La sentenza e i tifosi

Accusati di essere troppo cattivi con Mimmo Lucano, dalle motivazioni della sua condanna a 13 anni e 2 mesi scopriamo di essere stati troppo buoni. Avevamo definito l’ex sindaco di Riace un gran pasticcione. Invece i giudici del Tribunale di Locri lo considerano un gran furbacchione, dotato di “furbizia travestita da falsa innocenza”. La sentenza ne ha per tutti: per chi, a destra, aveva scambiato la condanna di Lucano per quella del suo sistema di integrazione, che invece i giudici elogiano (“encomiabile progetto inclusivo dei migranti… invidiato e preso a esempio da tutto il mondo”); e per chi, a sinistra, non si limitava a criticare la pena eccessiva senza attenuanti, ma sproloquiava di complotti politici e persecuzioni giudiziarie senza aver letto una riga delle carte. Che invece ai giudici che le han lette e valutate fanno dire tutt’altro: il sindaco, “resosi conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti” per i progetti di accoglienza dei migranti, “piuttosto che restituire ciò che veniva versato” in sovrappiù, “aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti”. Sono, appunto, i reati per cui è stato processato e condannato in primo grado: peculato, truffa, falso, fatture fittizie, abuso e associazione a delinquere.

I fondi pubblici eccedenti (dello Stato e dell’Ue), dietro lo schermo di fatture fasulle e falsi giustificativi, venivano trasformati in “illeciti profitti” e investiti per finalità “private”: un viaggio in Argentina con la compagna e soprattutto “l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per turisti”. Con due obiettivi: “Strumentalizzare il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica” e del “sostegno elettorale” e assicurarsi “una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato… come dallo stesso rivelato nelle (intercettazioni) ambientali esaminate”. Segue la lista degli infiniti magheggi per camuffare le spese con fondi pubblici: un quadro desolante di mala amministrazione che nulla ha a che fare con l’accoglienza, anzi la sfrutta e la infanga. Ora le opposte tifoserie resteranno coi loro pregiudizi. Speriamo almeno di non sentir più ripetere che è tutto un complotto, che stata punita la solidarietà, che è giusto truccare appalti e agguantare milioni pubblici con false fatture “a fin di bene”. Altrimenti tagliamo la testa al toro e mandiamo B. al Quirinale.

Ancora grande è la confusione sotto il cielo della transizione

Un po’ di chiarezza al di là delle note fumose da parte di chi, ovvero le istituzioni, avrebbe il compito di fugare ogni ambiguità: questo meritano i cittadini che faticosamente cercano di orientarsi lungo il percorso, accidentato, verso una mobilità più sostenibile. Il recente pronunciamento del Cite (Comitato interministeriale per la transizione ecologica) a favore del blocco dei veicoli con motori termici a partire dal 2035 altro non è che il recepimento di un’indicazione dell’Ue, che dovrà tuttavia essere ratificata dal Parlamento italiano. Quel che stupisce, però, non è la presa di posizione, che sembra non tenere conto di diversi rischi – in primis, la perdita di posti di lavoro – ma la confusione che c’è dietro. L’annuncio dei nostri politici, infatti, è arrivato proprio mentre i ministri dei Trasporti Ue davano luce verde alla produzione e all’utilizzo dei carburanti sostenibili alternativi (su cui in parte puntano anche costruttori come Vw, Porsche e diversi marchi giapponesi), che alimentano proprio i suddetti motori termici. Ma non basta. All’apertura europea sugli “e-fuels” si affianca quella sull’idrogeno, che può essere usato non solo come fonte di energia per le auto elettriche a fuel cell, ma pure come propellente a zero emissioni di Co2 per i suddetti propulsori a bielle e pistoni. Come la mettiamo, quindi?

Senza contare che all’Italia mancano, ancora, sia un piano di investimenti che una strategia per la transizione. Forse, se si smettesse di pensare che esiste solamente una strada da seguire, si comincerebbe a vedere anche le altre.

Le eco-strategie di Toyota e Volkswagen

Forse si aspetta un nuovo Maradona, quella sregolatezza del genio che risolve problemi senza porseli. Nel frattempo, però, il mondo dell’auto gioca la partita della lotta alle emissioni in un campo circolare su cui nessuno ha disegnato le porte, e quindi nessuno sa come vincere.

Padrona e testimonial dell’ibrido che ha inventato nel 1997, Toyota ha imposto una tecnologia capace di portare in modo progressivo verso la riduzione dell’inquinamento. Ma se il progresso è quel gioco in avanti e corale che è la zona, poi c’è l’arbitro pubblico che forse non è neutro. Ed è lo stesso che, in Europa come negli States, promette enormi piani di incentivi per l’elettrico.

Ma ecco che la partita torna al giuoco, scritto con una vocale in più come piace a chi vive ancora tra Piola, Meazza e Mazzola. Con un evento online che ha colto tutti di sorpresa, il gruppo giapponese ha presentato una gamma di ben 30 diversi modelli di veicoli a batteria, 15 dei quali saranno subito disponibili. In ballo c’è un investimento di oltre 30 miliardi di euro che dovrebbe portare entro il 2030 a vendere globalmente 3,5 milioni di auto elettriche.

Toyota marca a uomo, nella zolla di centrocampo dove già staziona il gruppo Volkswagen e la sua strategia, tutta incentrata sulla conversione del sistema automobilistico in un mondo nuovo a batterie. Ma anche in Germania si gioca a calcio, ed è sempre stato piuttosto fisico. La svolta che sembrava epocale e irrevocabile, d’incanto non lo è più. Entro il 2030, si scopre da giorni, il gruppo di Wolfsburg punta anche su un nuovo filone di sviluppo che prevede nientemeno che il rilancio dei motori a combustione, dove però all’ormai politicamente scorretto gasolio viene sostituito un E-diesel sintetico ottenuto trattando oli vegetali. Così facendo, sostiene Volkswagen, si otterrebbe una riduzione dal 70 al 95% di anidride carbonica rispetto al gasolio di origine minerale. Le vetture E-diesel possono arrivare nel 2030 al 30% del mercato europeo, conquistando anche le fasce di vetture più popolari. Su altri campi, altre aziende in scontri meno di vertice. Maradona non c’è. Nessuno sa ancora la porta dov’è.

Immatricolazioni in picchiata: il 24% in meno del 2019

“Nel 2021 le immatricolazioni di auto toccheranno quota 1,46 milioni, con un calo del 23,8% sul 2019 e una modestissima crescita sul risultato, estremamente depresso, del 2020 (5,7%)”. È il quadro a tinte fosche delineato da Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi promotor (Csp). E per il 2022 si ipotizza un volume di immatricolazioni di appena 1,5 milioni di unità.

A gravare sul bilancio sono pandemia, debolezza del quadro economico, insufficiente sostegno alla domanda degli incentivi statali e crisi dei microchip. La previsione è che fra il 2020 e il 2022 verranno immatricolate 4.341.646 auto. “Per evitare un ulteriore invecchiamento del parco circolante sarebbe necessario immatricolarne 6 milioni”, spiega il Csp. Per invertire la tendenza, servirebbe “un piano triennale per l’acquisto di nuove auto euro 6d, con rottamazione di un’auto di oltre 10 anni d’età, e per l’acquisto, con o senza rottamazione, di auto elettriche o a basso impatto”.

“Come è stato già fatto in altri Paesi europei, governo e Parlamento dovrebbero varare incentivi agli acquisti di auto, elettriche e non” e “sostegni per lo sviluppo della rete di ricarica”, chiarisce Quagliano. Nonché “mettere immediatamente a fuoco le soluzioni per compensare l’impatto negativo della transizione all’elettrico sull’occupazione e in genere sulle attività produttive, indicando le soluzioni per fronteggiare il maggior fabbisogno di elettricità con fonti rinnovabili”. Pensieri condivisi da Michele Crisci, presidente dell’Unrae, Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri: “Non si può accompagnare in modo efficace e sostenibile la transizione verso la decarbonizzazione se non si interviene sostenendo la domanda con un piano strutturale. Purtroppo si deve constatare un certo disinteresse nelle istituzioni per il comparto automotive e il suo indotto, un settore che occupa 1,2 milioni di lavoratori e garantisce un gettito fiscale di 76 miliardi di euro l’anno”.

Guardando alle auto immatricolate nei primi 11 mesi del 2021, prosegue la contrazione di modelli benzina e diesel, che scendono rispettivamente al 29,9% e 22,7% di quota di mercato; in calo pure i volumi delle auto Gpl, 7,3%, mentre il metano copre il 2,2%. Le vetture ibride, market leader, toccano il 28,9%. Le plug-in, ovvero le ibride ricaricabili, sono al 4,6% e le elettriche a batteria al 4,4%. Tra gli utilizzatori si registra una flessione dei privati, con una quota del 62,8%. Le autoimmatricolazioni (cioè le km zero) cedono 1/4 dei volumi, al 9,7%. Calo a doppia cifra per il noleggio a lungo termine, all’17,5%, mentre quello a breve termine è al 4,5%.

“Amo le vecchie pellicole: in digitale la magia muore”

Un omaggio al cinema, un peana all’amore. Con ricadute politiche tanto coraggiose quanto problematiche. Negli anni della Rivoluzione culturale, la giovane orfana Liu Guinu ruba una pellicola: per vedere un secondo di quel cinegiornale l’evaso da un campo di lavoro Zhang Jiusheng è pronto a sacrificare tutto, anche la libertà. Nelle nostre sale con Fenix Entertainment e Europictures, è One Second, scritto – con Zou Jingzhi – e diretto da Zhang Yimou, uno dei più grandi registi cinesi, l’autore del capolavoro Lanterne rosse, di Ju Dou e Hero, tre volte candidato all’Oscar. Annunciato in concorso al Festival di Berlino 2019 e poi “misteriosamente” cancellato, One Second ha avuto più di un problema con la censura governativa, che ne ha anche inibito la partecipazione ai Golden Rooster nazionali. La Rivoluzione culturale di Mao, che tra il 1966 e il 1976 mandò intellettuali e classi medie nelle campagne per la rieducazione forzata, è stata riconosciuta dal Partito comunista come un disastro socioeconomico, ma rimane un tema ultra-sensibile: interpellato al riguardo Zhang Yimou ha preferito non rispondere, astenendosi altresì dal commentare le vicissitudini censoree. Va detto, dell’una e dell’altra questione One Second parla da sé.

Zhang Yimou, perché l’ha girato?

La pellicola esiste da un centinaio d’anni e ora è stata completamente sostituita dal digitale, ma molti dei ricordi della mia gioventù sono ancora freschi nella mia mente, così ho voluto girare questo film come una sorta di “lettera d’amore” alla pellicola.

È stato ispirato da Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore?

Ho amato quel film, e One Second è stato proprio ribattezzato dalla nostra stampa come “la versione cinese di Nuovo Cinema Paradiso”. Anche se la mia storia e quella del regista Tornatore sono diverse, credo che stiamo parlando della stessa cosa: la gioventù, i ricordi, l’amore per il cinema, il trascorrere del tempo.

Che cosa un singolo fotogramma può rappresentare nella vita di una persona, in particolare della sua?

Un fotogramma in un film è spesso chiamato fermo immagine, e la vita di una persona è spesso “congelata” in pochi momenti, sicché una lunga storia può essere racchiusa in un istante. Un fermo immagine è un momento della memoria. La memoria di nessuna persona è completa, non possiamo mai ricordare tutto, solo quei momenti che rappresentano simbolicamente il nostro percorso di vita, appunto, i nostri fotogrammi.

È preoccupato per il futuro del cinema? Le piattaforme streaming stanno distruggendo la sala?

Mi chiedo: quanto dureranno i cinema tradizionali nell’era di Internet? C’è qualcosa di così affascinante nel modo in cui gli esseri umani si riuniscono per guardare film insieme, quel magnetismo reciproco che creano è indescrivibile! In effetti, One Second è un omaggio a quel magnetismo, a quel fascino. Spero che questo modo di guardare condiviso continui per sempre, perché è questo che rende il cinema così speciale.

Perché ha deciso di abbandonare il wuxiapian (genere spettacolare “cappa & spada”) e i progetti ad alto budget per un film più personale e intimo quale One Second?

Covavo da molti anni il desiderio di realizzare questo film, lo preparavo nella mia mente, perché sapevo che un giorno l’avrei fatto. Anche se non è un film commerciale e forse non è così attuale, ne vale la pena. Credo che non sia solo personale, è probabilmente un ricordo che riguarda tutti. E sono estremamente felice che questo desiderio sia stato finalmente esaudito.

Che cosa condivide con Mr. Movie, il proiezionista del villaggio?

Ho visto molti di questi proiezionisti da bambino, erano per me misteriosi e irraggiungibili, avvolti in un’aura come maghi. Al giorno d’oggi, i computer e il digitale ci hanno privato di questa magia, le immagini vengono fuori al tocco di un dito, in modo così semplice da non sembrare così preziose. Vede, questa è la tecnologia! È difficile dire se sia stata una benedizione o una maledizione per il cinema. È un dubbio che rimane, così come restano la confusione e le preoccupazioni circa l’intelligenza artificiale nel futuro.

Qual è la sua relazione con il cinema italiano?

Alla scuola di cinema sono stato molto influenzato dal Neorealismo. Poi sono stato fortunato ad avere un rapporto privilegiato con la Mostra del Cinema di Venezia, dove molti dei miei film sono stati presentati in anteprima mondiale e hanno vinto premi. Spero davvero che il pubblico italiano apprezzi One Second.

Qual è la bellezza di questo secondo?

Penso che sia affascinante vedere migliaia di persone che cantano insieme al film per un secondo, qualcosa che Internet e i computer non possono darti, e questa è la bellezza del cinema e del film.

L’ultimo colpo di Stato in Africa

C’è stato un tempo in cui si è creduto che l’era dei colpi di Stato militari fosse finita, in Africa come altrove.

Purtroppo, la realtà, almeno nel continente africano, sembra essere diversa, visti i recenti colpi di Stato in successione, alcuni riusciti, mentre altri sono falliti.

I più recenti sono quelli del Mali, della Guinea e del Ciad, e attualmente un altro è in corso in Sudan. Ciò è tanto più preoccupante, in quanto questi eventi si stanno verificando nella zona della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), ossia in una delle Comunità regionali che ha messo in atto forti misure per consolidare la democrazia e il buon governo.

Questa apparente contraddizione a livello regionale tra quanto previsto dalle norme e la realtà sul campo è di fatto la migliore rappresentazione di una tensione all’interno dell’intera Unione Africana (Ua). A partire dagli anni Novanta del Novecento, con la fine della Guerra fredda e la nuova ondata democratica nel continente, si è cominciato a credere nella democrazia. L’allora Organizzazione dell’unità africana (Oua) ha iniziato a mettere in atto misure per incoraggiare i suoi Stati membri ad adottare il processo democratico per i cambiamenti politici. Così, mentre i colpi di Stato militari erano il modus operandi prima degli anni Novanta, durante il decennio successivo c’è stata una netta diminuzione della loro attuazione.

Durante questo periodo e fino a oggi, l’Oua prima e l’Ua poi, hanno istituito un quadro normativo volto a combattere i “cambiamenti di governo anticostituzionale” (Cga) in Africa. Tra le misure più emblematiche e di valore normativo, sono da menzionare la Convenzione di Lomé del 2000; l’Atto costitutivo dell’Unione Africana del 2000; e il Protocollo sugli emendamenti all’Atto costitutivo del 2003, così come laCarta africana per la democrazia, le elezioni e la governance del 2007. Ma anche prima del 2000, c’erano stati documenti importanti che incoraggiavano l’istituzione di procedure democratiche come mezzo per cementare la pace e la sicurezza, al fine di consentire lo sviluppo economico e sociale di cui l’Africa ha tanto bisogno. Oggi esiste un’ampia giurisprudenza in materia, con decisioni dell’Ua e del suo Consiglio di pace e sicurezza (Cps).

Tuttavia, nonostante tutto questo arsenale normativo e giuridico, a partire dall’anno 2000 assistiamo a una recrudescenza dei Cga. Perciò ci chiediamo: perché le disposizioni dell’Oua e dell’Ua non riescono a contenere e a scoraggiare i colpi di Stato e a far adottare il processo democratico come unico mezzo per il cambio del governo?

L’evoluzione politica del periodo post-indipendenza, in Africa è segnata dai colpi di Stato come strumento per accedere al potere, e quindi per cambiare governo. Dopo l’idillio della liberazione – in cui la maggior parte dei Paesi aveva conosciuto un sistema multipartitico che aveva permesso la realizzazione delle prime istituzioni attraverso competizione politica ed elezioni democratiche –, questo sistema multipartitico è scomparso alla stessa velocità con la quale era apparso, lasciando il posto alla soluzione del partito unico, confuso con lo Stato.

Sotto l’influenza del comunismo socialista, che aveva fornito la base ideologica per le lotte per l’indipendenza, questo modello di “Stato-partito” ha fagocitato tutto lo spazio politico e ha imposto un’unica ideologia. Opporvisi significava opporsi allo Stato, e soprattutto all’unità di quei Paesi i cui pezzi erano appena stati messi insieme, ricongiungendo popoli che, a volte, erano stati nemici giurati.

Il multipartitismo delle indipendenze, che riuniva opinioni politiche diverse attorno a una causa comune – mandare via il colonizzatore e riconquistare la libertà sovrana –, non tardò a ripiegare nelle sue trincee etniche. La gestione del potere divenne nepotista, perché era necessario fare affidamento sulla solidarietà etnico-tribale e regionalista per poter controllare tutto il resto. Se l’unità divenne l’ideologia dominante, fu perché le società politiche africane post-indipendenti erano ancora sull’orlo del collasso, in quanto la maggior parte dei Paesi era composta da più nazioni che avevano difficoltà a fondersi in un’unica identità nazionale.

In questo contesto, è ovvio che l’unico modo per cambiare governo dovesse essere anticostituzionale, perché la Costituzione stessa non prevedeva un cambiamento. Era ammesso e persino accettato che il presidente restasse in carica a vita. Ma siccome in molti casi questa presidenza a vita significava il dominio politico permanente di una parte della popolazione sulle altre – e quindi l’esclusione a vita dalla sfera del potere –, è naturale che gli altri gruppi cercassero con ogni mezzo di rovesciare questo “potere a vita”, al fine di assumere le stesse funzioni a proprio vantaggio. Va anche notato che, dagli anni delle indipendenze fino a oggi, ci sono stati più di 200 colpi di Stato (tra riusciti e falliti). Stef Vandeginste, professore di Diritto all’Università di Anversa, osserva che dal 1956 al 2001 ci sono stati 80 colpi di Stato riusciti, 108 falliti, con almeno 30 Paesi che hanno sperimentato un colpo di Stato riuscito. E Solomon Dersso, fondatore di Amani Africa Media and Research Services, segnala che tra il 1952 e il 2014 ci sono stati 91 colpi di Stato riusciti.

(…) Siamo dunque di fronte a una causa persa? Sebbene ci siano alcuni potentati in agguato, emergono segnali di speranza dai movimenti giovanili e della società civile che sono riusciti a spodestare coloro che avevano usato tutti i mezzi per restare aggrappati al potere. Pensiamo al Burkina Faso e alla Tunisia. Ci sono anche casi in cui il movimento della società civile ha resistito ed è riuscito a impedire la modifica costituzionale che permette altri mandati, come in Senegal. Oppure casi di Corti supreme che si sono opposte alla possibilità di ulteriori mandati, come recentemente è avvenuto in Malawi. E poi ci sono alcuni Paesi dove i presidenti sono riusciti a usurpare il potere, ma non sono mancate proteste popolari, che sono costate anche vite umane, come in Guinea e in Burundi.

Tutti questi esempi testimoniano la presenza di una coscienza civica impegnata attivamente per garantire il rispetto del limite dei mandati (dei governanti). Questo fa sperare che, un po’ alla volta, i leader capiranno che tale questione è la base della pace e della sicurezza per il proprio Paese e per tutta l’Africa, perché consolida e assicura il processo democratico.

Si può anche contare sull’influenza dei modelli. È un dato di fatto che i Paesi che rispettano il limite dei mandati sono piuttosto stabili e non conoscono nessun tentativo di Cga. La speranza è che anche altri Paesi li imitino. E più Paesi adotteranno e rispetteranno il limite dei mandati, più l’opzione per la non limitazione sarà accantonata. Questo potrebbe poi spingere l’Ua ad adottare il limite dei mandati formalmente e definitivamente per la pace e la sicurezza del continente, creando così le condizioni favorevoli al rafforzamento del processo democratico, allo sviluppo e al rispetto dei diritti umani.

Bande armate, elezioni verso il rinvio e un nuovo premier per Tripoli

Un membro dell’Alta commissione nazionale elettorale libica, Abu Bakr Marada, ha ammesso ieri che “è impossibile” tenere le elezioni parlamentari il 24 dicembre, come previsto. Sebbene la tensione tra il governo provvisorio e i gruppi armati che avevano circondato i palazzi delle istituzioni, pare scemata, e i miliziani abbiano preso le distanze dai punti nevralgici di Tripoli, appare chiaro che la data del 24 dicembre, come detto da diversi analisti, è una chimera. La protesta era nata dalla sostituzione del capo della zona militare di Tripoli Abdul Basit Marwan con Abdel Gader Mansur, legato alla milizia 444 di Mahmud Hamsa, che sarebbe vicino alla Turchia. La decisione del Consiglio presidenziale, seppur legittima, aveva suscitato la prova di forza dei gruppi armati fedeli al generale sostituito. E le milizie sono un punto fondamentale per il premier Dbeibah per mantenere l’ordine. Ci sono poi le questioni insolute sul piano politico. Non è piaciuta a molti questa data imposta dalla comunità internazionale senza che prima si sia elaborata una nuova Costituzione e regole certe. Ora la data per le Presidenziali e le Legislative potrebbe essere fissata tra fine gennaio e primi di febbraio, ma già si parla di un nuovo governo tecnico; come premier al posto di Dbeibah potrebbe esserci Bashaga, ex ministro dell’Interno con Serraj e anche lui candidato alle Presidenziali.

Migranti, se scampano alla Manica li attende la Guantanamo inglese

“Detenuti vulnerabili restano in condizioni di detenzione per ore, anche dopo che la vulnerabilità è stata identificata. Non abbiamo trovato prove che in questi casi ricevano immediato supporto specializzato. Una donna è stata trattenuta per quasi una giornata intera dopo aver rivelato di essere stata stuprata da un trafficante cinque giorni prima di lasciare la Francia. Viene descritta come ‘inconsolabile e con tendenze suicide’”. Il linguaggio dell’ultimo rapporto dell’Ispettorato di Polizia di Sua Maestà, con l’Independent Monitoring Board, sulle condizioni di tre centri di prima accoglienza in Kent è asettico. Il contenuto straziante. “Dopo essere stata rilasciata è stata sistemata in una residenza mista, con uomini e donne. E non è stata segnalata come vittima di traffico di esseri umani, né risulta che la segnalazione sia mai stata nemmeno discussa”. Il Kent è la quarta regione più ricca dell’intero Regno Unito. Ma sulle sue coste sbarcano, quando non vengono intercettati e respinti dalle corvette della Marina francese o britannica, i disperati del mondo.

Se sopravvivono alla traversata dalla Francia finiscono in quelli che in Italia chiamiamo centri di prima accoglienza e in questa Gran Bretagna apertamente ostile all’immigrazione povera si chiamano invece detention facilities, luoghi di detenzione. Come Tug Haven, la Kent Intake Unit e Frontier House. L’ispettorato di polizia e l’IMB li hanno visitati fra ottobre e novembre. Ne è emerso un rapporto dettagliato di 40 pagine. “Un’altra detenuta ha raccontato di essere stata violentata due volte durante il viaggio verso il Regno Unito. Gli appunti dicono: ‘Alla domanda se volesse denunciare ha risposto di no’. La conclusione è stata che non volesse denunciare e non c’è stata nessuna segnalazione ufficiale”. Ma il documento spiega anche come si svolgono queste ammissioni: spesso sono colloqui rapidi di 15 minuti, con persone appena arrivate, traumatizzate dal viaggio e dall’arresto, che non hanno avuto il tempo di riposare, scaldarsi, rifocillarsi. A Tug Haven, descritto in documenti ufficiali dell’Home Office come “una tenda in un parcheggio”, sono costretti a dormire su materassini da yoga, senza riscaldamento anche con temperature sotto zero, donne e bambini insieme a uomini, senza garanzie di protezione e monitoraggio, ma con le luci sempre accese. Qui è arrivata una ragazza di 16 anni che durante la traversata era stata ustionata dalla benzina del motore del gommone su cui ha attraversato la Manica. È rimasta con i vestiti bagnati addosso per due giorni, senza cure finché “la cucitura dei jeans è diventata tutt’uno con le ustioni”. A Kent Intake Unit e Frontier House, negli ultimi tre mesi, fino a 700 minori non accompagnati sono stati trattenuti per oltre 24 ore, in un caso per 90 ore prima di essere trasferiti altrove. Il personale è stato sorpreso a urlare addosso ai rifugiati perché chiedevano di andare in bagno. Già nel settembre 2020 l’Ispettorato di Polizia aveva chiesto al governo di migliorare le pessime condizioni dei centri.

Il capo degli Ispettori, Charlie Taylor, lo ha chiarito: l’Home Office non ha fatto quello che aveva promesso. “Non è chiaro il perché dei ritardi, dopo le rassicurazioni seguite all’ultima ispezione. Ci hanno spiegato di aver avuto difficoltà a coordinare i diversi settori che devono collaborare, ma non è una spiegazione sufficiente”. Per Bridget Chapman, del Kent Refugee Action Network, charity che supporta i rifugiati, “l’apatia del governo verso le condizioni in cui versano i richiedenti asilo comincia a somigliare a ‘crudeltà deliberata”. Sembra confermarlo il clima di crescente ostilità politica. Il governo britannico intende procedere con la riforma in senso restrittivo dello Human Rights Act. La bozza di riforma della legge allarma le associazioni per la difesa dei diritti umani. Secondo l’avvocato Adam Wagner, “questo governo potrebbe essere il primo nella storia delle democrazie liberali a promulgare una legge che ha l’effetto di ridurre invece che di ampliare le salvaguardie legali”. E martedì l’Independent Monitoring Authority, che protegge i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito, ha annunciato di aver fatto causa all’Home Office. In base agli accordi fra Londra e Bruxelles post Brexit, i cittadini europei in grado di dimostrare di aver risieduto legalmente in territorio britannico per 5 anni hanno ottenuto un certificato di residenza permanente (settled status); chi è arrivato da meno tempo è rimasto grazie al pre-settled status. Ma una nuova disposizione del ministro degli Interni, Priti Patel, stabilisce che chi ha ottenuto il pre-settled status, 2,3 milioni persone, dovrà rifare la domanda per la residenza permanente, pena la deportazione.

Francia, scoperti guasti nei reattori nucleari. Fermate 2 centrali: nuovi rincari dell’energia

Mentre in Italia il ministro Cingolani e pezzi del governo spingono per il ritorno al nucleare, la Francia ferma due centrali per motivi di sicurezza. Un controllo di routine, programmato nell’ambito dell’ispezione decennale di manutenzione preventiva, ha portato il gigante dell’elettricità transalpina Edf a scoprire guasti nel reattore 1 della centrale nucleare di Civaux, comune nel dipartimento della Vienne, in Nuova Aquitania, Francia occidentale. Per precauzione la società e l’autorità francese per la sicurezza nucleare, Asn, hanno disposto controlli in un altro reattore dello stesso impianto, dove sono stati scoperti difetti analoghi. I due reattori e altri due uguali della centrale di Chooz (nel dipartimento delle Ardenne) sono stati fermati e resteranno bloccati per mesi. La riduzione della produzione di elettricità, proprio mentre i prezzi sono ai massimi storici, ha fatto impennare i prezzi dell’energia in Europa e crollare del 15,46% l’azione Edf alla Borsa di Parigi.

I controlli hanno scoperto la corrosione nelle saldature delle tubazioni del sistema di sicurezza sul circuito primario del reattore 1 di Civaux. I controlli decisi da Asn e Edf sulla stessa attrezzatura del reattore 2 che hanno rivelato problemi analoghi. Ieri è stato decisa la sostituzione delle parti deteriorate e la chiusura prolungata dei due reattori. Gli altri due reattori di Chooz, che usano la stessa tecnologia e formano la serie N4 del parco nucleare francese, saranno spenti la prossima settimana “in via precauzionale”, spiega Edf, “per effettuare gli stessi controlli, possibili solo quando i reattori sono offline”. La produzione elettronucleare francese calerà così di quasi il 10%.

A causa di questo doppio stop, Edf ha dovuto rivedere la stima del suo margine operativo lordo per il 2021 tra 17,5 e 18 miliardi dai precedenti 17,7. Mentre in Europa l’elettricità segna prezzi record, il taglio dell’offerta ha fatto impennare ulteriormente il mercato perché la Francia è un importante esportatore di elettricità. Secondo gli analisti gli effetti delle chiusure, che dureranno diversi mesi, si ripercuoteranno in Italia, Germania, Spagna e Gran Bretagna. Dopo l’annuncio, ieri il prezzo dell’elettricità tedesca per il 2022 è cresciuto di oltre il 10% a 227 euro per megawattora. Per la Francia, invece, il prezzo medio a una settimana è rincarato del 20% a 485 euro per MWh e quello per le consegne di gennaio è cresciuto del 36%.

Ucciso da una valanga Jacopo Compagnoni

Ieri intorno a mezzogiorno una valanga a 2.850 metri di quota, in corrispondenza del canale Nord del Monte Sobretta in Valtellina, ha travolto due uomini uccidendo uno, Jacopo Compagnoni, fratello minore della campionessa Deborah. I due amici stavano scendendo con gli sci d’alpinismo, quando la slavina li ha colpiti lasciandone illeso soltanto uno. Ed è stato proprio quest’ultimo, amico di Compagnoni, a effettuare i primi soccorsi in attesa dell’arrivo dell’elicottero, giunto tempestivamente sul luogo della tragedia. Lo staff di Deborah Compagnoni ha fatto sapere che la sciatrice “sta malissimo, come si può immaginare, per suo fratello. E sta malissimo anche perché Jacopo era padre di due bambine piccole, le sue nipotine”.