Facce di casta

 

Bocciati

Il clima leghista
Al carnevale di battute su Greta Thunberg, sulle sue trecce e sulla sua sindrome di Asperger, ha sentito il bisogno di aggiungersi Umberto Bosco, consigliere leghista di Bologna. “Dite quello che volete su Greta ma chi, meglio di una sedicenne che non va a scuola e che soffre di disturbi pervasivi dello sviluppo, può, nel 2019, rappresentare la sinistra?” Quando al post sono seguite le critiche di diversi utenti che segnalavano il tenore del tutto fuori luogo dell’esternazione, Bosco ha corretto il tiro: “E comunque, ragazzi, è una battuta, non un comunicato politico. Non so nulla di Asperger e autismo e non voglio insegnare nulla a nessuno. Ho solo fatto una battuta sulla sinistra e il suo disperato bisogno di un leader.
La ragazzina mi sta simpaticissima.” Il copione è sempre lo stesso: la si spara grossa perché il politicamente scorretto è troppo a la page per resistergli; si viene sommersi di critiche; si capisce di averla fatta fuori dal vaso e si rettifica, tentando di deviare il più possibile il senso di quanto affermato. Il modus operandi della Terza Repubblica.

4

 

Promossi

Al di là del mare 
“Chi conosce la storia sa che i libici, come il resto del Maghreb, vedono i neri della zona sub-sahariana peggio di come i bianchi del Ku Klux Klan vedevano i neri. Affidare i migranti ai libici è come affidare un ebreo a Hitler.” Forse non conosciamo molto la storia, forse includere un elemento di questa portata nella discussione di un problema che tutti, chi per un verso chi per un altro, vorrebbero di semplice e immediata risoluzione, finisce per complicare ulteriormente le cose; fatto sta che questa evidenza, ribadita ancora una volta da Massimo Cacciari nel corso di un programma televisivo, viene il più possibile ignorata nel corso dei dibattiti sull’argomento. Ciascuno è libero di avere la propria opinione, qualcuno può suggerire la progressiva dismissione delle Ong, qualcun altro può puntare sul rafforzamento della guardia costiera libica, altri ancora possono ritenere che la soluzione sia la redistribuzione per quote con gli altri Paesi europei; ma in ognuno di questi casi, improntare una strategia di comportamento senza tenere conto di quello che accade al di là del mare non è solo ipocrita, è anche completamente inutile. Speriamo che il professor Cacciari continui ad evidenziarci quel che già dovrebbe essere evidente.

7

 

Troppo odi e poco amo

Paolo Ceravolo, ricercatore e padre di una delle ragazzine che si trovavano sul bus della strage sfiorata, ha commentato su Twitter l’accaduto, con un pensiero molto più lucido e profondo, non solo di quanto ci si potesse aspettare da chi nella terribile vicenda è stato implicato in prima persona, ma di gran parte di coloro che hanno piegato l’interpretazione del dramma sfiorato alle necessità del proprio fazioso punto di vista: “Mia figlia era sull’autobus a #SanDonatoMilanese. Fa paura pensare in che mondo stanno crescendo i nostri figli. L’odio genera solo odio, le parole di odio generano pensieri di odio. Loro adesso hanno bisogno di amore. Un po’ di più di ieri”. Grazie Paolo.

10

“Libro Parlato”, idea per i non vedenti di scuola e comunità

“Un pezzo della mia laurea e della mia vita la devo al Libro parlato”. Claudia Cattadori, 41 anni, ora è non vedente assoluta. Ma a tre anni, quando vedeva forme vaghe e colori opachi, era già di casa al Centro internazionale dell’audiolibro di Feltre. A dire il vero, anche oggi, quella è la casa di tutti i disabili della vista: non vedenti, ipo-vedenti e dislessici.

L’idea venne nel 1983 all’insegnante Gualtiero Mugnarol. Il maestro inizia a leggere e registrare su audiocassetta i libri di scuola, così chi non vede può ascoltarli. Il Libro parlato prende il volo e da Feltre si diffonde in tutta Italia. I volontari prestano gratuitamente la loro voce mentre i postini consegnano i nastri. Negli anni 2000 arriva internet, e l’audiolibro evapora nei bit: “Con i file digitali è più facile, puoi ascoltare persino sul telefono”, racconta Claudia. Oggi il catalogo del sito, all’indirizzo libroparlato.org, offre12 mila titoli: narrativa, saggistica, riviste e quotidiani, testi universitari. I donatori di voce sono circa 300. Per 60 l’anno si possono scaricare 100 audiolibri. Nel 2018, gli utenti sono stati 1700. Molti finiscono gli studi grazie agli audiolibri. Se un testo d’esame non è in catalogo, niente paura: basta chiamare la sede di Feltre. Luisa Alchini, la presidente, incaricherà un donatore di voce.

Claudia si è laureata in Lingue e Lettaratura straniera nel 2001, poi è entrata all’ufficio ragioneria e tributi del suo comune, Agordo (50 km da Feltre). Difficile immaginare il suo destino senza l’audiolibro. Della disabilità visiva si è quasi dimenticata, Claudia; invece Manrico, il suo donatore di voce preferito, lo ricorda con calore. “I miei testi universitari li ha letti quasi tutti lui, ci siamo laureati insieme”.

L’audiolibro è un arte, secondo Claudia: “I respiri, i silenzi e le pause; un’altra persona legge con te, una sensazione bellissima”. Tra i donatori di voce Enzo Bianchi, ex dirigente da Feltre, è l’uomo dei record. Il palmares recita 800 titoli in 24 anni. Ha iniziato nel 1995 e non s’è più fermato. “Per forza – racconta Enzo -, mia figlia era andata via di casa ed ero solo. Che dovevo fare, guardare la televisione?”. Il signor Bianchi preferisce la lettura; chiama Luisa Alchini in cerca di un passatempo utile. Inizia così la collaborazione della vita. “Leggevo due o tre libri al mese, ma 15 anni fa sono andato in pensione e ho alzato l’asticella: ora, ad 81 anni, leggo 4 o 5 ore al giorno e registro un titolo a settimana”. Mica l’oroscopo: Enzo legge testi universitari e saggi. Detesta la letteratura esoterica: “Per un periodo leggevo solo quella, tutte scemenze”.

Enzo si è fatto una cultura: “Ho letto ‘Il Capitale’ di Karl Marx per un professore di filosofia”. L’ex dirigente non è di sinistra, ma la politica resta fuori dall’audiolibro: “Il codice etico obbliga all’imparzialità; ma il tono di voce basta ad esprimere un giudizio”. Attorno ad Enzo si è riunita una comunità di lettori non vedenti, desiderosi di discutere e condividere idee. “Il prof. con la passione di Marx è uno dei miei fan di estrema sinistra, ma con i marxisti ci puoi parlare, mica sono esoteristi”.

Angelino Alfano, il nuovo Cincinnato all’ambasciata di Pachino. O Pechino?

Il nuovo Cincinnato c’è ed è Angelino Alfano. Uno che dopo tanto parlamento prende cappello, se ne va e fa altro è il già braccio destro di Silvio Berlusconi che il quid – a dispetto dello stesso Cavaliere – l’ha dimostrato, altroché: alla presentazione dell’Opera Omnia di Xi Jinping, quello che ne sa più di tutti è lui. Entra nella sala di palazzo Colonna, a piazza Santi Apostoli – in un radioso mattino di Roma, mercoledì scorso – e tutto comincia quando un suo semplice cenno, un sì accennato calando le palpebre, avvia il dibattito sino-italico.

La Cina in Italia – nella delicata visita di Stato di Xi Jinping, il vero padrone dello scacchiere internazionale – altro sherpa non vuole che lui. Dismettendo in un sol colpo Romano Prodi, nientemeno, o Giulio Tremonti – l’unico italiano finora ammesso nella città del partito comunista a Pechino – e altri protagonisti della delicata trama di sapienza e strategia come lo stesso Michele Geraci, il sottosegretario alla Cina nel governo Conte, Alfano – silenziosissimo – entra nella storia. Entra subito dopo che il cerimoniere dell’ambasciata di Pechino a Roma ha aperto le porte e acceso i microfoni. E nel breve scorrere dei convenevoli tra ospiti, delegazioni e cronisti chiamati alla presentazione dei due tomi editi da Giunti si affianca – altro che quid – a Marco Polo, a Matteo Ricci e a Matteo Ripa. Quest’ultimo è il nunzio apostolico presso l’Imperatore nella Terra di Mezzo, il diplomatico missionario che nel ‘700 porta i primi cinque cinesi in Italia, precisamente a Napoli per istituirvi il Collegio dei Cinesi, il primo seme da cui gemma l’Orientale, l’università che è orgoglio di scienza ed esperienza.

Con occhiali nuovi da professore e con una barba a far da contrappasso ai diktat estetici di Arcore, Alfano se ne porta in casa ben più che cinque di cinesi. E questi, infatti, non hanno occhi che per lui che, di certo, ben più che il Memorandum su cui ha lavorato Michele Geraci, il sottosegretario alla Cina del Governo Conte, avrà in imprinting le musicassette di quando era bambino.

Imperdibili, sono quelle di Tuccio Musumeci – tra i maestri della commedia – con la parodia della Rivoluzione Culturale cinese.

Tuccio si ritrova in un aereo dirottato a Pechino, solo che a lui – con i siciliani diventati tutti gialli – sembra Pachino.

Tuccio dorme in “comune” e lì, sul cuscino, si domanda: “Ma quanto deve essere grande questo municipio di Pachino per metterci i letti per tutti noi?”. Tuccio incontra un venditore di Pensieri di Mao – “Chi ne vuole, chi si prende i Pensieri di Mao?” – per sbottare: “Mi lasci in pace, mi bastano i miei di pensieri, vuole che mi prenda pure quelli di Mao?”.

Sa prendersi i pensieri della grande Cina, il mancato delfino di Silvio Berlusconi. Diventato poi alter ego di Matteo Renzi – per un breve tratto anche di Enrico Letta – astro nascente della politica passato dai frangenti squillanti di Forza Italia per poi chiudere la stagione del Nuovo Centrodestra nel solito Centrosinistra in un vortice di composto distacco, Alfano mette in atto la polarità: “Solo il più saggio o il più stupido degli uomini non cambia mai”.

E Alfano è uno dei due. Saggiamente cambiato, l’ex ministro dell’Interno, della Giustizia e degli Esteri mette a frutto l’esperienza della Farnesina e come Cincinnato, lasciatosi alle spalle la politica, zappa. Ancora meglio: tace.

La Settimana Incom

 

Bocciati

Marchi male

“Siamo state punite per aver venduto sale a dei deficienti che ci hanno creduto”: è la frase choc che Wanna Marchi ha pronunciato durante la trasmissione serale di Barbara D’Urso a cui ha partecipato assieme alla figlia Stefania Nobile. Il silenzio notariamente è d’oro, e pure il pudore. O almeno così sarebbe.

 

Politicamente cretino/1

Come si sa, è andato in onda (in Italia sul Nove) il documentario su Michael Jackson, “Leaving Neverland”, in cui il cantante viene accusato di pedofilia. Dopo alcune radio, che hanno deciso di non trasmettere più le sue canzoni, anche il cartone animato “I Simpson” ha messo al bando l’artista. I produttori della serie tv hanno cancellato dalla programmazione e dai cataloghi l’episodio “Stark Raving Dad” in cui il Re del Pop aveva collaborato al doppiaggio. La decisione segue l’onda di boicottaggio partita dopo l’uscita del documentario. È solo l’ultimo episodio dei danni del politicamente corretto. Segue qui sotto.

 

Politicamente cretino/2

Facebook ha sospeso per due giorni Rachele Mussolini, nipote dell’omonimo nonno. “Evidentemente perché i contenuti non erano consoni: forse è stata ritenuta apologia di fascismo”, spiega la diretta interessata che aveva fatto gli auguri al nonno. Ma essere la nipote di Mussolini “non è né una colpa né un merito. Il mio è stato un semplice augurio, nell’anniversario della nascita, da nipote a nonno”. Caro algoritmo, noi siamo dei grandi sostenitori dell’antifascismo e per questo pensiamo che non possa essere ridotto alle sciocchezze. Perché se tutto è apologia di fascismo niente è apologia di fascismo. Pierino e il lupo non ha insegnato nulla.

 

Promossi

Alè per Ale

“Sono arrivato a 26 anni al Festival di Sanremo per sentirmi straniero”. Lo dice, con grande lucidità, il vincitore del Festival 2019 con il brano “Soldi” ancora in testa alle classifiche dei brani più scaricati: Alessandro Mahmood nato a Milano da padre egiziano e madre italiana e cittadino italiano. “Prima della vittoria io non mi ero mai sentito vittima di razzismo nella mia esperienza. Dopo sono arrivati i commenti razzisti”, ha raccontato a Giovanni Floris. E’ la prevalenza del cretino: la statistica non mente.

 

Franca Vittoria.
In una bella intervista a Silvia Fumarola su Repubblica, Vittoria Puccini mostra un grandissimo coraggio rendendo pubblico il seguente episodio. “Feci un provino con Marco Bellocchio per Vincere, una scena veramente drammatica e lui scoppiò a ridere. Uscii da lì pensando: voglio morire. Il ruolo andò a Giovanna Mezzogiorno, attrice straordinaria. Artisticamente era molto più matura di me, io non ero in grado. Ma se rivedo Bellocchio, il maestro del cinema italiano, che mi scoppia a ridere in faccia … Non mi ci faccia pensare”. Premio sincerità: brava!

Clima impazzito: togli un posto a tavola. Anzi, la culla e il biberon

Al contrario, ci si astiene per eco-altruismo, e cioè non solo per evitare di sovrappopolare un pianeta già in manifesto overbooking, ma soprattutto per non costringere i propri figli a fronteggiare l’“armageddon ecologico” ormai all’orizzonte. A portare avanti questa causa – abbastanza popolare tra i nuovi Millenial, visto che il 38% di loro, secondo una ricerca, sono convinti che una coppia debba considerare i rischi del clima prima di riprodursi – è un gruppo di giovani donne inglesi, quasi tutte attiviste per l’ambiente, che hanno fondato il movimento #Birthstrike, i cui aderenti devono mettere nero su bianco la propria decisione di non avere figli a causa “della severità della crisi ecologica”. Lungi dal giudicare chi è già genitore, il movimento non sposa un’ideologia anti-natalista, né auspica un controllo della popolazione dall’alto. “Con lo sciopero delle nascite, non vogliamo risolvere la crisi, ma cercare di portare brutalmente l’attenzione su

di essa”, spiega Blythe Pepino, fondatrice del gruppo. Per la verità ragioni da vendere queste attiviste ne hanno: c’è chi, come Alice Brown, 25 anni, si chiede come potrebbero venir trattati i propri figli, magari un giorno profughi, visto come sono trattati oggi coloro che fuggono. E c’è chi, come Hannah Scott, 23, immagina il loro futuro terrore, “se io sono già terrorizzata oggi”. Queste nuove birth strikerper l’ambiente, niente affatto naif, sanno che nessuna riduzione drastica della popolazione basterà a scongiurare la rovina. Il loro rifiuto vuole provocare un urto simbolico, specie in società in cui i politici fanno pressioni perché si mettano al mondo figli, per evitare choc demografici e tracolli economici (anche se c’è chi, come la ventinovenne democratica statunitense Alexandria Ocasio-Cortez, ha difeso su Istagram la loro scelta).

Come tutte le donne che hanno usato e usano il corpo come forma di protesta – siano Femen o fautrici dell’utero in affitto – le birth striker stanno cominciando a subire i primi attacchi dei pro-life, alcuni dei quali le hanno definite “femministe in salsa green, che dopo l’odio indiscriminato verso il maschio bianco ora odiano anche i figli”. Ma le motivazioni per cui lo sciopero delle nascite potrebbe non essere una buona idea sono altrove. E non si tratta neanche del rischio di sottrarre ragioni alle lotte per un welfare più umano per le famiglie, quanto del fatto che l’angoscia apocalittica porta sempre con sé più depressione che azione, visto che la psiche umana può agire solo se mossa dalla speranza (e non è un caso che i bambini sono sempre nati anche durante le guerre più atroci). Come ha detto poi lucidamente David Wallace-Wells, lo scrittore e padre che pure ha pubblicato l’ansiogeno libro The Uninhabitable Earth, “fare figli è una ragione per combattere”. Perché in effetti, senza bambini, e con un orizzonte limitato davanti, la tentazione diventa un’altra: acquistare con i propri risparmi una casa sui mari del nord, e godersi meravigliosi miti autunni e calde primavere. Tanto l’apocalisse arriverà dopo la nostra morte. E allora, in fondo, perché scaldarsi tanto?

A volte basta un povero cormorano

Le bugie hanno le penne nere. E sono quelle del povero uccello tutto impiastricciato di petrolio che è diventato il simbolo della guerra, di un occidente che ha il vizio di insegnare la democrazia a ogni costo anche sulla pelle di innocenti a cominciare dal povero cormorano. Di cui io, e molti come me non sapevano nulla prima d’ora, né il nome, né l’habitat e neanche le abitudini. Me lo immagino una mattina appena sveglio che dice “Quasi quasi mi vado a fare un giretto per mare e mi mangio un pescetto per colazione”, invece scivola in una macchia di petrolio che aveva invaso le sue acque. Avrei dichiarato guerra al mondo pure io, anche solo per un povero cormorano! E non in nome di una democrazia, ma in virtù del senso di rispetto che le creature, tutte, ispirano o dovrebbero ispirare. Insieme all’attenzione che dovremmo avere per la terra che distruggiamo con inquinamenti, disastri ambientali ed emissioni di gas di ogni tipo. Quanti occidentali si sono convinti alla guerra giusta solo per la pena del misero uccello impiastricciato. Poi si scopre che la foto è autentica, sì, ma risale a dieci anni fa al tempo della guerra tra Iran e Iraq. I video invece sono stati girati apposta, ma senza la liberatoria dei poveri cormorani messi in posa: ciak, motore, azione! Tutti truccati di nero e scompigliati come comparse. Non è stato Saddam Hussein a vendicarsi del mondo aprendo le pompe di petrolio e creando un disastro ambientale per sfregio. Beh, mi sento sporca di notizie e di menzogne come quel cormorano. Mi sento a disagio in questo disastro che è l’informazione. E non voglio credere a niente e a nessuno, tantomeno alla scelta di qualunque guerra. Fatta comunque sulla nostra pelle, e sulle sue penne. Ciò non toglie che un povero cormorano inzuppato di petrolio c’è stato, e sicuramente non è l’unico!

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Plinio e Traiano parlavano già di cittadinanza

La drammatica vicenda del tentativo di strage di un cittadino italiano con origini senegalesi contro un gruppo di ragazzini mette a nudo l’arretratezza in cui si dimena quest’Italia provinciale sul tema della cittadinanza. La retorica di Rami Shehata eroe straniero meritevole della cittadinanza italiana è tanto insulsa quanto ipocrita. Nel II secolo d.C., prima del provvedimento di concessione generale della cittadinanza varato da Antonino Caracalla nel 212 d.C., la cittadinanza romana si offriva per meriti su disposizione dell’imperatore. Un esempio è nel carteggio tra Plinio il Giovane e Traiano: “Lo scorso anno, principe, colpito da malattia fino a essere in pericolo di vita, mi rivolsi a uno iatralipta, di fronte alla sollecitudine e perizia del quale non posso mostrar riconoscenza pari al beneficio ricevuto, se non per mezzo della tua benevolenza. Egli è infatti straniero, essendo stato affrancato da una forestiera. Si chiama Arpocrate, ebbe per patrona Termuti, moglie di Teone, morta da tempo” (epistula 5). Traiano accolse la richiesta di Plinio e concesse la cittadinanza romana allo iatralipta Arpocrate, una sorta di fisiatra. In Italia, accantonato lo ius soli, non vale che Rami sia nato in Italia, frequenti scuole italiane, sia di cultura italiana e si senta italiano. No, vale il suo gesto eroico, che avrebbe potuto compiere qualsiasi altro ragazzino in quelle circostanze, perché il governo prenda in considerazione la graziosa concessione di cittadinanza italiana piuttosto che la richiesta giacente da tempo. L’ipoteca leghista e l’inerzia pentastellata sulla questione sono così pesanti da far credere che duemila anni siano passati invano e rimpiangere persino Traiano.

Addio a Marcello Conati, il miniaturista che smontò tutte le fake news su Verdi

L’ultimo libro, sulla drammaturgia di Puccini, l’aveva pubblicato al compimento dei novant’anni per la Libreria Musicale Italiana. Debbo ancora leggerlo. Poi se n’è andato un mese dopo, alla fine dell’anno. Marcello Conati è stato, certo, ricordato con rispetto, affetto, anche devozione. Non dai grandi giornali, che forse non sapevano neanche chi fosse. Quando a qualcuno si attacca la qualifica di “specialista”, e non lo è, gli s’incomincia a scavare la tomba. Conati era considerato soprattutto uno “specialista verdiano”. Era uno dei più grandi musicologi viventi.

Non ci siamo incontrati mai, né abbiamo avuto alcun contatto epistolare. Ma è stato uno degli storici della musica, o musicologi che dir si voglia, che più hanno influito sulla mia formazione. Accanto a Hermann Abert, Friedrich Blume, Guido Pannain, Giulio Confalonieri. Che lavorasse con metodo diverso, anche opposto da tali grandi nomi, affrescatori piuttosto delle “idee generali”, nulla conta. Occorre coltivare l’affresco e la miniatura. Conati era un miniaturista; ma che fosse solo un miniaturista, ecco l’errore.

Si è dedicato per tutta la vita soprattutto a Verdi. La sua opera si può paragonare a quella di Philip Gossett nei confronti di Rossini. Verdi è considerato il più grande compositore nostro, e tutti credono di conoscerlo. Le leggende più efferate ancora trovano credito. C’è chi ancora consulta i quattro volumi dedicatigli da Franco Abbiati. Costui era il critico musicale del Corriere della Sera e la Scala lo sovvenzionava col sostenergli una rivista che, a scanso di equivoci, portava lo stesso nome. Altri danno credito a un Gustavo Marchesi, i libri del quale fanno pensare al Dizionario delle idee correnti di Flaubert, la sintesi delle cretinaggini alla moda.

A prescindere dai numerosissimi articoli, Conati ha pubblicato tre libri fondamentali. Uno, edito per la terza volta dalla Edt di Torino, Interviste e incontri con Verdi, nel quale raccoglie tutta la memorialistica condendola con un’opera certosina e monumentale di correzione e precisazione di ogni errore, di ogni svista, di ogni inesattezza. Della sua conoscenza, della sua memoria, della sua infallibilità, si resta sbalorditi. Il secondo, La bottega della musica (1983), è dedicato ai rapporti del Maestro col teatro veneziano della Fenice, ove furono battezzati capolavori come l’Attila, il Rigoletto, La traviata, la prima versione del Simon Boccanegra. Il terzo, edito per la seconda volta dalla Marsilio nel 1992, s’intitola Rigoletto. Un’analisi drammatico-musicale. La genesi di una delle più tormentate e rivoluzionarie Opere di Verdi, la sua elaborazione, il processo creativo, infine le intime pieghe dell’arte, sono indagati in un modo impareggiabile. E siccome Conati era stato anche direttore d’orchestra, gli errori esecutivi, oggi sempre più frequenti, sono indicati in modo perfettamente implacabile.

Ma la gran parte dei direttori d’orchestra attuali son incapaci di leggere sia un libro che una partitura. Vanno a orecchio in tutti i sensi. Confesso che se fossi capace di scrivere un libro simile mi sentirei un grand’uomo. Perché dalla miniatura passa anch’egli, nel complesso della sua opera, al grandioso affresco. Da lui ho appreso il metodo di lavoro, il culto della fonte e dell’originale.

Le città più legate a Verdi sotto sono Parma (solo per esser egli nato nel Ducato), e, sotto il profilo della creazione, Milano, Venezia e Parigi. Ognuna di loro dovrebbe intitolare una via a Marcello Conati.

 

George Sand, la più amata dai francesi (e da Flaubert)

“Marianne mi ha commosso profondamente e due o tre volte ho pianto”. Era la sera del 18 febbraio 1876, un venerdì, quando Gustave Flaubert confidò a George Sand il suo apprezzamento per il libro che la scrittrice francese gli aveva inviato. L’autore di Madame Bovary lo aveva letto tutto d’un fiato, poco dopo avere concluso la stesura della sua Légende de saint Julien l’Hospitalier.

Penultimo romanzo di Amantine Aurore Lucile Dupin, universalmente nota come George Sand (1804-1876), e orchestrato sullo sfondo campestre della Nohant cara alla scrittrice, che vi aveva trascorso giorni sereni accanto a Fryderyk Chopin, Marianne, un piccolo capolavoro, non era mai stato tradotto in italiano. Esce adesso nella versione di Elisabetta Parri, nella collana Biblioteca del Vascello dell’editore Robin. C’è anche un prezioso saggio introduttivo di Marco Catucci, che ricostruisce gli ultimi due anni di vita della Sand a Nohant, nel cuore del Berry, dove aveva ambientato peraltro uno dei suoi successi, La mare au diable (La palude del diavolo).

Il romanzo amato dal grande Flaubert, che ha al centro una figura di giovane donna libera e profondamente legata alla natura, Marianne Chevreuse per l’appunto, inizialmente era stato pubblicato nel 1875 sulla Revue des Deux Mondes. Ottenne subito il consenso della critica, in ogni caso, quella delicata vicenda d’amore fra la protagonista, che vive in solitudine in una fattoria in cui ha creato un giardino straordinario, e il suo padrino Pierre, un uomo disilluso; un amore, il loro, che sboccia soltanto grazie alla forza e alla volontà di Marianne. La rivista The Athenaeum, come rammenta Catucci nell’introduzione, affermò che era “piena di carattere, e soltanto il più grande degli scrittori può sviluppare un carattere in storie che non raggiungono le cento pagine”. E Flaubert, nella lettera citata alla Sand, aggiunse: “Certe pagine mi sembrano frammenti delle mie memorie, supponendo che avessi il talento di scriverle in tal modo! Come tutto ciò è incantevole, poetico e pieno di vita!… Marianne mi ha letteralmente incantato”.

Quasi alla vigilia della morte, nella “chambre bleue” della sua villa di Nohant, la Sand aveva affidato a Marianne una sorta di testamento spirituale, facendo dire al personaggio: “Sai, Pierre, la natura è come l’amore. È lì, dentro al cuore, e non bisogna parlarne troppo, altrimenti si sminuisce sempre ciò che si vuole descrivere”. Dopo tanti amori e tante passioni travolgenti, da Chopin ad Alfred de Musset, affidava come musicalmente a un “pianissimo” quell’ultimo frammento amoroso, quella storia della sua Marianne.

Donna e intellettuale coraggiosa e anticonformista, socialista, che suscitò grandi scandali nella Francia borghese del Secondo Impero bonapartista, negli ultimi tempi della sua esistenza George Sand si era votata soprattutto alla natura e alle scienze naturali. Al poeta Charles Poncy, al quale dedicò il romanzo, scrisse: “Sono contenta che Marianne vi piaccia. Si piantano impunemente dei chiodi nei vecchi alberi. Al tempo in cui occorrono le avventure di Marianne, i ceppi di tal genere erano così abbondanti nei cespugli che non si faceva caso ve ne fosse uno di più o di meno. Ma ho visto resistere così a lungo questi alberi con chiodi o cardini che credo non soffrissero affatto”.

George Sand morì a Nohant alle nove e mezzo del mattino: era l’8 giugno del 1876. Due giorni dopo si celebrarono i funerali. “C’è anche Flaubert”, racconta Catucci, che, due settimane dopo, da Croisset, scrive a un vecchio amico: “Mi è sembrato che seppellissi mia madre una seconda volta”. La pubblicazione della traduzione italiana di Marianne, ora, colma un vuoto che esisteva. E, nello stesso tempo, conferma che la fortuna editoriale della scrittrice francese non è per niente tramontata. I suoi libri, da Indiana a La piccola Fadette e Consuelo, continuano a essere tradotti e a essere stampati, e letti, in tutto il mondo.