Uno studio di Transparency International del 10 dicembre rivela che nel 2018 i giornali hanno riportato 983 casi di corruzione, quasi il doppio del 2017 e, sicuramente, molti episodi corruttivi sono rimasti fuori da questo censimento. L’Autorità anticorruzione ha esaminato 171 ordinanze di arresto relativi a reati contro la P.A.; solo nel trascorso anno, l’ufficio diretto da Cantone ha proposto 19 commissariamenti di appalti pubblici investiti da vicende giudiziarie di corruzione.
Il nuovo governo è sembrato muoversi con decisione sul terreno della lotta alla corruzione, tant’è che nel mese di dicembre è stata approvata, fortemente voluta dal ministro di Giustizia Alfonso Bonafede, la legge “spazzacorrotti” – apprezzata dall’80% degli italiani – la quale: a) prevede il “Daspo” per i corrotti consistente in una interdizione permanente dai pubblici uffici e dallo stipulare contratti con la P.A. per soggetti condannati a pene superiori ai due anni per vari reati (corruzione, peculato, ecc.); b) introduce la figura dell’“agente sotto copertura” anche nelle indagini per i reati contro la P.A.; c) prevede la possibilità di utilizzare nelle inchieste per tali reati anche lo strumento intercettivo “Trojan Horse”, indispensabile nella lotta contro la corruzione. È, però, di alcuni giorni or sono la notizia che la riforma del Codice degli appalti messa a punto dal governo viene trasferita dal disegno di legge-delega (approvato circa 15 giorni orsono) al decreto legge “sblocca-cantieri” che dovrebbe essere approvato domani dal Consiglio dei ministri. La prima e più importante (e pericolosa) novità riguarda l’innalzamento delle soglie per l’affidamento diretto dei lavori: secondo il nuovo regime, fino a 1 milione di euro, l’affidamento sarà diretto e “senza obbligo di motivazione”, mentre tra 1 milione e 5 milioni vi è una procedura negoziata con l’obbligo di invitare 5 imprese. Si tratta di una rimodulazione della procedura attuale devastante sotto il profilo della concorrenza e trasparenza. Inoltre, i piccoli Comuni potranno bandire gare da soli e non saranno più obbligati ad affidarsi a consorzi. La seconda novità, anch’essa rilevante (e pericolosa), è la liberalizzazione dei subappalti: la bozza dello schema di decreto propone di eliminare l’obbligo di non superare l’attuale quota del 30% dell’importo complessivo dei lavori. L’obiettivo dichiarato dal governo è di velocizzare le gare di appalto e, quindi, l’apertura dei cantieri, ma in realtà si apre la strada a una riduzione dei controlli e delle garanzie favorendo la corruzione, da sempre dilagante in questo delicato settore, e le infiltrazioni mafiose. È necessario, quindi, richiamare l’attenzione del vicepremier Di Maio e dei ministri del M5S (che sembrano contrari a modificare almeno il regime del subappalto) chiamati ad approvare il decreto nel prossimo Cdm, su due fondamentali circostanze. 1) Da Sud a Nord non c’è Regione o Provincia che sia immune nella concessione degli appalti da fenomeni di corruzione. Gli episodi corruttivi e le turbate libertà degli incanti si contano a centinaia in pochi anni e forniscono il quadro di una P.A. corrosa dal fenomeno delle tangenti. 2) Numerose inchieste (e le relative sentenze) hanno acclarato come, soprattutto al Sud, le grandi opere abbiano subìto le infiltrazioni della criminalità organizzata. Basti pensare che, per l’autostrada A3 nel tratto calabrese, grandi imprese costruttrici hanno dato (“rectius”: sono state costrette a dare) in subappalto i singoli lotti a ditte mafiose secondo accordi perfettamente pianificati, in appositi “summit”, dalle varie famiglie mafiose che controllavano quei territori (Piromalli, Tripodi, Pesce, Alvaro, ecc.). E l’attenzione dei ministri “grillini” dovrà essere ancora maggiore se è vero che, tra le novità più importanti, vi è anche il tentativo di circoscrivere la responsabilità per danno erariale e per il reato di abuso di ufficio per i funzionari pubblici.