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Chi governa ha il compito di ridurre le disuguaglianze

Ah, ecco, secondo Maroni gli sprechi albergano al sud contrariamente al nord, particolarmente in Lombardia che, a suo dire, sarebbe un modello di virtù.

Come esempio di sprechi porta i diversi costi di alcuni presidi sanitari, com per esempio le siringhe. Come motivazione per realizzare l’autonomia di alcune regioni dice che così facendo le regioni del sud sarebbero stimolate ad una migliore organizzazione. Devo dire che nel mondo politico i comici non mancano, mentre mancano sicuramente quelli che leggono i giornali e che quindi non si tengono informati.

Il nord, per lo meno alcune regioni, sicuramente è più ricco del sud, ma di chi è la responsabilità? Abbiamo forse ospedali migliori, ma di chi è il merito? Prima di parlare bisognerebbe studiare il problema e i politici vengono eletti proprio per porre rimedio alle varie storture e livellare i vari sistemi: sanitari, scolastici, culturali, ambientali, ecc. in modo da correggere le diseguaglianze.

Cosa propone la Lega? Di aumentarle, a fini umanitari? Sarà bene ricordare che la corruzione ha la sua residenza preferita proprio in Lombardia, maggiormente a Milano e provincia. Siamo ormai così abituati a leggere di casi di corruzione che non ci soffermiamo più su cosa ciò significhi.

I soldi destinati agli appalti gonfiati (magari anche quelli per le siringhe), alle convenzioni e consulenze inutili, alla esternalizzazione dei servizi, ecc. sono soldi che provengono dalle nostre tasse.

Questi sono i veri sprechi. La Lega in Lombardia è al governo, come pensa di rimediare alla corruzione e quindi agli sprechi a casa nostra? Tagliando, come stanno facendo ormai da anni, prestazioni sanitarie ai cittadini? Quindi togliendo diritti per foraggiare meglio servizi inutili? Perché anziché controllare le prestazioni sanitarie non controlla gli sprechi veri prima di criticare gli altri?

In realtà forse sarebbe addirittura meglio abolire le regioni e tornare ad avere un unico Stato con leggi e servizi uguali per tutti. Almeno risparmieremmo i costi dei vari consiglieri e assessori regionali e sarebbe un passo avanti nella lotta agli sprechi.

Albarosa Raimondi

 

L’onestà è una rivoluzione che deve partire dagli elettori

Tutti rinfacciano al M5S il mancato miracolo dell’onestà a Roma. Ma la lezione è un altra: la correttezza non può scendere dall’alto da una forza “pura”, ma deve salire dal basso dai cittadini. Che con la loro partecipazione mettono intelligenza e tempo a disposizione della comunità per migliorare le cose.

Sapendo che il processo di guarigione dalla corruzione dei vertici e dall’opportunismo dei sudditi è lungo e le ricadute frequenti.

Ma non per questo smettono di essere cittadinanza attiva con l’impegno pubblico disinteressato. L’unica leva di un vero cambiamento.

Massimo Marnetto

 

Una classe politica adeguata si basa sulla competenza

Prima Salvini, poi Toninelli: una mano lava l’altra, lo dice il contratto. E l’onestà intellettuale? Il governo del cambiamento così definito da Lega e M5S può definirsi tale? Oggi in Parlamento siede il più nutrito numero di giovani da quando esiste la nostra Repubblica, eppure non abbiamo l’impressione di un salto qualificativo della politica. Nel nostro recente passato si sono levate richieste di rottamazione nei confronti di una classe dirigente considerata inadeguata, incapace di stare al passo coi tempi, ma oggi abbiamo la sensazione che le giovani leve approdate in Parlamento siano state selezionate più in base alla loro fedeltà politica che alle competenze maturate. Cosa ci insegna tutto ciò? Che una adeguata classe politica non dipende tanto dall’età quanto da una competenza profonda, dalla capacità di studiare, elaborare e prefigurare il futuro. Cose che stentiamo a scorgere, anzi, di cui non vediamo alcuna traccia.

Silvano Lorenzon

 

Il problema del dirottatore erano i suoi precedenti

Un senegalese 47enne, da 15 anni in Italia, ormai cittadino italiano, ha cercato di dar fuoco a 51 studenti. Si è scoperto che ha precedenti per violenza sessuale e guida in stato di ubriachezza. Mi sto chiedendo chi può aver avuto la assurda e improvvida idea di affidare uno scuolabus a una persona con tali precedenti penali. Qui non si tratta di razzismo o xenofobia, ma della stupidità di chi ha in mano la responsabilità di determinate scelte pubbliche, e le compie con leggerezza e imperizia disarmanti. Ma invece che meditare su queste cose ora si scatenerà la solita diatriba fra xenofobi e integrazionisti.

Enrico Costantini

 

Il commercio con la Cina conviene alla nostra nazione?

La Cina ha bloccato l’importazione della nostra frutta: vuole maggiori controlli e non permette l’ingresso dei prodotti made in Italy.

Mentre noi importiamo di tutto da lei. Alla vigilia dell’accordo sulla nuova Via della Seta non è un bel segnale.

Gabriele Salini

 

DIRITTO DI REPLICA

Eni ha appreso con stupore dal Fatto Quotidiano le dichiarazioni dell’avv. Piero Amara, i presupposti e contesto delle quali sono privi di qualsivoglia fondamento.

Ufficio Stampa Eni

Alleanze. Ecco perché il Pd veltroniano di Zingaretti va da Casarini a Macron

 

Ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Salvini: “L’Italia non deve cedere ai ricatti della nave dei centri sociali e di chi si rende complice dei trafficanti di esseri umani”. Luca Casarini, l’autonomo che tanto ha a cuore la vita degli immigrati, secondo il vicepremier aveva aperto un’osteria “Allo sbirro morto”… Nel Pd nuovo (?) di Zingaretti e di Zanda, posizione debole e… veltroniana: come si può stare con Luca Casarini anti-Salvini, ma anche con Macron e il premier, Philippe, che hanno tuonato parole durissime contro i “gilet gialli”: “Noi dobbiamo impedire che le piazze e le strade del Paese siano in balia dei rivoltosi, di cui l’unica legge è la violenza”?

Pietro Mancini

 

Gentile Mancini, la sua domanda è ampia e insidiosa e rimanda agli anni ulivisti, indi unionisti in cui il centrosinistra andava da Mastella fino a Bertinotti. Insomma un casino infinito che portò alla fusione fredda e perdente (questo è un dato oggettivo) del Pd veltroniano, che lei cita non a caso. Per tornare ai tempi attuali. Io lascerei stare la xenofobia del ministro dell’Interno, che usa scudi umani e “negri” in giro per il Mediterraneo per la sua campagna elettorale permanente. E nemmeno voglio eludere la domanda precisando che Casarini e Sinistra Italiana non dovrebbero entrare nel listone di Zingaretti. Il problema c’è e però come tante volte è accaduto nella storia della sinistra la tattica diventa sostanza. Al momento è infatti molto difficile immaginare un’alleanza di governo del Pd zingarettiano che vada da Casarini a Calenda, l’aspirante Macron italiano. Non solo per i numeri ma anche e soprattutto per una questione tattica. Appunto. In questa fase, infatti, il nuovo segretario dei democratici ha un unico interesse: mettere insieme quante più sigle possibili per superare il fatidico venti per cento e competere con il M5S, in vistoso calo secondo i sondaggi degli ultimi mesi. È una visione di cortissimo respiro, assemblata esclusivamente per le elezioni europee del 26 maggio. A Zingaretti questo 20 per cento eterogeneo interessa solo per aprire una eventuale fase di dialogo con i Cinquestelle, qualora si verificasse una crisi di governo dagli esiti incertissimi. Infine una precisazione. La Terza Repubblica è cominciata all’insegna dei partiti pigliatutto (la Lega) o post-ideologici (il M5S che pesca a destra, sinistra e centro). In un certo modo, Zingaretti ritorna sì all’antico, ma si adegua.

Fabrizio d’Esposito

Solo un black-out ci salverà dal “D’Urso horror show”

Non si sono ancora chiarite le cause dei black-out che sembrano essersi verificati a Cologno Monzese durante Non è la D’Urso-Live (Canale 5, mercoledì sera). Tuttavia dal Cern di Ginevra fanno sapere di avere prodotto l’algoritmo che stabilisce il rapporto tra l’età delle conduttrici televisive e i chilowatt necessari per illuminarle. Ogni anno in più, l’aumento è esponenziale. Cologno è attrezzata, la D’Urso va in onda ogni pomeriggio, ma dopo le 18 la luce naturale cala e bisogna rinforzare i gruppi elettrogeni. Comunque, tra i barbagli ungarettiani (“Illuminatemi d’immenso”), oltre a lei si sono potuti distinguere Al Bano con Loredana Lecciso e prole, Heather Parisi madre felice a 50 anni, il fratello rinnegato della principessa Meghan, Wanna Marchi con la figlia Stefania Nobile. In pratica, si è trasferito a Cologno l’ambulatorio ginecologico della Dottoressa Giò, ma anche il bisturi del chirurgo plastico (con ulteriori problemi di voltaggio): Barbara non si è lasciata sfuggire Christian Imparato, Taylor Mega, il ragazzo che ha fatto undici operazioni per somigliare a Michael Jackson… Tutto ciò assistito da paramedici-opinionisti del calibro di Alessandro Meluzzi, Ingrid Muccitelli, Giovanni Ciacci, Antonella Boralevi… Orgogliosa di darsi al trash, la dottoressa D’Urso ne è la massima luminare. Il trash e nient’altro. Se esistesse una Nazionale della spazzatura (prima o poi ci arriveremo), il posto di commissario tecnico è suo. Unico problema: attenzione ai black-out.

Clima, allarme inascoltato da quasi 100 anni

A una settimana dalle manifestazioni degli studenti per il clima, i grandi organi di informazione hanno già rimosso il tema.

Resta qualche schizzo della macchina del fango prontamente attivata contro Greta.

E si continua a guardare il dito anziché la luna.

Per il futuro della Terra “un piano B non esiste”; né esiste un pianeta di scorta.

Occorre agire subito, se non vogliamo affacciarci a un futuro che non vale la pena di essere vissuto. Sabato il richiamo sarà replicato da altri movimenti consapevoli.

L’allarme non è di oggi. Le prime notizie le abbiamo dagli anni Venti/Trenta del Novecento, dall’incontro, a Parigi, fra biologi e matematici: l’americano Alfred Lotka, l’italiano Vito Volterra, il sovietico Georgy Gause, il russo-francese Vladimir Kostitzin. Le loro ricerche descrivevano in maniera puntuale e incontrovertibile le leggi che regolano i rapporti delle diverse specie e popolazioni con il cibo e lo spazio disponibile. Le conclusioni? L’economia non può violare le leggi della termodinamica e i limiti del pianeta. In particolare Kostitzin evidenziò il fenomeno dell’aumento dell’anidride carbonica alla base dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici. Oggi, di quell’inascoltato avvertimento cominciamo a subire le prime conseguenze.

L’allerta più eclatante venne quarant’anni dopo con il rapporto del Massachusetts Institute of Technology – commissionato dal Club di Roma dell’illuminato tecnocrate Aurelio Peccei – “I limiti della crescita” (1972), tradotto in 27 lingue e diffuso in dodici milioni di copie: le politiche debbono tenere conto dei limiti fisici della Terra e delle sue risorse finite; essa, inoltre, non tollera più né l’esponenziale espansione demografica, né la progressiva intossicazione causata dai rifiuti.

Nello stesso anno la prima Conferenza mondiale sull’ambiente di Stoccolma, del 1972, produsse un Piano d’azione condiviso da 113 Paesi e composto da 109 dichiarazioni d’impegno per la salvezza del pianeta. Da allora non si può dire che non sappiamo.

Anche perché, in quel decennio, un fiorire di saggistica, in gran parte statunitense, segnalò i rischi di un modello di sviluppo che avrebbe condannato il Pianeta al collasso. Passeranno altri quarant’anni e il Summit della Terra del 1992 a Rio de Janeiro, sancirà l’urgenza di imboccare, a livello globale, la strada dello sviluppo sostenibile: “Un processo finalizzato alla tutela delle risorse naturali per soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, evitando di compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Altro passaggio fondamentale il protocollo di Kyoto contro i cambiamenti climatici, firmato nel 1997, cui seguiranno inconcludenti repliche sino a quella più recente di Parigi 2015, dagli esiti non migliori.

La battaglia sulle responsabilità delle attività umane sui cambiamenti climatici è durata decenni.

E ancora si registra qualche stolto negazionista; negli Usa la lobby del petrolio che fa riferimento all’attuale presidente e che in passato ha sostenuto George W. Bush. A stroncarli la ricerca di Michael E. Mann e il famoso grafico della mazza da hockey che dimostrò, in maniera inequivocabile, la brusca impennata delle temperature del pianeta a cominciare dal 1850: i mille anni precedenti sono il manico della mazza, l’ultimo secolo la parte finale che sale improvvisa.

Era il marzo del 1999: i risultati furono confermati dall’Ipcc, il panel internazionale sui cambiamenti climatici.

Ciò nonostante le soluzioni proposte attendono ancora applicazione.

Raggi bloccata, tra inchieste e malcontento

Per capire che cosa sta accadendo a Roma, dove il Movimento 5 Stelle sta rapidamente bruciando gran parte del suo consenso elettorale, è utile fare un tuffo nel passato e guardare a Milano. Nella metropoli lombarda, tra i residenti più anziani, esistono due opinioni diverse su Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri, i due sindaci socialisti che amministrarono la città a cavallo tra gli anni 80 e 90. Entrambi furono coinvolti nell’inchiesta Mani Pulite. Molti dei loro assessori e alcuni esponenti di spicco delle coalizioni che li sostenevano risultarono profondamente invischiati nel sistema delle tangenti. Ma se di Tognoli la maggioranza dei milanesi conserva tutto sommato un buon ricordo, non lo stesso si può dire di Pillitteri.

Il perché è chiaro. Durante gli anni di Tognoli, Milano appariva in costante progresso. I socialisti (e gli altri partiti) rubavano, ma venivano inaugurate opere pubbliche, c’erano decine e decine di iniziative culturali, l’economia girava a mille e anche chi denunciava gli scandali aveva la sensazione di vivere in una città orientata verso il futuro. Con Pillitteri invece tutto, o quasi, si fermò. Il nuovo Piccolo Teatro, allora simbolo della Milano che voleva competere con le capitali europee, ci mise anni e anni prima di essere terminato (a causa delle tangenti). E a rilento andavano i cantieri della metropolitana e del passante ferroviario, due arterie sotterranee destinate a cambiare in meglio la vita dei milanesi. Per questo, anche se di fatto le due giunte avevano commesso i medesimi reati, quando esplose Mani Pulite l’opinione dei cittadini sui due sindaci rimase profondamente diversa.

Guardiamo ora cosa sta accadendo a Roma. Dal punto di vista penale, la giunta di Virginia Raggi non può essere paragonata a quelle milanesi coinvolte nell’inchieste su Tangentopoli. Ha un solo assessore indagato (Daniele Frongia per il quale potrebbe presto essere chiesta l’archiviazione) e ha visto finire in manette il presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, e un importante consulente, l’avvocato Luca Lanzalone. Ma se il malaffare appare molto meno diffuso rispetto ad allora (e anche rispetto a quanto accadeva solo pochi anni fa proprio a Roma con Mafia Capitale) la sindaca Raggi suscita malcontenti sempre maggiori. Dopo tre anni di amministrazione, la città, secondo molti suoi abitanti, non è migliorata. Secondo altri è addirittura peggiorata. È certamente vero che chi aveva governato Roma prima di lei aveva lasciato solo macerie. Ma 36 mesi di amministrazione sono molti, anche perché a Palazzo Chigi, da un anno, c’è un esecutivo amico. Così, oggi, aver scoperto un presunto ladro tra gli eletti 5Stelle peggiora ulteriormente la situazione.

Gli attivisti del Movimento possono certamente sottolineare che, a differenza di quanto accade in altri partiti, Luigi Di Maio non ha semplicemente sospeso, ma immediatamente espulso De Vito, o che quest’ultimo rappresentava l’opposizione interna alla sindaca. Ma chi vive e vota a Roma giudica la giunta solo da quello che vede: i servizi pubblici, la pulizia e il manto delle strade, la manutenzione del verde. Se poi a tutto questo si aggiunge un’indagine che verosimilmente allungherà ulteriormente i tempi di costruzione dello stadio e del recupero dell’area dei mercati generali, ecco che la miscela della delusione diventa esplosiva. Il conto alla rovescia corre sempre più veloce. Per disinnescarlo la giunta Raggi ha una sola possibilità: migliorare finalmente la vita dei romani. Ma arrivati a questo punto è giusto chiedersi se sia davvero in grado di farlo. Chi scrive pensa di no.

Non sempre investire porta più lavoro

Il dibattito sulla politica economica oggi si fonda su una contraddizione: si afferma che si riducono gli investimenti per favorire spese sociali che non faranno crescere l’economia, o comunque la faranno crescere molto meno degli investimenti. Il che è sostanzialmente vero. Ma se ne trae una conseguenza che invece è falsissima e opportunistica: qualsiasi investimento va bene, e per la crescita del Pil è meglio di qualsiasi spesa sociale.

Se un investimento serve a poco, cioè se ha più costi che benefici, il suo principale impatto è l’occupazione che crea (tutti gli investimenti pubblici, quale più quale meno, creano occupazione). E gli occupati così creati stanno meglio, spendono soldi, e per questa via fanno anche crescere l’economia. Ma questo è identico a distribuire direttamente soldi per scopi sociali (per gli economisti: è come il celebre “far scavar buche e riempirle” di John Maynard Keynes).

Quindi, in prima ipotesi, bisogna puntare su investimenti con benefici molto maggiori dei costi. Un esempio concreto: quando il presidente Usa Barack Obama ha dovuto decidere come tirar fuori gli Stati Uniti dalla crisi del 2008, molti gli suggerirono un programma di linee ferroviarie di alta velocità, come esisteva in Europa. Lui guardò i conti e disse: “Le analisi costi-benefici non sono buone…”. Fece invece un grande programma di manutenzioni delle infrastrutture esistenti, e la strategia ebbe un grande successo.

Ma purtroppo superare l’analisi costi-benefici è un criterio necessario ma non sufficiente perché un progetto serva alla crescita di un paese. Infatti per crescere il Paese deve produrre di più e meglio, cioè deve creare più prodotti e servizi che si possono comprare e vendere. Il Pil (Prodotto interno lordo) ne è il misuratore, ed è un suo noto difetto limitarsi a questi aspetti del benessere di un Paese. Ma finora non se ne è trovato un altro migliore da sostituire questo (ci aveva provato la Francia, ma poi dei risultati non se ne è fatto nulla, a causa dei troppi elementi arbitrari che conteneva).

L’analisi costi-benefici considera tra i benefici molte cose che non hanno a che vedere con la crescita della produzione di beni e servizi: misura per esempio i benefici ambientali, i risparmi di tempo nei viaggi delle persone, la sicurezza stradale, e altre variabili di questo tipo. Alcune hanno degli impatti diretti sulla produzione. Si pensi per esempio che viaggi meno stancanti per lavoratori e dirigenti ne aumenta la produttività, ma in modo molto indiretto e difficile da misurare. Lo stesso vale per alcuni benefici ambientali, ma certamente non per gli effetti sul riscaldamento globale.

Che fare allora? Una prima cosa utile sarebbe privilegiare, tra gli investimenti che hanno un impatto certo e favorevole sulla crescita del Pil, quelli che creano, per ogni euro pubblico speso, maggiore occupazione (ci sono apposite tecniche per farlo, si chiamano “analisi di valore aggiunto”).

Certo, molti tipi di benefici sociali sarebbero trascurati, ma non quello forse più importante, la creazione di lavoro. Per tornare a esempi pratici, la logica delle Grandi Opere ne riceverebbe anche per questa via un colpo fatale: per euro speso, infatti, queste creano molto meno lavoro, diretto e indotto, che interventi di manutenzione, soprattutto nell’edilizia, che è notoriamente un settore ad alta intensità di lavoro.

Ma attenzione: poichè tutti gli investimenti pubblici creano lavoro, spesso queste valutazioni vengono usate per legittimare opere singole di scarsa utilità, con somma felicità dei gruppi di interesse che le promuovono (di nuovo, si vedano molte Grandi Opere). Quindi queste valutazioni possono essere fatte solo in modo comparativo, non in isolamento. Bisognerebbe addirittura iniziare da un confronto tra diversi settori produttivi, per incominciare a selezionare quelli che presentano maggiore impatto potenziale sia sulla crescita che sull’occupazione, sempre a parità di spesa.

E il settore dei trasporti, di cui chi scrive si occupa, non sembra godere di una posizione privilegiata: i costi diretti di trasporto per le imprese tendono a diminuire (è diverso portare carbone, grano, legname, dove i costi di trasporto incidono moltissimo, da capi di abbigliamento, macchine utensili sofisticate, computer). Anche la popolazione tende a diminuire, soprattutto nel Mezzogiorno, mentre molte infrastrutture di trasporto sono già oggi sottoutilizzate, se non quelle intorno ai grandi centri metropolitani. E, come abbiamo già visto, le nuove eventuali infrastrutture di trasporto generano poca occupazione.

Subito dopo l’occupazione, bisognerebbe guardare all’innovazione tecnologica e all’ambiente, e, di nuovo, non sembra certo il cemento la risposta per far crescere il Paese.

Libertà e Giustizia: “Danno le piazze a Fn ma non alla legalità”

“Oggi siamo in piazza a Siena con Libera, insieme a migliaia di persone e tanti giovani che chiedono una società fondata sulla giustizia, sabato saremo a Prato alla manifestazione antifascista, perché le piazze sono di chi rappresenta e condivide i valori della Costituzione, l’antifascismo e la legalità. Il Comune di Siena ha negato l’uso di piazza del Campo a Libera Toscana quale punto di arrivo del corteo, che si sarebbe concluso nel luogo simbolo della città con la lettura dei nomi di 1000 vittime innocenti della mafia. Ieri il Prefetto di Prato ha autorizzato la manifestazione di Forza Nuova il 23 marzo, giorno del centenario della costituzione dei Fasci di combattimento. Certo anniversari non sono neutrali. È inammissibile che chi rappresenta la democrazia sia messo ai margini. Noi parteciperemo alla manifestazione antifascista ed esortiamo ad esserci tutte le forze democratiche per sostenere con forza la mobilitazione antifascista, pacifica, popolare e antirazzista”.

Sulla revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini il consiglio comunale decide di non decidere

Benito Mussolini continua ad essere cittadino honoris causa di Finale Ligure, in provincia di Savona. Il consiglio comunale, infatti, ha deciso di non decidere: nonostante il consigliere Simona Simonetti avesse portato all’ordine del giorno la revoca della cittadinanza onoraria conferita al Duce 92 anni fa, il punto è stato poi rinviato ad una discussione in sede di commissione consiliare, che avrà anche il compito di chiarire una volta per tutte i criteri con cui le onorificenze possano essere concesse e revocate. Finale Ligure non segue, quindi, l’esempio di Lovere (Comune di Bergamo) e di Empoli, che nell’ultimo anno avevano revocato il titolo al defunto Mussolini.

Il motivo del provvedimento risiede nel fatto che è un gesto “non rivolto al passato, ma al presente e al futuro, perché questo nostro mondo non deve ripercorre le strade che hanno portato alle leggi razziali e allo sfascio di un Paese”, aveva spiegato il sindaco di Lovere.

Ma il suo omologo ligure non sembra essere dello stesso parere e sceglie la melina: il primo cittadino finalese Ugo Franceschelli sostiene infatti che “Ha senso revocare la dedicazione di una piazza a Mussolini, anche se morto, per quel che ha significato nella storia di questo Paese. Ma quella targa non dedica assolutamente nulla, semplicemente attesta quel che fu”. Alla redazione de Il Vostro Giornale, inoltre, ha dichiarato: “Quale necessità abbiamo di fare un falso storico? Forse che togliendo la menzione di Mussolini, si cancella la storia? È possibile ridare una verginità ai nostri predecessori che evidentemente la pensavano diversamente da come oggi, alla luce della esperienza storica vissuta dal Paese? Oppure c’è l’intenzione di accusare i nostri nonni, per evidenziare che noi saremmo migliori di loro e avremmo fatto diversamente?”. Per il momento, dunque, si opta per la procrastinazione.

La camorra ha ancora miliardi in lire da ripulire in euro. Finanza scopre il trucco: 4 arresti

C’è una intercettazione in cui uno degli indagati accenna a 20 miliardi delle vecchie lire su cui mettere le mani. Erano soldi del clan dei Casalesi, secondo gli inquirenti. Rimasti ‘impigliati’ nei cassetti di criminali o collusi che non avrebbero potuto giustificare i loro enormi gruzzoli davanti alle banche che avrebbero dovuto procedere alla conversione in euro. I finanzieri del Gruppo II di Napoli e del nucleo valutario di Roma hanno scoperto il meccanismo seguendo le tracce di un’altra indagine di criminalità organizzata. E alla fine sono riusciti a sequestrare 1 miliardo e 100 milioni delle vecchie lire in tagli da 500 e 100 mila lire. Quattro gli arrestati: Gaetano Mungiguerra, Antonio Schiavone, Fulvio Cianciaruso, Giovanni D’Elia. Misure cautelari chieste e ottenute dal procuratore capo di Napoli Nord Francesco Greco. Uno dei quattro, Mungiguerra, è ritenuto legato alla cosca. È un imprenditore edile originario di Casandrino e gli investigatori lo mettono al centro di indagini su un sistema che avrebbe consentito di ottenere, mediamente, il 35% del valore delle lire trasformato in euro, riconoscendo agli intermediari una commissione del 2%. Per attribuire alle operazioni una parvenza di legalità venivano anche predisposti documenti di vendita di valuta storica. In uno di questi casi, a seguito degli accordi, la conversione finale si sarebbe dovuta concludere in una banca svizzera.

I finanzieri hanno ricostruito diversi episodi dal 2014 al 2017. Gli indagati avrebbero provato ad approfittare, tramite documentazione fasulla, di una finestra temporale aperta dopo una sentenza della Consulta del 7 ottobre 2015. La pronuncia dichiarò incostituzionale il decreto legge del governo Monti che anticipò la scadenza per la riconversione delle lire in euro dal 28 febbraio 2012 al novembre 2011. Quindi chi, a partire dal 22 gennaio 2016, riusciva a documentare di aver richiesto di convertire le lire tra il 6 dicembre 2011 e il 28 febbraio 2012, maturava il diritto al cambio in euro. In quei mesi, la Banca d’Italia ha ricevuto 254 domande, per 5.099.693.710 lire convertiti 2.633.772 euro.

Di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno. Il 2019 dell’Inail è di 369 giorni

Per il 2019 l’Inail ha realizzato un calendario ‘sui generis’ con quattro giorni in più rispetto a quelli dell’anno solare. Sfidando Papa Gregorio XIII, che introdusse nel 1582 il calendario gregoriano che ancora oggi vige in quasi tutti i paesi del mondo, la Direzione centrale pianificazione e comunicazione dell’Inail ha prodotto, per il 2019, un calendario con 369 giorni complessivi. Così, contraddicendo finanche le misurazioni dell’astronomo Niccolò Copernico, l’Inail, escluso febbraio con i ‘classici’ 28 giorni, ha stampato un calendario in cui tutti gli altri mesi dell’anno risultano a 31 giorni, ‘allungando la vita’ ai mesi di Aprile, Giugno, Settembre e Novembre. Un errore di conteggio grossolano preoccupante per un ente che ha tra le sue mission principali quella di calcolare le prestazioni economiche, sanitarie e integrative da erogare per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Sono circa 9 mila i calendari realizzati per i dipendenti costati oltre 3 mila euro.

Questa edizione singolare coincide con la I pubblicazione del concorso fotografico #siamoinail, rivolto ai dipendenti che hanno potuto inviare le proprie foto scattate sul luogo di lavoro, inserite nel calendario dopo una selezione. Uno sforzo di risorse umane ammirevole per consolidare il senso di appartenenza dei dipendenti. Risorse umane che però non sembrerebbero essere state utilizzate per l’aspetto principale di un calendario: stampare i giorni esatti. Nessun problema per l’Inail che, ammettendo l’errore, sottolinea che “i calendari non sono stati ristampati quindi non sono stati spesi ulteriori soldi pubblici”. “Per certi aspetti – evidenzia l’ufficio stampa – è una cosa simpatica, curiosa, unica. Dove lo trovate un calendario con il mese di Aprile a 31 giorni?”. Come dargli torto.