Parigi, città pattumiera. Addio alla Ville lumière ora è solo Ville-poubelle

Parigi si è inventata il cestino per rifiuti anti-topi. Ne sono già stati installati tremila in città, anche nel piazzale di Notre Dame. Il comune assicura che sono fatti apposta per evitare che i roditori possano rosicchiare i sacchetti di plastica alla ricerca di resti di cibo. Si evita così che i rifiuti si ritrovino sparsi per terra, come accade con gli attuali cestini “anti-bomba”. Parigi si è inventata anche il cassonetto “intelligente”, che funziona a energia solare ed è dotato di un microchip. Pare che possa compattare i rifiuti per contenerne fino a sei volte più di un banale cassonetto. Si tratta di misure per far fronte a una delle più grandi, e quasi proverbiali, calamità della capitale: la sporcizia. Ma niente da fare, Parigi resta una città sporca. A inizio mese il settimanale Marianne ha anche dedicato una copertina al problema col titolo Paris ville-poubelle, Parigi città-pattumiera. “Ecco la capitale di una delle prime potenze del mondo alle prese con problematiche che si credevano riservate ai paesi in via di sviluppo”, ha scritto il giornale.

Il turista che passeggia tra la Place des Vosges e il Louvre non è detto che se ne accorga. Neanche il presidente cinese Xi Jinping, che oggi è all’Eliseo e ieri è stato accolto da Emmanuel Macron all’Arco di Trionfo. Il monumento e gli Champs Elysées nel frattempo sono stati ripuliti dopo i recenti saccheggi dei black bloc a margine della protesta dei gilet gialli. Ma basta uscire dai sentieri battuti e esplorare quartieri più popolari, soprattutto quelli nel nord e nord-est della città, La Fourche, Château Rouge o Stalingrad, per esempio, per imbattersi in collinette di sacchi di plastica, cestini traboccanti, scatoloni, materassi, mobili abbandonati per strada in attesa di essere ritirati dai servizi della città.

Sui marciapiedi si fa lo slalom tra carte, fazzoletti, buste, sputi, escrementi di cani e tutto quello che dovrebbe finire in un cestino e invece si getta per terra. Alla Goutte d’Or le persone buttano i loro rifiuti direttamente dalla finestra di casa, come si vede fare anche a Marsiglia. D’estate il canal Saint Martin si trasforma in un immondezzaio a cielo aperto con i festaioli che abbandonano per terra i resti dei pic-nic e urinano contro gli alberi. Sul boulevard de Belleville i venditori ambulanti improvvisano mercatini e poi seminano oggetti per strada quando si tratta di ritirare tutto in fretta all’arrivo dei gendarmi. Nei corridoi del metrò ci si deve tappare il naso per non sentire odori nauseabondi.

La lotta alla sporcizia sarà uno dei temi centrali della campagna per le municipali del 2020. La sindaca socialista Anne Hidalgo, spesso considerata responsabile di tanta incuria, rischia di giocarsi la poltrona anche sul bilancio negativo della pulizia in città. Tutti gli anni il comune spende 500 milioni di euro per la pulizia della città. Sono state create nuove aree di raccolta indifferenziata. La Brigade des incivilités, nata nel 2016, conta ormai 3.200 agenti abilitati a multare chi sporca. Nel 2018 sono state fatte 36.000 multe da 68 euro (+47% rispetto al 2017) per mozziconi di sigaretta gettati per terra. Pare che ogni anno si raccolgano 10 milioni di mozziconi, circa 350 tonnellate.

L’incubo di Parigi però sono i topi. Le piene della Senna, come quella importante del 2016, li fanno salire in superficie. I roditori, che si incontrano spesso nelle stazioni del metrò, invadono allora giardini e parchi. Il giardinetto del Vert-Galant, ai piedi del Pont Neuf, però è sempre infestato. I topi sono talmente abituati alle persone che neanche scappano più. In città sono arrivate anche le cimici dei letti. Degli insettini che si nutrono di sangue umano e che parigini e turisti trasportano nelle valigie dai loro luoghi di villeggiatura. Non è un problema solo parigino. Pare che questi insetti-vampiri abbondino anche in Park Avenue a New York. Il risultato è comunque che alberghi, appartamenti e b&b sono infestati. Qualche mese fa le cimici sono state trovate persino nelle poltrone del cinema del Quai de Loire, nel 19° arrondissement, dopo che alcuni spettatori si sono lamentati di strani pruriti. Il cinema ha dovuto chiudere per disinfestazione. Lo scorso anno anche Disneyland Paris ha ammesso di aver dovuto disinfestare tutti i suoi alberghi. Da allora l’amministrazione del famoso parco di divertimenti ricorre a un’unità cinofila specializzata con cani addestrati ad annusare la presenza delle cimici. Si cercano le cause di tanta sporcizia. Il Comune punta il dito contro le piattaforme tipo Airbnb, contro le quali ha dichiarato guerra da tempo per tanti motivi, anche fiscali. Si fa valere l’argomento che Parigi è una delle città più dense del mondo, con circa 20.000 abitanti al km quadrato. Si ricordano i dati del turismo, con il recente record di 50 milioni di turisti passati tra la capitale e la sua regione nel 2018. Si insiste sulla mancanza di senso civico della gente. I più intolleranti considerano in parte responsabili anche i senza tetto che dormono per strada. E si dà la colpa persino al riscaldamento climatico che spinge le persone a passare più tempo all’aperto e quindi a sporcare di più.

Addio a 88 anni a Andrea Emiliani, una vita per l’arte

È morto nella notte tra domenica e lunedì a Bologna Andrea Emiliani, noto storico dell’arte tra i fondatori dell’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna. Aveva 88 anni. Nato a Predappio Nuova (Forlì) nel 1931, aveva dedicato tutta la sua vita alle bellezze del nostro Paese: laureato a Firenze con Roberto Longhi, allievo di Guido Reni, è stato Soprintendente ai beni storici e artistici di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna e Rimini fino al limite di età di 67 anni. Medaglia d’oro alla cultura, accademico dei Lincei, autore di numerose pubblicazioni tra cui “Una politica per i beni culturali” uscito per Einaudi nel 1974 e ripubblicato di recente dalla Bononia University Press. Emiliani era ricoverato da oltre due mesi all’ospedale Sant’Orsola di Bologna per una grave malattia. La famiglia, il fratelllo Vittorio e la sorella Rina, comunicano che i funerali si terranno in forma privata: per ricordarlo pubblicamente verranno poi organizzati degli eventi a Bologna, Urbino e in altre sedi, le sue “città”, dove aveva studiato e lavorato a lungo.

La Regione vende rifiuti tossici. Gli scarti delle vecchie miniere diventano sale non alimentare

Lo sfregio di San Cataldo potrebbe presto essere cancellato. Il paese in provincia di Caltanissetta da tempo deve fare i conti con l’inquinamento dovuto alle miniere, in passato motore della provincia, oggi colossi di amianto e ferro. Ma ora la soluzione sembra vicina. Come? La Regione pensa di venderli a privati. La grande montagna formata da materiali di scarto dell’estrazione di kainite è infatti oggetto di interesse da parte di alcune aziende che vogliono comprarla per utilizzarla sul mercato del sale non alimentare; ad esempio quello utilizzato per liberare le strade dalla neve. Materiale tossico se accumulato e abbandonato sul territorio, possibile “oro bianco” per la Regione se monetizzato in altre forme. Per questo dopo aver svolto delle analisi l’amministrazione sta preparando un bando. Il caso più eclatante è quello della miniera Bosco: 4 milioni di metri cubi di scarti di kainite che provocano diversi danni. “Questi materiali – spiega il geologo Angelo La Rosa, assessore all’Ambiente della cittadina – sono rimasti all’esterno come una discarica, creando delle criticità. Dovevano essere utilizzati inizialmente per colmare i vuoti degli scavi della miniera, ma poi sono rimasti lì. La Regione sta procedendo a fare una caratterizzazione per stabilire la percentuale di cloruro di sodio posseduta dalla montagna al fine di trasformare la montagna in risorsa”. La seconda vita delle miniere chiuse nel 1985, comprende anche quella di Racalmuto, in provincia di Agrigento e altre sul territorio siciliano. “Con questo nuovo progetto – aggiunge La Rosa – potremmo avere posti di lavoro da un lato e recupero del paesaggio dall’altro”. A oggi però, come accaduto negli ultimi 40 anni, quel mostro bianco ha modificato la natura dei luoghi, compresi i torrenti: con le piogge il sale si è sciolto, finendo nel fiume Platani, modificandone indelebilmente lo stato. Oltre ai danni provocati dall’amianto presente sui luoghi, gli stessi scarti provocherebbero anche danni all’uomo a causa della loro esposizione al sole.

Dopo la morte di Orsetti in aula i 5 attivisti che combattono l’Isis. La difesa: “È un processo fascista”

Cinque attivisti dei centri sociali torinesi, Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Maria Edgarda Marcucci, sono a processo per essere andati in Siria a sostenere i curdi contro l’Isis. Rischiano la sorveglianza speciale. Ma dentro e fuori dall’aula si parla anche di di Lorenzo “Tekoser” Orsetti e Giovanni “Hiwa Bosco” Asperti, i due italiani della Unità di protezione del popolo, l’esercito curdo impegnato nella guerra allo Stato islamico, morti sul fronte. Un presidio alle porte dal tribunale, con manifesti e maschere dei due miliziani uccisi. Poi le accuse incrociate tra la difesa – che parla di “processo fascista” – e i pm che rispondono: i due combattenti “non sarebbero qui”, ha detto il sostituto procuratore Manuela Pedrotta rispondendo a distanza a chi, dopo la morte di Orsetti, contestava il procedimento avviato a Torino. Questo perché loro non avrebbero i precedenti dei cinque “torinesi” che avrebbero “spiccata inclinazione alla violenza” e “si sono resi responsabili di condotte violente contro le forze dell’ordine”. Gli avvocati, Claudio Novaro, Lea Fattizzo e Frediano Sanneris, hanno invece sminuito la portata dei precedenti. Che i cinque antagonisti abbiano appreso tecniche di guerra, che si siano incontrati per organizzare rivolte o che abbiano a disposizione armi non è documentato: “Non c’è un’annotazione della Digos che lo dice”, ha sottolineato Sanneris. Secondo il procuratore vicario Paolo Borgna questo procedimento non può essere definito “fascista”: “Il vostro compito – ha detto ai giudici all’inizio dell’udienza – è diverso da quello delle commissioni prefettizie del Ventennio che decidevano le misure di prevenzione in modo definitivo, senza appello”. Tuttavia per l’avvocato Novaro “queste misure sono state adottate in modo massiccio contro gli antifascisti”: “Chiedere di poter allontanare delle persone dalla loro città è la cosa più prossima al confino”. Per capire l’esito del processo bisognerà aspettare. Entro 90 giorni il tribunale di Torino deciderà se i cinque italiani sono delle persone “socialmente pericolose”, quindi da sottoporre a sorveglianza speciale.

Ergastolo per Igor il Russo: condannato per due omicidi dopo otto mesi di latitanza

Era riuscitoa sfuggire alle forze dell’ordine per otto mesi, adesso sarà costretto a rimanere in carcere per il resto della sua vita. Norbert Feher, conosciuto anche come “Igor il russo”, è stato infatti condannato all’ergastolo dal gup di Bologna Alberto Ziroldi, al termine del processo con il rito abbreviato conclusosi ieri, dopo due ore e mezza di camera di consiglio. Il 38enne serbo si era macchiato di due omicidi in Italia: quello del barista Davide Fabbri, ucciso nel suo locale a Budrio (Bologna) il primo aprile di due anni fa, a cui si era aggiunto quello della guardia ecologica Valerio Verri. Un “volontario e un pensionato” – come sottolinea il legale della famiglia, Fabio Anselmo, ucciso a Portomaggiore (Ferrara) nel corso di un servizio di pattuglia anti-bracconaggio. Ma le accuse non finivano qui: al killer di Budrio erano imputati anche altri reati, come furto, porto abusivo di armi, rapina a mano armata, e la tentata uccisione di Marco Ravaglia, agente della polizia provinciale. Undici capi di imputazione, ma quello che ha reso celebre il suo caso è stato anche il lungo periodo di latitanza in cui Igor sembrava essere riuscito a cancellare le sue tracce, a dispetto delle ricerche di diversi uomini dei reparti speciali dei carabinieri, che per mesi setacciarono il territorio tra Bologna e Ferrara. Fino alla cattura in Spagna, nel dicembre 2017, dove aveva aggiunto altri tre omicidi alla sua lista: ora Feher si trova nel carcere di massima sicurezza di Saragozza, dal quale ha appreso in videoconferenza la notizia della sua condanna. Il massimo della pena è stato stabilito accogliendo le richieste del pm Marco Forte. In aula erano presenti anche le famiglie delle vittime, che hanno chiesto un risarcimento danni di 4,7 milioni di euro complessivi, e a cui il gup ha riconosciuto 1,7 milioni. Giorgio Bachelli, legale della vedova di Davide Fabbri, sottolinea però: “Per la mia assistita, è una gioia da poco. Suo marito, comunque, è morto”.

Violenta 18enne nel parco: doveva essere espulso, non lo hanno trovato

Violentata al parco. Da un guineano che non avrebbe dovuto nemmeno essere lì: l’aggressore era già stato arrestato, aveva avuto precedenti proprio davanti a quel locale notturno. Doveva essere espulso. Invece è rimasto e ha provato a stuprare una 18enne, prima che intervenisse un suo amico. Il caso di Gueladje Koulibaly, 33 anni, originario della Guinea, arrestato all’alba di domenica, è finito sulle prime pagine di tutti i giornali ed è diventato anche oggetto di polemica politica.

“Colpa di Salvini che è troppo cattivo: tolleranza zero”, ha scritto il ministro Matteo Salvini sui suoi profili social. Un’altra storia di un immigrato da espellere per i suoi crimini. Nessuno l’ha fatto, però. L’uomo, infatti, era già stato arrestato lo scorso 25 novembre per aver lanciato una molotov contro quella stessa discoteca, il “Life”, non distante da due vie molto trafficate. Dopo esser stato respinto dai buttafuori, si è ripresentato lì armato di una bottiglia incendiaria lanciata verso il locale dentro cui c’erano una cinquantina di persone. Fortunatamente il club non prese fuoco. Finito in cella, fu scarcerato poco tempo dopo. Il questore Messina aveva anche firmato un decreto di espulsione il 12 marzo. Mai eseguito.

In questi casi il destinatario non viene cercato attivamente, le forze a disposizione delle polizia non sono abbastanza. Soltanto quando una persona viene fermata per un controllo o un reato, allora può essere portata al Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e poi espulsa. Sempre che l’Italia abbia degli accordi con il suo Stato di provenienza. Nel corso dell’ultimo anno il numero di espulsioni da Torino sarebbero aumentate con i controlli voluti dal questore: a novembre 56 rimpatri, 26 a gennaio 26, 48 a febbraio. Koulibaly non è fra queste: il decreto di espulsione non gli è mai stato nemmeno notificato. Anche dopo il decreto ha continuato a vivere a Torino, come un fantasma: ufficialmente domiciliato in via Cottolengo, nei pressi del mercato di Porta Palazzo, ha abitato a lungo nell’ex villaggio olimpico, all’interno di una palazzina occupata con altri africani. Il suo ultimo avvistamento prima dell’arresto è avvenuto lì: una decina di giorni fa le forze dell’ordine sono intervenute per una rissa che sarebbe stata scatenata dal 33enne guineano, il quale se l’era data a gambe levate.

Non è stato più trovato fino a domenica. Verso le quattro del mattino due giovani, una ragazza che festeggiava i suoi 18 anni e un giovane poco più grande di lei, sono usciti dal “Life” e si sono seduti su una panchina, all’interno del parco, cuore verde della città diventato ormai covo di spacciatori. A quel punto Koulibaly si è avvicinato a loro armato di una bottiglia e ha minacciato la coppia. Ha obbligato il ragazzo ad andarsene e poi ha tentato di violentare la ragazza. Il giovane ha avvertito i buttafuori della discoteca che hanno chiesto l’intervento delle forze dell’ordine. Nel frattempo la 18enne è riuscita a liberarsi e ha raccontato agli agenti di essere stata aggredita da un uomo che è scappato. La sua fuga, però, è durata poco: i poliziotti l’hanno fermato mentre cercava tra i cespugli sull’argine del Po. E adesso magari sarà espulso davvero.

Alberto Matano, la parabola del mezzobusto che diventò selfie

Una volta i mezzibusti sognavano la figura intera, l’altra metà del busto. Sognavano di diventare inviati come i più prestigiosi colleghi della carta stampata e qualcuno, vedi Carlo Mazzarella o Ruggero Orlando, ci riusciva. Ma i sogni non sono più quelli di una volta. Ora il mezzobusto sogna il primo piano. Prendete Alberto Matano, quello che i cinquestelle avevano candidato alla direzione del Tg1 (il Movimento è pieno di ideali, ma anche di misteri). Quale direzione? A Matano gli piace condurre. Gli piace tanto. E siccome in Rai a volte i sogni si avverano, il sabato Matano abbandona nottetempo i sussiegosi paramenti del Tg1 e raggiunge indisturbato Rai3 per condurre Fotoshow. Vederlo nel suo salottino apre il cuore; mai visto un uomo più entusiasta di darsi al varietà. In teoria ci sono da commentare delle fantomatiche “foto della settimana”, ma è un evidente pretesto. Più che un talk, Fotoshow è un selfie di 60 minuti. Matano incontra e si fa riprendere felice con Bruno Vespa, Carlo Conti, Pippo Baudo; poi, non pago, comincia a imitarli, tale e quale. Se arriva Catherine Spaak, addobba lo studio da Harem; se arriva Marzullo, traveste se stesso, Loretta Goggi e i cameramen da Mezzanotte e dintorni – e Marzullo ci fa un figurone. Per dare un tocco d’artista ai veglionissimi ha invitato come ospite fisso pure Francesco Vezzoli, che arriva da New York. Paghiamo noi, è vero, ma quando si fa del bene, quando si rende qualcuno felice come è felice Matano, non c’è prezzo.

Servizi non richiesti. L’inutile corsa dei consumatori contro le aziende

 

Per il cittadino, dovendo accedere a un servizio, destreggiarsi tra articoli e commi di un contratto, senza incorrere in spiacevoli sorprese, diventa veramente un’impresa. Purtroppo spesso le cronache riportano casi di cittadini che si ritrovano a pagare somme per servizi non richiesti o comunque non rispondenti a quanto si era inteso sottoscrivere. Imporre a chi eroga tali servizi, da parte dell’Authority preposta, contratti semplici e facilmente interpretabili sarebbe operazione illegale?

Pasquale Mirante

 

L’anno con 13 mesi o le opzioni obbligatorie nel mondo della telefonia. Incomprensibili garanzie, esclusioni, condizioni e obblighi applicati a ermetici prodotti assicurativi come unit linked, index linked o polizze con gestione separata. Poi c’è il passaggio dal mercato tutelato a quello libero di luce e gas solo perché inconsapevolmente al telefono si risponde “Sì” alla domanda: “Buongiorno, è lei il signor Mario?”. E ancora: rifilare a clienti che ignorano le basi della finanza le obbligazioni subordinate o “sicurissimi” fondi comuni che poi accumuleranno perdite per oltre il 100%. Eccole servita, gentile Mirante, una blanda casistica niente affatto esaustiva (ho preso in considerazione solo tre macro-settori) della giungla delle pratiche commerciali aggressive o scorrette nelle quali tutti noi incappiamo, perché alla base dei contratti che sottoscriviamo ci sono clausole vessatorie. E poco importa che il codice del Consumo, la bibbia dei consumatori, le vieti tassativamente. Del resto, se si parla di giungla è perché ogni mattina un consumatore si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di un colosso telefonico, energetico, dei trasporti o verrà spennato. Mentre le aziende continueranno a propinare sempre nuovi codicilli o servizi accessori per spennare i clienti. Ma tutto questo è noto alle Autorità (Agcom, Antitrust o garante della Privacy) e agli altri organi di settore che hanno già imposto contratti chiari, facilmente leggibili e non scritti in burocratese. L’impressione è che le armi dei controllori continuino a essere spuntate, anche per il ruolo delle lobby in politica. Mentre le maxi multe inflitte alle aziende hanno l’effetto del solletico al cospetto di fatturati miliardari. Se di giungla si parla, per evitare di fare la fine della gazzella, andrebbero sottoscritti i contratti solo dopo averli letti con attenzione, non facendosi prendere dalla pigrizia: se si ritiene di essere ingannati, basta rivolgersi a qualcun altro. È la concorrenza, bellezza.

Patrizia De Rubertis

Mail Box

 

Bisogna pensare di più ai lavoratori e meno al profitto

Chiudere l’Ilva, la camera a gas della Puglia. In nome della difesa del lavoro, si sta consumando sull’altare del profitto una tragedia ambientale costellata di morti fuori e dentro il posto di lavoro. La morte è come un fantasma invisibile che non vedi, e quando te ne accorgerai sarà troppo tardi per continuare a vivere. È spietata e non risparmierà nemmeno i minori. Chiuderla non produrrebbe, come evocato da qualcuno, una catastrofe peggiore di quella attuale… nella quale si lavora per ammalarsi e per morire. Anni addietro hanno chiuso decine e decine di fabbriche, e tante altre continuano nella loro corsa verso la fine. Risulta a voi che quegli operai rimasti senza lavoro siano morti assieme alle loro famiglie di fame? Casomai molti di loro sono morti anche di tumore per le conseguenze maturate nei posti di lavoro. La cosa più giusta da fare sarebbe chiudere l’Ilva garantendo la pensione a tutti i lavoratori. Bonificare Taranto e dare impulso alla fabbrica del turismo sarebbe possibile. Naturalmente i santoni del profitto selvaggio si giustificheranno con la mancanza di coperture finanziarie. Intanto, i lavoratori dell’Ilva sono circa 15 mila, tutti a rischio salute.

M. Giuntini

 

Conoscere il nostro passato per interpretare l’immigrazione

La lettera del sig. Giuseppe Cappello, pubblicata nel numero di domenica 24 marzo, fotografa la realtà che appare condizionata e spalleggiata da una informazione subdola e capace di orientare il sentimento di milioni di italiani, fagocitati da leader politici che sfruttano rispettivamente la paura o l’accoglienza a fini elettorali, senza considerare che si è arrivati a questo punto grazie al lassismo e finto buonismo voluto da una classe politica che guarda solo al proprio tornaconto.

L’informazione a senso unico che ha spalleggiato per decenni una certa classe dirigente ha fatto sìche, anche senza l’istituto Luce, l’informazione critica e fuori dal coro sia stata oscurata e dileggiata. La cosiddetta invasione cinese (umana, commerciale e finanziaria), è già in atto da molti anni in Italia. Ma risulta meno appariscente e più tollerata di quella africana, perché è ricca e già integrata nel sistema economico italiano, mentre quella africana è meno accettata e stimola sentimenti razzisti perché più appariscente, più povera e necessariamente bisognosa di aiuto per l’integrazione.

Possedere certe virtù politiche, che prevedano per il futuro la possibilità di accogliere e integrare il più debole, presuppone di avere una visione che dovrebbe tenere conto anche della storia di emigrazione di milioni di italiani in giro per il mondo, del loro sacrificio e delle loro sofferenze non dissimile dai nuovi emigranti di oggi. Ma questo, nessuno lo tiene a mente.

Dino Longo

 

DIRITTO DI REPLICA

In riferimento all’articolo pubblicato in data 22 marzo 2019 in formato cartaceo sul quotidiano Il Fatto Quotidiano dal titolo La festa a lutto per il reddito: il risveglio fracico dei 5 stelle, a firma di Paola Zanca si richiede immediata rettifica in quanto riporta l’errata notizia che l’Assessore Frongia abbia ricevuto avviso di garanzia.

Ribadiamo che, come diffuso da nota stampa dallo stesso Assessore nella giornata di giovedì 21 marzo 2019 che di fatto avrebbe dovuto impedire errore alcuno per i giornalisti, per tale indagine lo stesso ha dichiarato che “non ho mai ricevuto alcuna comunicazione, elezione di domicilio o avviso di garanzia”.

Silvia Panizza Ufficio Comunicazione Assessorato allo Sport, Politiche Giovanili e Grandi Eventi Cittadini

 

Venerdì, elencando i motivi che avevano rovinato la festa dei Cinque Stelle per l’approvazione del reddito di cittadinanza, ho inserito “l’avviso di garanzia all’assessore Frongia” utilizzando erroneamente l’espressione come sinonimo dell’esistenza di un’indagine a suo carico.

Un’imprecisione, di cui mi scuso, che non cambia il senso dell’articolo, né la posizione dell’assessore.

pa.za.

 

L’altro giorno, nell’articolo “Guerre stellari”, ho messo in evidenza il doppiopesismo di molti giornali e partiti su due sindaci che – almeno col senno di poi – hanno sbagliato a scegliersi alcuni collaboratori: Virginia Raggi e Giuseppe Sala. Ora due collaboratori di Sala mi scrivono per precisare la loro posizione. Christian Malangone, direttore generale del Comune di Milano ed ex direttore generale di Expo, dopo la condanna in primo grado nel “processo Maroni”, è stato assolto definitivamente in appello. L’avvocato Mario Vanni, capo di gabinetto di Sala, rivendica di aver sempre avuto “i requisiti dirigenziali richiesti dalla legge Madia”.

Hanno entrambi ragione e ne do loro atto volentieri.

Aggiungo che l’articolo non si riferiva a loro, ma al fatto che – quando il primo fu condannato in primo grado e sul secondo emersero dubbi e polemiche a proposito della sua nomina a chiamata diretta (poi risolte da un successivo concorso), per non parlare dei vari altri casi, ben più gravi, da me segnalati nell’articolo – a nessun commentatore saltò in mente di dedurne una “culpa in eligendo” del sindaco Sala.

Una “culpa” che invece viene data per scontata, “a prescindere”, soltanto per la sindaca Raggi.

M. Trav.

Il caro Marcucci pare un Bombolo perso ad Harvard

Toninelli fa spesso tenerezza, ma lo schifoso attacco subìto qualche giorno fa sa di bullismo. Ed è pure paradossale, perché farsi dare del “cretino” da Andrea Marcucci è quasi come farsi dare del “nazista” da Himmler.

Classe 1965, Marcucci è nato a Barga (Lucca). Già deputato nel 1992 con il Pli di Altissimo, poi Margherita e quindi Renzi. Il Sole 24ore, il 7 aprile 2018, lo accreditava di sei incarichi societari in Italia e cinque all’estero. La famiglia è potentissima: “I Marcucci sono attivi da anni nel settore degli emo-derivati e dei vaccini (…). Il patriarca (Guelfo) rimase coinvolto nelle vicende giudiziarie legate allo scandalo del sangue infetto, quando a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 migliaia di persone furono infettate con il virus di Hiv ed epatite C tramite la trasfusione di sangue ed emoderivati non controllati. Due i filoni di inchiesta per epidemia colposa: come ha ricostruito L’Espresso uno a Napoli è stato archiviato nel 2008 perché finito in prescrizione, l’altro a Trento si è concluso con il proscioglimento per Guelfo Marcucci e il secondogenito Paolo (1963). In un altro procedimento nel capoluogo campano, dove si procedeva per omicidio colposo plurimo, la posizione di Guelfo Marcucci era stata stralciata a ottobre 2015 per la riconosciuta incapacità cognitiva dell’imprenditore, malato da tempo. Guelfo Marcucci morì due mesi dopo. Aveva 87 anni”.

Più duro Fanpage nel 2015: “Morto Guelfo Marcucci, il principale imputato del processo ‘Sangue infetto’. Fu principale imputato da decenni del processo sullo scandalo del sangue infetto, vicenda che ha portato a migliaia di contagi. Le vittime: ‘Con la sua morte si seppelliscono i segreti di questa vicenda’”. Ieri i 10 imputati, tra cui Duilio Poggiolini e i tecnici del Gruppo Marcucci, sono stati tutti assolti perché “il fatto non sussiste”.

Un tipino simile ispira alcune considerazioni affettuose. Il caro Marcucci dovrebbe forse ringraziare gli dèi di non esser stato coevo di Lombroso, cui avrebbe verosimilmente ispirato saggi appassionati di fisiognomica. Inoltre vanta la dialettica dei fagioli morti, la presenza dei facoceri irrisolti e la baldanza dei pioppi stitici. Per indipendenza intellettuale, non pare secondo a Bondi. Munito di alopecia à la Marattin, indossa spesso quei bei vestitini color diarrea livida di dromedario e incarna con abnegazione il peggio del peggio (del peggio) della politica.

Se è lui l’alternativa a Salvini, “que viva Fedriga” nei secoli. La sua straziante dizione cacofonica ricorda Bombolo ad Harvard: ogni volta che parla, un retore prima agonizza e poi muore. Ha il carisma di una mietibatti bombardata male ed è uno degli spot più strepitosi per non votare mai Pd (capito Zinga?). La sua sicumera urlatrice turbo-renziana rammenta la vanagloria di quelli che al bar raccontano di aver fatto sesso con chiunque, salvo poi tornare a casa e sfinirsi a manetta di tributi a Onan col Postalmarket liso del bisnonno.

Se fossi in vena di ossimori direi che Marcucci è meraviglioso, ma di fronte a Marcucci temo che anche gli ossimori preferiscano strozzarsi da soli. Augurandogli ogni fortuna, che per lui immagino equivalga a rubamazzo con Luciano Nobili, gli consiglio umilmente di impegnarsi nelle cose verso cui sembra più portato: sculacciare i billi della Valdichiana; zappare le prode a Tregozzano; oppure, e qui sì che eccellerebbe con alterigia, maciullare quel poco che resta di Renzi. Grazie, caro Marcucci, per incarnare così bene tutto ciò che non dovrebbe essere la politica. Continui così. Un caro saluto.