La Renzi-Boschi può rovinare pure Zingaretti

Zingaretti merita un’apertura di credito. Egli ha fatto del binomio unità-cambiamento la sua bussola. Non una sintesi facile e scontata. Spero in un dosaggio che privilegi il cambiamento. Senza discontinuità sarebbe sconfessata la ragione stessa della sua vittoria alle primarie Pd.

Ecco perché mi ha sorpreso il suo cenno, nel segno del rimpianto, alla bocciatura della riforma costituzionale Renzi-Boschi. Non è il caso qui di tornare sulla disputa di allora, quando, con altri dieci parlamentari Pd, partecipai a viso aperto alla campagna per il no (ancora oggi si addita al pubblico ludibrio chi, in casa Pd, avrebbe segretamente brindato per la bocciatura). Solo mi permetto di girare al neo segretario Pd cinque rilievi.

1. L’ispirazione ipermaggioritaria di quella riforma, con annessa legge elettorale, avrebbe dato un potere esorbitante alla maggioranza politica contingente. Sino a mettere nelle sue mani gli alti organi di garanzia. Oggi, a fronte di una maggioranza di governo cui si imputano pulsioni illiberali, sarebbe lecito attendersi semmai un ravvedimento. Lo ha notato con parole lapidarie il presidente della Consulta Lattanzi: “Oggi anche chi propose quelle riforme dovrebbe essere contento della loro bocciatura”.

2. Zingaretti, giustamente, si propone di costruire un campo largo e inclusivo di centrosinistra. A tal fine certo non giova tornare su quella divisione, quando tanti cittadini-elettori di centro e di sinistra dissentirono dalla riforma. Salvo sposare la lettura propagandistica di Renzi, concepita per indorare la pillola, secondo la quale l’intero 40% dei sì fosse da intestare al Pd (precipitato al 18% solo un anno dopo).

3. Un po’ tutti, ex post, convengono che a quella sconfitta (che, a ben vedere, segna la fine del corso politico renziano) fosse da ascrivere alla smodata personalizzazione. Ma il vero e più grave vulnus fu un altro: quello di avere sconfessato il solenne impegno scolpito addirittura nello statuto ideale del Pd all’atto della sua nascita a non fare più, mai e poi mai, riforme costituzionali a colpi di maggioranza contingente. Quasi una Costituzione del governo! Trattasi della Legge fondamentale, che deve essere concepita e vissuta come Regola largamente condivisa.

4. Il Pd, talvolta con un po’ di arroganza ma non senza qualche ragione, polemizza con l’attuale governo perché esso e i suoi membri trascurerebbero il valore delle competenze (l’uno vale uno ….). Male non sarebbe che il nuovo Pd di Zingaretti non ricadesse nell’errore di allora, quello di disdegnare e persino di irridere i “professoroni”. Che quella fosse una riforma cattiva e insidiosa lo argomentò a voce alta la gran parte della comunità dei costituzionalisti più accreditati (undici presidenti emeriti della Consulta!).

Non guasterebbe un po’ più di umiltà, di ascolto, di rispetto per chi ne sa di più per cultura ed esperienza…

5. Un altro bersaglio polemico del Pd di ieri e di oggi è quello degli avversari politici inclini al populismo e alla demagogia. Giusto. Ma come dimenticare il tenore della campagna referendaria per il sì tutta imperniata sulla riduzione dei costi e il discredito per i politici? Nei loro libri recenti, sia Gentiloni che Letta lo hanno osservato: non solo non era plausibile che un partito identificato con il governo e con l’establishment in genere facesse goffamente il verso a quegli umori, ma, di più, come si è dimostrato, tale subalternità ha finito per portare acqua al mulino dei suoi avversari.

In Francia la vera rabbia è senza Gilet

“I dominanti possono lamentarsi di un governo o dell’altro, ma la politica non causa loro problemi di digestione, non spezza loro la schiena, non cambia mai la loro vita. Per loro la politica è una questione estetica, un modo di pensarsi, di vedere il mondo, di costruire se stessi. Per noi, era vivere o morire”. Le parole con cui Édouard Louis (in Chi ha ucciso mio padre, pièce di successo in scena al Théâtre de la Colline a Parigi) accusa Chirac, Sarkozy, Hollande, Macron di aver contribuito a piegare suo padre operaio, sottraendogli cure mediche e assistenza, obbligandolo a cercare lavoro nonostante l’invalidità, vanno lette nel quadro del più forte scollamento tra popolo ed élite che la Francia abbia conosciuto nel Dopoguerra.

I Gilet gialli sono un sintomo della febbre. Quando 1500 casseurs devastano il bar Fouquet’s (quello in cui Macron celebrò la sua elezione), vandalizzano spavaldi i negozi Hugo Boss (scrivendoci sopra “chi è, il boss?”), e piegano alla violenza un movimento che conta anche un’importante anima pacifica, ciò accade perché vi è una vasta fetta della popolazione che ritiene che in fondo quei bersagli vadano colpiti. Che quelli (le banche, le multinazionali, i club “esclusivi”) siano i responsabili di politiche sbagliate e discriminatorie, calibrate sulla stessa élite che le emana e non su un Paese sofferente e inascoltato.

La disintermediazione (così pervicacemente cercata dallo stesso Macron), la delegittimazione di partiti e sindacati, la condanna aprioristica dell’ideologia rendono ormai impossibile sciogliere o convogliare la rabbia privata dei singoli in una tensione collettiva presidiata da un’ideale, o da un’idea. Alcune questioni “collettive” vengono prese in carico dai comitati civici, che si battono contro l’insulso aeroporto di Notre-Dame des Landes (sventato), contro la cementificazione di EuropaCity in Val d’Oise, contro la negligenza pubblica che porta la legionella nei rubinetti di Marsiglia, e mille altri. Ma nel declino di una rappresentanza politica sempre più anemica, chi deve occuparsi di una politica ambientale che sostiene il glifosato, i cacciatori e il nucleare, di una politica scolastica volta a predeterminare il futuro degli studenti sin dai loro 14 anni, di una politica che vuole privatizzare (perdendoci) perfino gli aeroporti di Parigi?

Il malessere della Francia è così profondo che fa sorridere pensare che possa essere risolto dalle “consultazioni cittadine” volute da Macron come risposta ai Gilet: diecimila dibattiti a livello locale per formulare proposte raccolte da appositi comitati territoriali formati da cittadini estratti a sorte (!) e inviate a Parigi, novelli cahiers de doléances che il premier Édouard Philippe fa già capire saranno in larga parte disattesi. Dinanzi al radicalizzarsi della violenza, forse non basterebbe nemmeno un gesto simbolico e clamoroso come quello di chiudere l’Ena (la scuola di amministrazione da cui escono i quadri dello Stato francese), evocato dal sociologo Jean Viard, di cui sta per uscire il saggio L’implosione democratica (ed. de l’Aube).

Non basterebbe, perché dopo decenni di dibattiti sulle banlieue ora ci si rende conto che il vero problema è la “Francia periferica”, quei milioni di cittadini che vivono in centri sotto i 20 mila abitanti, esposti a indici di povertà e di disoccupazione spesso doppi rispetto alla media nazionale. Un universo troppo spesso considerato come deposito di stalle e di formaggi anziché come una miniera di potenziali talenti; un mondo separato in cui i giovani soccombono a un vero “determinismo territoriale”: autobus e treni locali sporadici o inesistenti, necessità costante dell’auto e della benzina, dimensione digitale insufficiente, enormi centri commerciali che rimpiazzano i mercati storici, scuole troppo distanti per consentire una vera scelta formativa.

I giovani che parlano in Les invisibles de la République (di S. Berlioux ed E. Maillard, ed. Laffont 2018) sono costretti a frequentare l’istituto superiore più raggiungibile sul piano logistico, o a rinunciare all’università per mancanza di borse di studio o di collegamenti. Quei pochi che si avventurano davvero “in città”, qualunque sia la loro estrazione sociale, vivono poi sulla loro pelle, nei confronti dei coetanei che hanno goduto di maggiori opportunità (dai viaggi alle attività extrascolastiche) una sindrome di inferiorità che li segna profondamente, inducendoli talora al ritiro. La retorica della “generazione Erasmus” in un Paese in cui i programmi universitari di scambio internazionale interessano meno del 2% dei giovani, rischia di incupire e incattivire coloro che ne restano esclusi. Per ora può darsi che quei giovani, dimenticati da EasyJet e dalla Sncf, si chiudano nella rassegnazione, ingabbiati in un futuro che non hanno scelto. Ma i loro padri cinquantenni non sarà difficile trovarli nei sabati parigini in cui succede l’apocalisse.

Mail box

 

Un probabile corrotto lo si riconosce subito

Riguardo al reato di corruzione emerso da pochi giorni nel comune di Roma, mi sembra di ascoltare l’ennesima barzelletta raccontata a denti stretti. Perché?

Perché quando si tratta di tentazione, il “diavolo” riesce sempre a compiere i suoi prodigi. E poi, riguardo alle mele che si guastano via facendo, non credo. Il marcio è sempre all’origine, solo che non appare fin quando non si crea l’occasione ghiotta. Bisogna conoscere gli animi, prima di affidare loro compiti delicati. E poi non è tanto difficile. Un furbacchione, per quanto possa essere scaltro, lascia sempre alcune tracce di malefatte sulla sua strada. Per formare una classe dirigente occorre non educare (si impiegherebbe una vita), ma scegliere chi si è già formato e ha dato e continua a dare prova, nella vita sociale del suo ambiente, di essere degno di un merito in base a competenze mentali e morali. E io credo che un’informazione in tal senso la si possa avere. Mi sembra il minimo!

Roberto Calò

 

La stampa ha un ruolo fondamentale per il Paese

Avremmo bisogno di una stampa libera, indipendente, con editori puri e che avesse come stella polare quella di informare i lettori, i telespettatori e gli elettori, per allenarli a capire e poter scegliere con cognizione di causa la classe politica da cui farsi governare.

Per ora nella nostra povera Italia tutto questo non c’è e il tentativo di cambiare qualcosa che i 5Stelle (pur con qualche contraddizione) stanno cercando di fare vede l’intera categoria dei giornalisti della carta stampata e televisiva schierata come un sol uomo a difesa di uno status quo che garantisce “nani e ballerine” ma che deprime e nega verità a un intero popolo.

Non so come andrà a finire questa storia ma nel caso che non si riuscisse a invertire la tendenza degli ultimi 25 anni prevedo una restaurazione orribile (immagino con Salvini a capo del centrodestra) che farà strage dei diritti civili, del lavoro e del libero pensiero e che potrebbe pericolosamente assomigliare a un nuovo fascismo (e molti segnali ci sono già).

Leonardo Gentile

 

Con il Memorandum la Cina è sempre più vicina

La visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping è certamente, a mia memoria, un unicum o quasi per il nostro Paese. È stata vista di buon occhio anche dal capo di Stato Mattarella, e va valutata positivamente sia dal punto di vista politico tout court, sia più specificamente da quello commerciale.

La cautela, poi, con la quale è stato organizzato e portato avanti l’incontro da parte del premier Conte, anche pregevole ministro degli Esteri – nel caso specifico – farà sì che non ci saranno neppure mugugni da parte dell’Ue, ma vantaggi economici per le esportazioni italiane.

Naturalmente le opposizioni di FI (con Gelmini e Bernini e con lo scatenato Tajani) e del Pd (con il neo segretario Nicola Zingaretti & C., una sorta di ancien régime renziano, appena rispolverato) blaterano e starnazzano che “l’è tutto sbagliato”, ma la verità è che non sanno più come criticare nel bene e nel male il governo gialloverde.

Aggiungo che personalmente sarei per il blocco del Tav – soprattutto perché si poteva fare prima e non si è fatto, e non si vede perché bisogna farlo ora – e per lo sblocco dei cantieri e delle infrastrutture che porteranno nuova occupazione. Vedremo cosa ci porterà la primavera e se son rose…

Luigi Ferlazzo Natoli

 

M5S deve guardare al passato per capire il presente

L’espulsione, immediata, di Marcello De Vito è stata opportuna. Anche Bettino Craxi, nel 1992, cacciò subito dal Psi Mario Chiesa, definendo il presidente del Pio Albergo Trivulzio un “mariuolo”, dopo che era stato arrestato, con la mazzetta, da Tonino Di Pietro.

Per tentare una difficile risalita, politica ed etica, i grillini devono, con sincerità, ammettere quello che il leader del Psi, che ipotizzò complotti e poker d’assi, non fece: il fallimento nel guidare Roma, non dissimile da quelli di Alemanno (An) e di Marino (Pd).

Dopo aver detto no alle Olimpiadi nella capitale, per timore dei “comitati di affari”, la Procura di Giuseppe Pignatone ha scoperto che i maneggioni bipartisan continuavano a orientare le decisioni della “giunta del cambiamento”.

Come i loro detestati predecessori, i pentastellati sono inciampati sulla corruzione, un reato da cui si devono difendere, senza isterie, nei tribunali.

A Grillo, Casaleggio e Di Maio spetta il compito di fare pulizia, di cacciare, oltre i corrotti, gli incompetenti. E assumere il difficile impegno, con gli iscritti e gli elettori, teso a evitare che la rovinosa caduta, sul fronte romano della legalità, si estenda al governo del Paese: “Capitale corrotta, nazione infetta”, titolò, profetico, nel 1955, L’Espresso, con l’inchiesta di Manlio Cancogni (1916-2015).

Piero Mancini

 

Salvini si dimostra forte coi deboli e debole coi forti

Salvini, dopo aver ostentato spavalderia, ha costretto gli alleati di governo a salvarlo dal processo. Questo non stupisce: da sempre è avvezzo a perseguitare i deboli e blandire i potenti.

Mauro Chiostri

Partiti. Per fare politica serve davvero frequentare le scuole di formazione?

Il direttore Marco Travaglio ha consigliato ai Cinque Stelle – ma indirettamente a tutti quelli che intendono dedicarsi alle pubbliche funzioni – di frequentare almeno una scuola di formazione politica e di amministrazione. Non temete che i vostri detrattori possano accusarvi di avere una visione burocratica della politica?

Fernando Santantonio

Caro Fernando, le rispondo sulla base della mia esperienza. Molti anni fa ho frequentato il Centro di formazione politica a Milano, promosso da Massimo Cacciari per conto di quella che era allora la Margherita. Un’esperienza preziosa, seminari con sindaci e politici nazionali, incontri con professori e professionisti, l’occasione di conoscere persone di valore che poi hanno fatto carriere interessanti. La forza di quell’esperienza era che nessuno ci chiedeva niente in cambio. Niente militanza, niente manovalanza. Alla fine però era anche un limite: perché investire su una nuova generazione di persone interessate alla politica senza avere per loro nessun progetto? La politica che conta continuavano, e continuano a farla i soliti. Nel 2015 Enrico Letta ha lanciato la sua Scuola di politiche con obiettivi più definiti: prendere ragazzi molto giovani, anche alla fine delle superiori, formarli sui grandi temi della politica, italiana ed europea, aiutarli a comprendere temi e modalità del processo decisionale pubblico. Non per farne dei politici di professione, ma perché se un ingegnere, un economista, un medico o un manager ha anche – diciamo così – una “coscienza politica” sarà comunque una risorsa preziosa per la società e, in qualche caso, anche per i partiti (Letta da tempo non è più nel Pd e la sua Scuola non è legata al partito). Una volta mi è capitato anche di “insegnare” alla scuola di formazione della Lega: amministratori locali o aspiranti tali che pagavano cifre non simboliche per venire a Roma ad ascoltare e discutere.

Come si vede, di modelli ce ne sono tanti. Alcuni più efficaci, altri meno. L’idea che la politica sia un mestiere che non richiede competenze è tanto superficiale quanto sbagliata. Ne sono ormai consapevoli anche i Cinque Stelle che, con l’associazione Rousseau, hanno cominciato a fare iniziative di formazione per gli eletti. Politici senza esperienza, senza competenze, catapultati nelle istituzioni sono il sogno di ogni lobbista o, peggio, spregiudicato imprenditore pronto alle mazzette. Perché sono politici più deboli e manipolabili.

Stefano Feltri

“Non rifecero partito fascista”: tutti assolti i 9 imputati a Mantova

Niente ricostituzione del partito fascista. Il gup del tribunale di Mantova ha prosciolto tutti i 9 imputati aderenti al Movimento dei Fasci del lavoro per non aver commesso il fatto. Il partito si era presentato nel 2017 alle comunali di Sermide-Felonica (in provincia di Mantova), dove aveva raccolto circa il 10% dei voti ed era riuscito a conquistare un seggio (per la 20enne Fiamma Negrini, figlia del leader storico Claudio ). La notizia dell’accettazione della lista era emersa solo dopo il voto, con la procura che aveva avviato un’indagine, mentre le elezioni erano poi state annullate dal Consiglio di Stato. Il giudice, però, ha ritenuto che non ci fossero prove per accusarli di aver voluto ricostituire il disciolto partito fascista e di aver violato la legge Scelba e la dodicesima disposizione transitoria della Costituzione. Il pubblico ministero aveva chiesto, invece, la condanna di tutti gli imputati a pena variabili dai 18 mesi ai 4 anni di carcere.”Adesso ci ripresenteremo alle elezioni della prossima primavera per riprenderci il maltolto”, promette il leader del movimento Negrini.

Controllo emissioni, l’acciaieria rifiuta di montare le telecamere Il M5S: “Allora ci pensiamo noi”

La Tk Astdice no a nuove telecamere per monitorare le emissioni dell’Acciaieria e il Movimento 5 Stelle prepara una colletta: “Pronta una raccolta fondi, le piazzeremo intorno all’azienda”. Sempre caldo il tema ambientale a Terni: la seconda commissione comunale ha ascoltato in audizione il direttore di stabilimento Ast, Massimo Calderini, e il responsabile dell’Ente Ecologia, Ambiente e Sicurezza della multinazionale dell’acciaio, Fernando Camponi, dopo un atto di indirizzo firmato M5s con la richiesta di installare “un sistema di monitoraggio visivo e non visivo delle emissioni Ast”. Uno scenario che fa storcere il naso all’azienda e su cui invece i consiglieri pentastellati vogliono andare fino in fondo. Ast punta forte su prevenzione e ricerca mettendo sul tavolo investimenti nel settore ambiente per 72 milioni, 60 dei quali per il recupero delle scorie (affidato ai finlandesi della Tapojarvi). “Ast – spiega Calderini – non intravede nessun miglioramento nell’installare una videosorveglianza, perché già abbiamo la situazione sotto controllo 24 ore al giorno. È utile invece avviare un’attività di monitoraggio finalizzata alla prevenzione anche tramite la ricerca, come quella iniziata con le Università di Firenze e di Perugia (indagine sulla dispersione degli inquinanti in atmosfera nella conca ternana, ndr)”. Troppo poco però per Patrizia Braghiroli, consigliere comunale del M5s: “Se l’atto non sarà approvato faremo del tutto per riuscire a installare le telecamere, anche organizzando raccolta fondi coinvolgendo i cittadini. Le metteremo intorno all’azienda in modo da poter visionare costantemente le emissioni dei camini”. Mentre è già pronta una prima stima delle spese (3 mila euro per dieci occhi elettronici), la discussione politica è accesa. “Le videocamere potrebbero essere uno strumento ausiliario”, spiega l’assessore all’Ambiente Benedetta Salvati, mentre per Francesco Filipponi, capogruppo Pd, “è necessaria una più stringente sinergia tra Ast e Comune”.

Dopo l’intervento della polizia la “critical mass” finisce a botte Denunciati quattro ciclisti

Doveva essere una biciclettata per salutare l’arrivo della primavera e reclamare più spazi per la mobilità sostenibile, ma dopo l’intervento della polizia la situazione è degenerata. Così quattro ciclisti sono stati denunciati per resistenza a pubblico ufficiale in seguito ai disordini avvenuti giovedì sera in centro a Torino. Le forze dell’ordine erano intervenute nel corso di una “critical mass”, un tipo di raduno di ciclisti ormai diffuso in tutte le città italiane, che punta a “occupare” per breve tempo le carreggiate così da sensibilizzare le persone sul trasporto a due ruote. Gli agenti volevano identificare alcuni “antagonisti” che stavano partecipando alla biciclettata. “Ci siamo trovati da una parte sei camionette e da un’altra due. Era un intervento strutturato”, spiega Elisa Gallo, rappresentante di “Bike Pride”, una sezione torinese della Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta), che si era unita alla manifestazione. Secondo lei si è trattato di “una reazione esagerata”: “Stavamo bloccando l’incrocio come fanno le masse critiche di tutto il mondo e stavamo per ripartire”. Gallo teme che tutto ciò possa inasprire l’odio verso i ciclisti: “La bicicletta è uno strumento per tutti in una città che è tra le più inquinate – continua -. Risponderemo con una pedalata che sarà un momento di festa”. Il questore uscente, Francesco Messina, le ha telefonato per spiegarle che l’obiettivo dell’azione non erano i ciclisti. Nel frattempo, però, era già cominciata la polemica politica con la capogruppo M5s del consiglio comunale, Valentina Sganga, che ha definito l’accaduto “sconcertante” e ha contestato l’operato della polizia parlando di “repressione ingiustificata”. “È tempo di darsi una regolata – ha aggiunto il consigliere regionale di LeU Marco Grimaldi, ricordando le cariche contro gli ‘abusivi della birra’ due anni fa in centro –. La città e le sue istituzioni devono iniziare a dire basta. Torino non è questo”.

Chiama i pompieri e li ringrazia con due spinelli: denunciato

A cavaldonato non si guarda in bocca, dicono: a meno che non si tratti di due grammi di hashish. È una lezione che è dovuta sfuggire a L.M., 31enne marocchino residente a Cremona, pregiudicato e disoccupato.

Il ragazzo, infatti, aveva chiamato i vigili del fuoco affinché raggiungessero la sua casa, in via Sardagna, per sistemare una finestra che risultava pericolante a causa del forte vento. I pompieri hanno raggiunto prontamente l’appartamento abitato dall’uomo, provvedendo a sistemare il problema.

Dopo l’operazione, il ragazzo non è riuscito a contenere la gratitudine, ed ha offerto ai pompieri due grammi dello stupefacente di cui era in possesso.

Il personale del 115, tuttavia, non solo ha dimostrato – com’era prevedibile – di non gradire il pensiero, ma ha anche chiamato immediatamente i carabinieri della vicina caserma. Una volta che le forze dell’ordine sono giunte sul posto, hanno perquisito l’abitazione del generoso donatore, e in un contenitore appoggiato sul comodino della camera da letto hanno potuto rinvenire altra droga. Inevitabili le conseguenze. Il ritrovamento è è valso al nordafricano una contestazione da parte della Procura, con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio, dalla quale adesso dovrà difendersi. Non è d’altronde la prima volta che il ragazzo “ci casca”: sono infatti registrati a suo carico dei precedenti per traffico di sostanze stupefacenti.

“Volevo sdebitarmi con i vigili del fuoco”, ha provato a spiegare l’uomo, aggiungendo che si trattava semplicemente di un “gesto gentile” per ringraziare i pompieri del loro prezioso lavoro di messa in sicurezza. Magari bastava un classico caffè.

Stupro Circumvesuviana, libero il primo dei tre. I suoi legali: “Vittima consenziente”

C’è qualcosa che non quadratra il racconto della vittima e quel che starebbe emergendo dai video. E così Alessandro Sbrescia, 18 anni, uno dei tre arrestati per il presunto stupro di gruppo di una 24enne di Portici nella stazione Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano, è tornato in libertà. Gli undici motivi di ricorso dei suoi avvocati, accolto dalla ottava sezione del Riesame di Napoli che ha disposto l‘annullamento dell’arresto e la scarcerazione di Sbrescia dal penitenziario di Secondigliano, puntavano in gran parte sull’analisi dei dvd estratti dai sistemi di videosorveglianza della stazione. Secondo la lettura dei difensori di Sbrescia, gli avvocati Eduardo Izzo e Giuseppina Rendina, i fotogrammi avrebbero ritratto la ragazza entrare e uscire coi tre indagati dall’ascensore dove sarebbe avvenuta la violenza, senza costrizioni e senza atteggiamenti di spavento o di dolore. La ragazza aveva invece riferito agli investigatori della Procura di Napoli di essere stata spinta lì dentro, e poi costretta a subìre lo stupro di gruppo. I tre hanno ammesso il rapporto sessuale sostenendo però che la 24enne fosse consenziente. Lei, una ragazza particolarmente fragile e sottile, fu però vista piangere su una panchina affianco ai binari, e solo grazie a un passante, riuscire a telefonare alla madre disperata. Le rapide indagini della polizia e i video, confrontati coi loro profili facebook, hanno consentito di individuare subito i tre giovani, che nel frattempo si erano rasati la barba. Per provare a sfuggire alla cattura, sostengono gli inquirenti. Per immaturità e perché caduti nel panico dopo aver appreso dai siti web di essere stati denunciati, replicano le difese: la notizia fu infatti diffusa quasi in tempo reale, la stazione era ancora affollata di studenti e pendolari. E c’è anche un altro punto contrastato: i fotogrammi, secondo la ricostruzione difensiva, riprenderebbero la ragazza mentre saluta affettuosamente Sbrescia poco prima di entrare in ascensore. Un saluto che striderebbe con i verbali della vittima, nel punto in cui afferma di essere sfuggita all’incirca tre settimane prima a un analogo tentativo di aggressione da parte degli stessi tre ragazzi.

Non sono ancora note le motivazioni della scarcerazione, che verranno depositate nelle prossime settimane. Nei prossimi giorni il Riesame si pronuncerà sul fermo – convalidato dal Gip – degli altri due in carcere, i 19enne Raffaele Borrelli e Antonio Cozzolino.

La presunta violenza avvenne il pomeriggio del 5 marzo. La ragazza è stata sentita due volte dagli inquirenti, la prima subito dopo il fatto, e l’11 marzo, quest’ interrogatorio durò più di tre ore. Su quei due verbali, confrontati tra loro e con le versioni dei tre indagati, e sulla visione dei dvd della videosorveglianza, si è consumato lo scontro legale tra accusa e difesa che si è concluso con la decisione del Riesame di disporre la scarcerazione di Sbrescia per carenza dei gravi indizi di colpevolezza. Sbrescia resta comunque indagato e solo dopo il deposito delle motivazioni sapremo se la procura proporrà o meno ricorso in Cassazione. “Siamo soddisfatti del provvedimento, era quello che auspicavamo – commentano gli avvocati Izzo e Rendina – ovviamente le indagini sono ancora in corso, il processo non è finito, attendiamo di leggere le motivazioni”.

Centri non a norma: mancano i certificati Eterologa rischia stop

La fecondazione eterologa è “a rischio” in molti centri italiani dal prossimo 29 aprile e questo potrà determinare gravi disagi alle oltre 6mila coppie che vi ricorrono ogni anno. La denuncia arriva dalla Fondazione Pma Italia (Procreazione medicalmente assistita): da quella data, infatti, “potrebbe non essere più possibile importare gameti per l’eterologa in molti centri italiani preposti, pubblici e privati”, spiega l’organizzazione. La ragione è che il ministero della Salute ha ribadito la scadenza del 29 aprile per i centri di acquisire i certificati di conformità dal Centro nazionale trapianti (Cnt), ma molti centri ne sono sprovvisti per il “mancato rispetto della tempistica nelle ispezioni da Regioni e Enti.” Per questo la Fondazione ha inviato una richiesta urgente a ministero e Cnt: se la proroga non arriverà in tempo utile , l’eterologa in Italia potrebbe subire una pesante battuta d’arresto: la fecondazione infatti va avanti per il 95% grazie ai gameti/embrioni importati dall’estero. Già oggi già ci sono importanti flussi di “turismo procreativo”, circa il 25% del totale.