Mail box

 

La strategia della destra per prendersi il Colle

Sono io a essere totalmente ingenuo o è il teatrino della politica che è diventato talmente endemico per cui nessuno si prende la briga di evidenziare le assurdità? Sono settimane che le destre, con giornali a seguito, spingono per l’elezione di B. al Colle, ben sapendo che è impresentabile data la sua storia. Con l’evidente strategia di coalizzare gli oppositori su di lui per poi, al momento delle votazioni, proporre un’altra figura di destra, subdolamente offerta obtorto collo per farla accettare.

Mauro Cestaro

 

Caro Draghi, è arrivata l’ora di redistribuire

Caro Mario Draghi, per me diplomato in Ragioneria e laureato in Giurisprudenza, è tempo di dare a chi non arriva a fine mese e non ha niente da mangiare e di prendere da chi ha molto più del superfluo, come il 10 per cento delle famiglie italiane che detengono quasi la metà della ricchezza nazionale. Voglio sperare che, di fronte alla suddetta situazione, lei con il suo governo vorrà prendere qualche iniziativa. L’articolo 2 della Costituzione dichiara che la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Io le batterò le mani soltanto quando lei e il suo governo estirperete le varie mafie, la corruzione e l’evasione fiscale. Buone feste.

Antonio Ammirati

 

L’obbligo di tampone è un assist per i No vax

Mio figlio, che vive e lavora a Budapest dove si è vaccinato, rientrando in Italia per le vacanze di Natale dovrà sottoporsi al tampone con tutta la sua famiglia. Invece i vaccinati che rientreranno dal Nord Italia nei loro paesi di origine nel Meridione non hanno alcun obbligo di sottoporsi ai controlli. C’è una logica che giustifica questa differenza di trattamento fra persone nelle stesse condizioni? Il vaccino non funziona passando un confine statale, mentre se si supera uno regionale mantiene la sua efficacia? Questa decisione non farà altro che alimentare la polemica dei No vax.

Pietro Volpi

 

I rischi di contagio nelle mense scolastiche

In questi giorni non si fa che parlare della vaccinazioni per i bambini. Comunque, i dati sono lì che certificano quante positività riscontrate nelle aule scolastiche, e molte delle quali sono finite in Dad per la gioia dei genitori. Parlando per caso con una coppia di genitori preoccupata dell’esposizione in crescita delle positività nell’ambiente scolastico, alla mia domanda se i tavoli della mensa siano dotati di plexiglas, in quanto chi si siede non è congiunto, mi sono visto rispondere che si trovano a una distanza di circa un metro, e sono a contatto stretto per più di 20 minuti, che è il tempo necessario per la trasmissione del virus. La normativa parla chiaro: per contatto stretto si intende una persona che è stata vicina a un positivo per più di 15 minuti e a una distanza inferiore di un metro e 80 centimetri. Mentre lì, nelle mense, tutti possono trasmettere facilmente il virus, col rischio anche di creare un vero focolaio. Ma dico io, gli ispettori delle Asl e i dirigenti scolastici non si rendono conto della problematica? Forse non hanno ben valutato il reale rischio che uno scenario del genere può comportare?

Gianluca Bragatto

 

Gli sforzi del Papa contro la politica dell’odio

Nel momento in cui i politici italiani continuano a dare spettacolo nei vari dibattiti televisivi solo per litigare e senza parlare dei tanti problemi dei cittadini, il Papa ha dimostrato, durante il suo viaggio nell’Ellade, di saper fare vera politica. Ha parlato di muri e di filo spinato proprio in Grecia, ormai super popolata da immigrati, occupanti le meravigliose isole, una volta perla e ricchezza per il qualificato turismo greco. Stimo Papa Francesco per quanto sta facendo per una migliore presenza della Chiesa Cattolica nel mondo. Proprio per questo avrebbe fatto bene anche a nominare la cattolicissima Polonia che, oltre a muri e filo spinato, ha addirittura sparato acqua gelata sui poveri e veri immigrati, affamati e agghiacciati dal freddo.

Mario De Florio

 

I NOSTRI ERRORI

Ieri, nel sommario di prima pagina, una dichiarazione del Comitato tecnico-scientifico è stata attribuita erroneamente all’Istituto superiore di sanità. Ce ne scusiamo con gli interessati e i lettori.

Fq

In Lombardia “I fragili non riescono a fare la terza dose: il sistema è in tilt”

Buongiorno direttore Travaglio e redazione del Fatto Quotidiano: vorrei sottoporre alla vostra attenzione il problema della terza dose in cui si trova coinvolto, suo malgrado, mio marito. Persona fragile (pressione e diabete), è stato iscritto ad aprile dal nostro medico di famiglia per avere diritto alla prima dose in anticipo rispetto alla sua classe di appartenenza (60-69 anni). Contattato direttamente da Roma, gli viene fissato l’appuntamento per la prima dose nella nostra zona (Varesotto). In quell’occasione gli fissano anche la data per la seconda dose: 21 maggio. Dopo la seconda dose gli arriva un messaggio per scaricare il Green pass. Fin qui tutto funziona egregiamente.

Con la terza dose però le cose si complicano. Mio marito prova a prenotarla sul sito di Regione Lombardia ma, inseriti i dati, è apparsa una mascherina che dava l’opportunità di prenotare solo la prima o la seconda dose. Abbiamo pensato subito che tutto il processo, fatto in via eccezionale per i soggetti fragili, avesse in qualche modo bypassato il sistema usuale e quindi mio marito apparisse effettivamente come non vaccinato. Il 25 novembre abbiamo quindi chiamato il numero verde. L’operatore ci ha detto che diverse persone fragili avevano avuto lo stesso problema, che avrebbe provveduto a fare una segnalazione e di aspettare 72 ore per sistemare l’account di mio marito, al termine delle quali saremmo stati contattati tramite messaggio telefonico. Aspettiamo inutilmente. Il 5 dicembre (10 giorni dopo) telefoniamo nuovamente al numero verde. L’operatore dice che vede la segnalazione, ma non ritiene di sollecitarne altre. Aspettiamo ancora e il 9 dicembre (2 settimane dopo) richiamiamo il numero verde. Questa volta l’operatore ritiene di fare una nuova segnalazione. Ma dobbiamo sempre attendere. Dopodiché ho deciso di “sfiatare” le mie angosce scrivendo a voi. Il paradosso è che mio marito ha ricevuto le prime due dosi in anticipo rispetto alla sua fascia d’età proprio perché è un soggetto fragile ma, essendo ancora un lavoratore, rischia tutti i giorni di essere contagiato.

Martedì 21 dicembre saranno passati 7 mesi dalla seconda dose: ci stanno dicendo tutti gli esperti che la protezione dal contagio cala dopo 6 mesi e che converrebbe fare la terza dose dopo 5 mesi. Quindi siamo in grande ritardo e tutti preoccupati per la sua salute e la nostra. Non sappiamo come risolvere questa situazione perché la Regione Lombardia ha messo in prima linea operatori che, nonostante la cortesia, sono disarmati nel fronteggiare queste situazioni e noi siamo ancora più inermi davanti alle carenze della nostra, ormai perennemente disgraziata, Regione.

Anna Maria Rizzuto

 

Cara Anna Maria, giriamo questa denuncia alla Regione Lombardia, sperando in una risposta sollecita almeno a noi.

Marco Travaglio

Al Csm piace il lavoro a cottimo

Forse i lettori più attenti ricorderanno la storia dei magistrati onorari raccontata dal Fatto giorni fa. Per gli altri, in breve, si tratta di questo: da fine anni 90 ci sono migliaia di lavoratori di serie B che aiutano i magistrati ordinari, detti “togati”, nelle cause più piccole, sostituendoli in udienza, scrivendo atti, studiando i fascicoli, etc. Ora, quando si dice “cause più piccole” non bisogna farsi ingannare: parliamo di reati gravi, sequestri milionari, cose così. È stato calcolato che nel civile il lavoro “onorario” vale il 40% del contenzioso, un’enormità. Qual è il problema? Questi lavoratori da vent’anni sono pagati (una miseria) a cottimo: 93 euro lordi a udienza. Niente malattia, niente maternità, niente ferie, niente pensione. La cosa ha spinto moltissimi di loro a fare ricorso: sentenze alterne, ma nel 2020 è arrivata la Corte di Giustizia Ue a dire quel che sanno tutti, cioè che se uno lavora in un posto per anni è un lavoratore e dunque ha diritto a un certo grado di protezione. Il 15 luglio, poi, la Commissione Ue ha di fatto aperto una procedura di infrazione contro l’Italia sul tema. Il ministero della Giustizia, a quel punto, ha inventato una “soluzione” sotto forma di emendamento alla manovra: una mezza assunzione (con stipendio parametrato a quello degli impiegati amministrativi) e un ricatto intero (vi stabilizziamo solo se rinunciate ai risarcimenti). Dopo anni di sfruttamento una vera umiliazione, che però secondo il Consiglio superiore della magistratura è pure troppo, come si legge nel parere sul testo predisposto per il ministero. Una ventina di pagine il cui fulcro non è dottrinario, ma antropologico: se li stabilizzate, “è verosimile che questi nuovi magistrati/funzionari (…) potranno agire giudizialmente per ottenere anche una parità retributiva”. Tra un pericolo che non esiste (la parità salariale) e un’ingiustizia che c’è (lo sfruttamento), il Csm sceglie di preoccuparsi del primo. A questo punto si potrà apprezzare il tocco delizioso su cui si chiude il testo: servono più toghe onorarie, sennò sono a rischio “gli ambiziosi obiettivi di riduzione del tempo dei processi e abbattimento dell’arretrato indicati nel Pnrr”. Al magistrato della Repubblica fondata sul lavoro piace il cottimo, specie se serve a lui.

Dimmi come vivi, ti dirò se ti curerò

Il concetto di “salute” è stato definito per la prima volta nel 1948 dall’Oms come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Se da un punto di vista tale definizione cancella il fattore discriminatorio della malattia, prima intesa come impedimento a una vita di buona qualità, dall’altro pone non pochi problemi, dal punto di vista di responsabilità sociale, soprattutto quando si parla del diritto ai diversi stili di vita. Il benessere è un concetto molto flessibile e personale, condizionato dalla cultura e dallo stato economico-sociale dell’individuo. Ciò ha aperto un ampio dibattito sul diritto a condurre alcuni stili di vita e il conseguente diritto alla cura. Il governo del laburista Tony Blair lo aveva annunciato a gennaio 2007: “La sanità pubblica potrebbe negare le cure a quei cittadini che conducono uno stile di vita notoriamente dannoso per la salute. Obesi e fumatori, indifferenti alle martellanti campagne che per il bene loro e della società vogliono spingerli a smettere di mangiare troppo e di fumare, saranno curati per ultimi, o solo dopo che avranno intrapreso una cura dimagrante e buttato nel cestino per sempre il pacchetto di sigarette”. Il tentativo fallì subito. Se dal punto di vista squisitamente economico, in un panorama di risorse sempre minori, il concetto potrebbe essere comprensibile, non lo è nella sua applicazione, gestione e rispetto dell’individuo. Innanzitutto il medico non può mai esimersi dal curare. È un principio deontologico universale. Gino Strada lo disse molto chiaramente, dopo aver ricevuto critiche per aver dato assistenza anche ai talebani. In questo periodo, per molti, pur accettando il pericolo di decesso o di ricovero in terapia intensiva, rimane preponderante il diritto alla libertà di scelta. Per loro, benessere è non vaccinarsi. Purtroppo (per loro) è impossibile convincerli. Il fenomeno, in Italia, è rappresentato dal 14% della popolazione. Lo scontro sì-vax vs. no-vax domina la scena mediatica, politica, sociale. Dovremmo, forse, avere il coraggio di ammettere che è una guerra senza speranza: abbiamo fatto tutto il possibile, impieghiamo le nostre energie per scopi più produttivi.

 

 

Adesso è ufficiale: la Rai dei Migliori è del centrodestra

“Il tema dell’informazione è nel nostro Paese tra quelli che maggiormente accendono gli animi, trasformando qualunque discussione in uno scontro tra eserciti contrapposti”

(da Notizie Spa di Michele Polo, Laterza, pag. XI)

Un vecchio proverbio popolare napoletano dice che “’o pesce fète d’ ‘a capa”, il pesce puzza dalla testa. E nel caso di questa Rai, la testa è il consiglio di amministrazione insediato nel luglio scorso con la presidente Marinella Soldi e l’ad Carlo Fuortes, nominati entrambi direttamente dal “Governo dei Migliori”. È stato proprio il voto decisivo dell’amministratore delegato a cancellare l’edizione notturna dei tg regionali, con una risicata maggioranza di quattro consiglieri contro tre, in spregio alla completezza e al pluralismo dell’informazione.

Non sappiamo se Fuortes sia stato consigliato nell’occasione da quell’“artista” di Bruno Vespa che lui stesso aveva accolto a suo tempo nel cda dell’Opera di Roma. Ma sappiamo che l’unico contrario a questa soppressione è stato Riccardo Laganà, rappresentante dei dipendenti Rai, senza escludere la possibilità di adottare forme di risparmio. A lui si sono aggiunte le astensioni dei due consiglieri di centrosinistra, Francesca Bria (Pd) e Alessandro Di Majo (M5S) che, chissà perché, hanno preferito assumere un atteggiamento pilatesco. Sta di fatto che questa decisione al di fuori di un piano industriale – osteggiata dall’Usigrai, il sindacato interno dei giornalisti – conferma ufficialmente che oggi la Rai è nelle mani centrodestra.

La circostanza è tanto più grave perché contro la cancellazione dei telegiornali s’era pronunciato uno schieramento bipartisan, composto dai sindaci e dai governatori di una parte e dell’altra. E insieme a loro, anche le organizzazioni dei lavoratori, preoccupati di restare senza informazione locale la sera dopo il rientro a casa. Ma, alla vigilia delle prossime elezioni per il Quirinale, rappresenta un vulnus che chiama in causa da una parte il conflitto d’interessi che fa capo a Silvio Berlusconi e dall’altra la concorrenza con le televisioni territoriali. L’imprimatur dell’esecutivo sul vertice Rai, in forza della famigerata “riformicchia” imposta dal governo Renzi che rivalutò perfino la riforma Gasparri, diventa così uno strumento per indebolire la tv pubblica a favore di Sua Emittenza e degli altri competitor privati.

Con la stessa logica e con lo stesso metodo, Fuortes ha proceduto all’infornata di nomine che ha suddiviso l’azienda in orizzontale, per generi piuttosto che in verticale per reti. Una vecchia idea concepita in passato per rompere la lottizzazione che rischia, però, di tradursi in una duplicazione di poltrone e in un ulteriore ampliamento di quel sistema. Fra alcuni nomi più che rispettabili, come quelli di Stefano Coletta alla direzione Prime time (intrattenimento serale), di Antonio Di Bella alla direzione Day time (intrattenimento diurno) e di Maria Pia Ammirati alla Fiction, tanti altri se ne segnalano per appartenenza e militanza politica: a cominciare da quello di un “ex tutto” della Rai come Mario Orfeo, preposto ora all’Approfondimento, da cui dipende il settore cruciale dei talk show.

Per non tediare i lettori, non spenderemo troppe parole per ripetere ancora una volta che l’unica vera riforma del servizio pubblico radiotelevisivo è quella della governance, in modo da affrancarlo finalmente dalla sudditanza alla partitocrazia. Ma il “taglio” dei tg locali, proprio in vista del Quirinale, minaccia di proiettare un’ombra sinistra sulla corsa che sta per cominciare. Se il centrodestra parte già avvantaggiato sul terreno dell’informazione, come certifica il conflitto d’interessi, sarebbe bene che in questo frangente la Rai si mantenesse rigorosamente neutrale ed equidistante.

 

Nuovo cinema mascherina: è Tom Cruise o tuo cugino?

La questione non è affatto irrilevante. Sono rogne, vedrete. Nel senso, il Covid non è soltanto la traduzione di un mondo monouso, schifiltoso e guardingo. Adesso ci tocca adeguare tutto al nuovo parametro. Intanto l’immaginario creativo, artistico, etico-estetico. Cioè il cinema, la letteratura, la fiction, non possono ignorarlo. E guardate nemmeno il teatro.

Il genio creativo non è una zona franca, non di questi tempi, ce n’è per tutti eh; è un ectoplasma senz’altro pro vax e imbavagliato.

Esempio. I prossimi film, non so, al cinema, cosa dovrebbero rappresentare? Prendiamo una scena tipo: una festa in casa di amici. Ballano, ridono, questi screanzati sono senza mascherina.

Cosa? Una festa in casa di amici? Siete scemi. Immaginate in platea. Un mormorio diffuso, i dodici in sala, disposti laconicamente, uno ogni tre poltrone, si guardano l’un con l’altro. Sono costernati. Il delatore più zelante zompa sulla sedia. Da far tremare le vene e i polsi. Indignato punterà il dito contro lo schermo: questi domani sono tutti positivi!

Intende questi della festa. Beh, se devi tradurre il mondo, sarebbe così. E quindi la delazione travalica il piano sequenza, la pellicola, è il monito del grillo parlante, la coscienza universale appollaiata sulla spalla del singolo, alla terza dose. La “burionata” possiamo replicarla ovunque. In teatro. Attori senza mascherina? Burioni si farebbe scoppiare un embolo al cervello: sorci, siete sorci, vi chiudiamo come sorci! Ha ragione. Eccome. Chessò i sei personaggi in cerca d’autore senza una ffp3?

Scherziamo?

O torniamo indietro, alla scena della festa. Il nuovo mondo imporrebbe un paesaggio al dettaglio. Controllo della temperatura. Tampone. O amuchina. Gente che balla a debita distanza. Gente: dieci invitati. Non di più. D’altronde non avete visto la proclame del Natale? Fatti un regalo, non invitare mai un no vax a casa tua. Lascialo a casa. Sua. Del no vax. Va bene, più o meno. Sullo sfondo musica da tristezza cosmica, evitiamo epiteti e non insultiamoci invitando la controparte a morire di qualcosa.

Quindi il cast di un film può prevedere il divo americano, certo, ancora. Devi indovinare però. Chi è? Chi si nasconde dietro lo sguardo guizzante? Tom Cruise? Non aspettare i titoli di coda perché non vale.

Guardate quante domande e quanti dubbi. Sei sicuro che sia Tom Cruise? Non credi alla scienza e credi ai titoli di coda? E se fosse tuo cugino, il vicino di casa? Che ne sai. E hai pagato pure un biglietto e ti hanno fatto credere che fosse Tom Cruise. O Luca Martinelli.

O le fiction in tv. Non si capisce un accidenti. Sono le mascherine. Sussurrano. Ma è il nuovo mondo, abbiate pazienza. Don Matteo se lo rifaranno salterà in bici con una mascherina nera e così via. Montalbano? Smetterebbe di intercalare il suono siciliano con la frase: Montalbano sono. Sapete la mascherina può far sudare gli occhi. È stancante parlare e imprecare in quella maniera burbera e simpatica, con le labbra impastate di filamenti sterilizzati. E certe volte non si capisce niente. Sembra che gli attori abbiano una mela in bocca. Può capitare. Con la mascherina il risultato ha un suo perché. Sorvolerei sui brani di romanzo. Ma non si può. Anche lì.

Descrizione di un incontro. Lui. Lei. Lei: devo andare. Lui: dove? Lei: a fare un tampone. Lui: di già? Lei: sì, è necessario. Si sono appena conosciuti, si piacciono. Sono entrati in farmacia, la temperatura misura 36.7, per entrambi. Coincidenza da eletti. Lui pensa di essere trapassato. Al solito. I maschi sono fatti così. Vedete che razza di piega prenderebbe la pagina. Come la fai finire questa storia? Lei che scopre il tradimento: lui non ha mai fatto un tampone in vita sua. E sul vaccino: sul vaccino avrebbe volentieri preso in prestito un braccio di silicone. Lo hanno già scritto?

 

La storia di B. racconta ciò che è: un tipo “unfit”

“Berlusconi può essere molto generoso” mi disse venticinque anni fa senza aggiungere nessun commento un deputato di sinistra. Qualche anno dopo il sen. De Gregorio, trovato colpevole di avere ricevuto 3 milioni di euro per cambiare voto e casacca, costituì la prova definitiva della generosità di Berlusconi. Ho cercato in molti testi, Costituzione italiana compresa, se la generosità rientri fra i criteri ritenuti importanti, praticati e da praticare, per essere considerati presidenziabili. Pare proprio di no. Poiché la Presidenza della Repubblica è sicuramente una “funzione pubblica” i suoi compiti dovrebbero essere adempiuti, come sancisce l’art. 54 della Costituzione “con disciplina e onore”. I precedenti di Berlusconi al governo e la sua condanna definitiva per frode fiscale non sembrano rassicuranti. Molti ricordano anche che, allora presidente del Consiglio, Berlusconi affermò che se le tasse sono molte e alte è un dovere morale non pagarle. Fra le qualità che ne giustificano la candidatura, Berlusconi e i suoi sostenitori, a eccezione di Giorgia Meloni, che quelle qualità non ha e non le può proprio apprezzare, da qualche tempo recitano, attribuendole anche a Forza Italia: liberale, cattolico, garantista, europeista. Non intendo discutere del cattolicesimo di Berlusconi, qualità irrilevante per ascendere al Quirinale e oramai poco importante anche per ottenere i voti degli elettori. Mi stupisce, però, che nei mass media le qualità berlusconiane non siano mai discusse e valutate. Il garantismo, non soltanto berlusconiano, sembra consistere in Italia nell’attaccare regolarmente i magistrati, specie quelli che indagano sui comportamenti dei politici. Nel passato, alcuni “garantisti” hanno anche garantito mazzette di denaro a giudici impegnati in processi che li riguardavano. Credo che le qualifiche europeista e liberale meritino la massima attenzione, poiché riguardano in maniera molto significativa sia il funzionamento della democrazia italiana sia il ruolo e i compiti del Presidente della Repubblica. L’unica prova a sostegno del suo europeismo è costituita dall’essere Forza Italia una componente del Partito Popolare Europeo. Chi trovasse affermazioni di Berlusconi che contengano una visione europeista, indicazioni intese a procedere nell’unificazione politica dell’Europa, prese di posizione su tematiche importanti farebbe un vero scoop. Molti ricordano a un meeting dei capi di governo dell’Unione europea, Berlusconi al telefonino fare segno a Angela Merkel di aspettare e allontanarsi.

Altri hanno negli occhi la foto di rito di un vertice nel quale Berlusconi fa il gesto delle corna come uno scolaretto impertinente. L’europeismo folkloristico non è appropriato a un Presidente della Repubblica italiana. Va assolutamente a scapito della credibilità e affidabilità dell’Italia. La carriera politica di Berlusconi, che secondo i suoi sostenitori merita di essere premiata con la più alta carica istituzionale, si è svolta con un altissimo tasso di conflittualità tanto da rendere Berlusconi un candidato sicuramente divisivo, chiaramente inadeguato a rappresentare “l’unità nazionale” (art. 87). Gli stessi aedi del bipolarismo come modalità preferibile di competizione politica non possono negare che, anche a causa dell’interpretazione che ne dava Berlusconi, quel bipolarismo veniva spesso definito feroce. Nelle parole di Cesare Previti, ascoltato avvocato e amico, non bisognava “fare prigionieri”, l’avversario doveva essere eliminato. Sono anni che più o meno prestigiosi commentatori lamentano che Berlusconi non è riuscito a portare a compimento la rivoluzione liberale che aveva promesso scendendo in campo (e facendo diventare parlamentari cinque professori “liberali”). Quanto al rispetto per il Parlamento luogo centrale di una politica che voglia essere liberale, come da tempo ha insegnato Westminster, la madre di tutti i Parlamenti, per Berlusconi la rappresentanza politica e la governabilità sarebbero (state) meglio garantite se votano i soli capigruppo, ciascuno contando per tutti i parlamentari del suo gruppo. Di tanto in tanto ingenuamente mi chiedo come qualcuno abbia potuto credere anche per un solo momento che il duopolista televisivo, immobiliarista e proprietario di cliniche, società di assicurazioni, case editrici e quant’altro, fosse interessato a lanciare una qualsivoglia rivoluzione liberale. D’altronde, non ha mai avuto la minima intenzione di risolvere il suo monumentale conflitto di interessi che tutti i liberali riterrebbero inevitabilmente un ostacolo insormontabile per l’ascesa a una carica pubblica.

Credo sia giunto il momento di dire alto e forte che Silvio Berlusconi è del tutto inadatto (unfit con il memorabile aggettivo usato dall’Economist per Berlusconi capo del governo) a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica italiana.

 

I migliori programmi tv: da “È stata la mano di Dio” a “L’insegnante” Fenech

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Netflix, streaming: È stata la mano di Dio, film-dramedy. Epica saga su una massaia di Napoli ossessionata dal monaciello. Una dolorosa, memorabile esperienza, con una Luisa Ranieri da sturbo. Sottotitoli.

Sky Cinema Comedy, 22.35: Giù le mani dal mio periscopio, film-commedia. Pellicola divertente sugli aspetti pruriginosi della vita militare in un sottomarino. Purtroppo, senza Luisa Ranieri.

Rai Movie, 0.15: Bagnata è la pioggia, film-drammatico. Malgrado dovessero lavorare con budget limitati, attrezzature scadenti e tempi di produzione ridotti al minimo, negli anni Settanta i cineasti coreani furono in grado di realizzare pellicole di un’originalità e di una forza notevoli. All’epoca, questo controverso secondo film del regista Lee Jang-ho, Bagnata è la pioggia, fu demolito dai critici in quanto non era sulla pioggia, né la pioggia era bagnata: il film, privo di dialoghi, non mostra altro che il primissimo piano in bianco e nero del naso butterato di un uomo (Lee Jang-ho?) per tre ore e 46 minuti. Poiché un terzo del film fu girato senza pellicola nella cinepresa, la sua comprensione dipendeva dalle note di un foglietto che veniva dato a uno spettatore sì e a uno no all’ingresso del cinema. Oggi, quasi 50 anni dopo, è chiaro che quei critici avevano ragione.

Paramount Network, 23.00: I mercenari 3, film-commedia. Stallone, Schwarzenegger, Norris e Willis sono un commando di nutrizionisti spietati che deve separare da una guantiera di bignè alla crema delle pensionate sovrappeso protette da Lundgren e Van Damme.

Cine 34, 9.35: L’insegnante, film-commedia con Edvige Fenech. Il figlio svogliato di un onorevole maneggione si finge gay per convincere l’insegnante procace che gli dà ripetizioni a fargli cambiare sponda, con la benedizione della madre. Altri tempi: oggi la madre sarebbe Luisa Ranieri, e il figlio ci proverebbe con lei. In omaggio a Godard, il regista inonda il set di luce survoltata, costringendo l’eccellente cast, capitanato da Vittorio Caprioli, a strizzare gli occhi tutto il tempo.

Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. Prima di diventare celebre, Edith Piaf, la famosa chanteuse parigina degli anni 30, trascorse dieci anni nella sala motori di varie navi da crociera, dove, nascondendo il seno prosperoso, fingeva di essere un marinaio addetto alle turbine, nel frattempo cantando canzoni composte da lei con una voce forzatamente baritonale in modo da convincere il resto della ciurma della sua mascolinità. Nel 1924, incontra a poppa Philippe Soupault, un istruttore di savate (boxe con calci) in fuga dalla Legione straniera. Imbarcatosi sotto falso nome, Soupault, munito di sopracciglia generosamente arcuate che gli davano un’espressione di perpetuo stupore, viene notato dalla Piaf, che se ne innamora follemente e, senza rivelare il suo vero sesso, gli canta canzoni d’amore per tre mesi finché lui non la attacca. Abilmente, la Piaf evita il suo calcio alla tempia, ma l’inerzia trasforma Soupalt in una turbina rotante e, per farla breve, resta cieco. Lasciati gli oceani, la Piaf diventa ricca e famosa cantando nei bistrot le canzoni appassionate che compone per lui, e lo accudisce amorevolmente fino alla morte, anche se non riuscirà mai a convincerlo di essere una donna. Paolo Mieli ne parla con il professor Ferdinando Fasce.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, varietà. Show dedicato a chi crede in un Dio vanitoso che ha bisogno di farsi pregare. Preferisco pregare Luisa Ranieri.

 

Il premio dell’Economist non porta fortuna

L’Italia è il Paese dell’anno secondo l’Economist. Giubilo ed entusiasmo sulla grande stampa nazionale per il prestigioso riconoscimento (soprattutto sui giornali che condividono la proprietà della rivista londinese: Repubblica e Stampa, anche loro della famiglia Agnelli). Il merito, non ci sarebbe nemmeno da dirlo, è di Mario Draghi, “un primo ministro competente e rispettato a livello internazionale”. Ma andiamo a leggere l’albo d’oro dell’ambitissimo premio: 2013 Uruguay, 2014 Tunisia, 2015 Myanmar, 2016 Colombia, 2017 Francia, 2018 Armenia, 2019 Uzbekistan, 2020 Malawi. Non proprio Stati che hanno come fiore all’occhiello la qualità della democrazia e dei diritti. Il premio dell’Economist, a ben vedere, non gli ha neanche portato bene: in Myanmar c’è stata una guerra civile, lo sterminio dell’etnia Rohingya e un colpo di Stato; in Colombia ancora le stragi e il narcotraffico; in Armenia la guerra con l’Azerbaigian per il Nagorno Karabakh; in Francia i gilet gialli; in Uzbekistan continua la soppressione dei diritti civili e politici. Insomma, come scrive l’Economist all’Italia, “Auguroni”!

Miseria fatale nel “Paese dell’anno”

Fra poco è Natale, le vetrine illuminate, i doni per i più piccini, gli zampognari nelle vie e, come da tradizione, arriva il maxi-emendamento del governo, quel superpanino farcito a strati dove si trova di tutto e di più. Ma non era in odore di incostituzionalità, puntualmente deplorato dai vari inquilini del Quirinale? Certo che sì, ma la tradizione va rispettata, ci mancherebbe.

Fra poco è Natale, in tv stanno per ridare La vita è meravigliosadi Frank Capra e tutti ci sentiamo più buoni. Infatti, in un campo nomadi del Foggiano, fratello e sorella di 4 e 2 anni muoiono carbonizzati nell’incendio di una baracca. Andata a fuoco come tutte le altre innumerevoli baracche, che con il freddo, in questi luoghi abbandonati e dimenticati, si accendono improvvisamente in scoppiettanti falò. Anche in questo caso il papà era nei campi a raccogliere gli ortaggi, arruolato da quelle consuetudinarie figure che popolano il nostro amato Sud: i caporali provvisti di agganci ministeriali.

Nel rispetto della più limpida tradizione, anche la protesta del sindaco che “aveva portato a conoscenza delle Autorità competenti la situazione”, ricevendone il tradizionale chissenefrega. Fra poco è Natale, e nel mentre addobbiamo l’alberello e prepariamo devoti il santo presepe, ci giunge notizia di altri incidenti sul lavoro con quattro morti (due erano operai in nero).

Una tradizione questa che ci accompagna per tutto l’anno a rammentarci il costume di casa: girare la testa dall’altra parte (possibilmente senza casco protettivo).

Chissà che non sia questo il vero e più profondo significato del premio con cui l’Economist ha incoronato l’Italia “il Paese dell’anno”. Ovvero, la nostra incomparabile capacità di mostrarci cambiati agli occhi degli altri rimanendo immutabilmente noi stessi.

Nel rispetto delle feste comandate e delle tradizioni. Moderni, sì, ma restando sempre antichi. Ora come allora. Perché, come cantava Renato Carosone: “Mò vene Natale, nun tengo denare, me leggio ’o giornale, e me vado ’a cucca’”.