La guerra dichiarata dal governo gialloverde alla Banca d’Italia si conclude con un armistizio italian style. Per salvare il suo pupillo Luigi Signorini – provvisoriamente azzoppato da Luigi Di Maio sulla strada di un nuovo mandato nel direttorio di Bankitalia – il governatore Ignazio Visco ha sacrificato il direttore generale Salvatore Rossi, offrendo la sua testa come segnale di pace al vicepremier M5S. Di Maio è contento, il Quirinale ha benedetto lo scambio di doni. Rossi, dopo settimane di febbrili consultazioni ai massimi livelli, ha capito che erano tutti d’accordo per farlo fuori perché il suo sacrificio era la cosiddetta “quadra”.
Esaurita con esito negativo la ricerca di uno spiraglio, Rossi ha affidato a una primaria società di pubbliche relazioni l’annuncio della sua “indisponibilità” a un secondo mandato nel direttorio e come direttore generale. La forma scelta è quella della commossa lettera di saluto ai dipendenti di Palazzo Koch e dell’Ivass (la vigilanza sulle assicurazioni di cui il direttore generale della Banca d’Italia è presidente), peraltro con due mesi di anticipo sull’effettivo addio fissato per il 9 maggio.
Il commiato è gonfio di veleno. Nella lettera viene ignorata l’esistenza stessa di Visco e degli altri membri del direttorio (Fabio Panetta e Valeria Sannucci). Significativa è anche la scelta di una società esterna per l’annuncio, tagliando fuori la struttura di relazioni esterne di Bankitalia con la quale Rossi ha sempre avuto un rapporto notoriamente stretto. Sgarbo ripagato dai comunicatori di Visco: l’addio del direttore generale è stato ignorato dal sito ufficiale di Bankitalia, sul quale ieri sera la notizia principale era ancora la vibrante “Prefazione del Governatore al volume di Rainer Masera”.
L’aspetto più beffardo della vicenda è comunque l’uso da parte di Rossi della formula “indisponibilità a un secondo mandato”, esattamente quella che avrebbe dovuto sfoderare Visco nell’estate del 2017, quando il premier Paolo Gentiloni si era messo d’accordo con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere al governatore il fatidico passo indietro. In quell’occasione, secondo la ricostruzione di Gentiloni, Matteo Renzi fece l’errore di rendere pubblica la sua richiesta di cambio della guardia in via Nazionale, costringendo di fatto Quirinale e Palazzo Chigi a “difendere l’indipendenza” di Bankitalia e rinviare ad altra occasione l’appuntamento con il rinnovamento dell’istituto.
L’errore più tragico lo fece però proprio Rossi che – vedendo Visco in difficoltà a causa degli errori gravi, reiterati e ormai evidenti della vigilanza bancaria – propose baldanzosamente la sua candidatura per la successione. In quel momento i suoi rapporti con il governatore – inopinatamente confermato per un secondo mandato di sei anni – si sono irrimediabilmente incrinati.
Quando il Consiglio dei ministri, per iniziativa di Di Maio, ha bloccato la nomina di Signorini per un secondo mandato nel direttorio, è stato subito chiaro che il conflitto aperto, codici e pareri legali alla mano, era sconsigliabile. A quel punto Visco ha capito che poteva prendere due piccioni con una fava, presentando il conto al numero due e offrendo a Di Maio un cambio della guardia a livello della direzione generale, che sul mercato politico vale parecchi punti. In questo modo il governatore ha protetto dagli attacchi governativi il suo tallone d’Achille, il capo della vigilanza Carmelo Barbagallo, mai chiamato a spiegare i disastri combinati negli anni della crisi bancaria. E infatti è proprio la poltrona di Barbagallo che Rossi avrebbe voluto mettere in discussione, aumentando l’attrito con Visco. Adesso la strada della direzione generale è spianata per Fabio Panetta, mentre arriverà in direttorio il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, rendendo la sua poltrona disponibile per gli appetiti governativi.
Rossi lascia molti orfani non solo dentro la Banca d’Italia ma anche fuori. Il più inconsolabile, dicono a Palazzo Koch, è l’amministratore delegato della Popolare di Bari Vincenzo De Bustis.
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