Montanelli: “Tutti i cialtroni che hanno disfatto l’Italia”

Esce domani nelle librerie “Cialtroni” di Indro Montanelli, una gustosa antologia di ritratti, battute, giudizi di Indro Montanelli sui personaggi storici e attuali che “disfecero l’Italia”, curata da Paolo Di Paolo. Per gentile concessione dell’editore Rizzoli, anticipiamo il meglio delle “pillole” montanelliane (quelle tra virgolette sono tratte dalle sue interviste immaginarie ai trapassati), un ritratto di Beppe Grillo e la postfazione di quest’ultimo al libro.

 

Giulio Andreotti. “Sì, voglio dire che, proprio per non sovraccaricarmi di scheletri, io non ho fatto molto male ai miei nemici. Ma non ho fatto nemmeno molto bene ai miei amici”.

Enrico Berlinguer. Ci manca, un Berlinguer. Uomo di sinedrio più che agitatore di folle, non aveva il carisma né l’oratoria del tribuno: quando appariva su un podio di piazza, sul volto malinconico e nel mesto sguardo gli si leggeva il disagio.

Silvio Berlusconi. Mentiva senz’accorgersene, come io e voi respiriamo, e disinteressatamente: per il piacere infantile d’inventare e senza nessuna pretesa che noi gli credessimo.

Umberto Bossi. L’ho sempre sentito usare le parole come gli sciancati usano le gambe, gettandone una di qua, l’altra di là, e rovesciando qualunque cosa gli si pari davanti.

Bettino Craxi. Di coraggio ne aveva. Una volta seguii sul video un intervento di Craxi dal suo banco di governo alla Camera. Per due volte s’interruppe alla ricerca di un bicchier d’acqua. Per due volte Andreotti, che gli sedeva accanto, glielo porse. E per due volte egli lo bevve.

Alcide De Gasperi. Se riaprisse gli occhi, De Gasperi non si riconoscerebbe padre di nessuno di coloro che da destra e da sinistra si proclamano suoi figli, e che sono invece i figli del partito che lo tradì.

Enrico De Nicola. De Nicola arrivò a Roma con aria corrucciata e non volle trasferirsi al Quirinale con la scusa che la sua carica era a termine, nella speranza, dicevano i suoi amici, che gliela revocassero, o in quella, dicevano i suoi nemici, che gliela trasformassero in definitiva.

Antonio Di Pietro. Non è un genio. Ma anche lui possiede una certa innocenza, che talvolta sconfina nella sventatezza.

Luigi Einaudi. In pubblico, la sua voce si udiva soltanto per il consueto messaggio di Capodanno: due paginette e via, lette alla svelta, incespicando, senza variazioni di tono e con evidente imbarazzo.

Amintore Fanfani. Catastrofi erano, quelle di Fanfani, precipizi, inabissamenti, che sembravano travolgere non dei governi, ma dei regimi, immancabilmente seguiti dal solenne voto di rinuncia alla lotta e di ritiro dall’agone.

Roberto Farinacci. Si procurò glorie militari in Etiopia perché un giorno, lanciando bombe non contro gli abissini, ma in un laghetto per catturarne i pesci, una gli scoppiò in mano amputandogliela.

Giuseppe Garibaldi. Fu l’unico che seppe suscitare qualche entusiasmo popolare, anche se dovuto più ai lati spettacolari, pittoreschi e buffoneschi del suo modo di essere e di apparire (la papalina, il poncho eccetera) che non a delle vere qualità di capo.

Licio Gelli. Agli italiani si può togliere tutto, meno un Grande Vecchio.

Guglielmo Giannini. D’idee non ne aveva, e lui, intelligente com’era, fu il primo, tra i qualunquisti, ad accorgersene.

Giovanni Giolitti. Per oltre vent’anni, il grande conservatore governò – direttamente o per interposto luogotenente – il Paese introducendovi delle riforme che nessun progressista avrebbe osato o avuto la forza di fare.

Aldo Moro. Era un generale che cercava di evitare la sconfitta arrendendosi prima della battaglia.

Pietro Nenni. “Quando mi presentavo sul palco insieme a Togliatti, come voleva la politica del ‘fronte’, la piazza era con me, anche se poi alle urne si schierava con lui”.

Romano Prodi. Prodi non ce l’ha dato il buon Dio. Ce lo siamo dato noi. Pienamente consapevoli che non era la scelta migliore, ma l’unica che poteva evitarci quella peggiore.

Gaetano Salvemini. L’unico verso il quale un poco propendeva era il Partito d’Azione perché, diceva, “è già morto prima di nascere”. E io mentalmente rimuginavo: “Altrimenti ad ammazzarlo provvederebbe lui”.

Oscar Luigi Scalfaro. Il suo è rimasto l’unico caso di presidente disceso dal Colle di buon umore… Nella memoria dei suoi contemporanei, egli è destinato a restare come l’incarnazione della Noia e il profeta dell’Ovvio, ma di un Ovvio mascherato da Rivelazione.

Vittorio Emanuele III. “Insomma, credo di essere stato fino alla Prima guerra mondiale un vero re: coscienzioso, gelido e ingrato”.

Violenze dei Gilet gialli: “salta” il prefetto di Parigi

I servizi segreti francesi li chiamano gli “ultrà gialli”: non dei black bloc, ma dei Gilet gialli “radicali” che dalla periferia di Parigi e dalle regioni arrivano sugli Champs Elysées per spaccare, incendiare e saccheggiare. Sabato scorso erano “diverse migliaia”, secondo fonti citate da media francesi, mentre i black bloc, di estrema destra o sinistra, non più di 200. Da sabato prossimo gli Champs Elysées saranno off limits a casseurs e Gilet gialli. Il governo è alle strette dopo l’ennesima guerriglia urbana, con più di 120 negozi devastati e danni pesanti che la città sta ancora contando (sono 170 milioni dall’inizio della protesta, in tutta la Francia, escluso sabato scorso). Ieri il premier Edouard Philippe ha promesso il pugno duro sulla gestione dell’ordine pubblico e annunciato misure cuscinetto, nell’attesa che entri in vigore la nuova legge anti-casseurs, che dovrebbe introdurre una sorta di “daspo” per i violenti, ma aspetta ancora il via libera del Consiglio Costituzionale. Le manifestazioni dei gilet saranno vietate sull’avenue parigina e in altri luoghi “sensibili”, come la place du Capitole a Tolosa e la place Pey-Berland a Bordeaux. Chi incoraggerà i casseurs sarà considerato “complice”. Sabato scorso, ai poliziotti era stato dato l’ordine di limitare l’uso dei flash-ball, l’arma anti-casseurs che spara pallottole di gomma, ma che può provocare ferite molti gravi, come la perdita di un occhio. Una direttiva che si è rivelata “inadeguata”, ha detto Philippe, obbligato a riconoscere “malfunzionamenti” nella gestione della crisi. D’ora in poi ai poliziotti verrà data “maggiore autonomia e capacità di iniziativa”. Potranno anche utilizzare per la prima volta i droni. “Queste persone – ha aggiunto Philippe – non vogliono il dialogo, cercano solo violenza. I gilet gialli pacifici devono prendere le distanze”. Il governo è spalle al muro, sommerso dalle critiche ora che si aspetta il bilancio del ‘Grande dibattito’ voluto da Emmanuel Macron e che dovrebbe tradurre le proposte in riforme. I francesi si chiedono come sia ancora possibile tanta la violenza dopo quattro mesi di protesta. La manifestazione è stata sottovaluta? Macron ha peccato di presunzione? Eppure la mobilitazione era annunciata da settimane. Invece il presidente era sui Pirenei a sciare mentre Parigi bruciava. Le opposizioni chiedono le dimissioni di Christophe Castaner, il ministro dell’Interno, giudicato incompetente, che qualche sera fa si è pure fatto paparazzare in una discoteca della Capitale. Il solo a perdere la poltrona è però il prefetto di Parigi, Michel Delpuech, sostituito dal collega della regione Nuova Aquitania, Didier Lallement. E la protesta non sembra neanche destinata a attenuarsi. Uno dei gilet più radicali, Maxime Nicolle, alias Fly Rider, lo stesso che a dicembre aveva diffuso la teoria del complotto sull’attentato di Strasburgo (che sarebbe stato macchinato dal governo per distrarre l’attenzione dai Gilet gialli), ha promesso su Facebook un’altra “giornata storica”, come quella di sabato scorso, tra tre-quattro settimane.

“Fermiano i jihadisti e ci mandano a processo”

Si erano conosciuti ad Afrin un anno fa, nei giorni in cui l’esercito turco cercava di entrare nel cantone siriano dove le forze curde avevano resistito all’Isis e instaurato un progetto di democrazia popolare. “La sua vicinanza mi ha ridato forza in un momento di estrema difficoltà”, ha scritto ieri Jacopo Bindi, 33 anni, su Facebook, per ricordare Lorenzo Orsetti.

Adesso Bindi, insieme con altri cinque militanti, sta affrontando un processo davanti al tribunale di Torino perché la Digos e la procura li ritengono “socialmente pericolosi” per la loro esperienza di foreign fighters; rischiano di diventare dei “sorvegliati speciali”. Con commozione, ieri sera al circolo Arci Sud di Torino con Eddi Marcucci, Bindi ha ricordato Orsetti, nome di battaglia Tekosher, come “un esempio”.

Bindi, come ha conosciuto Lorenzo Orsetti?

Eddi e io lo abbiamo incontrato circa un anno fa negli ultimi giorni ad Afrin, mentre c’era la resistenza all’esercito turco alleato con le bande jihadiste. Io ero nella struttura civile, il media center, lui militava nelle Ypg, l’Unità di protezione popolare. Stavamo difendendo quel cantone rivoluzionario, una democrazia basata sul potere popolare.

Cosa sa di lui?

Lorenzo aveva già combattuto contro l’Isis a Deir Ezzor e voleva partecipare anche alla difesa di Afrin. La città era praticamente sotto assedio, ma lui non aveva dubbi o esitazioni. Voleva rimanere fino alla fine, come ha fatto. Io sono rimasto nove mesi e sono tornato a giugno. Lui è rimasto ancora lì e dopo quell’esperienza ha voluto combattere ancora. Era ancora lì mentre l’Isis attraversava una fase critica ed era rinchiusa in un fazzoletto di terra.

Da che percorso arrivava?

Credo che, come tanti, volesse difendere l’esperienza curda e combattere l’Isis. La sua ultima lettera dà l’idea della persona che era. Questo suo modo di fare deve essere un esempio.

Fosse stato a Torino, la procura avrebbe potuto chiedere la sorveglianza speciale anche per lui, come ha fatto con voi a giugno.

È assurdo che vengano ritenute socialmente pericolose persone che hanno combattuto contro l’Isis, che stanno dalla parte giusta non solo per difendere il nord della Siria, ma anche l’Italia e l’Europa. Quel processo non è una battaglia soltanto per la nostra libertà. Vogliamo che non venga insultata la memoria di Lorenzo e di tutti gli altri martiri dello Ypg.

“Gli avevamo detto: Lorenzo torna a casa, il tuo lo hai fatto, la battaglia ormai è finita”

“Gli avevamo detto: torna a casa, la battaglia è finita, vieni via, il tuo lo hai fatto”. Era questa la speranza dei genitori del combattente italiano. Con l’imminente sconfitta dei jihadisti a Baghuz, Lorenzo detto “Orso” sarebbe potuto tornare a casa. Ma non è stato così. Il loro ultimo contatto risale al 10 marzo.

“Mi ha telefonato il suo comandante curdo e mi ha detto che Lorenzo è morto assieme a tutti quelli del suo gruppo in un contrattacco dell’Isis”: così Alessandro Orsetti, padre del ragazzo fiorentino ucciso in Siria, racconta ai cronisti di come ha avuto la notizia. “Sembra che il suo gruppo sia stato accerchiato, era con una unità araba, ma non so cosa significhi esattamente da un punto di vista militare. Li hanno uccisi tutti”. La dinamica sembra essere confermata anche dalle notizie rilanciate dai profili sociali dell’Isis: cinque combattenti, quattro curdi e un italiano, sono stati accerchiati ed eliminati nella pianura di Baghuz.

“Il suo comandante mi ha detto che Lorenzo è caduto in battaglia – continua Alessandro Orsetti – e io spero adesso che questa sua morte voglia poter dire qualcosa per la causa dei curdi. Lorenzo cercava una causa in cui coinvolgersi, non sopportava di stare, come diceva lui, nel menefreghismo. Desiderava dare una svolta alla sua vita e già tre-quattro anni fa si interessava dei curdi e della loro condizione”. Non una partenza d’istinto, dunque, ma ragionata: la battaglia, per Lorenzo, meritava di essere combattuta per un ideale.

“Così è andato via per una causa, noi siamo contenti per lui, perché in fondo ha fatto una scelta importante – ha detto il padre – certamente eravamo contrari, non gli si poteva dire ‘vai, è bello’, però abbiamo capito che per lui era una scelta, voleva difendere i valori in cui credeva. E il popolo curdo merita che si faccia qualcosa nella sua lotta contro l’Isis e il fascismo”.

Un legame, quello fra “Orso” e la comunità curda in Italia confermato da Erdal Karabey, il portavoce in Toscana. Karabey ha raccontato di aver conosciuto Lorenzo nel 2015, quando “iniziò a frequentare le nostre manifestazioni fatte per il popolo curdo a Firenze e in Toscana, e mi diceva, convinto, che ‘questa guerra non è al popolo curdo perché l’Isis è un pericolo per tutto il mondo’”.

Il portavoce della comunità dice di non sapere dove Orsetti si sia addestrato: “Solo un mese e mezzo dopo ho saputo che era andato a combattere”.

Olanda, diventa “terrorista”. L’uomo che odiava le donne

Probabilmente, l’Isis non ha ordito una trama, né mosso un dito, né tirato un colpo. Ma la sparatoria di ieri mattina, ad Utrecht, in Olanda, le è stata subito accreditata. È bastato che il sedicente e fatiscente Stato islamico annunciasse domenica vendette per la strage di musulmani a Christchurch, in Nuova Zelanda, per rendere credibile, e quasi automatica, l’attribuzione dei morti di Utrecht – tre e cinque feriti – a un ‘soldato’ del Califfo. Ma il movente del fatto di sangue, su un tram giallo diretto verso la stazione ferroviaria, potrebbe, in ultima analisi, non c’entrare nulla con Cristchurch e con il terrorismo integralista, ma essere piuttosto di carattere personale o familiare. Testimoni riferiscono che l’obiettivo del killer era una donna: avrebbe sparato per ammazzare lei e quanti cercavano di proteggerla. La gente intorno si gettava a terra.

L’assassino è un turco di 37 anni, Gokman Tanis: ha ucciso, e poi è fuggito. È stato catturato dopo una caccia all’uomo durata ore, con la città in stato di allarme: gli abitanti erano stati invitati a rimanere dov’erano, a non uscire, a restare tappati in casa, o negli uffici, perché la polizia non escludeva “ulteriori attacchi”. Tutti i veicoli su rotaia sono stati fermati. Chiuse scuole, università, chiese, moschee. La sparatoria è avvenuta in piazza 24 Ottobre. Sono arrivate unità anti-terrorismo, il che ha alimentato l’ipotesi dell’attacco terroristico. Il premier Mark Rutte e il sindaco di Utrecht Jan Van Zanen hanno fatto propria la pista. L’allerta anti-terrorismo è stata innalzata a 5, un livello mai raggiunto prima in Olanda.

I passeggeri del tram della sparatoria sono stati fatti scendere e condotti via su furgoni della polizia, per raccoglierne con calma le testimonianze. Un elicottero sorvolava l’area, un’eliambulanza è scesa sulla piazza per raccogliere i feriti. I servizi di emergenza chiedevano a tutti gli ospedali di tenere sgombri i pronto soccorso.

Tanis, lo sparatore, avrebbe agito da solo. Testimonianze iniziali riferivano che diverse persone s’erano date alla fuga, ma è probabile si trattasse di passeggeri e passanti che cercavano di mettersi al sicuro. La polizia ha prima dato la caccia a una Clio rossa; poi gli agenti, pesantemente armati, hanno circondato un edificio vicino al luogo della sparatoria. L’arresto è avvenuto, o almeno è stato confermato, nel tardo pomeriggio, a Oudenoord Straat, a nord del centro. Una volta catturato Tanis, lo stato d’allarme è stato ridimensionato. Parlando con media locali, un testimone incrinava l’ipotesi del ‘lupo solitario’ dell’integralismo, dicendo che “l’assalitore è uno del quartiere, non credo abbia agito per terrorismo”.

L’agenzia turca Anadolu, citando familiari del killer, che vivono in Turchia, confermava che Tanis avrebbe agito “per motivi familiari”. Alla Bbc turca, invece, un uomo d’affari riferiva che lo sparatore era andato a combattere in Cecenia ed “era stato arrestato anni fa per presunti legami con l’Isis e poi rilasciato”; fonti della polizia olandese parlano di diversi precedenti penali, anche per violenza sessuale.

Mehmet Tanis, padre del killer, non è di grande aiuto: “Non parlo con mio figlio da 11 anni”, dice ai media turchi. E aggiunge: “Non so in che stato fosse… In passato non aveva avuto comportamenti aggressivi. Non so cosa sia successo, maa se è stato lui, deve essere punito”.

In Olanda, il partito islamofobo di estrema destra, il Partito della Libertà di Geert Wilders, dispone di 20 seggi su 150 alla Camera ed è una delle maggiori forze politiche nazionali. Però Utrecht, quarta città dell’Olanda per abitanti, circa 330 mila, ha un’amministrazione liberale ed è centro d’arte e di cultura, con una storica università e monumenti medioevali, oltre che di traffici e d’affari. Il sindaco van Zanen appartiene allo stesso partito del premier Rutte, che definisce “preoccupante” la situazione e convoca una riunione di crisi, in attesa che il movente di Tanis sia chiaro. La vicenda conferma, in ogni caso, la vulnerabilità occidentale a un attacco, che sia terroristico o ‘solo’ criminale.

Orso Tekosher, il “lottatore” che voleva sgominare l’Isis

“Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Be’, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così, non ho rimpianti, sono morto per quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, uguaglianza e libertà….”.

Comincia così il testamento che “Orso”, il soprannome che Lorenzo Orsetti aveva scelto di darsi su Facebook, aveva affidato ai portavoce delle forze curdo siriane perché lo pubblicassero via social nel caso di una sua “prematura scomparsa”. Che purtroppo è avvenuta all’alba di ieri in seguito a un’imboscata dell’Isis a Baghuz – l’ultima roccaforte dello Stato Islamico nel sud est della Siria al confine con l’Iraq – dove l’ex cuoco fiorentino stava combattendo al fianco dello Ypg, la milizia curda, spina dorsale delle Forze Democratiche Siriane.

Orsini aveva festeggiato il suo 33esimo compleanno lo scorso 13 febbraio quando era appena cominciata l’offensiva delle Forze democratiche siriane, ma si trovava in Siria da ben un anno e mezzo.

Anarchico e sostenitore della causa curda non solo contro l’Isis ma anche contro l’esercito turco, che esattamente un anno fa entrò nel cantone di Afrin (nel nord della Siria a maggioranza curda) per far indietreggiare i curdi, accusati dal presidente turco Erdogan di terrorismo, il giovane toscano non voleva saperne di abbandonarli. Al contrario degli americani che, dopo averli usati come fanteria per far crollare il regno funesto del califfo nero al Baghdadi, li hanno lasciati a scontrarsi con uno degli eserciti più potenti del mondo (l’esercito turco è il secondo più forte in ambito Nato), sono ancora numerosi i combattenti stranieri dell’Internazionale curda rimasti a combattere questa battaglia finale, con il passare dei giorni sempre più sanguinosa a causa della consapevolezza dei jihadisti di non avere più nulla da perdere.

Gli ultimi seguaci di al-Baghdadi dopo aver gioito e festeggiato per essere riusciti ad ammazzare “il crociato italiano” , hanno pubblicato sul social Telegram la foto del cadavere di Lorenzo, la sua tessera sanitaria e la carta di credito per non venire smentiti e mostrare di avere ancora la capacità di combattere e uccidere.

Risale a mercoledì scorso l’ultimo post di Orsetti via Facebook: “A quanto pare diverse case-trincee-tunnel sono rimaste. Non me lo faccio dire due volte, se tutto va bene domani riparto!”. Nonostante pochi giorni prima avesse scritto di essere di fatto al termine della missione, Orsetti aveva deciso di rimanere in Siria per tentare di rompere le ultime difese dell’Isis visto che gli aerei americani erano tornati a sostenere dal cielo gli sforzi dell’Ypg. I jihadisti però stanno facendo resistenza nascondendosi sotto terra durante il giorno, per uscire solo la notte e tendere imboscate.

“Nonostante questa prematura dipartita, la mia vita – si legge nel testamento – resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio”. A febbraio in un’intervista il volontario italiano spiegava come “lo Stato islamico è un male assoluto. Questa è una battaglia di civiltà”. Orsetti aveva la passione per la scrittura e alcuni suoi racconti sono stati pubblicati nella sezione Internazionale del portale ‘Milano in movimento’. Se Lorenzo fosse tornato in Italia avrebbe dovuto affrontare molto probabilmente un’indagine da parte della magistratura come è accaduto a cinque suoi compagni, la maggior parte torinesi. Secondo la legge Alfano, i cittadini che combattono per organizzazioni terroristiche devono essere perseguiti. Solo la Turchia di Erdogan considera l’Ypg un’organizzazione terroristica. Per il resto del mondo è esattamente il contrario: i combattenti curdi e stranieri dell’Ypg sono coloro che si immolano per sconfiggere l’Isis, come ha fatto notare anche lo zio di Valeria Solesin, la ragazza uccisa a Parigi il 13 novembre 2015 nella strage del Bataclan firmata dai jihadisti, nella lettera di sostegno inviata ai ragazzi italiani che combattono con i curdi e gli arabi contro lo Stato Islamico.

Anche Satana cammina con noi (e Dago ce lo ricorda)

“Il diavolo esiste: è la televisione”, diceva Vittorio Gassman. In effetti, per tutta la seconda metà del 900 si è pensato che il demonio si fosse incarnato nella Tv, e viceversa. Ma con il nuovo millennio la Tv è diventata infrequentabile, e il diavolo, noto tipo à la page, potrebbe aver traslocato su Internet, o meglio, sui social di Infernet, come la chiama Roberto D’Agostino. Questa l’ipotesi finale della seconda puntata della nuova stagione di Dago in the Sky (SkyArte, giovedì, 21.15), dedicata alle innumerevoli metamorfosi di Belzebù. Forse, veniva da pensare mentre lo schermo civettava con la videoarte e si frantumava in un moto perpetuo di citazioni, da Bosch a Bacon, forse una caratteristica del diavolo è proprio la sua impermanenza, il suo essere già altrove quando pensiamo di averlo stanato. Caprone, drago fiammeggiante, angelo ribelle, Signore delle mosche, incappucciato dell’Isis… Oppure, irresistibile tentatore. In Simon del deserto di Luis Bunuel, il diavolo è incarnato dalla bellezza satanica di Silvia Pinal. Dopo una serie di assalti respinti, l’incrollabile stilita abbandona la colonna, indossa abiti borghesi, va in discoteca e prova a liberarsene una volta per sempre. “Vade retro!” “Vade ultra!”, è la risposta di lei. “Se ti diverti… Io vado a casa” “Io non ci andrei, ti potrebbe capitare qualcosa” “Che cosa?” “È la vita, ubriacone. Devi sopportarla. Devi sopportarla fino in fondo!” Dago in the sky, premuroso come sempre, ce lo ha voluto ricordare.

Mail Box

 

Il caso Sarti smaschera l’ipocrisia della sinistra

Scandalizzarsi per l’immane schifo montato sulla signora Sarti è il minimo sindacale. Personalmente e per scelta non frequento alcun social, che già giornali e tv pubblicizzano fin troppo i vari tweet e le esternazioni dei bellimbusti che postano in quei siti. Ormai evito anche i talk show perché digerisco bene e non ho bisogno di emetici dopo i pasti principali. Questa storia della Sarti era già venuta fuori anni fa, con l’ingresso dei grillini in Parlamento. Oggi la storia si ripete, chi sta diffondendo questa porcheria? Non si riesce a saperlo? E per quanto riguarda la signora Sarti: si candidava in Parlamento, diventava personaggio pubblico, e per di più di una forza detestata da tutti i “benpensanti”. Ma come è potuto sfuggirle che era necessaria il quadruplo della prudenza per difendersi preventivamente? A proposito, viste le reazioni dei “radical chic”, vogliamo smetterla di chiamarli così? Radical non lo sono mai stati, chic poi, non ne parliamo… e ancora, bisognerebbe evitarli di chiamarli “élite”, perché di elitario hanno solo l’ipocrisia e la peggiore bassezza. Ha notato, signor Travaglio, che i peggiori si trovano in area autodefinitasi impropriamente “sinistra”?

Paola Zucca

 

Al Bano “terrorista”: una qualificazione esecrabile

Non mi dispiacerebbe affatto se nel trafiletto “La cattiveria” si pubblicasse: “Non ci sono termini per aver qualificato terrorista Al Bano da parte dell’Ucraina, esecrabile, vergognoso, spregevole a dir poco! Di contro, lodevole può essere la decisione delle autorità competenti di salvare l’Ucraina dai possenti ululati del Pavarottino di Podrecca nostrano”.

Aldo del Bò

 

Dov’erano i giustizieri in nero quando c’era il Bunga-bunga?

Dopo l’ultima “grande” inchiesta delle Iene sulla vicenda Sarti, ho pensato che se fossero state già così operative ai tempi del Bunga-bunga e della “nipote di Mubarak”, ci sarebbe stata sicuramente la caduta del governo Berlusconi.

Federico Vana

 

La Rai è un problema politico da risolvere

Più volte ho proposto (inascoltato anche dal M5S) un’alternativa sulla Rai, che rappresenta un problema politico e di democrazia di prima grandezza. Dimostra come i cittadini siano presi in giro, ricevendo l’arroganza della casta politica che esercita un potere assoluto, spartitorio, omissivo, diventato disinformazione di massa, estremamente simile alle televisioni private. Solo una diversa visione del problema può portare ad un cambiamento radicale, che è vitale per la nostra democrazia che non possiede un contrappeso dalla parte dei cittadini che lo pagano, siano i soli azionisti con il potere di eleggere il presidente, in regolari elezioni da abbinare alle politiche (canone pagato alla mano), tra personaggi indipendenti da economia, politica, religioni, Dura in carica 5 anni ed è rieleggibile una sola volta. È necessario che sia dichiarato solennemente che la Rai è proprietà dei cittadini che autogestiscono, fuori dai partiti, un’informazione che sia all’altezza di proteggerli da tutti gli inganni che il potere politico e quello economico tramano a loro danno, soprattutto per ciò che riguarda la salute, l’ambiente, l’alimentazione, l’economia e le banche. Una tv che ci parli della realtà e non sia portavoce delle ignobili balle che raccontano i politici e della pubblicità. Internet ha rotto il monopolio dei media e dato la possibilità a molti di far circolare il proprio pensiero, ma vi sono milioni di persone che si affidano solo alla televisione, e questi milioni sono decisivi per vincere le lezioni senza che mai sia offerto loro un punto di vista serio, documentato, indipendente.

Una testimonianza di grande maturità democratica sarebbe quella di abolire l’obbligatorietà del pagamento del canone, lasciando i cittadini liberi di decidere se sostenere o meno un’informazione seria e indipendente, senza pubblicità. Sempre in nome di una democrazia più matura, sarebbe corretto che nessun soggetto, nè privato nè pubblico, possedesse più di una rete nazionale, smantellando in parte il monopolio di Rai e Mediaset.

Paolo De Gregorio

 

Zingaretti vuole davvero che avvenga un cambiamento?

Zingaretti, nuovo segretario Pd, declama di volere il cambiamento. E per meglio perseguire tale obiettivo ha pensato bene di utilizzare in qualità di “aiutanti” della segreteria gli stessi personaggi in auge nella passata direzione. Ottimo! Forse qualcuno dovrebbe spiegargli che ai cittadini tali personaggi non andavano molto bene e infatti non li hanno più votati. Prosegue poi con la difesa del Tav, chiarendo bene il concetto che il Pd sta dalla parte degli imprenditori insieme alla Lega e Forza Italia, in pratica insieme alla destra, e contro gli abitanti della Val di Susa, quindi contro i cittadini in genere. Ciliegina sulla torta ancora il desiderio, persistente, nonostante la sconfitta del referendum, di modificare e stravolgere la Costituzione della nostra Repubblica. Ancora “più ottimo”. Non ci siamo proprio, se questo è il nuovo!

Albarosa Raimondi

Ambientalismi. Breve disputa sull’animo umano, la speranza e chi sia il colpevole

 

Gentile Palombi,sono un lettore assiduo del Fatto e generalmente concordo con Lei; però sul suo “Rimasugli” del 17 marzo non posso concordare con la parte finale. Quello che ha scritto Serra e che lei virgoletta ironicamente mi pare ineccepibile e specularmente riflette quel che diceva il grande Dario Paccino, persona certo singolare, ne L’imbroglio ecologico: Paccino dedica il suo libro “a coloro che per guadagnarsi il pane devono vivere in habitat che nessun ecologo accetterebbe per gli orsi del Parco nazionale d’Abruzzo e gli stambecchi del Parco Nazionale Gran Paradiso: gli operai di fabbriche e cantieri. Assunto dell’opera, la proposta di mettere l’ecologia con i piedi sulla terra, la terra di tutti gli uomini, e perciò anche delle loro verità e ideologia: il sistema dei rapporti di produzione. E ciò in polemica sia con quegli ecologi che si librano al di sopra delle parti, sia con quei materialisti storici che accolgono la riduzione idealistica della storia naturale alla storia umana”. Ovviamente non solo gli operai ma chiunque debba accettare ambienti ecologici in cui nessun crudele schiavista avrebbe fatto vivere i suoi schiavi. Parlando con un’altra persona di sinistra ci chiedevamo se, facendo l’ipotesi (bellissima) che tutto il mondo fosse socialista, ci sarebbe stato un grandioso miglioramento ecologico e tristemente abbiamo concluso che no: senza la follia del capitalismo di rapina e della finanza “internazionale” ci sarebbe un miglioramento ma non un sostanziale cambiamento. Per averlo davvero ci vorrebbe un cambiamento dei desideri umani, che pare improbabile. Balnea circus Venus delent imperium sed vitam nostram faciunt Venus circus balnea. Così siamo, o è solo la vecchiaia che mi fa vedere così le cose?

Guido Giorgio Ligabò

 

Gentile Ligabò,intanto bisogna accordarsi su cos’è una rubrica “in corsivo”: non un trattato e neanche un articolo, se va bene – un po’ come l’aforisma di Karl Kraus – una mezza verità o una verità e mezza. Motivo per cui anch’io, a volte, non concordo con quel che scrivo. Mi permetta, dandole dunque ragione fin d’ora, di spiegarmi: la nuova Gerusalemme non è il mio pane, né amo le espressioni forti (la morte del pianeta mi pare una notizia fortemente esagerata), alludevo invece alla lenta, difficile, graduale soluzione dei problemi (non tutti, per carità) attraverso il concorso del genio degli uomini e – Vaste programme! – della politica: chi se li sognava 30 anni fa “l’enzima mangiaplastica” o lo stoccaggio sotterraneo di Co2? Quanto ai “desideri umani”, si sa, sono pericolosi e, peggio, tendono a fingersi veri: vale per quelli individuali, figurarsi per quelli collettivi indotti da narrazioni interessate. Insomma, caro Ligabò, siamo (anche) così, però – e si torna sempre a Machiavelli – se si può osare, si deve.

Marco Palombi

Quelli che… Nicola è il Salvatore (del vecchio Pd)

L’ineffabile Zinga è stato ufficialmente proclamato segretario del Pd. Egli è il Salvatore: della sinistra, della democrazia, della vita. Altissimo il suo tasso di novità: Gentiloni presidente, Zanda tesoriere, Ascani e Serracchiani vicepresidenti (daje!) e un bell’attacco a quei minchioni che il 4 dicembre 2016 osarono votare “no”. Tutti lo celebrano. Qualche esempio.

Matteo Renzi: “#zingastaisereno”.

Vittorio Zucconi: “Con Zingaretti torna il ciel sereno dopo gli anni bui dei grullini, ma la strada è lunga perché torni a sorgere il sol della Boschi”.

Fabio Fazio: “Solitamente sono molto critico, ma Zingaretti mi piace molto”.

Massimo Cacciari: “Zingaretti era sicuramente il candidato migliore, ma il Pd è una fusione a freddo mal riuscita, a me girano sempre le palle e in ogni caso moriremo tutti”.

Giampaolo Pansa: “È un governo di terroristi e squadristi, ma se l’alternativa è Zingaretti tanto vale spararsi in bocca. Io però non ho il porto d’armi, quindi cominciate voi. Branco di coglioni”.

Massimo Giannini: “È semplicemente sconcertante che i 5 Stelle non si siano ancora resi conto di come la loro alleanza pavida e correa con Salvini stia portando il Paese alla rovina. E poi non ci sono neanche le coperture, come credo di avervi già ricordato altre volte. Di Maio e quell’altro avvocato pugliese che chiamano fantasiosamente ‘presidente del Consiglio’ ci stanno uccidendo. Sono molto preoccupato” (qualcuno dalla regia: “Massimo, la domanda era su Zingaretti!”). “Ah, scusate. Zingaretti? Be’, Zingaretti… mi piacicchia abbastanza”.

Gianrico Carofiglio: “In una situazione simile, con la politica ridotta ad avanspettacolo della peggior specie, ben venga un galantuomo come Nicola Zingaretti. E comunque, senza presunzione alcuna, vi domando: avete mai visto, letto o sentito un uomo più intelligente di me? Io no”.

Vittorio Feltri: “A me di questo Zingaretti non frega un cazzo, al massimo potrei provare interesse per sua cognata. E comunque, in giro, vedo troppi negretti e culattoni. Mi sa che mi farò un altro goccio. Come dite? Non dovrei perché l’alcol fa male? Andate tutti affanculo, merde”.

Andrea Romano: “Ho già ammazzato tutto quel che ho toccato: D’Alema, Monti, Renzi. Ora tocca a lui: ‘Ho sempre creduto in Zingaretti!’. Alé, bruciato anche Nicola”.

Genny Migliore: “Sono sempre stato zingarettiano”.

Maria Teresa Meli: “Zingaretti sta a Renzi come la crisalide alla farfalla. Anche se non ho mai capito cosa sia una crisalide”.

Anna Ascani: “Sarò fedele a Nicola come ebbe a esserlo l’Iscariota”.

Beppe Severgnini: “L’altro giorno, di ritorno da Nova York, mi sono fermato a Londra (che come sapete ho fondato io). Mentre sorseggiavo del tè al bergamotto con la Regina Madre, le ho parlato di Zingaretti. Mi ha detto, non senza quell’ironia british che (come sapete) agli inglesi ho insegnato io, che ‘rapportato a Di Maio il vostro Nicola sembra quasi il nostro adorato Winston’. A quel punto la Regina Madre ha sorriso, e io con lei”.

Istituto Luce: “Mostrando il maschio profilo alla patria e il viril petto al Partito, il Comandante Zingaretti offre l’ardimentoso esempio acciocché la sua condotta impavida e la sua nuca intonsa siano d’esempio alle plebi tutte. A noi!”.

Titolo di Repubblica: “C’è salvezza”.

Titolo del Fatto: “Non imparano mai”.

Titolo di Libero: “Mangia i bambini anche lui”.

Alla prossima puntata. Hasta Zinga siempre!