Dal nostro inviato Wittgenstein

Ieri sera mentre rileggevo pagine del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein mi è arrivata dal Tg la notizia, “Imane Fadid è morta in ospedale”. Interrompo la lettura. Si tratta, dicono, di “avvelenamento da sostanze radioattive”.

Chi ha voluto la sua morte? Perché? È un attimo, Wittgenstein diventa l’opinionista di un quotidiano nazionale: la famiglia politico-mafiosa ha inviato un messaggio e l’ha fatto nel suo linguaggio, il solo che sappia usare.

D’altronde: “La proposizione mostra il suo senso” e il politically correct stenta a penetrare in certi ambienti. Agiscono da freno la tradizione criminale e il cinismo; in breve: l’attaccamento a un linguaggio involuto ma essenziale, incisivo come un “mix di sostanze radioattive”. Fadil è morta e oggi si nega anche di averla conosciuta, nonostante indagini e motivazioni di sentenze dicano il contrario.

Qual è il messaggio che arriva al Paese con questa morte? “Se la domanda può porsi, può pure avere risposta”. Ma: la domanda sul rapporto mafia-politica, può porsi? “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.

Musica, calendari e reality: la nuova vita delle Olgettine

Sono lontani i tempi di via Olgettina 65, quando le ragazze vivevano in un residence a Milano 2 e c’era il “papi” a pensare a tutto: soldi, regali, una carriera in tv o persino in politica. Nove anni dopo, tutte le “Olgettine” (se ne contavano decine) hanno dovuto rifarsi una vita. A partire da Karima el Mahroug, in arte Ruby, che ha dato il nome al processo. Dopo lo scandalo era fuggita in Messico, ma ha sentito presto il richiamo dell’Italia: pare si sia da poco ristabilita a Genova. Ha lasciato l’ex marito, convive con un altro compagno, ha due figli. Una vita tutto sommato “normale”.

In tante continuano invece a inseguire la celebrità, con più o meno successo: Nicole Minetti vive tra Ibizia e gli Usa e fa affari come dj. La prosperosa Francesca Cipriani è ormai un volto abbastanza noto della tv, dove continua a collezionare reality: si è appena ritirata dall’Isola dei famosi. Marysthell Polanco ha provato a darsi alla musica, Aris Espinosa si è inventata una rubrica di ricette su Instagram che ha potuto contare sull’affetto di un vecchio amico (i video sono sbarcati proprio su Mediaset, dove compare anche Elisa Toti). Per le altre è più dura: comparsate nei locali, calendari-hot, foto ammiccanti sui social.

Molte si sono rassegnate all’anonimato, per riapparire di tanto in tanto in aula. La Minetti è stata condannata a 2 anni e 10 mesi nel Ruby-Bis. Iris Berardi, Elisa Barizonte, le gemelle De Vivo, Polanco e Guerra sono state rinviate a giudizio nel Ruby-ter. Qualcuna ha addirittura raddoppiato: Giovanna Rigato ha provato a “ricattare” Berlusconi, ed è stata denunciata per estorsione. La Guerra, invece, è stata condannata per diffamazione per gli insulti rivolti a Barbara D’Urso. Si stava meglio ai tempi del Bunga-Bunga.

Karima El Mahroug (Ruby) Dopo una parentesi in Messico, è tornata a Genova, dove fa una vita normale con i suoi due figli

Manuela e Marianna Ferrara Il 2019 è l’anno del grande ritorno di una delle due sorelle-meteorine: per Manuela calendario hot per For men

Alessandra Sorcinelli Continua a dare spettacolo su social e passerelle: ha vissuto tra Miami e Los Angeles, locali e servizi fotografici

Elisa Toti “Ho bisogno d’un mese per riprendermi”, diceva: acqua passata, ora è tornata a Mediaset come opinionista di Mattino5

Iris Berardi Minorenne ai tempi di Arcore, autrice di un “diario segreto”, è scomparsa dai radar: su Twitter non scrive dal 2014

Barbara Faggioli Era una delle preferite di B., con una buona carriera tv: ora di lei si ricorda solo un flirt con la star Nba Gallinari

Giovanna Rigato Un calendario nel 2014, non indimenticabile: allora ha provato a ricattare B. (è indagata per estorsione)

Marysthelle Polanco Si è sposata con un giocatore di basket. E si è messa a cantare: nel 2017 la hit “Tu sei rifatta”

Francesca Cipriani Volto tv tra trash e reality: prima il Grande Fratello, nel 2019 L’isola dei famosi (si è appena ritirata)

Barbara Guerra Vive in una mega-villa in Brianza, che gli fu regalata Condannata per insulti social a Barbara D’Urso

Nicole Minetti Addio Italia e politica: l’ex igienista dentale è richiestissima dj a Ibiza e regina del fitness

Aris Espinoza Si è inventata una rubrica di ricette su Instagram. La sua “Divina cocina” è finita proprio su Mediaset

Quell’unico sogno dal Marocco alla villa di Arcore

La fierezza negli occhi, questa era la prima cosa che ti colpiva di Imane Fadil. Fierezza che non si sarebbe piegata davanti a niente e a nessuno, perché poggiava su convinzioni solide, ossia sul fatto di essere nel giusto. E neanche quando le arrivarono le offerte di “accomodamento”, cifre di denaro anche sostanziose – che a una ragazza come lei avrebbero fatto comodo – disse no, perché voleva andare fino in fondo, fin dove si intravede lo spiraglio della verità.

Su questo era stata chiara durante tutti gli incontri che avemmo con lei, diceva che non c’era possibilità di accomodamento per chi le aveva gettato fango addosso, perché quell’orizzonte era ineludibile. Voleva arrivare in fondo alla storia di Arcore pulita come ne era entrata, costasse quel che costasse: anche rinunciare a tanti soldi. E nel libro che ha scritto, Ho incontrato il diavolo – ancora senza editore, e la cui bozza è stata sequestrata dai pm nell’ambito delle indagini sulla sua morte – la forza e l’orgoglio di questa giovane donna affiora nettamente in ogni suo passaggio.

Tra una riflessione religiosa e mistica e il racconto dei fatti a casa di Silvio Berlusconi, il libro è tutto incentrato sulla ricerca interiore, sulla spiritualità, sul desiderio di lei bambina di avvicinarsi alla bellezza del mondo, di sognare in grande.

La sua famiglia: il racconto inizia da qui, “tre maschi e due femmine”, e dal fatto che lei sia nata in Marocco, a Fès, nell’alba che sta a cavallo tra il giorno dei Santi e quello dei morti. Il padre svolgeva l’attività di assistente medico e infermieristico, la madre aveva due saloni di bellezza e faceva anche la sarta. Ma un giorno decisero di partire, e fu proprio la madre a decidere per tutti: voleva un altrove diverso per i propri figli, forse migliore o chissà. Prima la Francia, poi l’Italia: prima Pavia poi Bergamo.

Imane era alle elementari, la più giovane dei fratelli. L’ultima, che spesso è troppo distante d’età con gli altri: una cosa che lei ricorda con lucidità nel libro, una distanza che non era solo anagrafica ma a volte d’intenti. Infatti fu a soli dodici anni che iniziò, come raccontava lei, a “vedere” cose che gli altri non vedevano, presenze strane.

Un giorno era in camera, la finestra era spalancata e la televisione accesa. Guardando le tende che davano sul giardino vide una sagoma sinistra, un’ombra mastodontica, oltre i due metri, come se avesse delle strane corna in testa. Non lo raccontò a nessuno – i fratelli l’avrebbero presa in giro, nella migliore delle ipotesi – ma quella visione apparve altre volte nella sua vita. Questo Imane lo raccontò anche a noi, disse di aver visto questa sagoma anche a casa di Berlusconi, disse che era il Male, una sorta di Lucifero. Ma non lo raccontò con la suggestione della visionaria, anzi tentò di mettere razionalità in ciò che diceva. Come se, quando intorno a lei si configurava qualcosa “di male”, era la sua sensibilità particolare a portarla a dare figura a ciò che percepiva soltanto. Per questo raccontò senza paura di essere presa per pazza, perché era forse una sua costruzione retorica, forse un indizio di paura. Insomma, non parlò mai di avere le visioni come le intendiamo noi: raccontava invece di trascendenza, tradizioni nordafricane – con tutta la carica emotiva del caso – e diceva addirittura di discendere da un santo. Per questo le vicende raccontate su Arcore rimasero sempre molto concrete, dettagliate.

Nel libro che ha scritto spesso parlava di sacralità di ogni essere umano, e su questo chiedeva rispetto: voleva essere rispettata innanzitutto come donna, e non avere un’etichetta che il conformismo le aveva appiccicato addosso. Infatti prima di parlare di tutto ciò che vide durante il Bunga Bunga passò tra noi molto tempo, come se il riserbo dettato dal rispetto altrui avesse la meglio sul “dovere di cronaca”.

Tutto ciò che raccontò lo fece per legittima difesa, e leggendo il libro lo si capiva bene. Lei, il fatto che non volle partecipare a quelle serate con un ruolo attivo, lo ribadisce continuamente tra la pagine che corrono di quel racconto: quando si riferisce a Berlusconi dice il Presidente Berlusconi, così come Lele Mora diventa il Signor Mora. Anche se la narrazione delle nottate nel libro è sempre farcita di disagio e incredulità, certe cose, certe attenzioni, non vengono mai meno.

Quando Berlusconi capì del suo disappunto nel vedere “quelle cose” – raccontava lei – volle accompagnarla personalmente a visitare la casa. E lei? Per non palesare la sua contrarietà gli rispose dicendo “sì”. Visitarono la casa, lui le chiese cosa volesse fare in televisione. Poi tutto il resto che sappiamo: le ragazze nude, i balli, le proposte “indecenti”, come disse lei. E il desiderio di venirne fuori in fretta, di dimenticare quanto una ragazza di 25 anni potesse essere rovinata solo per aver inseguito un sogno, la televisione, anche senza essere scesa a compromessi.

Non è solo il sogno della televisione a essersi ora spezzato, ma anche quello di una vita normale, serena, quella alla quale una donna di 34 anni aveva il diritto ad ambire. Lei, bambina, che sognava in grande. Lei, 34enne, finita a vivere alla periferia di Milano, tra la tangenziale e il Parco della droga a Rogoredo. In mezzo a campagne, topi e immigrati. Può capitare anche questo, a chi un tempo frequentava la villa di Arcore. Destini opposti per due ragazze, entrambe marocchine: lo era Imane, lo è Ruby. Due ragazze col desiderio di una vita diversa da quella della loro infanzia.

Per Imane, tutto è finito in un letto di ospedale, alla Clinica Humanitas di Rozzano, in circostanze tanto drammatiche quanto misteriose. Sulle quali, ora, solo gli inquirenti potranno fare luce.

Ma che sbadati questi tg mediaset

“Poco a poco, le giacche leggere (qualcuno azzarda anche le mezze maniche) prendono il posto dei cappotti. Le fioriture anticipate degli alberi invitano alle passeggiate nei parchi, che già profumano di ciliegie, albicocchi e magnolie. Viole e margherite colorano i prati”. Quest’idillica immagine non proviene da un libro di poesie, ma da un servizio del Tg4, che nella giornata di venerdì ci informava della primavera anticipata in Italia. Il caldo ha portato anche al risveglio dell’orsa Peppina, che si è destata dal letargo e “insieme ai suoi piccoli scorrazza per i parchi dell’Abruzzo”, aggiunge il notiziario. E Peppina non è l’unica ad avere il sonno disturbato: parallelamente, infatti, Tg5 manda in onda un servizio dal titolo “Dormire bene per invecchiare bene”, in cui viene intervistato il professor Giacomo della Marca, il quale analizza il signor Marco, che “la mattina si sveglia più stanco di quando è andato a dormire”. Seguono consigli e indicazioni per tutti gli spettatori che ambiscono a ronfate ottimali. Notizie di alleggerimento presentate dai notiziari della sera di Mediaset il 15 marzo. Alleggerimento necessario, la giornata è stata molto intensa: la strage alla moschea in Nuova Zelanda ha occupato il primo piano, il vertice governativo sulla via della seta e il pericolo dell’invasione cinese ha intasato le cronache politiche e poi i servizi sulle marce studentesche per la difesa dell’ambiente che hanno portato via un bel po’ di palinsesto. Un quadro dell’informazione del giorno completo, insomma. Sembrerebbe non mancare niente. O quasi. Nessun notiziario Mediaset (fatta esclusione per un servizio di un minuto su Tgcom24) ha parlato della misteriosa morte di Imane Fadil. Eppure la notizia era stata diffusa dalle agenzie con grande evidenza nel primo pomeriggio e apriva da ore tutti siti web d’Italia. Evidentemente la cosa deve essere sfuggita alla rassegna stampa dei notiziari di Mediaset. Un incidente insomma, non c’è altra spiegazione. A meno di insinuare, malignamente, che la notizia sia stata nascosta perché riguarda la misteriosa morte di una figura chiave nelle decennali indagini riguardanti il giro di concussione, prostituzione minorile e corruzione di testimoni che annoiano terribilmente Silvio Berlusconi, incidentalmente proprietario di quelle reti televisive.

“Con lei condividevamo una battaglia per la verità. Sono scioccata e triste”

Èarrivata fino a New York la notizia della morte per avvelenamento di Imane Fadil. Qui vive la modella Ambra Battilana, 26 anni, altra giovane donna che raccontò di aver partecipato nel 2010, insieme all’amica Chiara Danese, a una “cena elegante” ad Arcore (si è costituita parte civile nel processo contro Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti ed è stata teste in quello a carico di Silvio Berlusconi). Tornata sulle prime pagine dei giornali l’anno scorso – fu fra le prime ad accusare Harvey Weinstein di molestie (fu intervistata in esclusiva da Asia Argento proprio sul “Fatto”, ndr) – via Facebook accetta di rispondere a qualche domanda sulla morte di Imane.

Cosa pensa sia accaduto?

Sono scioccata e molto triste, non sono riuscita a dormire tutta la notte.

Lei hai mai ricevuto minacce?

Mai. Credo neppure lei.


Conosceva Imane?

La vedevo solo in tribunale. Ci salutavamo e basta. Non abbiamo mai parlato, ho vissuto molto più il tutto con Chiara (Danese, ndr).

Ad Arcore Imane l’avevate vista?

No. Io e Chiara ci siamo state una sola volta, per due ore, e poi siamo scappate via. Portate dal nostro ex agente, senza sapere dove stessimo andando…

Siete state lì il 22 agosto 2010?

Non ricordo bene, ma era la stessa sera in cui io e Chiara partecipammo alle selezioni di Miss Piemonte. Io vinsi, Chiara arrivò terza…

Dopo anni, come si sente ora?

Sto bene ed essendo all’estero il lavoro va benissimo.

È più serena, quindi?

Serena è un parolone, diciamo che vado avanti. Piuttosto che rimanere in Italia a far nulla.

Direbbe qualcosa a Berlusconi?

Non saprei. Ho troppe cose in testa.

Ha paura?

No. Solo scioccata. Con Imane condividevamo una battaglia per la verità. Non la conoscevo molto, ma capivo il suo dolore, quello che ha provato in questi anni. È la ragione per cui me ne sono andata dall’Italia.

L’avvelenamento radioattivo e la mancata autopsia: troppi i conti che non tornano

Via Sant’Arialdo è una strada stretta e lunga in mezzo alle campagne di Milano. Zona Corvetto, più dietro la tangenziale, San Donato e il boschetto della droga di Rogoredo. Qui, al civico 90, c’è una cascina. Non è in buone condizioni ma è abitabile. Questo è stato l’ultimo indirizzo di Imane Fadil. “Ora – spiega una signora – non ci abitano più”. Qui la modella marocchina di 34 anni si è sentita male. Da qui è partita, probabilmente accompagnata da un amico, per l’ospedale Humanitas di Rozzano. La sua ultima corsa. È il pomeriggio del 29 gennaio. Imane morirà 30 giorni dopo, la mattina del primo marzo. Un mese di agonia, di misteri e di contraddizioni. Tante, infatti, sono le cose non chiarite di una vicenda che solo due giorni fa è diventata pubblica con la notizia di un’indagine penale per omicidio. Imane è stata avvelenata. È un’ipotesi concreta, ma non una certezza. Torniamo dunque al pomeriggio di venerdì, quando il procuratore Francesco Greco, durante una breve conferenza stampa, fornisce qualche dato generale. Il resto rimane top secret. Il riserbo è massimo.

La situazione, va da sé, è delicata. Imane Fadil era una delle testimoni chiave del Rubygate. Più volte aveva confidato tentativi di corruzione per comprare il suo silenzio. Il procuratore nella stringata comunicazione riferisce di “anomalie” nelle cartelle cliniche. Cosa questo voglia dire resta un punto di domanda. La riposta di Humanitas è chiarissima: è stato fatto tutto in modo corretto. Successivamente emergerà l’ipotesi di un avvelenamento. Nella serata di venerdì, l’avvelenamento diventa per sostanze radioattive. Il caso è esploso definitivamente. Ma quanto è reale? E perché compare l’ombra di un omicidio in stile Kgb? Uno scenario che ieri è stato spazzato via dai responsabili del centro veleni della Maugeri di Pavia. Nessuna sostanza radioattiva, questa in sintesi la loro posizione. Capirci qualcosa non è facile. Ripartiamo allora dal ricovero del 29 gennaio. Quando Imane arriva, mostra una situazione midollare già molto compromessa. Non riesce a parlare, ha dolori e gonfiori. Subito viene presa in carico da un’équipe multidisciplinare e messa in terapia intensiva. Mostra poi una mancanza pressoché assoluta di globuli bianchi.

Durante il ricovero subirà diverse trasfusioni. I medici iniziano da ipotesi generali. Molto viene scartato, dai tumori a malattie degenerative. Poi la ragazza mostra qualche miglioramento. Per questo viene trasferita nel reparto di Medicina generale. Gli organi principali però funzionano a scartamento ridotto. Poi iniziano a collassare. Dopo il midollo, il fegato e infine i reni. In Humanitas molte valutazioni vengono scartate.

Ciò che colpisce, però, è il danno al midollo. Un dato sicuramente compatibile con la presenza di sostanze radioattive. È un’ipotesi non una certezza. Anche per questo Imane resta in reparto e non viene trasferita in una unità protetta. L’ipotesi di sostanze radioattive però pare in contraddizione con i risultati spiegati ieri dal Centro veleni di Pavia che illustra, in qualche modo, il contenuto del referto tossicologico trasmesso alla Procura. Qui vengono individuati cinque metalli nel sangue. Sono cobalto, cromo, nichel e molibdeno. Il cobalto è compatibile con elementi radioattivi, ma è risultato presente nel sangue della modella in percentuali piccolissime rispetto a un alert concreto. E comunque sia, il centro di Pavia non è in grado di fare dei match per comprendere la radioattività. Da qui il cortocircuito con le dichiarazioni di Humanitas. Insomma, c’è sostanza radioattiva oppure no? In realtà è una contraddizione solo apparente. Pavia, infatti, non esclude a priori la presenza, spiega solamente che non sono stati fatti i match. E del resto, come ricostruito dal Fatto, le analisi sono state fatte su 50 elementi standard. Una griglia che esclude moltissime altre sostanze. Detto questo, restano gli allarmi lanciati prima dal fratello e poi da legale di Imane. Entrambi parlano di avvelenamento. E l’avvelenamento è un’ipotesi concreta seguita dai magistrati. C’è però un altro buco nero in questa storia: l’autopsia. Perché non è stata fatta subito? Perché si è atteso oltre due settimane? Di certo l’analisi sui tessuti e non sul sangue potrebbe spiegare molte più cose. Ad esempio la presenza di un tumore raro non individuato dagli esami precedenti. Ma l’autopsia ancora deve essere fatta e questo nonostante la Procura fosse stata avvertita della grave situazione già dieci giorni prima della morte della testimone dei Bunga bunga di Arcore.

Lo Smemorato di Arcore: “Imane? Mai conosciuta”

Papi ha parlato: “Non l’ho mai conosciuta”. Silvio Berlusconi nega di aver mai incontrato Imane Fadil, la ragazza che è stata testimone chiave nei processi sulle feste di Arcore e che è morta il 1º marzo, forse avvelenata, dopo un mese di atroci sofferenze. “Non l’ho mai conosciuta”. Memoria debole, quella dell’ex presidente del Consiglio. Smentito da testimoni, da documenti processuali e da un paio di sentenze. Ma smentito perfino da un suo amico, Emilio Fede, che nell’intervista concessa ieri al Fatto Quotidiano ha confermato di aver accompagnato più volte Imane da Silvio. Conferma anche Lele Mora, che per primo le propose di “prendere un caffè” a casa di Berlusconi e la portò la prima volta a un incontro che, prima del caffè, offrì una “cena elegante”.

Aveva 25 anni, Imane Fadil, quando arrivò alla villa di Arcore. La ragazza era fiera della sua competenza calcistica – “so tutto del Milan, sono una donna, ma ne so più di un uomo” – e sperava che incontrare “il padrone di tre televisioni” potesse essere una buona occasione per cominciare a lavorare in un programma sportivo. Ma oggi Silvio non ricorda, e Silvio è uomo d’onore. “Spiace sempre che muoia qualcuno di giovane”, ha detto, “ma quello che ho letto delle sue dichiarazioni mi ha sempre fatto pensare che possano essere tutte cose inventate e assurde”.

Carta canta: le prove processuali dicono che è stata sei volte ad Arcore, una (4 settembre) a villa Campari, a Lesa sul lago Maggiore, e una volta (29 agosto) a cena da Giannino, il ristorante preferito da Fede, Mora e le Olgettine. Totale: otto incontri. Possibile che, nella folla di ragazze che lo attorniavano, Papi non si sia mai accorto di quella ragazza mora, dinoccolata, esile, sempre poco truccata? Non era delle più scatenate, non si spogliava, non si esibiva al palo della lap dance. Ma una volta ha ballato la danza del ventre, lei che era nata a Fès, in Marocco. Una sera (5 settembre) ha ricevuto proprio da Silvio la proposta a cui tutte puntavano: “Resti per la notte?”. Voleva dire aver passato la selezione del Talent show del bunga-bunga, aver vinto l’XXX-Factor di Arcore, aver fatto colpo su Papi e aver meritato la busta più pesante tra quelle diligentemente preparate dal ragionier Spinelli: con dentro 5 mila euro in banconote da 500. Quella volta Imane disse no, pur intascandosi la busta giallina. Non se la sentiva di salire nella camera con il lettone di papi. Testimone credibile, per i giudici del processo Ruby 1 (imputato Berlusconi) e Ruby 2 (imputati Fede, Mora e Nicole Minetti). La teste Fadil, secondo i giudici, ha raccontato i fatti e ha detto la verità, anche quando ha riferito “dettagli vantaggiosi per l’imputato”. La prima volta ad Arcore nel febbraio 2010, portata da Lele Mora. La serata “era stata connotata da attività prostitutiva”. Le volte seguenti a portarla in villa è Fede. Il 25 agosto, Maria Rosaria Rossi, parlamentare di Forza Italia, le chiede la danza del ventre. Imane balla, a Silvio piace: “Aveva apprezzato la sua esibizione e le aveva regalato un piccolo anello”, dice la sentenza. Torna il 26 e il 27 agosto. Due serate senza bunga-bunga: una partita di calcio alla tv, un film satirico contro Gianfranco Fini. Presenze certe: lo provano le intercettazioni e le celle dei telefonini. Ma Silvio non si ricorda di Imane, ragazza tormentata e fragile.

Fadil, la segnalazione partì 10 giorni prima dalla morte

Tempi e ritardi. Bisogna seguire queste categorie per comprendere le tappe della morte di Imane Fadil e per fissare i protagonisti che hanno preso in carico il caso di una delle testimoni chiavi del Rubygate. Una morte che, secondo la Procura di Milano, è omicidio. Due certezze: il 29 gennaio la ragazza arriva all’ospedale Humanitas e viene messa subito in terapia intensiva. Il primo marzo, alle sei del mattino, viene certificato il decesso. Quattro ore dopo, la polizia giudiziaria della Procura di Milano sta già sequestrando le cartelle cliniche. Un tempo troppo breve per non ipotizzare che i magistrati già sapessero della situazione. E infatti, secondo quanto accertato dal Fatto ieri, l’autorità giudiziaria viene avvertita dalla direzione dell’Humanitas dieci giorni prima che Fadil muoia. Un dato che però non risulta alla Procura. Siamo attorno al 19 febbraio. In quel momento la ragazza inizia a parlare di avvelenamento. Un’ipotesi che non sorprende i medici, i quali dal 29 gennaio stanno lavorando con estrema professionalità per comprendere cosa abbia portato il corpo della modella marocchina a un deperimento così rapido e violento.

Il protocollo sanitario in relazione a un’ipotesi di avvelenamento viene dunque attivato in quella data e non il 29 gennaio. Il giorno del ricovero, infatti, nessuno sa nemmeno chi sia Imane Fadil. Solo si conoscono le sue generalità. Da subito le condizioni, però, appaiono critiche. Il danno midollare è ritenuto importante. Col tempo sarà attaccato il fegato e poi i reni. Questo però non fa scattare il protocollo sanitario. Non vi è ragione e dunque non vengono allertati né i carabinieri di Rozzano né quelli di Corsico. Dalla terapia intensiva, la paziente viene portata nel reparto di medicina generale. Gli esami proseguono soprattutto per escludere leucemie o altre malattie. Nulla risulta. Nemmeno l’uso di droghe. L’avvelenamento diventa per Humanitas un’ipotesi sempre più concreta che fa il match con le dichiarazioni della ragazza.

Siamo, come detto, attorno al 19 febbraio. In quel momento, e solo in quel momento, il quadro per Humanitas è abbastanza chiaro. Non solo: visti i danni a midollo e fegato, inizia a prendere forma l’ipotesi di un avvelenamento da sostanze radioattive. Da qui la comunicazione che non passa per le vie ordinarie e dunque attraverso i carabinieri che non saranno mai allertati, ma direttamente alla polizia giudiziaria della Procura di Milano. Cosa succede dopo il decesso del 1º marzo resta un gran buco. Di prassi l’autopsia viene calendarizzata entro tre giorni. In realtà dal 1º al 6 marzo, il centro veleni della Maugeri di Pavia si attiva su indicazione dell’Humanitas per gli esami tossicologici sul sangue di Imane Fadil. Esami che non sveleranno la presenza di sostanze radioattive. Ma tracce di cinque metalli di pochissimo sopra la norma. Particolare importante e che non pare affatto spiegare la morte. I risultati però non sono in contraddizione con quelli ipotizzati da Humanitas. Ma nemmeno dopo la consegna del documento avvenuta il 6 marzo, viene disposta l’autopsia. Il corpo resta lì. Poi due giorni fa, l’annuncio del procuratore Francesco Greco di un fascicolo per omicidio e la fissazione dell’autopsia per la prossima settimana. L’analisi sui tessuti e non semplicemente sul sangue potrebbe a questo punto fornire risposte molto più concrete e circostanziate. Allo stato, però, l’analisi tossicologica che ha in mano la Procura non ha alcun valore di verità. Il referto, infatti, riguarda 50 elementi. Si tratta di una procedura standard. Molto approfondita ma comunque standard e che non tiene in conto molte sostanze particolari. Tra queste, ad esempio, il polonio o il tallio, classiche sostanze utilizzate dalle ex spie del Kgb per produrre veleni letali e soprattutto invisibili.

De Magistris: “Sono pronto a candidarmi come governatore”

Luigi De Magistris verso la candidatura a governatore della Campania. Ieri il sindaco di Napoli, a margine di un convegno a Salerno, la città dell’attuale governatore regionale Vincenzo De Luca, ha dichiarato: “Bisogna creare un’alternativa a centrodestra e De Luca. Vedremo se questa alternativa sarò io oppure se si troverà un’altra persona. Naturalmente, io mi farò trovare pronto ma dovrà essere una candidatura figlia di una coalizione ampia e che miri a vincere”. Sempre secondo De Magistris, “in Regione Campania, ogni giorno che passa, la situazione è sempre più disastrosa, soprattutto per quanto riguarda la sanità”. Ma in serata al sindaco ha risposto sarcasticamente la senatrice del Pd Valeria Valente: “L’annuncio di De Magistris, se fosse vero, sarebbe un grande assist per tutti noi. Delle due l’una: o siamo di fronte ad un palese tentativo di distogliere l’attenzione dalla sua fallimentare azione di governo, oppure semplicemente di fronte a un goffo e maldestro esperimento per garantirsi un posto sicuro da consigliere regionale. Purtroppo per lui – e per tutti noi – le condizioni di Napoli inchiodano il futuro probabile candidato a un giudizio senza appello”.

Buona camicia a tutti: i consigli per gli acquisti del forzista Vitali

Lui giura che si è trattato di una carineria. E che non voleva essere affatto un rimprovero in fatto di eleganza. Ma l’invito del senatore di Forza Italia Luigi Vitali inoltrato a tutti i suoi colleghi di Camera e Senato di rivolgersi a un camiciaio di sua fiducia ha fatto storcere la bocca a molti. “Ma mica veniamo in Parlamento per fare le sfilate di moda” ha commentato qualcuno. Altri sono invece inorriditi per la promessa di un trattamento di favore. E qualcuno, manco fosse il marchese del Grillo ha chiosato. “Io pago o non pago, dello sconticino non so che farmene”.

Insomma se ce ne sarà occasione, la prossima volta il forzista Vitali dovrà pensarci bene prima di usare la posta istituzionale per fini promozionali. “Gentili colleghe, cari colleghi, ho il piacere di invitarvi a partecipare all’evento che un bravo camiciaio della mia città sta organizzando a Roma come da locandina allegata. Esibendo la presente mail, si potrà usufruire di uno sconto per eventuali acquisti” ha scritto il forzista inondando le caselle di posta dei suoi colleghi, certo di fare cosa gradita. E certo pure del fatto suo, quanto a stile: “Io ci tengo: ho un sarto personale di scuola napoletana di Martina Franca. Che ho fatto conoscere alla Camera quando ero deputato: per farla breve, ha conquistato i gusti di tanti colleghi. Anzi diciamo che all’epoca ha rivestito di tutto punto mezzo gruppo di Forza Italia” dice al Fatto Vitali.

Classe 1955, penalista di grido, il senatore ha un debole per la sua terra, la Puglia. E per il bel vestire che non nasconde. A Palazzo Madama dove ha un ruolo di peso nella commissione Affari costituzionali e dove presiede il Consiglio di garanzia, l’organo che dovrà decidere sui ricorsi contro l’odiata delibera che ha limato i vitalizi, è invidiato per competenze e per gli abiti di sartoria. Sempre abbinati in maniera impeccabili a cravatte di un certo pregio. “Quella con cui mi sono fatto la foto a inizio legislatura è di Marinella”, precisa. E naturalmente ha il pallino delle camicie, meglio se col collo alla francese. “Rigorosamente bianche, celesti o a righine azzurre” dice da ambasciatore dei prodotti fatti a mano e made in Francavilla Fontana, comune dove risiede. E dove ha sede la “Granduca camiceria” che giusto due giorni fa ha inaugurato un nuovo showroom. Appuntamento all’hotel Manfredi nella “rinomata cornice” di via Margutta, una delle strade più suggestive della Capitale. Un evento a cui sono stati invitati a partecipare i parlamentari di ogni schieramento. “Io purtroppo ero impegnato in commissione Antimafia e ho dovuto disertare l’appuntamento e quindi non so dire chi, alla fine, ci è andato e chi no. Ma che male c’è? Tutti hanno bisogno di camicie. Poi se i parlamentari proprio non vogliono affidarsi al mio amico artigiano potranno continuare a vestirsi dove vogliono e come credono. Certo nel Palazzo l’eleganza ormai è una perfetta sconosciuta”. Ma non tutto è perduto. E allora, buona camicia a tutti.