato, sarà a Verona a portare il proprio contributo sulla stabilità della famiglia. Un po’ come Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia che due giorni fa ha rivendicato a Otto e mezzo la propria partecipazione al congresso, nonostante abbia avuto una figlia fuori dal matrimonio. Molto meglio una moderna convivenza che un antico matrimonio? Forse, anche se la Meloni è pronta all’auto-censura per spiegare il tutto e – chissà – per espiare la propria pena: “Non pretendo di avere il favore che la Costituzione riconosce alle coppie sposate”, ha detto a Otto e mezzo.

Anche in Fratelli d’Italia, d’altra parte, i buoni maestri non mancano. Nella storia dei difensori della famiglia tradizionale c’è infatti spazio anche per Ignazio La Russa – due matrimoni, un divorzio e tre figli (il primo con Marica Cottarelli, gli altri con Laura De Cicco) – e per Daniela Santanchè, che ancora oggi porta il cognome del primo marito, ma che ha avuto un figlio da Giovanni Canio Mazzaro, prima della lunga storia d’amore con Alessandro Sallusti.

E sarà proprio il direttore del Giornale a presentare uno dei dibattiti in programma a Verona, lui che dall’altare è salito e sceso due volte: “Famiglia naturale, politiche e prassi in Europa”, il titolo dell’incontro. Arriverà il giorno seguente invece Elisabetta Gardini, eurodeputata di Forza Italia. Anche per lei parla il curriculum: nel 1990 ha avuto un figlio con il marito Luca Fazzi, da cui ha divorziato pochi anni dopo preferendo poi convivere col nuovo compagno senza celebrare un secondo matrimonio. Chi invece combatte tra religione e nozze è Alessandro Meluzzi, lo psichiatra star dei salotti tv che sarà a Verona per una tavola rotonda sulla crisi demografica. Sposato da tempo con Maria Valencia Ardiles, tre anni fa si è fatto prete ortodosso e poi vescovo di una piccola comunità di fedeli milanesi. Certo, l’ortodossia non permetterebbe a un vescovo di essere sposato, ma le tradizioni, si sa, sono fatte per essere cambiate. Almeno quando torna comodo.

Medici, ministri, direttori. Gli ultrà della cattodestra

L’ultimo colpo grosso gli organizzatori del World congress of families l’hanno mancato per un soffio: non ci sarà tra i relatori Gian Carlo Blangiardo, il presidente dell’Istat che vorrebbe conteggiare nelle statistiche l’aborto come causa di mortalità infantile. La sua partecipazione è nata e tramontata nel giro di poche ore. “Ha rinunciato a partecipare – scrive l’Istituto di statistica – per evitare che una decisione personale fosse interpretata come una decisione del presidente dell’Istat”.

Ma l’assise scaligera, con tre ministri e direttori di giornali, rimane il momento della consacrazione per i movimenti della destra ultracattolica in Italia: mai erano arrivati così vicini alla stanza dei bottoni, mai erano riusciti a portare le loro proposte all’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica.

Chissà se nel 2005, quando diede vita all’associazione Scienza&Vita per boicottare i referendum sulla legge 40, Massimo Gandolfini pensava di arrivare così lontano. Il neurochirurgo di Brescia secondo cui “le leggi sul divorzio e sull’aborto” hanno rovinato la famiglia, perché “hanno reso vulnerabile e fluido il rapporto fra uomo e donna”, e pensa che “alla base della condotta omosessuale ci possa essere un disagio d’identità”, è il demiurgo che ha dato forma e voce a un movimento in marcia da quasi 15 anni e che, senza mai diventare partito, oggi conta molto grazie alla Lega.

Ma la rete costruita sulle fondamenta dei movimenti anti-abortisti e che nell’ultimo decennio è cresciuta sposando la causa dei Family Day, è più vasta. Il comitato “Difendiamo i nostri figli” che ha organizzato le manifestazioni del 2015 e del 2016 contro la Cirinnà, ha come portavoce proprio Gandolfini e altri tre soci fondatori: Toni Brandi (vicino a Forza Nuova, volto storico dei movimenti anti-abortisti e sostenitore della possibilità di curare gli omosessuali), Jacopo Coghe e Simone Pillon. I primi due sono il presidente e il vicepresidente del World congress di Verona, il terzo è parlamentare leghista.

La storia della “scalata al cielo” di questo gruppo è stata raccontata da Sara Garbagnoli e Massimo Prearo in “La crociata anti-gender – dal Vaticano a Manif pour tous”: dal 2013 al 2016 Gandolfini, Gianfranco Amato (anche lui relatore a Verona) e alcuni altri organizzano un tour nelle parrocchie italiane in cui si propaganda l’idea che nel Paese sia in corso un grave attacco alla famiglia perpetrato attraverso la legge sulle unioni civili, la penalizzazione dei discorsi omofobici (mai approvata), l’educazione di genere nelle scuole.

Durante questi incontri, racconta il ricercatore universitario Massimo Prearo, l’invito alla mobilitazione è pressante: “Cosa direte ai vostri figli quando non si potrà più dire famiglia, quando gli omosessuali potranno comprarsi dei figli al mercato dei bambini e quando vi chiederanno ‘Papà, mamma, voi dove eravate?’”. Le piazze del Family Day si sono così riempite di persone e voti che Gandolfini, nel 2018, ha portato in dote al centrodestra con un invito esplicito a votare le loro liste, quella leghista in particolare, e ottenendo in cambio molto.

L’elezione di Pillon, innanzitutto, uno che ha detto di voler “introdurre in Italia il covenant marriage americano: una forma di matrimonio indissolubile” e che, nell’attesa, ha presentato un disegno di legge sugli affidi dei minori nei divorzi che penalizza il membro della coppia economicamente più debole (la donna nel 90% dei casi). Ma anche molto altro: la nomina a ministro di Lorenzo Fontana, veronese, già vicesindaco, considerato dal popolo del family day “uno di loro” (“perché le famiglie arcobaleno esistono?” ebbe a dichiarare), il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti (anche lui a Verona), che ha reso più complicata l’organizzazione di attività extracurriculari sulla parità di genere. C’è poi il disegno di legge Stefani sull’aborto (tramontato, a quanto pare), le proposte per criminalizzare la gestazione per altri anche se praticata all’estero, la promessa di Salvini di stoppare l’adozione per i single. “Ma se vogliamo capire meglio cosa sta succedendo, io guarderei anche al mondo dei media” suggerisce Prearo, “perché per la prima volta questo movimento può appoggiarsi su organi di informazione che lo fanno esistere sulla scena pubblica”.

A Verona ci saranno, tra gli altri, la giornalista Maria Giovanna Maglie, il direttore del Giornale Alessandro Sallusti e quello della Verità Maurizio Belpietro, dove scrivono regolarmente sia Gandolfini che la scrittrice Silvana De Mari, condannata per diffamazione nei confronti delle persone gay. Gran tessitore del sodalizio è Stefano Lorenzetto: già autore del libro-intervista a Gandolfini L’Italia del Family Day per Marsilio (che pubblica anche Costanza Miriano, “Sposati e sii sottomessa”), è tra i fondatori del giornale di Belpietro. E, nemmeno a dirlo, veronese doc.

Processo Cucchi. Il pm: “Evidente reticenza dei testi

“L’atteggiamentoreticente di alcuni testi è visibile”. Lo ha detto, ieri, il pm di Roma Giovanni Musarò al processo per la morte di Stefano Cucchi, quando è tornato a chiedere alla Corte di acquisire documenti sul depistaggio. Questi documenti, ai fini probatori, ha spiegato, sono ancora più importanti perché firmati da ufficiali che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere come imputati di reato connesso. Ieri lo ha fatto il tenente colonnello dei carabinieri Cavallo, prima, il generale Casarsa e il maggiore Soligo. Né, ha ricordato il pm, è servita come prova dichiarativa la testimonianza dell’ex comandante provinciale dei CC, il generale Tomasone che “non ha saputo spiegare” neppure “considerazioni medico-legali che provano” che vi fuorno “accertamenti ‘paralleli’”. La Corte deciderà l’8 aprile. Sempre ieri, il tenente Beringheli ha confermato quanto già detto a verbale: “Il registro delle persone fotosegnalate della Compagnia di Roma Casilina era stato sbianchettato. Al capitano Testarmata (indagato per depistaggio, ndr) dissi che alla magistratura non andava consegnata solo la fotocopia. Trovai assurdo che non venisse portato via l’originale”.

Voltafaccia Pizzarotti, i Verdi puntano a sinistra

Lo stupore con cui i Verdi hanno assistito al repentino voltafaccia di Federico Pizzarotti è ben espresso dal lungo sfogo che il coordinatore del Sole che ride, Angelo Bonelli, affida a Facebook: “Non ci sentiamo assolutamente la sposa o lo sposo abbandonati sull’altare, ma in nome dell’Ecologia della politica è bene farsi un’idea di cosa è accaduto in questi mesi”.

Lo “sfogo” arriva il giorno in cui il sindaco di Parma e leader del movimento Italia in Comune annuncia l’accordo fatto con +Europa di Benedetto Della Vedova ed Emma Bonino. Dal Pd trapela la notizia che tale accordo sia stato fortemente voluto dal segretario, Nicola Zingaretti, con l’obiettivo di evitare una lista ecologista e intestarsi la battaglia per l’ambiente.

Eppure, fino al 14 marzo, Pizzarotti sembrava innamorato dei Verdi: “A novembre del 2018 Italia in Comune ci chiede un aiuto per incontrare i Verdi europei”, scrive ancora Bonelli. Il movimento Italia in Comune partecipa al congresso dei Verdi tedeschi e “il 21 dicembre 2018 Pizzarotti ospite della trasmissione Otto e Mezzo lancia l’intesa con i Verdi”. L’accordo viene ufficializzato a gennaio, Italia in Comune cerca di aggregare anche altre forze di sinistra, compresa Sinistra italiana, senza però alcun risultato.

“Il 19 febbraio a Bologna insieme a Pizzarotti e Pascucci incontriamo Della Vedova e Fusacchia (di +Europa, ndr) per verificare se vi potessero essere le condizioni per un’intesa comune. L’incontro non andò bene perché le differenze programmatiche erano notevoli a partire da Ogm, Tav in Val di Susa, trivelle e politiche energetiche”. Pizzarotti tranquillizza i Verdi e l’8 marzo del 2019 si trova un’intesa sul simbolo e due date per la conferenza stampa, il 14 e il 21 marzo.

“Dal 14 di marzo – scrive Bonelli – nessuno ha più risposto al telefono a partire da Pizzarotti. Neanche fossimo venditori petulanti, con tutto il rispetto per i venditori”. E invece da tv e giornali si apprende che Italia in Comune sigla l’accordo con +Europa per una lista che si chiamerà +Europa in Comune. All’alleanza con chi si batte contro il Tav o gli Ogm si preferisce quella con chi invece è a favore. Del resto, Italia in Comune ha siglato l’intesa con il Pd di Sergio Chiamparino in Piemonte e si appresta a fare lo stesso in Emilia Romagna.

I Verdi quindi restano al palo e, sulla scia delle manifestazioni per il clima, lanciano una proposta “ecologista, europeista, civica e femminista con un ruolo forte e visibile dei giovani”. A raccogliere l’appello è il cartello della Sinistra europea che racchiude, sostanzialmente, Sinistra italiana e Rifondazione comunista. I due partiti sono molto disponibili a un’intesa tanto da immaginare una lista con doppio simbolo, quello della Sinistra europea e quello del Sole che ride. “Noi però abbiamo come prospettiva la ricostruzione di un centrosinistra nuovo e non un progetto alternativo a quello come invece propone Rifondazione comunista” spiega ancora Bonelli che esclude una soluzione “bicicletta”, cioè con doppio-simbolo. In Sinistra italiana, invece, la soluzione sarebbe la benvenuta anche perché riproporrebbe, spiega Nicola Fratoianni, “un’alleanza naturale, tra sinistra e Verdi, comprensibile anche in Europa”. A muoversi è anche Zingaretti che vuole presidiare questo campo e che ha intenzione di telefonare alla deputata europea di Possibile, Elly Schlein, per proporle un posto nella lista Pd.

I pm su Frongia: “Niente corruzione, venga archiviato”

Non ci sono elementi per sostenere l’accusa di corruzione. La Procura di Roma chiede di archiviare la posizione di Daniele Frongia. E così l’assessore allo Sport – che si era dimesso e autosospeso dal M5S dopo la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati – rientra nella giunta capitolina. Le sue dimissioni infatti nei giorni scorsi erano state accolte con riserva da Virginia Raggi. Che ieri lo ha di fatto riaccolto: “Sono certa che continuerà a svolgere con rinnovato impegno la sua attività di assessore”, ha detto la sindaca di Roma. E a questo punto, secondo fonti del M5S nazionale, pare scontato il suo reintegro anche nel Movimento. Probabilmente anche prima che il gip decida se condividere o meno l’impostazione dei pm Paolo Ielo, Barbara Zuin e Luigia Spinelli, che hanno chiesto l’archiviazione per l’assessore.

I magistrati infatti ritengono che non ci siano prove di un patto corruttivo con l’imprenditore Luca Parnasi. L’iscrizione di Frongia era avvenuta nell’ambito del filone principale dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma, quello dal quale è nato il troncone d’indagine che ha portato all’arresto dell’ex presidente dell’assemblea capitolina, Marcello De Vito, accusato di corruzione. È lo stesso reato contestato all’assessore ma per vicende completamente diverse. Ossia per aver segnalato – secondo l’impostazione iniziale della Procura – una persona da assumere in una delle società del costruttore Luca Parnasi, accusato dai pm di Roma di essere a capo di una associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione.

Chi rivela questa circostanza ai pm è lo stesso Parnasi in un interrogatorio dal quale è dipesa l’indagine a carico dell’assessore allo Sport. Ai magistrati il costruttore aveva raccontato di aver chiesto lui stesso a Frongia se avesse qualcuno da segnalargli come responsabile delle relazioni istituzionali di una sua società, la Ampersand. Frongia avrebbe proposto una donna di circa 30 anni. C’è anche una conversazioni tra Frongia e Parnasi (captata dal trojan installato sul cellulare dell’imprenditore) in cui si fa riferimento alla vicenda. Alla fine però non è mai stato formalizzato alcun incarico da parte di Parnasi, anche perchè l’imprenditore a giugno scorso è stato arrestato (misura poi revocata). Parnasi però davanti ai pm ha anche precisato di non aver mai ricevuto pressioni o richieste di favori da parte di Frongia. Quando Il Fatto, il 22 settembre, pubblicò le rivelazioni di Parnasi, Frongià disse: “L’ho incontrato un paio di volte, come faccio con tanti imprenditori che vogliono investire nello sport a Roma, e in una occasione mi disse di essere alla ricerca di personale specializzato per una sua nuova azienda chiedendomi se conoscessi qualcuno con determinate competenze. A puro titolo di condivisione, ho passato questa informazione a persone con i requisiti ricercati”.

Ora anche i magistrati sono convinti che non sia stato commesso alcun reato. “Ringrazio la Procura della Repubblica di Roma per aver chiarito la mia posizione e richiesto l’archiviazione – ha scritto ieri su Facebook l’assessore –. Ribadisco quanto detto anche in passato: non ho mai tenuto comportamenti illegali né scorretti. Non ho mai chiesto, fatto o ricevuto favori”. Ora la parola passa al gip.

Raiway, la poltrona di presidente va a Mario Orfeo

Per il personalela Rai spende quasi un miliardo all’anno. Ovvero circa 950 milioni di euro per pagare 23.939 persone, di cui 12.039 dipendenti e 11.900 collaboratori. Solo tre anni fa erano poco più di 21 mila. Questi dati fanno parte di un documento della Ragioneria generale dello Stato e arrivano proprio nel giorno in cui il cda di Viale Mazzini vara il Piano di sviluppo delle risorse umane, che fotografa la situazione del personale e indica alcune linee guida. La tv pubblica spende inoltre 80.873.000 l’anno per i contratti di natura artistica, mentre altri 4 milioni 100 mila vengono impiegati per servizi vari, come le consulenze legali. Il cda di ieri ha provveduto a nominare Alberto Matassino direttore generale, Roberto Ferrara capo staff dell’ad, Marcello Ciannamea coordinatore editoriale dei palinsesti, Roberto Nepote direttore marketing. Ma c’è anche una quinta nomina, di cui già si parlava: quella dell’ex dg Mario Orfeo a presidente di Raiway. Dalla Direzione Comunicazione sono state scorporate le relazioni istituzionali e quelle internazionali.

Europee, il caso Nogarin: i vertici del M5S contro il sindaco di Livorno

Il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, rischia di essere escluso dalle liste del Movimento 5 Stelle per le elezioni europee del prossimo 26 maggio. Martedì sera sulla piattaforma Rousseau è uscita la lista dei candidati toscani alle parlamentarie che sarà votata a breve dagli iscritti e Nogarin, che ha rinunciato a cercare il bis da sindaco per tentare la corsa per Bruxelles, risultava in terza pagina al 75° posto su 149 in lizza.

La lista è stata stilata dallo staff attribuendo a ogni candidato un certo numero di “bollini” fino a un massimo di nove in base a criteri precisi: il certificato di laurea, la conoscenza della lingua inglese, l’aver partecipato a Italia a 5 Stelle o a un Villaggio Rousseau, l’essere un portavoce del M5S e così via. In cima alla lista ci sono figure molto meno conosciute di Nogarin: sul podio dei candidati “premium” appaiono la consigliera comunale di Firenze Silvia Noferi (7 bollini), l’ex consigliera a Pisa Elisabetta Zuccaro (6) e la consigliera comunale di Fucecchio, Lisa Giuggiolini (5). Nogarin martedì invece risultava solo al 75° posto sui 149 candidati totali con due bollini: la laurea in Ingegneria aerospaziale e l’essere stato un portavoce del M5S. Al sindaco non è stato riconosciuto alcun merito per i 5 anni di governo della ex roccaforte rossa e per gli incarichi istituzionali di questi anni, come la vicepresidenza nazionale di Anci. È pur vero che la lista stilata dallo staff è indicativa, ma spesso gli attivisti chiamati a votare su Rousseau tendono a seguire l’ordine dei candidati alle parlamentarie.

Così, appresa la notizia, Nogarin è balzato sulla sedia. E ha provato a contattare, senza successo, Davide Casaleggio e il vicepremier Luigi Di Maio (con cui i rapporti sono freddi da tempo) mentre l’unico big da cui ha ricevuto una risposta è stato Beppe Grillo, che ha passato il caso a Massimo Bugani. Quest’ultimo ha contattato telefonicamente il sindaco di Livorno e nel pomeriggio di ieri Nogarin è passato dal 75 al 27° posto nella lista con un terzo “bollino” (la partecipazione a eventi Rousseau) ma comunque molto indietro rispetto agli altri candidati.

Nel suo staff rimane il timore di una vendetta di Di Maio, a cui non sarebbero andate giù le critiche di Nogarin al governo sul caso del processo a Salvini sul caso Diciotti. “I giudizi non si condividono ma si rispettano”, commenta al Fatto il sindaco di Livorno. Ora, per farsi candidare e poi eleggere, dovrà lottare duro.

“Corruzione, perché Salvini non è parte civile su Montante?”

Ha qualcosa da chiedere a Matteo Salvini: “Lo convocherò in commissione Antimafia, perché spieghi come mai il Viminale non si è costituito parte civile nel processo Montante”. Sostiene che il governo debba “fare di più” nella lotta alle mafie. E chiede prudenza nel cambiare le norme sugli appalti, “perché non si può aumentare la capacità di spesa di tutti i Comuni”. Questo e altro dice il presidente dell’Antimafia, Nicola Morra, veterano del M5S.

Da quanto lei spiega, il ministero dell’Interno non si è costituito parte civile nel processo ad Antonello Montante (l’ex presidente di Confindustria Sicilia, presunto creatore di un “sistema Montante”, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e allo spionaggio, ndr). Le sembra un brutto segnale?

Il fatto che il Viminale rinunci a essere attore in un processo che coinvolge agenti, dirigenti della Direzione investigativa antimafia e dei Servizi di sicurezza mi pare rilevante. E bisogna capire se sia frutto di una distrazione, oppure frutto di una scelta che io non posso condividere. Lo Stato è stato abbondantemente infiltrato, e doveva costituirsi, per rispetto a tutti coloro che lo servono fedelmente. Vorrei capire se il ministro dell’Interno Salvini sia a conoscenza di tutto questo.

Non glielo ha chiesto?

Lo convocherò in commissione. E se Salvini non ne sapeva nulla, mi aspetto che provveda alla rimozione del dirigente che ha preso questa decisione.

Vi siete sentiti in questi suoi primi quattro mesi all’Antimafia?

Gli ho mandato tre messaggi tempo fa su un’altra vicenda, ma non mi ha risposto.

Come giudica la linea di Salvini sulla lotta alle mafie?

Mi pare che il suo approccio al tema fino a oggi sia stato velleitario. Non è sufficiente gioire per le operazioni contro i clan: bisogna prevenire il fenomeno e per farlo serve la presenza dello Stato in territori dove è stato conosciuto soprattutto o solo come repressione. Quindi lavorando su temi come l’istruzione e la tutela dei diritti. Invece Salvini sostiene che la lotta alle cosche si possa vincere in pochi anni, basta che ci sia la volontà. Ma non esistono ricette miracolose.

Questo non lo può fare certo Salvini da solo. Così la domanda è se il governo stia parlando e agendo abbastanza contro i clan.

Il governo deve fare di più non solo su un piano politico-simbolico, ma anche con provvedimenti concreti. Più che della legittima difesa, questo Paese ha necessità di normare il conflitto di interessi e di contrastare in maniera molto più efficace l’evasione fiscale. Perché sono fenomeni che creano il “nero”, di cui l’economia illegale si ciba.

Però è difficile tracciare certi confini. Per esempio l’esecutivo intende semplificare il Codice degli appalti, così da “sbloccare i cantieri”. Ma allentando i controlli si rischia di favorire la corruzione. È un dilemma, no?

Non si deve certo impedire alle imprese sane di lavorare. Però vorrei che gli enti locali non ancora a posto con la normativa sulla trasparenza, o peggio sotto inchiesta, possano spendere ulteriori risorse in deroga alla normativa vigente. La capacità di spesa non va aumentata a tutti, in modo indiscriminato.

La sua commissione ha stilato un elenco di impresentabili presenti nelle liste elettorali sia in Sardegna che in Basilicata. Ma i partiti, come lei stesso ha ammesso, “se ne fregano”.

C’è grande ipocrisia. E un ulteriore peggioramento, perché prima gli impresentabili parevano concentrati nelle liste civiche. E i partiti provavano a sostenere che non fosse roba loro. Ma come si è visto in Basilicata, ora sono anche nelle loro liste.

Il codice per gli impresentabili è quasi un esercizio retorico.

Resta uno strumento di trasparenza. Da qui a poche ore la mia commissione ne varerà una versione ampliata, in cui verranno inseriti ulteriori reati come il caporalato e il riciclaggio.

Il M5S ha avuto il suo primo arrestato, il presidente del Consiglio comunale di Roma Marcello De Vito. Cosa rappresenta questo fatto per il Movimento?

A Roma c’era un sistema che rappresentava un coagulo di interessi, di cui faceva parte anche il costruttore Parnasi. Ci si poteva parlare, ma come ha fatto Roberta Lombardi, di fronte a testimoni e in un luogo pubblico, ribadendo “no, no, no”. Il M5S è sempre stato contro la cementificazione.

Lombardi propone di bloccare la delibera sullo stadio della Roma.

Non è affatto irrazionale. Forse è doverosa una pausa di riflessione, e operare un’ulteriore istruttoria. Ma sarà la giunta a decidere.

I pm: “Condannate Garavaglia a due anni per turbativa d’asta”

Due anni di condanna per il viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, della Lega, e sette anni e sei mesi per l’ex vicegovernatore ed ex assessore alla Salute di Regione Lombardia, Mario Mantovani. Sono queste le richieste del pm di Milano Giovanni Polizzi. Entrambi i politici sono accusati di turbativa d’asta: secondo l’accusa, nel 2014 si sarebbero attivati assieme per “vanificare gli esiti del bando” della gara da 11 milioni di euro indetta “in forma aggregata” da tre Asl per il servizio di trasporto di persone dializzate. Il pm ha ricostruito che il primo marzo 2014 Garavaglia, dopo aver ricevuto “a casa sua rappresentanti della Croce Azzurra, si attivò e chiamò Mantovani perché quel bando, con quelle tariffe metteva fuorigioco Croce Azzurra”, l’associazione che aveva gestito fino a quel momento il servizio di trasporto dializzati e aveva deciso di non presentare offerte a causa delle tariffe troppo basse. “Mantovani assicurò il suo interessamento”, la conclusione dei pubblici ministeri. Di qui le richieste di condanna.

“Quella del senatore è una follia: un altro danno di immagine per i dem”

Professore Massimo Cacciari, ha letto del senatore Luigi Zanda?

No, cosa ha combinato?

Il nuovo tesoriere del nuovo Pd, poco prima di ricevere l’incarico dal segretario Nicola Zingaretti, ha presentato una proposta di legge per equiparare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli, più abbondanti, dei parlamentari europei.

Una follia, non ho altro da aggiungere.

Però può spiegare la follia.

Una forza politica, che dovrebbe fare opposizione, si mette a discutere di temi assurdi? Temi che fanno infuriare i cittadini, temi clandestini nel Parlamento di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Come farsi male da soli: un manuale scritto da Zanda. Anche voi siete colpevoli, non vi dovete nascondere.

Ci proviamo, professore.

Voi del Fatto avete cavalcato la questione degli stipendi dei politici con una cretina demagogia, ma oggi, ve ne posso dare atto, il senatore vi batte con una inutile idiozia.

Zanda sostiene anche il ripristino del finanziamento pubblico ai partiti.

Prima o poi ne dobbiamo parlare seriamente. Oggi pure questa posizione è una follia, un sintomo di un cervello in difficoltà, perché il momento politico richiede altri sforzi e altre idee. Mi scusi, poi, Zanda perché si cimenta in imprese impossibili? Cosa pensava di conquistare se non una pernacchia? Ha sortito un solo risultato: danneggiare l’immagine del Pd.

Zingaretti avrà sbagliato tesoriere?

No, l’esperto Zanda sarà bravo a far quadrare i conti, ma è meglio che lo faccia in silenzio. E comunque anche voi del Fatto affrontate l’argomento degli stipendi dei politici con tanta idiozia. Saluti.