Cambia esame patente: da lunedì diventa mini

Più rapidoe, forse, più semplice: così, da lunedì, diventerà il nuovo esame della patente con il numero dei quiz della prova di teoria che passano da 40 a 30, così come diminuisce il tempo a disposizione: da 30 a 20 minuti. Meno domande e meno errori consentiti: non più 4 ma al massimo 3. Le novità riguardano tutte le patenti A e B (quindi su motocicli, moto e auto conseguibili dai 16 anni in su). Non cambiano le modalità di esecuzione della prova: sarà informatizzata. Nel 2020, 424.752 cittadini hanno superato la prova di guida e ottenuto la patente B, pari all’87,8% di tutte le persone che hanno sostenuto i quiz. Ma se si prende solo il risultato dei quiz il dato degli idonei si ferma al 70,2%.

Ruby bis, Fede torna libero: età avanzata e malato

Emilio Fede è tornato in libertà su concessione del Tribunale di sorveglianza di Milano. Per l’ex direttore del Tg4, condannato in via definitiva nell’aprile del 2019 a 4 anni e 7 mesi per il caso Ruby bis e nel marzo 2021 a 2 anni per una tentata estorsione per un fotoricatto, il Tribunale ha previsto “il differimento della esecuzione della pena per la durata di un anno” a causa delle sue condizioni di salute “precarie” e in “progressivo peggioramento” oltre che per “l’età avanzata”, avendo già compiuto 90 anni. Mercoledì sera Fede, tramite il suo legale Salvatore Pino, aveva annunciato a Non è l’Arena di Massimo Giletti di essere tornato “libero”. Dopo la condanna Fede era stato prima in detenzione domiciliare e poi in affidamento in prova. Considerando le sue condizioni di salute, scrivono i giudici, si è “fortemente affievolita la funzione rieducativa della pena” e non si “ravvisano profili di attuale pericolosità sociale”. In teoria, con un cumulo di pene di 6 anni e 7 mesi, l’ex direttore del Tg4 avrebbe finito di scontare le condanne a novembre 2025.

MailBox

 

Lo “stato di impunità” resta sempre in vigore

Ho trascorso molto tempo da giovane ad ascoltare gli anziani della sezione combattenti, quelli rientrati a piedi dalla campagna in Unione Sovietica ecc. Nei loro racconti c’era una costante: il trattamento per direttissima, con fucilazione immediata degli sciacalli che approfittavano in qualunque modo delle disgrazie altrui. Oggi, invece, tutto viene presentato dai giornali e dalle tv con estrema leggerezza. Parlo delle truffe sui Green pass falsi, parlo di coloro che entrano nei pronto soccorso e aggrediscono a mazzate infermieri e medici, distruggendo beni pubblici nella certezza della impunità. Parlo di virologi e medici minacciati e aggrediti con l’intera famiglia. Sento l’assoluta assenza dello Stato. Basta che a un deficiente qualsiasi, o a un no-vax di quelli convinti che nel vaccino mettano i microchip, venga in mente di aggredire fisicamente le sedi sindacali oppure medici e infermieri, e chiunque può agire indisturbato, senza nessuna preoccupazione. Io mi chiedo perché non vengano processati per direttissima, ma godano anzi di tutti i benefici. Insomma, questo stato di emergenza è solo un fatto di chiacchiere burocratiche? Mi chiedo anche perché i 5Stelle, i vecchi e i nuovi, non parlino mai della sicurezza dei cittadini.

Biagio Stante

Caro Biagio, lo stato di emergenza non c’entra nulla con lo stato d’assedio. Chiunque commetta violenze o altri reati viene regolarmente denunciato e processato in base alle norme ordinarie del Codice penale.

M. Trav.

 

In tivù 2 pesi e2 misure per Conte e per Draghi

Memore del trattamento che veniva riservato dai giornaloni e da tutti i tg e talk all’ex premier Conte per ogni sua piccola iniziativa, oggi guardo ridendo tutti i suoi critici accodati e complici dell’attuale premier, senza a torto o a ragione esporre il minimo trattamento di critica. Sempre più spesso, spengo la tv.

Fabio De Bartoli

 

L’emergenza può durare al massimo per 24 mesi

Lo Stato come può pretendere che i cittadini rispettino le leggi quando è il primo a non farlo? Lo stato di emergenza, ai sensi del codice di Protezione civile (d.lgs. 1/18) può durare al massimo 24 mesi. Prorogarlo fino al marzo 2022, come ha fatto l’ultimo decreto legge, significa oltrepassare il termine di ben due mesi. Il governo ricorrerà a una toppa, magari all’ennesimo decreto per modificare o derogare il codice di Protezione civile, ma fino ad allora la proroga oltre i 24 mesi è illegale.

Ettore Scamorzino

 

Importa sul serio capire chi salirà al Quirinale?

Con l’avvicinarsi della scadenza del mandato presidenziale di Mattarella, si moltiplicano le opinioni sulla figura che dovrebbe ricoprire la carica di presidente della Repubblica. Come al solito, mi pare che ognuno si aspetti da questa elezione più di quanto possa dare: c’è chi vorrebbe il presidente operaio, chi il presidente patriota e chi, dopo il parente di una vittima di mafia, gradirebbe che l’alternanza e la democrazia si eserciti incaricando stavolta uno che la mafia la pagava, e la chiamava al posto delle forze dell’ordine quando veniva minacciato (parole del “patriota” Dell’Utri). Io vorrei invece porre una domanda diversa: senza considerare certi soggetti, che con la loro elezione screditeranno l’Italia di fronte al mondo intero facendoci vergognare come mai prima, cosa potrà mai cambiare con l’elezione di questo o di quel personaggio? O forse, come avviene sempre ogni sette anni, ci stiamo semplicemente attaccando alla vana illusione di un cambiamento che nessun nuovo presidente della Repubblica, nel suo ruolo di garante e non di leader, può portare?

Giovanni Contreras

 

Cari 5Stelle, la delusione ormai è davvero troppa

Onorevoli deputati, egregi senatori del Movimento 5 Stelle, sono una dei milioni di elettori che, nell’ormai lontano 2013, hanno creduto in voi. Vi abbiamo sostenuto e votato affinché, finalmente, poteste dare voce a me e ai milioni che non avevano voce. Avete raccolto e incanalato la nostra rabbia, il nostro bisogno di sentirci rappresentati: la voglia, finalmente, di essere considerati davvero “cittadini” e non servi della gleba in balia dei signorotti di turno.

Che fine hanno fatto le vostre battaglie, che erano anche le nostre? Dove è finito il rigore morale, la lotta per l’onestà, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’applicazione della Costituzione per il lavoro garantito e sicuro, il salario minimo, i diritti dei lavoratori? Tenetevi stretta la vostra poltrona per il tempo che vi è rimasto. Per quanto riguarda me e le centinaia di migliaia di elettori delusi, addolorati, schifati come me, non avrete un’altra opportunità.

Francesca Cardoni

Terza dose “Io, disabile, non riesco a vaccinarmi per gli errori lombardi”

Cara redazione, vi scrivo nella speranza che possiate aiutarmi a far luce sul mio caso e a permettermi di fare la terza dose.

Sono un padre di famiglia, disabile al 100 per cento e ho necessità sia di continuare a lavorare sia di vedere tutelata la mia salute.

Da diverse settimane sto tentando di procedere alla prenotazione della terza dose, ma la Regione Lombardia non mi dà la possibilità di farla. Ho tentato prima di prenotare online e successivamente al telefono, ma la risposta degli operatori è stata sempre ondivaga e procrastinante. Quando è stata aperta la campagna di adesione alla terza dose, solo per le categorie protette, mi è stato detto che non ero tra quelle, nonostante la mia disabilità grave; ma poi, quando la campagna è stata – teoricamente – aperta a tutti, Regione Lombardia è riuscita a dare il “meglio” di sé. Prima mi è stato comunicato che la mia mancata prenotazione dipendeva da un errore informatico banale, che si sarebbe risolto nell’arco di 48 ore; chiamandoli successivamente, però, mi hanno comunicato che il problema era “generale” e quindi risolvibile in qualche giorno anziché poche ore. Ma a distanza di diversi giorni, il bug persiste e io continuo a non poter prenotare la terza dose.

Il problema è grave, ed è doppio, in quanto io ho ricevuto l’ultima dose il 1° aprile, quindi dal 1° gennaio non potrò più lavorare né portare mio figlio a scuola (non ho la macchina, sto andando con i mezzi), alla sua sala-giochi preferita o fuori per vedere insieme un film al cinema o mangiare qualcosa. Oltretutto mi ritrovo già oggi scoperto dal vaccino in quanto ho superato i sei mesi dalla seconda dosa raccomandati dalla stessa Oms.

Vi supplico di aiutarmi a far luce sul mio caso, anche perché più passa il tempo più si riducono le mie possibilità di fare tutto in tempo per la scadenza del mio Green pass il 1° gennaio.

Marcello Gentile

Zerocalcare, dicci dove sono i bordi!

Al terzo messaggio che mi chiedeva se avevo visto Strappare lungo i bordi di Zerocalcare (Netflix), ho seguito il consiglio con una certa curiosità (in questi tempi di Green pass il passaparola è cosa rara), curiosità alimentata dalla neghittosa suspense in cui è immerso il racconto.

Strappare lungo i bordi segna l’ingresso dell’autofiction nel magico mondo delle serie tv con i tempi e i modi a cui l’autore ci ha abituato, la graphic novel, quattro compagni di solitudine – Zero, Sarah, Secco e Alice –, strisce da 20 minuti (quando chiunque ti ammolla sbobbe tipo Via col vento rinforzato).

Genere ambiguo per eccellenza, l’autofiction dà l’ultimo assalto alla bastiglia del realismo; Zerocalcare, zero fronzoli, filo conduttore ridotto a un misterioso viaggio a Biella; lo stile chiotto e sociopatico che ha fatto di questo fumettista di genio un fenomeno generazionale, e non soltanto. Amori, amicizie, affari di famiglia, impieghi saltuari… braccato dalla precarietà, con il suo istintivo senso del vuoto, Zerocalcare riempie un vuoto più grande di lui. Siamo circondati da commissari pigliatutto, medici miracolo, professori coraggio, anche nelle distopie spunta sempre il super eroe; invece Zerocalcare è un perfetto super antieroe di questo triste tempo egoista, il suo unico superpotere sono le profezie dell’Armadillo, un Grillo parlante che ha tanta nostalgia di Pinocchio. Ma Biella? Fin da subito uno si chiede cosa Zero e compagni andranno a fare a Biella, che non è esattamente Lourdes, e nemmeno Disneyland. L’enigma si scioglie nell’ultima puntata, ma solo per entrare in un enigma più grande, “l’unico problema filosofico veramente serio” (insieme a quello posto di continuo da Secco: “Andiamo a pija’ un gelato?”). Strappare lungo i bordi si chiude sull’orlo del baratro, davanti al più intoccabile dei tabù, lo strano coraggio della poesia. Per strappare, si strappa eccome; ma dove cavolo sono questi bordi della vita? E come si fa a riconoscerli? Chissà chi lo sa. Passate parola.

Meditavo sul lago al gelo in galosce, ma con lo starnuto tutto torna terricolo

“Giocavano sull’aia bambini e genitori, Calasso li avvertiva dal Corriere della Sera, copritevi che fa freddo, mettetevi le galosce”, cantava Franco Battiato. Le galosce sono passate di moda, o almeno credo, il freddo no. Il consiglio quindi è tuttora valido e ne faccio tesoro coprendomi adeguatamente poiché non intendo rinunciare a un quarto d’ora di solitaria meditazione su una delle panchine del lungolago. La meditazione il più delle volte si risolve nell’ascoltare lo sciacquio dell’acqua con lo sguardo rivolto al cielo per cogliere la comparsa di una stella dopo l’altra. Tuttavia, come si usa dire, la sorpresa è sempre dietro l’angolo. Nel caso in oggetto prende la forma di un individuo che mi si siede accanto. Il primo pensiero è: perché con tutte le panchine libere che ci sono ha scelto proprio quella dove sto io? Segue la preoccupazione che voglia attaccar bottone, così da rovinarmi la parentesi di quiete cosmica. Col passare dei minuti mi convinco però che non ha intenzione alcuna di aprire bocca, ne avverto la presenza solo in virtù del regolare respiro, nuvolette di vapore che come le mie spariscono all’istante. Bon, mi dico, è lì anche lui per meditare o magari solo per bearsi della pressoché silenziosa bellezza che abbiamo intorno. Delle due ipotesi si rivela vera la prima. Perché, trascorsa una decina di minuti, si alza in piedi e sentenzia: “L’immaginaria linea dove il mare sembra congiungersi al cielo ci fa illudere di essere nell’eternità. Ma qui sul lago la montagna di fronte ci ricorda che siamo ancora nella vita terrena e l’eternità, sempre che esista, ce la dobbiamo guadagnare. Non dovremmo mai dimenticarlo”. Poi senza aggiungere altro, nemmeno salutare, si allontana con passo deciso e sparisce nel buio della sera ormai piena. Rifletto un momento su ciò che ho appena sentito e il segno che mi ricorda di essere ancora un essere terricolo è uno starnuto, primo di una serie che dura per un bel po’.

Milano in assemblea per decidere su stadio e San Siro

Fa gaffe anche sull’anarchico Pinelli, il sindaco Giuseppe Sala (“Pinelli è uno degli strascichi della strage”, ha detto maldestramente il 12 dicembre in piazza Fontana, prima di aggiungere pure che “lo sciopero è probabilmente sbagliato” ed essere sommerso dai fischi). Intanto continua a incassare colpi su San Siro. Si sono schierati contro l’abbattimento dello stadio Meazza anche Gianni Rivera e Sandro Mazzola. E Vasco Rossi ha celebrato sui social la “Scala del calcio” in cui ha tenuto concerti memorabili.

Stanno per partire un ricorso al Tar contro la delibera di giunta che regala la dichiarazione di “interesse pubblico” a un’operazione in cui si vede soltanto l’interesse privato di due società estere che vogliono fare un affare immobiliare; e un esposto alla Corte dei conti per danno erariale subìto dal Comune di Milano e provocato dalle scelte del sindaco. Stasera, poi, succederà una cosa che a Milano non si vedeva da tempo: ci sarà un’assemblea cittadina che darà il via alla campagna per il referendum contro l’abbattimento del Meazza.

In questo clima, Sala comincia a mostrare segni di nervosismo. Ubriacato dalla vittoria elettorale al primo turno (ma lo ha votato soltanto un quarto dei milanesi, con astensionismo record), ha sottovalutato il problema San Siro. Il Meazza è in buona salute: ha tutti i requisiti Uefa, è stato confermato idoneo per altri dieci anni, è candidato a ospitare la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi 2026. Potrebbe essere eventualmente arricchito (vedi progetto Aceti-Magistretti) costruendo al posto del terzo anello una galleria con 30 mila metri quadrati di spazi commerciali, ricreativi, ristoranti eccetera: gli stessi previsti nel progetto di nuovo stadio (che costerebbe più del doppio) e con lo stesso rendimento per gli investitori. Questo dimostra che al Meazza non si può applicare la legge sugli stadi, che scatta soltanto in caso di impianti irrecuperabili.

Se poi i club vogliono costruirsi uno stadio nuovo, lo facciano pure: ma non su terreni pubblici e a nostre spese. Quello che le attuali proprietà di Milan (il fondo americano Elliott) e Inter (i cinesi di Suning) vogliono è incassare al più presto i diritti volumetrici a costruire attorno allo stadio grattacieli, uffici, spazi commerciali e ricreativi, per risanare così i loro conti pesantemente in passivo e poi vendere le squadre. Il progetto dello stadio è solo un innesco, uno specchietto per le allodole, un imbroglio: serve alle due società straniere soltanto per ottenere – grazie alla complicità di Sala – quei diritti volumetrici. È un’operazione immobiliare e finanziaria, non sportiva. È di fatto un aiuto pubblico a due società private estere. E l’Unione europea non è contraria agli aiuti pubblici e ai salvataggi di Stato? È anche un danno erariale: dal Meazza, il Comune incassa 10 milioni l’anno d’affitto; dal nuovo stadio otterrebbe una rata annua di 2,7 milioni.

Ma poi: Milano ha davvero bisogno di un ennesimo distretto terziario e commerciale (da costruire attorno allo stadio per finanziare l’operazione), nell’era dell’e-commerce e dello smart working? La “transizione ecologica” di Sala si fa continuando il consumo di suolo e la cementificazione delle aree verdi? Si fa abbattendo un edificio che è patrimonio comunale (oltre che un simbolo della città), provocando per almeno due anni 230 mila viaggi di camion inquinanti (200 al giorno) e accumulando 180 mila metri cubi di macerie da smaltire chissà dove? Si fa riducendo il verde attuale dell’area (5,5 ettari) ai 2,6 ettari del nuovo progetto (il resto è verde di copertura di tetti, aiuole e terrazzi). Decidano i milanesi: il referendum è la strada giusta per scegliere il futuro del Meazza e dell’area di San Siro.

 

“Repubblica” celebra la “Crazy pizza” di Briatore in salsa kitsch

(Premessa: la parola “marchette” offende le oneste signore che fino al 1958 hanno operato nelle Case di tolleranza e di cui Dino Buzzati elogiò “il garbo, il magistero tecnico, la fantasia, l’intuito psicologico, perfino la delicatezza d’animo”. Chiameremo dunque la pratica a cui la metafora rimanda “pubblicità editoriale”).

Il giorno mercoledì 15 dicembre Repubblica dedica una pagina intera di pubblicità editoriale a Flavio Briatore, intervistato in quanto “businessman flamboyant” che “si è messo in testa di rilanciare Roma”. Ci si è gelato il sangue: che si sia deciso a entrare in politica? No, di più: l’imprenditore di Cuneo, si apprende, vuole aprire una pizzeria a Via Veneto. Ma “pizzeria” è riduttivo: “Non è una pizzeria. È un brand. Un brand per far tornare la Dolce Vita a Roma”. L’intervistatore è scettico (forse prova a dissociarsi come può da quel che gli tocca fare), ma la pagina gronda una salsa kitsch megalomane che vi invitiamo a condividere. Il pizzettaro di lusso si atteggia a pioniere (potremmo indicargli almeno sei pizzerie del centro dove una Margherita costa 15 euro): “Vede, la pizza è uno street product, di solito te la portano su tavoli spogli o non apparecchiati, te la buttano là con un servizio approssimativo, roba che non ti invoglia a rimanere nel locale”. Noi poveri romani, che fino a ieri mangiavamo la pizza direttamente dai cartoni sul marciapiede, o la prendevamo al volo tipo frisbee dalla strada per spendere meno, stiamo per fare un’esperienza inaudita: “Noi abbiamo pensato di fare una pizzeria chic, branché” (branchée, che vuol dire “alla moda”, ndr). “Serviamo ottime pizze, in un posto elegante, con un servizio impeccabile. La pizza è un prodotto importante, ma è presentato in modo cheap, noi gli abbiamo creato intorno un environment diverso”. Uno pensa: saranno gli effetti del Covid, che crea danni neurologici in chi lo ha avuto e fa parlare così (anche se secondo l’amica Santanché era una prostatite, e non c’entrava nulla che Briatore fosse tenutario di un locale-focolaio con 60 dipendenti contagiati, nella gaia estate Smeralda del 2020). Infatti prosegue: “Via Veneto è un brand dentro il brand” e questo “creerà business”. Invece il giorno dopo (ieri), Repubblica Roma ri-dedica a Crazy Pizza un’altra pubblicità editoriale, di due pagine, con quattro articoli pieni di parole come “mission”, “mood”, “location”, e allora si capisce che il long Covid qui non c’entra, e nemmeno l’esser diplomati geometri, qui c’è proprio tutta una diciamo cultura che sta avanzando grazie alla pizza chic, che Briatore, chissà perché, mangia al contrario, addentando la fetta dal cornicione, così che la mozzarella cola tutta nel piatto dalla punta afflosciata, una cosa che noi proletari ci vergogneremmo di fare davanti a testimoni, soprattutto perché massimamente idiota. Comunque, dopo aver saccheggiato i cadaveri di Fellini, Mastroianni, Morricone, il giornale perpetra il vilipendio del buon gusto, coi commercianti di zona importunati per dare il benvenuto a “mr. Billionaire”, e il loro presidente che sogna i “calchi delle mani dei grandi del cinema”. Ma non è solo pubblicità, c’è spazio anche per le notizie: “Per riportare la Dolce Vita in via Veneto a Flavio Briatore non basta la ricetta della pizza chic. Nell’impasto c’è anche un’altra idea che l’imprenditore affida a Repubblica dopo aver raccontato del suo nuovo brand, Crazy Pizza (repetita iuvant, ndr)”. “‘Sarebbe bello arrivare a una pedonalizzazione totale o parziale della strada’, spiega il manager”, che ha già intimato al sindaco Gualtieri di pulirgli il viale davanti al locale. Per noi andrebbe bene, a patto che si vietino anche le moto d’acqua davanti alle coste e gli yacht ormeggiati a Porto Cervo. Comunque, dopo questa scorpacciata, a noi più che la Dolce Vita viene in mente La vita agra di Luciano Bianciardi, in cui il protagonista progettava di far esplodere il Pirellone.

 

Un “presidente patriota” è per forza antifascista

Pochi giorni or sono, Giorgia Meloni ha auspicato che il prossimo Presidente della Repubblica sia un patriota. Mi permetto di invitare l’Onorevole a riflettere su poche semplici considerazioni.

1. Essere patrioti vuol dire amare la patria. Spiegare cosa si dovrebbe intendere per amore e per patria richiede un approfondimento che le poche righe di un articolo non consentono. Mi limito a osservare che l’amore di patria, nel suo più nobile significato, è, in primo luogo, l’amore della libertà di un popolo.

2. Amare la patria italiana, se le parole hanno ancora un senso, vuol dunque dire difendere la vita, la libertà e la dignità degli italiani. Sarebbe quantomeno bizzarro sostenere che amava gli italiani chi li ha massacrati, li ha gettati ingiustamente in carcere, li ha costretti all’esilio, li ha privati delle fondamentali libertà politiche e civili, li ha mandati a morire in vergognose guerre coloniali, ha chiuso in campi di concentramento gli italiani di religione ebraica, ha fatto combattere i militari italiani a fianco di un criminale come Hitler, ha scatenato la guerra civile.

3. I fascisti hanno fatto tutto questo. Sono cose note, ma repetita juvant, dicevano i pazienti professori. Prima che Mussolini fosse chiamato a formare un governo dallo spregevole monarca Vittorio Emanuele III, i fascisti avevano già distrutto sezioni e cooperative socialiste, comuniste e popolari, aggredito militanti dei partiti democratici e di sinistra. Giunti al potere, hanno praticato l’ignobile metodo dell’assassinio politico: don Giovanni Minzoni è stato massacrato il 23 agosto 1923 dagli squadristi di Italo Balbo; Giacomo Matteotti è stato ucciso il 10 giugno del 1924 per ordine di Mussolini; Piero Gobetti è morto a Parigi il 15 febbraio 1926 a causa delle ripetute aggressioni subite per mano fascista; Giovanni Amendola, anch’egli ripetutamente aggredito dai fascisti, è spirato il 7 aprile 1926; Antonio Gramsci è stato condannato a vent’anni di carcere ed è morto il 27 aprile 1937; Carlo e Nello Rosselli sono stati barbaramente trucidati da sicari della organizzazione filofascista Cagoule il 9 giugno 1937. L’elenco potrebbe continuare. Fra il 1925 e il 1926 il governo Mussolini ha emanato le cosiddette “leggi fascistissime” che hanno tolto agli italiani la libertà di parola e di stampa, la libertà di associarsi in partiti politici e in sindacati (a eccezione del partito e dei sindacati fascisti, naturalmente) e la libertà di sciopero. Ha istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato al fine di perseguire i reati di antifascismo. Fra il 1931 e il 1935 ha scatenato una brutale repressione in Cirenaica e la guerra di conquista in Etiopia. Nel settembre del 1938 ha emanato le famigerate leggi razziali volte a colpire gli ebrei. Il 10 giugno 1940 Mussolini ha dichiarato guerra all’Inghilterra e alla Francia (già sconfitta) e ha mandato gli italiani a morire in Africa, in Grecia, nei Balcani, in Russia. Nel settembre del 1943 ha fondato, per ordine di Hitler, la Repubblica sociale italiana. Una serie di atti d’amore davvero esemplari verso gli Italiani e l’Italia. “Ma il fascismo ha fatto anche cose buone” suona il penoso ritornello che da qualche settimana è tornato in voga. Le cosiddette “cose buone” del fascismo non erano tali per la semplice ragione che Mussolini le ha fatte non per il bene degli italiani, ma per rafforzare il consenso al regime: il consenso di uomini e donne ai quali lo stesso regime aveva tolto la libertà e quindi li aveva resi servi. Se avesse voluto davvero il bene degli italiani, il fascismo avrebbe dovuto restituire loro la libertà, il bene più prezioso, rispetto al quale bonifiche di paludi e sussidi di vario genere sono del tutto irrilevanti, nient’altro che ripugnanti contentini del padrone ai servi.

4. Poiché il fascismo ha fatto più male agli italiani di qualsiasi altro regime politico, come può chi ama l’Italia e gli italiani non detestare il fascismo? Come può, in altre parole, un patriota non essere un antifascista intransigente? Certo, al Quirinale deve andare un vero patriota. Anche perché sarebbe davvero roba da manicomio avere un presidente della Repubblica – che ha il dovere costituzionale di tutelare l’unità nazionale – che non ama la patria italiana. Sarebbe quasi come avere al Quirinale un pregiudicato come Berlusconi, amico di figuri condannati per corruzione e per mafia. Infine, il presidente della Repubblica è garante della Costituzione. La nostra Costituzione è antifascista dal primo articolo che proclama la sovranità popolare alla norma finale che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. Un presidente “patriota”, ma non antifascista, potrebbe essere soltanto un nazionalista, oppure un poveruomo, o una povera donna, capace solo di balbettare frasi vuote sulla patria e sull’amor di patria.

 

Ninfomani, maionese e J.K. Rowling: quanti argomenti “tossici”

E ora, per la serie “Indice alfabetico dei nomi contenuti nell’elenco telefonico”, la posta della settimana.

Caro Daniele, si può essere bugiardi in amore? (Eva Mangione, Roma). Quando mia zia disse a mio zio che era incinta, lui l’abbracciò talmente forte dalla felicità che le ruppe due costole. Ma mia zia non si lamentò, nonostante il dolore fosse fortissimo: erano in luna di miele, e non voleva rovinarla. Era una bugia, o era amore?

J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, ha donato milioni per la ricerca scientifica e per iniziative a sostegno di donne e bambini in difficoltà. Mi sembra una brava persona. Perché l’accusano di essere transfobica? (Lucia Tuminelli, Assisi). Perché lo è. Essere filantropi non impedisce di essere transfobici, e Rowling lo dimostra: bit.ly/3mg7D6J (nel primo tweet scrive pure “Conosco e amo le persone trans, ma”, l’attacco tipico dei razzisti a ogni latitudine). Per Rowling sesso e genere coincidono, come ritengono alcune femministe (Terf: femministe radicali trans-escludenti), ma ridurre l’identità di genere ai genitali delle persone è sbagliato, la questione è più complessa (cfr. Ncdc 12 novembre). Rowling definisce donna chi ha le mestruazioni (mentre esistono uomini trans e persone non binarie che le hanno); sostiene che le donne trans minaccino l’identità di genere delle donne biologiche; e insinua che una proposta di legge che riconosca la loro identità di genere potrebbe favorire i predatori sessuali travestiti da donne trans, un argomento già smentito dai fatti: bit.ly/3Cypls0. Affermare certe cazzate anacronistiche in un account da 14 milioni di follower dà loro un impatto devastante. Adesso ci sono esaltati che la minacciano di morte, e questo ovviamente va condannato, anche perché, come ogni atto terroristico, coarta la protesta legittima. Infatti Rowling ricorda di continuo le minacce di morte che riceve, come se queste le dessero ragione, mentre protestare contro le sue opinioni transfobiche è sacrosanto, poiché quelle opinioni alimentano la cultura che vede nelle persone trans delle mascherature ingannevoli, e pertanto nega la legittimità dei loro diritti: una cosa pericolosa per l’incolumità di una minoranza emarginata che è spesso vittima di violenza fino all’assassinio (le statistiche mostrano che le persone transgender e omosessuali subiscono più aggressioni di quelle eterosessuali: bit.ly/2ZEfzXd). Le opinioni transfobiche non sono semplici opinioni: sono opinioni razziste, e il razzismo non è pacifico; per questo la democrazia deve difendersi da quelle opinioni. Spiega IndieWire: “I media, perpetuando stereotipi, meme e cliché vecchi di decenni, rispecchiano e formano la nostra comprensione delle questioni trans; plasmano la narrativa sulle persone transgender; e influenzano tutto: appuntamenti galanti, violenza domestica, politica scolastica, legislazione nazionale”. La lotta per l’egemonia culturale non è una passeggiata, richiede costanza, tenacia e volume. Il tema è quello del discorso tossico. I reazionari hanno più soldi, più media e più potere; ma hanno torto.

Perché vaccinarsi? (Alberto Todisco, Alessandria). Dopo due anni di pandemia, dovrebbe essere chiaro che di Covid si può morire, e che il vaccino, se ti ammali, rende meno probabile la tua morte. Nessuno sostiene che col vaccino puoi fare come se la pandemia non ci fosse. Del resto, la gente non si vaccina contro il tifo per bere l’acqua delle fogne a Mumbay. Opporsi al vaccino in modo ideologico è come essere a favore della salmonella nella maionese perché scoraggerà le ninfomani dallo spalmarselo sulla figa e chiamare il cane. Non siate assurdi!