Con questa sinistra, Salvini può dormire sonni tranquilli

“Se il Pd può perdere le elezioni, lo farà”.

Rino Cerritelli e Luca Eslebano: ‘In politica errare è umano’ (Scripta Volant)

 

Che molto presto Matteo Salvini possa salire a Palazzo Chigi appare sempre più probabile. Per meriti suoi ma soprattutto per demerito degli altri. Dei donatori di sangue Cinquestelle. E del Pd, specialista mondiale in autogol. Un partito che tira così spesso nella propria rete da suscitare il sospetto che lo faccia apposta. Prendiamo le prossime elezioni europee: occasionissima per un partito che ha scelto come bandiera il manifesto di Ventotene, contro gli arrembanti nemici dell’Unione. In un centrosinistra appena normale, e dotato di un minimo buon senso politico, si starebbe lavorando alacremente a compattare tutte le forze da questa parte del campo. Per dare vita a una santa alleanza filoeuropea contro i perfidi sovranisti, quelli guidati dal capitano leghista e intenzionati a trasformare il Parlamento di Strasburgo in un bivacco della destra. Quindi, uno si immagina un listone che metta insieme l’intero arco delle forze del centrosinistra con il compito di fermare i barbari alle porte. E dunque, per una volta, basta divisioni, basta litigi, basta spararsi allegramente sui piedi. Anche perché polarizzare lo scontro consente, in genere, di polarizzare i voti. E magari, hai visto mai, si potrebbe provare a vincere. Bene, sapete con quante liste si presenterà il centrosinistra il 26 maggio? Al momento quattro, ma con un piccolo sforzo ancora possono diventare cinque o sei o addirittura sette. E con quelle di sinistra-sinistra forse anche, mi voglio rovinare, otto (mai dire mai). Uno: ‘Pd-Siamo Europei’ di Nicola Zingaretti e Carlo Calenda. Due: ‘Mdp + Psi’. Tre: ‘Più Europa’ di Emma Bonino, Benedetto della Vedova e Bruno Tabacci. Quattro: ‘Italia in comune-Verdi-Possibile’ di Federico Pizzarotti, Elena Grandi e Pippo Civati. Sempre che Matteo Renzi non lanci i “suoi” comitati civici, iniziativa che va “oltre il Pd” (anche se, direbbe Massimo D’Alema, “oltre” la sinistra c’è solo la destra).

Senza contare che ci saranno liste autonome di ‘Sinistra italiana + Rifondazione comunista’. Mentre ‘Potere al Popolo’ sarà presente ma senza l’accordo con il movimento di Luigi de Magistris, che potrebbe quindi correre da solo. Una strategia di frammentazione che sembra studiata apposta per agevolare la marcia trionfale della Lega e rianimare il M5S. A questo punto una domanda sorge spontanea. A sinistra ci sono o ci fanno? Propendiamo per la seconda ipotesi anche se l’istinto suicida di quella parte politica si nutre avidamente dell’avversione verso i propri simili. Anzi: pur di non vincere insieme si preferisce perdere tutti insieme. Visto e considerato che, a parte il Pd, difficilmente i cespugli che si ammantano d’Europa riusciranno a superare la soglia di sbarramento del 4%. Conseguenza: una montagna di voti gettata al vento. E alla destra che avanza ponti d’oro. Con questi qua, il prode Salvini può dormire sonni tranquillissimi.

Decretone, pensione in contanti e riscatto laurea per over 45

Lunedì arriverà in aula il decretone che contiene il reddito di cittadinanza e quota 100, con alcune significative novità votate dalle commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera. Tra queste spiccano la riduzione del numero dei navigator: anziché 6mila assunti da Anpal Servizi, saranno 3mila e forniranno “assistenza tecnica” ai Centri per l’impiego delle Regioni che poi dal 2020 potranno assumere altre 3.000 persone e dal 2021 ulteriori 4.600. Sul fronte della pensione di cittadinanzapotrà essere pagata anche in contanti negli uffici postali o in banca e non solo sulla card del reddito. Chi ha un lavoro pagato pochissimo potrà accedere ai servizi di ricollocamento. Le famiglie con disabili portano a casa solo 17 milioni di euro a regime. Contro i furbi del RdC arrivano 100 finanzieri e 65 carabinieri aggiuntivi. Prevista poi la sospensione del beneficio non solo per condanne definitive, ma anche in caso si sia indagati o imputati. Nuova stretta sugli stranieri: non potranno richiedere reddito e pensione di cittadinanza se posseggono immobili del valore superiore a 30.000 euro non solo in Italia ma anche all’estero. Infine il riscatto della laurea: è stato esteso anche agli over 45.

Paradisi fiscali, le fatiche di Roma per difendere gli Emirati Arabi

“Non si tratta di un veto, ma di aver espresso un’opinione sul fatto che gli Emirati Arabi hanno presentato già alla Commissione la legislazione che devono approvare, che ha una piena compliance con quanto viene richiesto. La nostra proposta era che si concedessero tempi ulteriori come si è fatto con altri Paesi”. Questa frase è stata pronunciata dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, la mattina del 12 marzo, prima dell’Ecofin. Una presa di posizione inusuale, espressa nel momento più delicato della negoziazione: i ministri europei si riunivano per stilare la lista nera dei Paesi che la Commissione Ue ritiene paradisi fiscali. La misura, introdotta per la prima volta nel dicembre 2017, è stata elaborata dagli Stati membri e monitorata dal gruppo Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese per “affrontare i rischi esterni di abuso fiscale e di concorrenza fiscale sleale”, come scrive la stessa Commissione. Sanzioni ancora non ce ne sono, a parte l’ineleggibilità ai fondi europei per lo sviluppo economico. Ma l’iter è ancora in evoluzione e prima o poi i provvedimenti diventeranno concreti.

Il processo si svolge quasi interamente a porte chiuse, seppur con criteri che dovrebbero essere solo economici e non politici. Almeno su carta. Solo parte dei carteggi tra il gruppo Codice di condotta e le autorità fiscali dei Paesi sotto osservazione è diventa pubblica. Ma allora perché l’esternazione di Tria? “Non c’è da guadare solo alla relazione economica, ma anche al contesto geopolitico”, spiega Gabriele Iacovino, direttore del Cesi (il Centro studi internazionali). L’Italia, con oltre 600 piccole e medie imprese attive negli Emirati, è il sesto Paese per esportazioni, il terzo nell’Ue dopo Germania e Francia. Nella prima metà del 2018, il 26% degli investimenti diretti esteri italiani (dati Ice) sono finiti negli Emirati, per un totale di circa 4 miliardi di euro. È un mercato del lusso, dove il made in Italy funziona in settori tradizionali come arredamento, moda, cibo, auto di lusso.

Leonardo-Finmeccanica ha due controllate nel Paese del Golfo e gli ultimi due anni ha rafforzato la sua presenza: a novembre 2017 ha annunciato la collaborazione con l’emiratina Mvp Tech per fornire servizi di cybersecurity alle agenzie governative locali e concorre per aggiudicarsi la sicurezza dell’Expo che si terrà a Dubai nel 2020. Poi c’è l’Eni. L’azienda da novembre 2018 possiede il 25% della concessione Ghasha, con cui esplora quattro giacimenti di gas nella regione di Al Dhafra. A marzo era già entrata con quote minori in altre due concessioni petrolifere. Il 27 gennaio ha acquistato per 3,3 miliardi di euro il 20% della raffineria Adnoc Refinery di proprietà della Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), società di cui amministratore delegato è Sultan Ahmed Al Jaber, ministro degli Emirati. Come hanno notato alcuni analisti, sul piano economico è ancora da stabilire se l’investimento sarà un affare. Ma per Thomas Paoletti, avvocato italiano a Dubai “è la più imponente operazione commerciale realizzata da un investitore straniero in campo energetico nella storia degli Emirati”.

C’è però anche il lato geopolitico. “La regione del Golfo si è spaccata, con il Qatar che è stato messo da parte dagli altri Stati per la sua politica estera troppo autonoma”, ricorda Gabriele Iacovino del Cesi. “Gli Emirati – prosegue – sono i più attivi su scala regionale, in Nord Africa e rispetto alla Libia”. Infatti Egitto ed Emirati sono i principali sostenitori di Khalifa Haftar, l’uomo forte della Libia orientale, che in Europa è sempre stato più vicino alla Francia. Parigi ha cercato di aggiudicarsi le stesse licenze di gas e petrolio sulle quali Eni ha messo le mani. “Avere un rapporto privilegiato con l’Egitto e con gli Emirati è prioritario”, spiega Iacovino. Non solo l’Italia ha interessi economici in Paesi finiti nelle liste offshore, ma prima del voto dell’Ecofin (senza unanimità non si può inserire nessuno nella black list) c’è stato anche il timore che l’accordo saltasse.

Alla fine tutto si è risolto, ma il ministero dell’Economia italiano il 13 marzo si è comunque sentito in dovere di fare chiarezza con una nota rispetto alle “inesattezze” circa la sua uscita nell’affare degli Emirati nella lista nera. Colpa della Reuters che per prima ha anticipato la posizione dell’Italia. Il Mef ha scritto “gli Emirati Arabi hanno già predisposto la normativa necessaria, ma che non hanno ancora concluso il lungo iter per la sua adozione formale previsto dalla loro Costituzione federale”. La stessa considerazione, in realtà, era già stata espressa nei documenti riservati visti dalla Reuters e sono la prova della presa di posizione italiana in difesa dei sette emirati. Non è un’inesattezza. L’Italia poi sostiene di aver fatto un passo indietro dopo aver ottenuto che nelle conclusioni di Ecofin fosse previsto che “una volta ratificata la modifica della rispettiva normativa, qualunque Paese debba essere tempestivamente rivalutato e uscire dalla lista nera”. Anche questo, in realtà, è un procedimento previsto: la lista è in continua evoluzione e semmai l’unico risultato ottenuto dalle trattative italiane potrebbe essere un’accelerazione nel processo di uscita dalla black-list. Ma è tutto da vedere. Si può prevedere un inasprirsi dei controlli e della due diligence da osservare in operazioni fra Emirati e Paesi dell’area Euro. Questo si tradurrà verosimilmente in un carico amministrativo-burocratico e, conseguentemente anche economico, per le operazioni che interessano i Paesi in lista. Intanto però l’Italia l’ha messo nero su bianco, per dimostrare agli alleati lo sforzo profuso.

Sblocca cantieri, scontro nel governo e no dei sindacati

No alla liberalizzazione dei subappalti e al dumping contrattuale per i lavoratori delle costruzioni. E no, anche, al ritorno del general contractor. Su questi fronti c’è l’altolà dei sindacati, in vista del tavolo tecnico sul decreto sblocca cantieri fissato per domani mattina al ministero delle Infrastrutture, prima che il provvedimento arrivi in Consiglio dei ministri mercoledì 20 marzo. Il perimetro del provvedimento, con le modifiche al codice degli appalti, non è ancora ben definito. Cgil, Cisl e Uil preoccupati soprattutto dei subappalti: nella bozza dello schema di decreto c’è infatti la proposta di eliminare l’obbligo di non superare la quota del 30% dell’importo complessivo dei lavori. Così “il problema è il rischio di rendere il subappalto selvaggio“, con una catena al massimo ribasso”, sottolinea il segretario nazionale della Filca-Cisl, Stefano Macale”, accusano. Intanto Lega e M5s litigano sui contenuti. I grillni escludono arrivi il super-commissario chiesto dal Caroccio (Ddi fatto un commissariamento del ministro Danilo Toninelli) e premono più commissari per le singole opere. M5S è contrario a modificare il subappalto, mentre Salvini vuole che il testo contenga anche norme sull’edilizia privata.

Caso Sarti, Bogdan ammette: “Il cancro non l’ho mai avuto”

“Sì è vero. Io ho detto a Giulia Sarti che ero malato terminale di tumore al telefono il 13 febbraio 2018. Sì è vero. L’ho scritto anche nella chat con lei. Sì: non era vero. Però questo non conta ai fini penali”. Parola di Bogdan Tibusche. “Il Gip lo spiega bene nell’archiviazione”, chiosa il 38enne di Bacau e ha ragione: “Non c’è truffa per il Gip perché la cosa del tumore la dico al telefono a Giulia solo a febbraio mentre i soldi li ho presi dal conto anche molto tempo prima, con il suo consenso”. Effettivamente la balla non è importante anche per i magistrati perché Giulia Sarti già gli aveva affidato le credenziali e il token per l’accesso on line. Comunque per Bogdan la bugia sulla malattia è durata poco: “Un giorno dopo le scrivo in chat che questa cosa l’avevo detta e scritta per darle un alibi alle mancate restituzioni al M5S”.

Questa è la versione di Bogdan, il misterioso ex ragazzo rumeno di Giulia Sarti che oggi nega anche la relazione. Attenzione alle date: la telefonata del 13 febbraio 2018 con la balla della malattia si inserisce il giorno dopo l’esplosione del caso delle mancate restituzioni al Fondo per il microcredito del Mef da parte di Giulia Sarti. Ancora un giorno e il 14 febbraio la parlamentare annuncerà al suo ex Bogdan la decisione di denunciarlo, cosa che farà poi il 15 febbraio. E lui il 16 si farà interrogare e porterà in Procura il telefonino con le chat di whatsapp e Telegram.

Il contenuto di quella conversazione e della chat successiva tra i due rende evidente tre cose: Bogdan ammetteva di essere stato il compagno di Giulia, almeno con lei. Bogdan le aveva detto di aver bisogno di soldi per questioni importanti già prima. In quella chiamata fa cadere solo il velo sulla ragione: Bogdan ‘confessa’ con tono solenne di avere avuto bisogno di soldi per la cura di una malattia terminale che gli dava 6-8 mesi di vita. Ma tutto era stato inutile. Non solo. Leggendo la chat seguente alla telefonata si intuisce che il lavoro di Bogdan – stando a quanto raccontava lui a Giulia Sarti – aveva a che fare con i servizi segreti. Sul punto al Fatto Bogdan dice solo: “Per ora parliamo solo di quello che è agli atti pubblici. Sul resto parleremo poi ma di certo non finisce qui”. Sulla malattia finta invece replica: “In quella telefonata offro a Giulia questo alibi per i mancati bonifici. Non è vero che sono malato. Non lo dico subito al telefono ma poi le scrivo il giorno dopo nella chat che la malattia è solo un alibi”. In effetti però si potrebbe anche pensare che Bogdan il 14 febbraio scriva nella chat a Giulia “quello che ti ho scritto era per darti l’alibi della denuncia non lo hai capito?” solo dopo aver appreso da Giulia che lei il giorno dopo lo avrebbe denunciato. Bogdan a quel punto sa che la balla della finta malattia può finire nella denuncia per truffa e – con quel messaggio a Giulia – mette le mani avanti smontando in anticipo l’accusa?

Pm e Gip non si pongono nemmeno la domanda. I magistrati accertano reati e si disinteressano dei fatti irrilevanti penalmente ma che hanno una grande rilevanza nel dibattito pubblico. Mai come in questo caso è evidente la distanza tra verità giudiziaria e verità tout court. Per il Gip Bogdan Tibusche non ha commesso appropriazione indebita ai danni di Giulia Sarti e non è un truffatore per la balla del tumore. La ragione? I bonifici per 35 mila euro in suo vantaggio, denunciati da Giulia Sarti, risalgono a molto prima che Bogdan le raccontasse la balla della malattia. Inoltre Giulia aveva dato al suo ex ragazzo il token del conto e quindi per prenderle i soldi lui non aveva bisogno di truffarla.

Il Gip è sovrano in materia penale ma nel dibattito pubblico queste conclusioni lasciano delusi. Troppe domande inevase. Giulia Sarti presentava Bogdan come il suo ragazzo e Bogdan oggi lo nega. Perché? Sarti sostiene che Bogdan le aveva detto che era una sorta di agente di un super servizio segreto. Bogdan aveva installato telecamere nella casa della Sarti per videosorvegliare le stanze. Era d’accordo con lei, come sostiene il rumeno? E con quelle telecamere sono davvero stati registrati incontri con terzi? Davvero Bogdan dispone di un backup delle videoregistrazioni? Il pm Davide Ercolani ha finora fatto una scelta rispettosa della privacy tenendo fuori la relazione, la malattia e le chat sulle missioni segrete dalle indagini. Eppure l’amore, la malattia e la professione di Bogdan potrebbero essere importanti per capire il ‘senso’ dei comportamenti di Giulia Sarti che oggi appaiono inspiegabili dall’esterno. Forse, anche alla luce della gogna mediatica seguita alla pubblicazione della verità monca di natura giudiziaria, sarebbe il caso che la magistratura facesse un passo avanti nella ricerca della verità.

“Devi morire” al tifoso deceduto allo stadio di Cagliari: Digos indaga

“Devi morire, devi morire”. Sarebbero questi, secondo diversi testimoni, i cori partiti da alcuni ultras della Fiorentina nei confronti di un tifoso del Cagliari che venerdì sera, durante la partita alla Sardegna Arena, ha avvertito un malore sugli spalti ed è morto. Adesso indaga la Digos: gli uomini della Questura di Cagliari e la Scientifica stanno acquisendo numerosi filmati da social, telecamere di sorveglianze e delle tv per ricostruire l’accaduto ed eventualmente risalire ai responsabili. L’uomo, Daniele Atzori di 45 anni, è poi morto fulminato da un arresto cardiaco che lo aveva colpito a dieci minuti dal termine della gara finita 2 a 1 per la squadra sarda. Il coro sarebbe partito alla vista degli operatori sanitari che erano intervenuti sulle tribune per portare via d’urgenza il tifoso colpito da infarto. Così ieri è esplosa la polemica anche perché, al minuto 13 della partita, le due tifoserie si erano unite in un unico applauso per ricordare Davide Astori, l’ex capitano di Cagliari e Fiorentina morto un anno fa. Secondo uno steward presente allo stadio la “gran parte dei tifosi viola non si è unita al coro e ha cercato di zittire quei pochi che cantavano”.

Elizabeth, l’interprete peruviana che polemizzò con Salvini è stata “licenziata” dal ministro

Aveva scrittoun libro, Lettera agli italiani come me. Di lettere, Elizabeth Arquinigo Pardo ne aveva scritte altre tre, indirizzate al ministro dell’Interno Matteo Salvini. Si è ritrovata, però senza risposta e senza lavoro: la ragazza peruviana, 28 anni di cui dieci vissuti in Italia, lavorava come interprete alla Questura di Milano, assunta con un contratto di collaborazione con da un’agenzia europea (EASO), fino a quando ha ricevuto una strana telefonata dalla sua responsabile. “Mi è stato detto che dal giorno dopo non avrei dovuto più recarmi in Questura. Anzi mi è stato detto esplicitamente che se mi fossi presentata mi sarebbe stato impedito di entrare”, ha raccontato la ragazza al sito di Fanpage. La ragione? Una direttiva ministeriale ad personam spedita proprio dal ministero degli Interni, che la esonerava dall’incarico. Non ricevendo maggiori informazioni, Elizabeth si è data da sola una spiegazione: la sua paura è che a costarle il licenziamento sia stata la sua esposizione mediatica negli ultimi mesi. Sui social, infatti, aveva a più riprese segnalato i disagi e le difficoltà affrontati dagli stranieri residenti in Italia. Aveva parlato anche del decreto Sicurezza, che ha causato un rallentamento nell’iter necessario per ottenere la cittadinanza italiana: le viene infatti richiesto un reddito di 10 mila euro all’anno, ricevuto in modo continuativo, per 3 anni. Soprattutto adesso, la possibilità che ha di percepirlo è sempre più remota. Il suo avvocato Andrea Maestri ha dichiarato: “Faremo una causa civile antidiscriminatoria, un ricorso al Tribunale di Como, per eliminare quella che riteniamo essere un’odiosa discriminazione che Elizabeth ha subito sul luogo di lavoro. Una decisione del tutto abnorme, che non ha tenuto conto delle competenze della ragazza. Chiederemo il risarcimento del danno non patrimoniale, il danno biologico ed esistenziale, per lesione della dignità umana e professionale della lavoratrice. Se venisse confermata la nostra ipotesi, cioè se dalle carte emergesse una discriminazione subita da Elizabeth, sarebbe un fatto inedito e gravissimo”.

Adesivi neofascisti sulla targa di Erno Erbestein, l’allenatore ebreo che morì a Superga

Hanno approfittato del buio per imbrattare la targa dedicata a Ernest Egri Erbstein, l’ex allenatore della Lucchese e del Grande Torino perseguitato dal fascismo perché ebreo. Il gesto è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato a Lucca, nella piazza dedicata a Erbstein, a pochi metri dal Palasport. La targa è stata ricoperta di adesivi inneggianti a “La meglio gioventù”, i gruppi ultras della Lucchese calcio da sempre vicini all’estrema destra. Il fattaccio è stato denunciato ieri dal sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini, che ha attaccato “l’estrema destra strisciante” che “occupa una parte della curva della Lucchese, senza però conoscere la storia gloriosa della squadra per cui tifano”. In giornata, alcuni gruppi avversi a “La meglio gioventù” avrebbero risposto con altri adesivi ma, secondo Tambellini, “non è con la guerra dell’adesivo che si ricorda Erbstein e il significato storico della sua vicenda”. Erno Erbstein, nato in Ungheria nel 1898, fu costretto insieme alla moglie e alla figlia Susanna a emigrare negli Usa durante il fascismo. Tornato in Italia da allenatore, sarà l’artefice del quinto scudetto consecutivo del Grande Torino prima di perdere la vita, insieme a tutta la squadra, nell’incidente di Superga.

Padre tenta di investire la figlia: vive troppo all’occidentale e si permette di cercare lavoro

Più uno scontro generazionale, che religioso. È la storia di un padre possessivo e all’antica, che vuole tenere sotto controllo una figlia alla ricerca di libertà, non quella di un musulmano che vuole imporre principi religiosi. Sarebbe questo lo scenario in cui venerdì pomeriggio a Livorno Ferraris (Vercelli) Moustafa Hayane, 50enne marocchino, ha tentato di investire sua figlia Meryam, di 21 anni. L’uomo è stato arrestato e portato nel carcere di Vercelli.

È indagato per tentato omicidio e maltrattamenti. La figlia è stata ricoverata all’ospedale Sant’Andrea: è stata abbastanza rapida ed è riuscita a non farsi beccare in pieno dall’automobile, così se la caverà in cinque giorni. Ieri era già tornata a casa, dove ha ricevuto le visite delle sue compagne di squadra e del presidente della Adbt Livorno Ferraris, società che milita nel campionato di Promozione di basket femminile.

“Le notizie sono confortanti – dice il presidente Gianfranco Falchetti –. Per fortuna non ha nulla di rotto. È a casa col collare”. La famiglia Hayane è in Italia da circa 15 anni e la ragazza è cresciuta giocando a basket. Da quanto hanno appreso i carabinieri, guidati dal comandante provinciale Andrea Ronchey, il papà non gradiva le compagnie della figlia, soprattutto quelle maschili. Inoltre il padre non apprezzava neanche la voglia di autonomia della ragazza, alla ricerca di un lavoro. Proprio quest’ultimo aspetto sarebbe al centro di un litigio venerdì, al termine del quale la 21enne era andata alla stazione per raggiungere un paese vicino e consegnare dei curricula.

Il padre l’ha seguita, le ha offerto un passaggio, ma lei si è rifiutata, così l’uomo ha reagito tentando di investirla. “La nostra comunità – dice il sindaco di Livorno Ferraris, Stefano Corgnati – è unita e dobbiamo ancora più lavorare affinché non avvengano episodi drammatici come quello appena successo”.

La banda del bancomat ha quasi distrutto il municipio

La chiamano la “tecnica della marmotta”, perché bisogna inserire una piccola carica esplosiva all’interno dello sportello automatico. Solo che stavolta gli autori della spaccata hanno esagerato con il gas acetilene, rischiando di buttare giù un’intera ala del palazzo comunale. È stata devastante l’esplosione che intorno alle 4.00 di ieri mattina ha distrutto l’ufficio anagrafe del Comune di Sperlonga, cittadina balneare nei pressi di Gaeta. Obiettivo degli esecutori era il bancomat adiacente alla parete dell’ufficio, finito in mille pezzi. Un colpo da circa 15.000 euro.

Sul caso stanno indagando i carabinieri della Compagnia di Terracina, coadiuvati dai militari della stazione di Sperlonga, per il momento senza esito. Il sistema di sorveglianza installato dalla filiale della Banca Popolare di Fondi era stato resettato pochi giorni fa e l’istituto di credito era in attesa della loro riattivazione. Su piazza Europa sono puntate anche le telecamere del sito di promozione locale “Sperlonga Turismo”. Da un primo esame delle immagini, pare che i malviventi siano riusciti a farla franca presentandosi a volto coperto, anche se gli inquirenti stanno cercando di ricostruire l’identikit di un membro della banda, nascostosi dietro un albero per sfuggire all’esplosione. I Carabinieri stanno facendo il giro degli ospedali per capire se qualcuno possa essere rimasto ferito nella deflagrazione. Tardiva anche l’allerta alle forze dell’ordine. Nonostante l’esplosione sia sta avvertita in tutta la parte alta del paese, nessuno avrebbe chiamato le forze dell’ordine, avvisate soltanto un paio d’ore dopo dal personale delle pulizie. I danni più ingenti ci sono stati nella sede del Comune. La cassa del bancomat era stata installata all’interno dell’ufficio anagrafe, che è andato distrutto. L’esplosione ha fatto saltare finestre, imposte, il bancone e parte degli armadi dove erano custoditi i documenti. Danni anche al controsoffitto e alle tubazioni, che hanno portato il semi-allagamento dell’ufficio. Il sindaco di Sperlonga, Armando Cusani, è riuscito non senza difficoltà a portare in salvo i documenti indispensabili per celebrare un matrimonio di lì a poche ore.

Nonostante la deflagrazione sia stata “paragonabile a una bomba”, i vigili del fuoco hanno comunque escluso danni strutturali all’edificio e il Comune ha già provveduto a stanziare i 100.000 euro necessari al ripristino dei locali.

Da settimane in tutto il sud pontino imperversano rapine di questo tipo. E non si esclude possano essere riconducibili a un’unica firma. Due gli episodi in questo inizio 2019. Il 19 gennaio alcuni malviventi hanno fatto esplodere un bancomat della Banca Popolare di Novara, presso il centro commerciale Le Torri di Latina. Il 9 marzo, invece, a saltare in aria è stato un bancomat a Borgo Grappa, sempre con il supporto dell’acetilene: gli autori del colpo in questo caso sono fuggiti con il bottino di 20.000 euro. Molto meno astuto, il rapinatore che il 25 agosto 2018 fece saltare un atm al centro della cittadina di Priverno (sempre in provincia di Latina), caduto poi in un dirupo nel tentativo di scappare.