“Su gay e aborto vi disturba ciò che dico, ma è la natura”

La dottoressa Silvana De Mari, 65 anni, è tante cose: ex chirurgo, psicologa, affermata autrice di Fantasy, relatrice del World Congress of Families di Verona, firma de La Verità. Ma, al momento, a causa delle sue posizioni, è la figura più odiata dal movimento Lgbt (e non solo): “Un picco di notorietà – dice – a cui avrei volentieri rinunciato”.

Lei denuncia “fiumi di odio e menzogne sul congresso di Verona” e in particolare su di lei. Davvero si stupisce che i temi proposti – e i toni – urtino molte sensibilità?

Mi impressiona il falso: a me sono attribuite frasi mai dette, la fake news che Lucy Akello sia favorevole a pena di morte o ergastolo per i gay, rimbalza dappertutto. Le nostre idee sono francamente banali: permettere alle donne di diventare madri quando lo vogliono con aiuti economici importanti e decenti; pretendere almeno un anno di astensione dal lavoro a stipendio pieno per la madre e vorremmo che fosse sempre detta la verità nel consenso informato per l’aborto volontario: lei potrebbe rimpiangerlo.

Lei è considerata la “dottoressa anti-gay”. Recentemente è stata condannata per diffamazione.

La denuncia presentata dal coordinamento Pride di Torino toccava diversi punti, e sono stata condannata solo per un’affermazione. Per tutte le altre sono stata assolta, e quindi abbiamo abbattuto l’ennesimo paletto che mina la libertà di tutti: grazie a me, e grazie ai miei straordinari avvocati, ora si può dire che l’uso ricreativo dell’ultima porzione del tubo digerente nuoce alla salute. Sono stata condannata per aver affermato che nella sua corsa al vietato vietare, il movimento Lgbt sta portando a una maggiore tolleranza per l’“amore senza limiti di età”.

Lei scrive: “Amo profondamente le persone che si dichiarano omosessuali, al punto tale da rischiare un linciaggio tutti giorni per affermare che il loro stile di vita è biologicamente perdente e assolutamente reversibile”. Insomma, la dovrebbero ringraziare?

Lo stanno già facendo. Molti mi chiedono le linee teoriche di quello che sto dicendo, consiglio libri, mi contattano per pareri medici, molti non sapevano i rischi che si corrono in un battuage e in una dark room. Mi dicono che di me si fidano, perché sono antipatica, ma dico la verità.

Non le è mai passato per la testa che esistano omosessuali felici e realizzati?

Penso che chi usa gli organi in senso antifisiologico stia esprimendo una ferita, e che quel comportamento ripari quella ferita. A voi cosa cambia se penso questa cosa?

Lei punta spesso il dito contro il sesso anale e ci ha detto il perché. Ma se una coppia gay (o etero) sceglie liberamente di praticarlo, perché mai dovrebbe fregarcene qualcosa?

Se sceglie liberamente, nulla da eccepire. Tra maschi, niente da dire: i maschi hanno il testosterone, hanno forza fisica e aggressività. Tra di loro è verosimile che la scelta sia libera. Le donne no. Molte donne, grazie a me, hanno preso il coraggio di dire no e di mandare al diavolo il partner.

Nessun imbarazzo a sedersi al tavolo di chi vorrebbe pena di morte per i gay?

Mi riempio di collera davanti alla signora Bonino che si copre la testa quando va a parlare con i vertici dell’Iran; la signora Mogherini che dialoga serenamente con Hamas senza chiedere conto dei ragazzi buttati giù dal quinto piano. Nessuno rimprovera questo crimine all’Arabia Saudita. A parte me, Oriana Fallaci e Magdi Cristiano Allam, non mi risulta che nessuno ne parli.

Lei scrive: “Una donna di 25 anni disoccupata ha la libertà di abortire ma non di diventare madre perché questa libertà non ha valore”. Scusi, ma chi lo nega? Chi non la considera un valore?

Lo Stato, per esempio, che dà gli asili nido e non un congedo di maternità di almeno un anno, e che non ha mai previsto un reddito di maternità.

I movimenti pro-vita promuovono il divieto assoluto al diritto alla genitorialità al di fuori della cosiddetta famiglia tradizionale.

Guardi, sta confondendo con l’Iran. I movimenti pro-vita si battono contro le gravidanze che cominciano fuori dall’utero e mettono insieme gameti di persone che non si conoscono tra di loro per progettare la nascita di bambini amputati di un genitore e di metà della loro ascendenza. La donazione di ovuli può scatenare la terrificante sindrome da iperstimolazione ovarica. Sempre più numerose si alzano le voci dolenti dei figli fabbricati con metà della loro genealogia cancellata. La gravidanza per altri è vietata da qualsiasi società civile.

Anche la tanto decantata famiglia tradizionale ha le sue disfunzionalità. O no?

Può essere disfunzionale, cattiva, mostruosa, ipocrita, brutta, ma dispone di un tizio e di una tizia dotati rispettivamente di spermatozoi e ovuli che tra loro concludono cose interessanti, senza provette, senza aghi, senza anestesie, senza sindrome da iperstimolazione ovarica, senza rischio di aborto e nascita prematura moltiplicati. E dato che la natura segue linee logiche, se ci vogliono ovulo e spermatozoo per fabbricare il pargolo, è perché il nuovo bambino ha bisogno di un padre e di una madre.

Non pensa che certe parole possano causare dolore a chi non ha ancora, per condizioni sociali e familiari, la libertà di esprimere la propria omosessualità? Non staremmo meglio senza insegnare agli altri a stare al mondo?

È una condizione drammatica e ingiusta che le persone non possano esprimere la condizione omosessuale che credono di avere, per questo ho sempre combattuto perché non possano esserci persecuzioni.

La rivoluzione di Zinga è Macron

Prosegue imperterrita l’opera di rinnovamento del Pd da parte del nuovo segretario, il compagno Nicola Zingaretti. Dopo aver espresso il suo rammarico – a distanza di quasi due anni e mezzo – per la sconfitta del “Sì” nel referendum costituzionale del 2016 (sconfitta senza la quale Renzi sarebbe ancora segretario e il nostro non si sarebbe potuto avvicinare al Nazareno nemmeno mascherato), Zingaretti ha compiuto un altro passo decisivo per rivendicare la netta discontinuità rispetto alla fallimentare stagione di chi l’ha preceduto: si è vantato dell’alleanza con il partito di Macron. L’ha fatto – come faceva l’ex segretario del Pd – su Twitter: “Molto contento dell’avvio dei rapporti con En Marche!. La battaglia per cambiare l’Europa è comune”. Ora sì che gli elettori delusi e scappati, soprattutto quelli di sinistra, potranno tornare a rivendicare il loro orgoglio democratico. Ora sì che prendono forma l’impegno per ridurre le diseguaglianze e la sfida per immaginare un’Europa meno austera ed egoista. Zinga riparte da Macron. E così ha vita facile anche Giorgia Meloni, che risponde al suo tweet trionfale: “Ma chi, quelli che respingono i migranti a Ventimiglia? Contento tu”.

Chiude la sede di Roma: “Il Giornale” oggi sciopera

Dal primo maggio il Giornale non avrà più una redazione romana. La decisione è arrivata ieri e ha provocato uno sciopero immediato: oggi il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti non sarà in edicola. La comunicazione ai 18 giornalisti e ai 3 poligrafici è essenziale quanto laconica. “Si comunica la chiusura della sede romana a fare data dal 30.04.2019. Pertanto, i giornalisti verranno trasferiti nella sede di Milano a partire dal 01.05.2019. Distinti saluti”. Conseguenza di una guerra in corso da mesi tra la redazione e la proprietà, divisa tra Paolo e Marina Berlusconi. In autunno era stato annunciato il taglio del 30% agli stipendi. La goccia potrebbe essere stato un duro comunicato di venerdì in cui il Cdr se la prendeva con l’ad di Mondadori, Ernesto Mauri, rinfacciandogli il lauto stipendio di 2 milioni l’anno più bonus (2,3 nel 2017). Il fatto è che Marina vuole vendere, Paolo non ha la forza di opporsi e Silvio ha lasciato fare. “La chiusura di Roma ha il sapore della rappresaglia: avete rotto troppo le scatole e vi puniamo. Ma l’obiettivo è sperare che alcuni se ne vadano: si fa il lavoro sporco per poi, magari, vendere (a Feltri?) più agevolmente”, sono le voci che corrono in una redazione sfiduciata. Oltre al danno, la beffa: due settimane fa si era fatto un sopralluogo, con tanto di architetti, in quella che doveva essere la nuova sede nella Capitale, in via Barberini, scelta per risparmiare. Ora non servirà più.

“Sono populista e amo il servizio pubblico: la tv non ci tratti da pecore”

Pubblichiamo un’anticipazione di Fata e strega. Conversazioni su televisione e società, il nuovo libro di Carlo Freccero (intervistato da Filippo Losito). Esce oggi, pubblicato dalla onlus di don Ciotti Gruppo Abele.

Torniamo al discorso sulla televisione pedagogica. Come mai l’Europa fa, con il servizio pubblico, una scelta così originale e diversa rispetto all’America?

Quando la televisione arriva in Europa se ne percepiscono rischi e benefici. Da un lato c’è già una letteratura apocalittica (vedi Adorno) che individua nella televisione un possibile mezzo di condizionamento, tanto nella politica, quanto nei consumi. Si sceglie così, sulla base del concetto di Stato sociale europeo, allora prevalente, di non farne un business privato, ma un servizio pubblico. (…) Pensiamo al fenomeno dell’analfabetismo nel dopoguerra. C’è uno storico programma che non saprei in che genere televisivo collocare, ma che è in qualche modo la metafora del colossale sforzo che la televisione fece per innalzare la cultura degli italiani: Non è mai troppo tardi, del maestro Alberto Manzi. Manzi è una sorta di precursore di don Milani e insieme di Che Guevara. Dopo l’esperienza italiana vagò per tutto il Sudamerica per combattere anche là l’analfabetismo. Era un visionario e un idealista. (…) La televisione di servizio pubblico realizzò quell’unione linguistica del Paese che non era stato possibile portare a termine data la radicata sopravvivenza dei dialetti. È un dato riconosciuto dai maggiori linguisti. (…)

Sembra che tu, che sei considerato un po’ l’artefice della televisione commerciale, sia in realtà un cultore del servizio pubblico…

Forse l’ho capito in ritardo, ma attribuisco un grande significato allo sforzo dello Stato sociale europeo nei confronti della scuola pubblica e del servizio pubblico. (…) Sento ripetere come un mantra che la democrazia americana è la migliore delle democrazie, ma non condivido questa idea. La democrazia americana si basa su una frattura tra élites e popolo. L’istruzione è a pagamento e mira alla conservazione delle élites di generazione in generazione. (…) Questo modello si è ormai diffuso anche presso noi europei. Non a caso Matteo Renzi voleva riformare una Costituzione che JP Morgan ha definito socialista, perché non favorisce le élites.

Pensi che ciò comporti dei rischi per il concetto di democrazia?

Viviamo oggi in quella che Colin Crouch definisce postdemocrazia e cioè una democrazia solo apparente, in cui il popolo non ha partecipazione attiva e viene consultato solo al momento del voto. E il voto non è più “meditato” ma estorto con manipolazione e raggiri. Mi sono avvicinato al populismo e cioè alla convinzione che non esiste democrazia senza partecipazione popolare, come reazione ai miei studi sulla manipolazione nella comunicazione. (…). Mettiamola così. L’Europa riteneva che senza capitale culturale condiviso non ci fosse spazio per la democrazia. L’America, al contrario, ha sempre ritenuto che fosse compito delle élites manipolare il popolo affinché non si intrometta, se non formalmente, nella gestione della cosa pubblica. (…) In questa corrente di idee si colloca anche Mario Monti quando afferma: “La democrazia è una forma di governo sbagliata perché è assurdo che siano le pecore a guidare il pastore”. Ecco, la televisione pedagogica relegava le pecore tra un intervallo e l’altro. Ricordo ancora quella musica rilassante su uno sfondo di pecore al pascolo. Però, quando ricominciava la trasmissione questa non si rivolgeva certo a delle pecore. E se ci avessero chiamato pecore allora ce la saremmo presa.

Sondaggi, il Pd vicino ai 5Stelle Ma senza prendere i loro voti

Il sorpasso c’è. O meglio, “non è irrealistico”, nella formula che i sondaggisti hanno imparato a usare perché, quando si parla di pochi decimali, è bene affidarsi a un condizionale in più. Sulla macrotendenza sono tutti d’accordo: il Pd ha ricucito il margine con il Movimento 5 Stelle, tanto che lunedì Swg, nel sondaggio per il Tg La7, per la prima volta da oltre un anno ha posizionato i dem (21,1 per cento) sopra i grillini (21).

Un dato in linea con Ipr Marketing di Antonio Noto: “Già una settimana fa avevamo segnalato un appaiamento. L’effetto primarie ha portato 2-3 punti al Pd”. Il sorpasso però è stato possibile – oltre che per il crollo 5 Stelle – perché i dem sono rimasti a lungo stabili sul 16-18 per cento: “Questo lo si deve allo zoccolo duro del Pd, un partito fortemente ideologico”.

Stessa lettura che dà Lorenzo Pregliasco (Youtrend): “Il Pd aveva toccato il suo minimo, non poteva andare sotto. Recuperando un po’, si arriva a questo possibile sorpasso”. Anche se non è detto che ci sia un travaso diretto di voti tra 5 Stelle e Pd, come sottolinea lo stesso Pregliasco: “I 5 Stelle stavano crollando già da prima, ha più senso pensare a uno scongelamento dell’astensione verso il Pd e, viceversa, un flusso dai 5 Stelle all’astensione”.

Il trend potrebbe però cambiare da qui alle Europee, almeno secondo Fabrizio Masia (Emg Acqua): “È ipotizzabile un riassorbimento di voti dal M5S al Pd, anche se a dire il vero noi al momento diamo ancora leggermente avanti i grillini. In ogni caso, anche se la tendenza è quella di un sorpasso, faccio fatica a pensare a un Movimento sotto al 20 per cento”.

La vera sorpresa, anche secondo Roberto Weber (istituto Ixè), sarebbe quella di “un Movimento al livello delle amministrative”, mentre è comunque difficile pensare in tempi rapidi a un’ascesa esponenziale dei dem: “La tendenza può essere quella di un aumento, ma non vedo elementi per una ripresa così facile e ampia”.

Si giocherà sul filo dei voti ancora per un po’, allora. Pietro Vento (Demopolis) dà ancora avanti il M5S (22,8 a 20,5) ma sposta l’orizzonte alle Europee: “Storicamente l’affluenza cala rispetto alle politiche e c’è una partecipazione maggiore nel centrosinistra. Questo significa che alle urne il Pd potrebbe essere favorito rispetto ai 5 Stelle: nel 2014 andò così, con quel clamoroso 40 per cento ai dem e un’affluenza al 58”.

Decretone, il governo pone la fiducia Pd e FI : “È un caos”

La votazione sulla fiducia che il governo ha posto sul decretone, che contiene le norme sul reddito di cittadinanza e quota 100, avrà inizio oggi alle 19.35. Ad annunciarlo il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, al termine di una corsa a ostacoli con il rinvio del testo in commissione Lavoro e la richiesta di correzioni sulle coperture da parte della Bilancio, mentre Forza Italia e Pd hanno abbandonato i lavori delle commissioni parlamentari riunite per discutere le nuove modifiche. “È una vergogna – hanno detto uscendo i dem. – Siamo al caos totale e non tornano neanche le coperture del provvedimento indicate dal governo”. Intanto è arrivato il parere della commissione Bilancio della Camera sul provvedimento chiarendo che per la pensione di cittadinanza si stima una quota di spesa sul totale del 5,7%, quindi appena 350 milioni circa su 6,1 milioni totali di spesa attesa per il 2019. Mentre per la Consulta dei Caf sono già 600mila le domande presentate per il reddito di cittadinanza che appaiono sottostimate rispetto alla platea individuata dal governo. Ma resta il mistero su quante saranno accolte.

Referendum: inaccettabile accusare

Abbiamo guardato con interesse al cambiamento di Zingaretti, soprattutto di fronte alla forte partecipazione alle primarie. Purtroppo domenica siamo rimasti delusi dalle parole di Zingaretti sul referendum costituzionale.

Non solo ha ignorato che se si è arrivati al referendum lo si deve a Renzi, che prima ha imposto la sua modifica della Costituzione e poi ha chiesto la firma ai suoi parlamentari cercando un plebiscito sulla sua persona, infine sconfitto dalla vittoria del No.

È inaccettabile l’affermazione che se l’Italia non funziona la colpa sarebbe dei No al referendum: questa affermazione ricorda quelli che quando hanno la febbre rompono l’incolpevole termometro. (…).

Ma soprattutto Zingaretti non ci spiega come gli può piacere il Paese che avrebbe voluto Renzi: in cui la sola Camera elettiva (essendo previsto un Senato composto solo da nominati) sarebbe stata consegnata ai voleri del capo di un solo partito attraverso una maggioranza parlamentare artificialmente costruita da un sistema elettorale come l’Italicum, cui la riforma costituzionale strettamente si legava.

Se è questa l’inclusione a cui pensa Zingaretti è destinata all’insuccesso perché a sinistra lo schieramento per il no è stato massiccio, più o meno i voti che ha preso il Pd il 4 marzo scorso. Inoltre l’intenzione manifestata di riaprire questo capitolo non aiuta a ricostruire uno schieramento ampio come sarebbe necessario per contrastare una destra sempre più agguerrita, che per di più in questa fase propone una autonomia differenziata che è nella sostanza la secessione delle regioni più ricche.

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, erede del Comitato per il No, non ha cambiato opinione ed è pronto a riprendere l’iniziativa anche se l’auspicio è che si tratti solo di una tattica, per quanto discutibile, ad uso interno al partito.

Clima, sabato è la volta dei comitati

Dopo i ragazzi di Greta è il momento degli ambientalisti storici e dei comitati locali che si danno appuntamento il 23 marzo a Roma per una manifestazione nazionale. “Marcia per il clima, contro le grandi opere inutili” è il motivo della protesta che vedrà impegnati NoTav, NoTap, NoTriv, comitati No Grandi Navi, comitati dell’Acqua bene comune e così via.

Il corteo nasce da molto prima che si scatenasse il “fenomeno Greta”, ma è chiaro che la visibilità delle decine di migliaia di ragazzi scesi in strada il 15 marzo offre un vantaggio inaspettato.

La strada di questa mobilitazione è iniziata a Venezia lo scorso settembre con il primo incontro nazionale, poi ci sono state assemblee in Val di Susa, a Vicenza, all’assemblea dei No Triv di Basilicata e Campania e altri appuntamenti compreso il Global Climate Strike del 15 marzo.

Nel comunicato di indizione della manifestazione i comitati definiscono il “governo del cambiamento” in continuità “con tutti i precedenti. Le decisioni degli ultimi mesi parlano chiaro”. Il governo, sostengono ancora, “ha fatto una imbarazzante retromarcia su tutte le altre grandi opere devastanti sul territorio nazionale: il Tav terzo Valico, il Tap e la rete Snam, le Grandi Navi a Venezia, il Mose, l’Ilva a Taranto, il Muos in Sicilia, la Pedemontana veneta”.

Il giorno precedente, venerdì 22 marzo, ci sarà invece il seguito della giornata di venerdi scorso. Gli organizzatori chiamano in piazza, nel pomeriggio, “dopo l’uscita dalla scuola” in diverse piazze per proseguire con le modalità già adottate da Greta Thunberg. Sul fronte del Friday for future si registra però una situazione imbarazzante denunciata dagli stessi organizzatori delle proteste. Un gruppo ristretto ha deciso, nella notte tra l’8 e il 9 marzo, di modificare le password delle pagine Facebook di Fridayforfuture, costituendo, allo stesso tempo, una Associazione di nuovo conio, Futuro Verde, con sede in Belgio, residenza degli unici tre soci che hanno dato vita all’iniziativa. Si tratta di Amy Scivola, “fondatore e presidente”, di Alessandra Girardi “fondatore e segreteria” e Luca Polidori, fondatore e tesoriere. La riunione di fondazione si è tenuta a Woluwe-Saint-Lambert, Avenue Georges Henri 354 (Belgio) il 31 gennaio 2019. La forma segreta appare evidente, anche per questo gli attivisti di Fridays For Future, che si sentono indignati per questa modalità – “si sono tranquillamente appropriati di 48 mila follower su Facebook – hanno dichiarato di disconoscere “pubblicamente i canali di comunicazione originari di Fridays For Future Italy e lanciano un’assemblea costituente”.

Zingaretti è indagato per finanziamenti illeciti

Nicola Zingaretti non ha ritenuto fosse importante, come primo atto da neo segretario del Pd, rivelare di essere indagato dalla Procura di Roma per finanziamento illecito. Quando si è candidato non ne aveva ancora notizia (“la candidatura di Zingaretti alle primarie è partita il 14 ottobre ed è stata formalizzata il 12 dicembre – dicono dal suo entourage –. A quel tempo non si aveva notizia di queste vicende”), ma da qualche settimana la procura di Roma gli ha notificato l’atto di proroga delle indagini. È accusato di finanziamento illecito nell’ambito di un procedimento nato dall’inchiesta sulle mazzette pagate dagli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore ai giudici del Consiglio di Stato, anche se la sua posizione potrebbe presto essere archiviata. È dalle parole di uno dei due legali “pentiti” che il leader del Pd viene tirato in ballo: “(l’imprenditore Fabrizio Centofanti, ndr) riteneva di essere al sicuro in ragione di erogazioni che lui aveva fatto per favorire l’attività politica di Zingaretti”, ha raccontato Calafiore agli inquirenti.

La notizia dell’iscrizione di Zingaretti sul registro degli indagati per un presunto finanziamento illecito è stata anticipata ieri da L’Espresso, che cita anche alcuni verbali degli avvocati. Era il 6 luglio scorso quando Giuseppe Calafiore, che un mese fa ha patteggiato la sua condanna a 2 anni e 9 mesi di reclusione, ai magistrati ha raccontato che Centofanti “a Roma è dotato di un circuito relazionale di estrema importanza: pm, politici, appartenenti al Csm”. Da queste relazioni, l’imprenditore – ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone in affari con Amara e in buoni rapporti con Zingaretti – si sarebbe sentito tutelato: “Era sicuro di non essere arrestato – ha raccontato Calafiore interrogato dai pm di Roma e Messina – perché questo tipo di assicurazioni gli davano uomini delle istituzioni dei quali non conosco l’identità e perché riteneva di essere al sicuro in ragione di erogazioni che lui aveva fatto per favorire l’attività politica di Zingaretti”. Ai magistrati che chiedevano se quelle erogazioni fossero lecite, Calafiore aveva risposto: “Assolutamente no, per quanto lui mi diceva”. Secondo il legale siracusano, Centofanti diceva “che non aveva problemi sulla regione Lazio, perché Zingaretti era a sua disposizione”. Da qui l’iscrizione di Zingaretti nel registro degli indagati, che risalirebbe al luglio scorso. Quindi l’indagine a carico del segretario Pd sarebbe già stata prorogata. “In merito all’articolo dell’Espresso sulla mia iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma per un presunto finanziamento illecito – dice adesso Zingaretti – voglio affermare di essere estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti che, peraltro, sono stati riferiti come meri pettegolezzi de relato e senza alcun riscontro, come affermato dallo stesso articolo del settimanale”.

Dalle parole di Amara è nato anche un altro filone di indagine, quello che vede indagato Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia è accusato per corruzione in atti giudiziari per una sentenza del Consiglio di Stato che gli permise di mantenere parte del pacchetto azionario di Mediolanum, diversamente da quanto stabilito dalla Banca d’Italia. A tal proposito, Amara ha riferito di aver saputo “di una promessa al consigliere Giovagnoli di una somma di 230 mila euro, per la funzione dal medesimo svolta quale componente il collegio che ha deciso su una vicenda in cui era coinvolta una società riconducibile al gruppo facente capo a Silvio Berlusconi”. Una circostanza appresa de relato ma confermata anche da Calafiore.

I due legali hanno anche chiamato in causa l’ex capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro: Centofanti avrebbe spiegato a Calafiore che le fatture a Venafro “erano state un modo per remunerarlo per un’attività che egli aveva svolto quando era funzionario della Regione Lazio, in ordine a un’autorizzazione che non sarebbe stata concessa senza il suo intervento”. A proposito dell’attività “di lobbying illecita”, Calafiore invece ha spiegato che “una cosa del genere la faceva Amara con Paradiso (Filippo, ndr), funzionario che lavorava presso il ministero degli Interni. Svolgeva funzioni di pubbliche relazioni per conto di Amara, che lo dotava di una carta di credito e in un’occasione gli ha dato anche dei soldi, 2.100 euro”.

Il “regalo” del pm di via bellerio

Che belloil ministro dell’Interno Matteo Salvini che twitta felice l’arresto in Marocco del camorrista Antonio Prinno, catturato dai carabinieri dopo una latitanza di cinque anni per un omicidio del 2003, gonfiandosi il petto e ringraziandoli per essere a capo delle forze dell’ordine che hanno fatto “un bel regalo per tutti gli italiani, un bel segnale anche alla luce della mia recente visita a Napoli”. Un portafortuna, insomma. Per la verità l’arresto, e il “regalo per tutti gli italiani”, sono opera anche del pm antimafia Henry John Woodcock. È lui che ha coordinato l’attività investigativa culminata con la cattura nei pressi di Marrakech, dell’elemento di spicco del clan Mazzarella. Non è un omonimo del pm che nel 2012, seguendo le mollichine delle tracce di una indagine del Noe su Finmeccanica, arrivò alla gestione allegra dei fondi della Lega, entrò nella sede di via Bellerio e ci trovò la cartellina “The Family” sulle spese pazze per Umberto Bossi e i suoi rampollii. È proprio lui, l’anglo-napoletano Woodcock. Ha solo i capelli più corti di allora. La cartellina fu inviata a Milano ed è finita agli atti del processo e della condanna per la Lega a restituire 49 milioni di euro. Riottenerli subito, e non a rate in 60 anni, sarebbe anche questo “un bel regalo per tutti gli italiani”.