Giampiero Mughini, l’erede di Sciascia contro l’antifascismo ipocrita di oggi

C’è un altro Giampiero Mughini oltre al popolarissimo personaggio noto a tutti. È sconosciuto al grande pubblico ed è un intellettuale italiano di sfacciato coraggio.

L’altro Mughini si trova, infatti, dentro Leonardo Sciascia che, come una matrioska, contiene lui e la sparuta filiera di irregolari generati dal maestro di Racalmuto. Sono in tre dentro la bambolina dell’autore de “Il Giorno della Civetta”. Tutti e tre sono siciliani ma lo sono così e così, per dirla con Mughini. Ciascuno di loro abita dentro Sciascia con uno stigma eccentrico rispetto alla letteratura ma, ognuno, fedele al tenace concetto: Salvatore Silvano Nigro – per esempio – lo fa con il lavoro del critico, Ferdinando Scianna con la macchina fotografica e Mughini, appunto, con un libro che no, non è un romanzo, e neppure è un saggio. “Tertium datur” scrive lui stesso firmando la nuova prefazione del volume in assoluto più scandaloso. È un libro che – nel solco di “L’affaire Moro” – conta di scrivere lo stesso Leonardo per trovare luce alla sua morte grazie a Mughini che il 20 novembre 1989, nel giorno della morte dello scrittore, riceve una telefonata da Cesare Interlandi – “Perché non lo scrive lei il libro su mio padre che Sciascia non potrà mai scrivere?” – ed ecco “Lo strano caso di Telesio Interlandi: a via della Mercede c’era un razzista”. Torna oggi in libreria, dopo la prima edizione Rizzoli del 1991, edito da Marsilio. È la storia maledetta e rimossa del direttore de “La Difesa della razza”: la rivista pubblicata tra il 1938 e il 1943 per sostenere e promuovere le leggi razziali in Italia, dunque il segnacolo di orrore della più abietta tra le vergogne di cui questo siciliano di Chiaramonte Gulfi ebbe a farsi custode e promotore. Ed ecco, nel racconto di Mughini, una cena di siciliani a Milano – “siciliano Sciascia, siciliano io, figlio di un siciliano Antonello” – che si ritrovano a discutere il destino del siciliano Interlandi: il fascistissimo artefice di “Tevere”, il giornale preferito di Cesare Zavattini, e “Quadrivio”. Sono le testate che negli anni Trenta ospitano Vincenzo Cardarelli, Mario Soldati, Luigi Pirandello, Alberto Moravia, Antonio Delfini, Mario Mafai e Corrado Alvaro.

Trombadori ventenne – l’Antonello della cena è lui, comunista tra i più autorevoli della cerchia intellettuale – si ritrova con Interlandi in un giornale “dove gli sedeva accanto un altro ventenne, Giorgio Almirante”. E la memoria di gente come Trombadori, scrive oggi Mughini, è “la dimostrazione di come fosse una balla grande così quella che raccontava la Roma e l’Italia degli anni trenta come un tempo in cui un vallo profondo separava i fascisti dagli antifascisti”. Sul finire degli anni ottanta, e per tutti i novanta, l’Italia incontra un’effervescenza culturale sgombra di quegli esorcismi ideologici prepotentemente ritornati oggi, con l’antifascismo di maniera che mette sullo stesso piano l’Italia in cui vivevano e operavano Savinio, Terragni, Longhi o Prezzolini con quella di una mentecatta che indossa la maglietta Auschiwitzland a beneficio dei social. Un libro come questo – che pure ne conobbe di anatemi – un lavoro da scrivere e confezionare oggi, sarebbe impensabile vederlo in libreria. Ma Marsilio ha visto lungo, anzi, l’ha ritrovato dentro l’incastro dell’Affaire Sciascia, la più libera tra le nostre matrioske.

La settimana incom

 

Non classificato
Cara terra loro. Che potesse accadere un “Albano gate” noi non l’avevamo imaginato nemmeno nei nostri peggiori incubi. Eppure è successo: Albano Carrisi è una minaccia per l’Ucraina. Il ministero della Cultura di Kiev ha inserito il nome de cantante nella lista delle potenziali minacce per la nazione a causa della vicinanza al Cremlino. Albano pensavo si trattasse di un pesce d’aprile in anticipo, invece no. Stessa sorte è toccata a Toto Cutugno. Un gruppo di deputati ha chiesto al capo dei servizi di sicurezza di utilizzare misure preventive nei confronti del cantante di “Sono un italiano”. Pupo trema.

Promossi
Nessuna sorpresa. Alberto Angela è tornato e come sua abitudine ha sbancato: grandi ascolti per la prima puntata della nuova stagione di Meraviglie che con oltre 4milioni 500mila spettatori (share 19,3%) stravince la prima serata. Qualcuno si stupisce?

Grandi Milanesi/1. Il sindaco di Milano Beppe Sala intervista Mahmood, che dal Gratosoglio ha conquistato Sanremo. “Milano per me è casa, è la culla della mia musica, sui tram e sugli autobus trovo ispirazione per la musica, ho scritto tante canzoni sulla 79. Non mi piace quando si denigra la periferia. A Gratosoglio mi sono sempre sentito sicuro. La periferia è fonte di creatività per chi fa un mestiere come il mio”.

Grandi Milanesi/2. Ghali ha scelto di presentare il suo nuovo singolo, “I love you”, nel carcere di San Vittore. Il rapper nato a Milano da genitori tunisini conosce il carcere fin da quando era piccolo. “Mano nella mano come due compagni di classe durante la ricreazione, andavamo a trovare papà in quel posto, sotto il sole cocente e sotto le nevi di Milano: Ghali ha scritto queste parole nel 2017 in un post su Instagram dedicato alla mamma. Piccola lezione su come si combattono i pregiudizi.

Bocciato
Trota Usa. Secondo il New York Post, l’allenatore personale della famiglia Obama è stato accusato di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di denaro, reato che risale ai tempi in cui era insegnante di tennis alla Georgetown University. Tra il 2012 e il 2018 avrebbe incassato due milioni e 700 mila dollari in mazzette in cambio dell’ammissione di almeno 12 studenti alla squadra di tennis dell’ateneo. Coinvolta anche l’attrice Felicity Huffman, accusata di aver pagato una tangente da 15mila dollari per agevolare l’ingresso della figlia in un’università. I genitori pagavano le tangenti sotto forma di donazioni (che negli Usa sono fiscalmente detraibili) a una fondazione non profit di William Rick Singer, che aveva anche una società di consulenza per l’ammissione ai college. Renzo Bossi in confronto è un dilettante.

Marijuana light-mania & business. Quando si dice una “vita da cani”

“Dimostrate al vostro animale che siete i suoi migliori amici mettendo la sua salute in cima alle vostre priorità”. L’ennesima pubblicità di cibo per cuccioli domestici? No, è quello che si legge sul sito della società JustMary.fun, che commercializza con successo prodotti a base di Marjuana light per cani e gatti (oltre che umani), tanto da prevedere l’anno prossimo la quotazione in borsa. Molteplici e quasi un po’ miracolosi sarebbero gli effetti sul cane dell’olio di Cbd (cannabiniolo non psicoattivo): antifiammatori, antiepilettici, come cura per la osteartrosi, contro il dolore oncologico ma anche per contrastare perdita di appetito, alleviare stress e ridurre aggressività. Una vera panacea, utile pure per combattere l’ansia dell’animale con passato in canile e che magari soffre di panico da separazione. Stessi toni appassionati si trovano anche nella sezione “pet” di un’altra azienda – la WeedEntity – che distribuisce prodotti con Cbd per animali. “Il Nostro adorato compagno di avventure può anche lui soffrire di disturbi mentali e fisici. […]. Ed è qui che entra la caratteristica del bello del Cbd. Quello di lavorare in concerto con il naturale sistema endocannabinoide dei vostri cani e gatti, il tutto per fornire loro un sollievo di cui hanno bisogno per sviluppare in pieno le loro capacità e condurre una vita sicuramente migliore”. Soprattutto, si specifica, quando i migliori amici diventeranno vecchietti, dunque “apatici e depressi”: in questo caso “il Cbd può essere utilizzato per fornire una carica di energia che ridarà entusiasmo al vostro animale”.

Insomma, grazie alla cannabis light vedrete la vecchia gatta Palla riprendere vita dopo la depressione, l’ansioso cane Briciola lasciarsi alle spalle brutti trascorsi e pure il pesce rosso nuotare sprintoso. E potrete finalmente rilassarvi anche voi, anche perché non c’è nessun rischio di dipendenza (difficile immaginare future comunità per bassotti o persiani un po’ tossici). Certo, resta il dubbio che la “cannabis light mania” sia una moda passeggera che fa leva sulla corsa al salutismo animale dei padroni, che correranno ad acquistare oli alla marijuana così oggi come comprano integratori e prodotti omeopatici per non umani. In sé nulla di male, anzi, che gli animali vengano curati come gli uomini fa ben sperare e lo stato potrebbe fare di più, visto che oggi, come i bambini, anche cani e gatti se li possono permettere solo i ricchi (ma prima di Fido, il cannabinoide gratuito diamolo a tutti i malati). Meglio però essere consapevoli che un giorno i nostri animali potrebbero, in qualche modo, chiederci conto del perché gli abbiamo dato l’olio di cannabis leggera con vitamine, olio di pesce e altri vezzi salutistici invece di un po’ di vera marijuana. Che li avrebbe fatti svagare davvero e anche dimenticare i dolori della propria condizione canina. Da cui ormai è espulsa ogni trasgressione o passione, fatta com’è di passeggiatine con padroni sempre più anziani e ansiosi, cappottini vintage, pedicure e crocchette bio.

Case chiuse, un tema per attempati

Ero bambina quando sentii pronunciare in televisione il termine: “Case chiuse”. Non ricordo se fosse un film, una tribuna politica o un documentario. Ma alla mia richiesta di spiegazione mamma arrossì e papà sorrise, ed entrambi cambiarono discorso. Mi sono resa conto che faceva parte di quella sfera di cose proibite sulle quali era meglio non ficcare il naso. Sono cresciuta, e ho saputo quel tanto che basta per capire che il tema è una roba da maschi spesso sulla pelle delle donne. Un tema buono per signori attempati e nostalgici, o per uomini politici in cerca di un’ulteriore occasione per mettersi in mostra. È appena stata fatta una legge che multa gli automobilisti in cerca di un’avventura notturna. E giù una raffica di polemiche. Un deputato pontifica sul tema: “Basta! È ora di superare la Merlin! Le strade sono uno schifo!”. Mi viene in mente De Andrè che cantava: “C’è chi l’amore lo fa per noia. Chi se lo sceglie per professione. Bocca di rosa né l’uno né l’altro. Lei lo faceva per passione”. In genere sono dubbiosa sulle mie idee, ma su un tema come questo lo sono ancora di più. Quello che non mi sta bene è lo sfruttamento, la violenza sulle donne e il dramma che spesso si nasconde dietro queste vicende. Una società civile dove mi piacerebbe crescere, dovrebbe essere una società laica, dove la tutela della dignità e della salute della donna, a prescindere dalle sue scelte di vita, fosse in cima agli impegni e ai pensieri di chi ci governa. La cosa che andrebbe fortemente contrastata non è il concetto di prostituzione, ma il senso di possesso del corpo femminile come se fosse un’esclusiva proprietà dell’uomo. Mi piacerebbe ribaltare la situazione. E se fosse il maschio a essere trattato come oggetto o come merce di scambio? Credo che non interesserebbe a nessuna donna.

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Caso Imane, il veleno che viene dall’antica Roma

L’assassinio di una persona attraverso il veleno costituisce un’arte antichissima. Nell’antica Roma, in particolare, la memoria collettiva ha registrato costantemente casi di veneficio perpetrati da donne sino a renderle indiscusse protagoniste di eclatanti casi giudiziari e, conseguentemente, a far percepire il veneficio come una pratica criminale squisitamente femminile. Nei documenti antichi pervenutici si sono conservate le registrazioni di diversi venefici, come quello del 151 a.C. di cui parlano Livio (Periochae 48) e Valerio Massimo (Factorum et dictorum memorabilium 6.3.8) per la valenza politica del caso: due donne, accusate di aver avvelenato i loro mariti, ex consoli, furono giustiziate per via sommaria. Secondo la versione raccolta da Valerio Massimo, “Publicia, e parimenti Licinia, che avevano ucciso col veleno Postumio Albino e Claudio Asello, rispettivi loro mariti furono strangolate dai propri parenti: i quali, severissimi com’erano, ritennero che, trattandosi di un delitto così evidente, non si dovesse attendere il lungo lasso di tempo che sarebbe intercorso prima della celebrazione del processo. E così, come sarebbero stati pronti a difenderle, se innocenti, si affrettarono a punirle colpevoli”. Oggi, alla ribalta della cronaca nera italiana vi è il caso oscuro e inquietante di Imane Fadil, giovane modella, ma soprattutto teste chiave del processo sul caso “Ruby”. Secondo gli investigatori, una delle possibili cause della morte potrebbe essere per sostanze radioattive (cobalto si dice). Nuove sostanze tossiche e nuovi venefici; non sappiamo se la mano che ha sparso il veleno sia di un uomo o di una donna, una cosa è certa: oggi come nel passato, le donne restano protagoniste e vittime, avvelenatrici o avvelenate che siano.

Passeggiata tra i vicoli: la “strana professione” di fare e disfare le città

Ludovico Quaroni è stato un grande architetto, per la mia generazione, che lo ha sempre sentito come leader in questa strana professione (definizione di Bruno Zevi) di fare e disfare la città.

Ora una sua riflessione, (“I volti della città”) bella come un poema in prosa, ampia e profonda come se avesse mille pagine (ne ha 61), è stata pubblicata (ripubblicata) dalle Edizioni di Comunità.

Quaroni ha avuto molti momenti felici nel suo mestiere di progettare e di costruire. Ma questo libretto è il suo momento felice dello scrivere. Sgorga da una ispirazione che lo guida mentre attraversa una città. L’architetto guarda, vede, ricorda, scompone, usa i pezzi di un buon linguaggio letterario, dell’architettura, della memoria, dei sentimenti che a momenti sono nostalgia, a momenti ricordo o flash back di discorsi e di opere fatte, di insegnamento e di conversazione. Dice, per esempio: “Possiamo ‘vedere’ la città; uno per uno, adagio adagio, nel passeggiare quotidiano per strade qualsiasi, scopriremo i monumenti. C’è una strada più simpatica delle altre che mi invita, oggi, e mi attira nel rione antico: è la sua curva delicata che mi piace, e mi piace l’altezza, la dignitosa umiltà delle case, la zona d’ombra e di sole sul selciato, che compensa la stagione, il silenzio particolare o la particolare vita; o è solo una inconscia attrazione della macchia chiara del cielo fra i tetti, e l’accostamento del colore azzurro con quello degli intonaci invecchiati”.

Sentite? Una voce segnata da buone letture incrocia una evocazione di Pascoli con un incedere lieto e nitido alla Palazzeschi. Però non voglio celebrare il letterato, benchè il testo sia francamente bello. Voglio ritrovare l’architetto che è stato così importante per l’Italia della mia epoca, e sentirmi, come un tempo, in buona compagnia.

Non vorrei che il momento di attenzione dovuta alla scrittura coprisse le pagine importanti di riflessioni di un architetto che sa in ogni momento, di costruire una casa e di costruire la città.

La città di Quaroni è una parte organica (nel senso della vita) del mondo che comunica, respira, ricorda, risponde. E sa come gratificare l’attenzione raccontandoti cose che chi non frequenta la città non saprebbe, non vedrebbe mai. Come quel ritaglio di cielo chiaro o lo sprazzo di sole fra le case del vicolo.

Caso Sarti, “io, vivo nel terrore che possano uscire miei filmati su internet”

Gentile Selvaggia, la vicenda Sarti e la storia delle sue foto hard mia ha riportato alla mente quello che speravo di aver rimosso per sempre, ovvero una vicenda umana e giudiziaria vecchia ormai qualche anno. Accadde che tempo fa tradii mio marito, un uomo buono e semplice, che si è sempre fidato di me. Ho fatto una di quelle cose da moglie annoiata al mare da sola con un figlio piccolo, mentre lui rimane in città al lavorare ancora un mese prima di raggiungerti. Mi sono sempre assunta la responsabilità di quella leggerezza, non ho mai attribuito colpe a lui del tipo “non mi guardava più”, “Eravamo stanchi”, “Mi trascurava”. No, lui mi amava ed era presente. Al bar della spiaggia c’era questo cameriere che mi corteggiava educatamente, che usava mio figlio per ispirarmi simpatia, che mi guardava con sguardi inequivocabili. Abbiamo cominciato a chattare, lui al bar, io sul lettino che guardavo mio figlio giocare con i coetanei. Sono iniziate le prime allusioni sessuali, poi le richieste di vederci e dopo una settimana ero a casa sua iniziando quella che per 20 giorni circa è stata una storia di sesso piacevole e senza coinvolgimenti sentimentali. Almeno questo credevo. Io infatti ero stata chiara fin da subito: non lascerò mai mio marito e questa è solo un’avventura. Piacevole, eccitante, ma senza un futuro. Lui mi rispondeva sempre: non ti ho chiesto niente, stai tranquilla. Poi arriva mio marito e la cosa si fa comunque imbarazzante, lui andava spesso al bar col bambino, io controllavo con la coda dell’occhio, lui continuava a scrivermi che mi voleva, io avevo smesso di rispondergli. Ho convinto mio marito con una scusa a cambiare stabilimento. Da lì sono iniziati i messaggi d’odio: stronza, sei sparita, hai cambiato spiaggia, so dove andate, puttana, non si tratta la gente così. Io gli ho detto che se continuava lo denunciavo, non ci dormivo la notte. Allora mi ha scritto che a casa sua c’erano delle telecamere davanti al letto e che se l’avessi denunciato avrebbe mandato tutto a mio marito e chissà a chi. L’ho denunciato perché mi è preso il panico e nel prendere questa decisione ho dovuto dire tutto a mio marito, che dopo il trauma iniziale mi è rimasto accanto. Tra le indagini e il processo per stalking, minacce ed altro io ho vissuto nel terrore di vedere ovunque filmati di me che facevo sesso con lui. Non ho neppure mai saputo e mai saprò se esistevano veramente (in casa sua non li hanno trovati), ma vivo con il pensiero costante che un giorno saltino fuori da qualche parte, specie perché è stato condannato e mi odia. La mia solidarietà quindi a Giulia Sarti, chi non ci passa non ha idea dei danni psicologici per chi passa attraverso queste forme di vendetta.

A.

Cara A., spero che la legge sul revenge porn venga approvata quanto prima. Nel frattempo, mi limito a notare come il problema sia diventato d’urgente soluzione quando ha toccato la politica. Prima di allora, neppure il dramma di tante ragazze e il suicidio della povera Cantone, avevano accelerato così tanto la pratica.

 

“Tempesta emotiva”, così un uomo diventa un potenziale assassino

Ciao Selvaggia, ho una storia difficile da condividere. Sono la figlia di un uomo che molto tempo fa ha commesso un tentato omicidio. Quell’uomo è stato un padre mite e affettuoso con me e mia madre finché ho avuto 20 anni, poi senza alcuna ragione esterna e senza traumi pregressi, ha avuto una depressione fortissima e una serie di disturbi della personalità a seguire. Mia madre l’ha lasciato dopo anni di dure lotte contro il suo male, lui è sprofondato ancora di più in un gorgo di tristezza e risentimento. Non ho mai giudicato mia madre per averlo lasciato, stare accanto a lui era diventato faticoso e tossico, specie perché lui rifiutava una serie di cure che gli sarebbero senz’altro servite. Fatto sta che in uno di quei periodi in cui mandava messaggi sconclusionati a tutti e rifiutava di incontrarmi, ha quasi ammazzato una persona. Diciamo un amico, sebbene in realtà fosse anche un quasi parente. Mio padre. Un uomo che mi ha insegnato il valore della non violenza, che non ha mai alzato la voce con nessuno, che mai nella vita ha neppure dato uno schiaffo sul sedere al cane e che chiedeva a mia madre di non farlo mai. Ricordo la mattina in cui ci chiamarono i carabinieri: pensai a uno scambio di persona. E invece no. Mio padre si è dichiarato colpevole da subito, ha dato le sue spiegazioni, non si è giustificato, ha ammesso di non essere stato provocato. Ha detto che viveva un periodo di scarsa lucidità, di depressione, di offuscamento della razionalità, che aveva idee di morte e paure, specie di essere ingannato e tradito degli altri. Che non era mai stato un violento. Io sapevo che diceva la verità. La controparte, legittimamente, non gli ha creduto. Tutto questo per dirti che quando ho letto della “tempesta emotiva” e di quella sentenza tanto contestata, io ho capito cosa intendeva dire chi l’ha scritta. É difficile comprendere che gli assassini (o quasi assassini) non sono tutti uguali ma che ad essere uguale è solo l’effetto delle loro azioni. Io, da figlia, posso dire che quello che ha quasi ammazzato un uomo era ed è un uomo che viveva un profondo disagio psichico e che da questo è stato travolto. Ma io so chi era quell’uomo prima che quel disagio lo trasformasse in ciò che non è e che non sarebbe mai voluto diventare.

M.

Se gli assassini fossero tutti uguali, non esisterebbero i processi per omicidio. Il concetto sembrava un pilastro della società civile ormai acquisito da tempo, ma nell’era del populismo giudiziario va specificato anche questo.

 

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Reddito di cittadinanza, lo show di Grillo e la realtà al Sud

“La Calabria è la regione che in assoluto ha fatto meno domande di reddito di cittadinanza. E allora diciamolo che o lavorate tutti in nero o siete tutti della ‘ndrangheta”. Da Catanzaro, Beppe Grillo striglia i calabresi. Certo, è uno show, le parole volano in libertà, il comico ha la necessità e il diritto di usarle come gli aggrada. Non deve spiegare, approfondire, portare dati a supporto della sua tesi. Ma c’è un ma, e riguarda Grillo. Le sue parole sono quelle di un giullare o di un ideologo politico? Certo, lui dice che ormai col Movimento c’entra poco o nulla, che tutto è nelle mani dei suoi “meravigliosi” ragazzi, ma sa che non è così. Sa che le sue invettive urlate da un palco, ad un certo punto sono diventate Politica. Linee programmatiche per il governo del cambiamento. E sa che al Sud ci hanno creduto, tanto che gli hanno tributato consensi da far impallidire i bulgari. Quindici punti in più, secondo l’Istituto Cattaneo, rispetto al dato nazionale. 47,3% alla Camera, 46,6% al Senato. 63,4% nel collegio che ha eletto Luigi Di Maio. Una valanga che conteneva in sé una sola, disperata richiesta: rivoltare il Sud come un calzino. Così non è stato e non è. Lo dimostrano i fallimenti nel governo di realtà locali, i risultati in Abruzzo, le difficoltà ad affrontare le prossime elezioni in Basilicata, la subalternità alla Lega. Al Sud non bastano più gli slogan, servono analisi della realtà concrete. Se in Calabria su una platea di potenziali beneficiari del Rdc di 144mila persone, il primo giorno si registrano solo 1.810 domande, forse i motivi vanno ricercati altrove. Altro che ‘ndrangheta e lavoro nero. I Cinquestelle tra il Pollino e lo Stretto hanno eletto 17 parlamentari, si facciano un giro ai terminal dei bus che partono per il Nord Italia e l’Europa per capire dove sono finiti i giovani calabresi. Altrimenti i voti presi svaniranno e servirà a poco gridare “onestà, onestà”, per sconfiggere le classi politiche che governano le regioni meridionali. Le peggiori del Paese.

Generazione “green”: l’onda ecologica sfida padri e nonni

Amo la bella gioventù che venerdì scorso ha riempito le piazze di 235 città d’Italia! Amo lo sciopero degli studenti contro i mutamenti climatici, in difesa di un ambiente che la brutta generazione dei padri e dei nonni ha compromesso forse fatalmente. Amo la colonna sonora dei loro raduni, la commozione con la quale cantano “Bella ciao” in versione ecologista, sventolando cartelli su cui leggi: “Svegliati! Il mondo sta cambiando perché noi no?”, e capisci che quel noi è invece un voi, un’accusa, una questione generazionale sbattuta – giustamente – in faccia. Scusateci, figli e nipoti: eravamo ubriachi fradici di petrolio, di crescita dissennata … Amo i centomila che hanno colorato il fatuo centro-vetrina di Milano, gridando a squarciagola “ci state rubando il futuro!”, davvero una marea, tanto che il corteo invece di concludersi in piazza della Scala, ha proseguito fino a piazza del Duomo, così da starci tutti. Onde di protesta contro chi trascura l’ ambiente (sacrificato sull’altare dell’opportunismo nei recenti programmi elettorali), tsunami che prescinde dagli egoismi nazional-populisti – figuriamoci i sovranismi – e che assume una dimensione europea, globale, perché gli sconquassi del clima non hanno confini né possono essere respinti dai muri. Ma amo anche la poesia, caro Fierro. E il 21 marzo viene celebrata in tutto il mondo. Ne ricordo una, bellissima. Perfetta per i FridaysForFuture, i venerdì ambientalisti: “Versicoli quasi ecologici” di Giorgio Caproni (è nel primo dei due volumi a lui dedicati dalla collana I Classici della Poesia, Mondadori 2009, pag.788). “Non uccidete il mare,/la libellula, il vento./Non soffocate il lamento/(il canto!) del lamantino./Il galagone, il pino:/anche di questo è fatto/l’uomo. E chi per profitto vile/fulmina un pesce, un fiume,/non fatelo cavaliere/del lavoro. L’amore/finisce dove finisce l’erba/e l’acqua muore./Dove sparendo la foresta/e l’aria verde, chi resta/sospira nel sempre più vasto/paese guasto:‘Come/potrebbe tornare a esser bella,/scomparso l’uomo, la terra’”.

Dc di sinistra e clericali sovranisti: il governo ha due anime cattoliche

Ivertici dello Stato son pieni di cattolici: il presidente della Repubblica, il premier e i suoi due vice. E anche loro riflettono la drammatica divisione che attraversa la Chiesa di papa Francesco. Un altro segno di questo agitato tempo populista. Meglio sovranista, ché la destra clericale si richiama esplicitamente al fascioleghismo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Entrambi saranno al XIII congresso mondiale delle famiglie che si terrà a Verona dal 29 a al 31 marzo.

E mai come questa volta, in una repubblica che si definisce occidentale e laica, arrivano endorsement a favore di un nuovo Medioevo oscurantista, come chiesto esplicitamente dalla colonne del Giornale da monsignor Luigi Negri, il prelato che invocò la Madonna per far morire Bergoglio come già papa Luciani.

Da segnalare, poi, l’ulteriore involuzione integralista del popolo del Family Day (che pure s’appellava, fino a qualche anno fa, ai cattolici moderati come Alfano e Lorenzin): il suo presidente Massimo Gandolfini ha dichiarato pubblicamente di sostenere il partitino lepenista di Fratelli d’Italia. Ovviamente, la parte più consistente del network dei farisei della Dottrina (in testa La Verità di Belpietro e vari siti online) individua nel divorziato Salvini il defensor fidei in grado di guidare una nuova Lepanto (uno dei miti del killer suprematista della Nuova Zelanda) contro migranti, omosessuali, rom, abortisti.

A fronte di questo schieramento che predilige l’odio all’amore, nella maggioranza di governo, c’è il cattolicesimo democratico del premier Giuseppe Conte, peraltro devoto di San Padre Pio e convinto bergogliano. L’avvocato del popolo si è formato a Villa Nazareth a Roma, uno dei laboratori della dottrina sociale della Chiesa. Conte la frequentò quando era diretta dall’attuale Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. E lì sono passati Moro, Mattarella, Prodi, Elia e Scoppola.

Al momento, però, come accaduto già su altre questioni di governo, nella narrazione gialloverde prevale l’anima nera dei salviniani, quella del sovranismo clericale.