I rimborsi elettorali dalla “Lista Maroni” sono passati alla Lega

Un milione di euro di rimborsi elettorali passato di mano e un assessore regionale lombardo indagato per appropriazione indebita. Col denaro traghettato sui conti di un’associazione politica costituita dalla Lega. L’assessore è Stefano Bruno Galli, docente di Dottrine politiche alla Statale di Milano, classe ’66. Galli, ideologo del Carroccio e fautore dell’autonomia lombarda, il 4 marzo 2018 ottiene dal governatore Attilio Fontana le deleghe per la Cultura e l’Autonomia.

L’accusa a Galli è invece legata al denaro. Sull’inchiesta pesa però una richiesta di archiviazione da parte del pm Giovanni Polizzi, che sarà discussa il prossimo 20 marzo davanti al giudice. La vicenda dei soldi nasce da un esposto depositato nel febbraio 2018 sia alla Procura sia alla Corte dei conti. A firmarlo è Marco Tizzoni, politico locale di 51 anni, creatore delle liste civiche “Gente di”. Commerciante con la passione per la politica non di partito, il suo nome finirà nell’inchiesta ‘Grillo Parlante’ sui legami tra ’ndrangheta e Pubblica amministrazione. L’indagine porterà alla condanna dell’ex assessore regionale alla Casa, Mimmo Zambetti.

Tizzoni, mai nemmeno indagato, ne uscirà a testa alta. Le carte dimostrano che rifiutò i voti dei clan. Una scelta di grande trasparenza. Tizzoni perse le elezioni locali nel comune di Rho, ma quel suo gesto lo portò all’attenzione di Bobo Maroni che nel 2013 stava preparando la sua corsa al Pirellone. Tizzoni viene eletto nella lista civica Maroni presidente. È il 2013. Nel gennaio 2018, Tizzoni diventa capogruppo. Un ruolo che gli permetterà di visionare i rendiconti della lista.

Le 25 pagine di esposto ripartono dal gennaio 2013. La lista di Maroni incassa mezzo milione di voti e porta in Regione undici consiglieri. Tra loro Tizzoni. Presidente del gruppo sarà eletto Stefano Bruno Galli. A gennaio, si legge nel documento, viene creata l’Associazione Maroni Presidente “senza che nulla venisse comunicato ai candidati e agli eletti”. Se la lista politica ha tutti esponenti civici, l’associazione parallela è di matrice leghista. Tra i primi sei fondatori compare l’ex ministro e senatore della Lega, Roberto Calderoli. Nel 2018 i membri scendono a quattro. Sono tutti interni alla Lega di Matteo Salvini. Scrive Tizzoni: “Nessun rapporto è mai esistito tra i consiglieri del gruppo e tale associazione, che è stata tenuta ben nascosta”. Tizzoni scopre che la Lista Maroni ha maturato rimborsi elettorali dallo Stato per circa un milione di euro. Altri 350 mila arriveranno dalla Regione per il funzionamento del gruppo. Buona parte del milione passerà per l’associazione. Si legge negli atti: “Nello statuto dell’associazione sono segnalati gli scopi e nessuno di questi risulta essere mai stato perseguito dai suoi membri e variato nel corso degli anni (…). Vi è il sospetto che tale associazione sia stata tenuta nascosta a noi consiglieri tutti questi anni dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi”. Cosa che avverrà: oltre mezzo milione finirà all’associazione. Un’operazione border line sul cui rilievo penale la Procura non pare intravedere ipotesi di reato. Ancora prima, parte del milione, e cioè 450 mila euro, passano all’associazione e poi alla Lega come pagamento di un prestito iniziale per fare partire la Lista Maroni.

In quel 2018, la Lega si prepara alle elezioni politiche. Il successo elettorale non è ancora in tasca, i conti del partito sono bloccati e la Procura di Genova dà la caccia ai 49 milioni di rimborsi svaniti nel nulla. C’è dunque bisogno di denaro. In Lombardia si vota per la Regione. Attilio Fontana è il favorito. Sindaco leghista di Varese, anche per lui nascerà una lista civica Fontana presidente. Di mezzo c’è la rinuncia di Maroni a ricandidarsi. Una scelta che crea discussioni nel gruppo di Tizzoni. Il piano dei vertici leghisti viene portato avanti da Paolo Grimoldi (non indagato), coordinatore regionale e deputato, fedelissimo di Salvini. Si lavora per dare “continuità” tra la lista Maroni e quella di Fontana, così da poter incamerare il saldo della prima lista, e cioè i 350 mila euro rimasti in cassa dopo cinque anni di legislatura. Operazione che non avverrà. Nel 2018 durante una riunione a Palazzo Lombardia, Grimoldi illustra il piano ai consiglieri della Lista Maroni. “Nessuno di noi – si legge nell’esposto – era stato informato di questi rapporti bancari e finanziari tra il nostro gruppo e la Lega”. Lo stesso Grimoldi chiederà ai superstiti della lista Maroni di versare 25 mila euro a testa per candidarsi e sostenere la lista Fontana. Una prassi normale e lecita. Molto meno il fatto che “Grimoldi – si legge nell’esposto – precisò che il pagamento doveva essere fatto con un bonifico alla Lega e non doveva essere fatto alcun cenno al contributo pro elezioni, ma doveva trattarsi di una generica devoluzione volontaria alla Lega”. Tizzoni rifiuta. Da qui riavvolgerà il nastro dei soldi.

Tutte coincidenze

Avendo perso conoscenza da un pezzo, B. giura di non aver “mai conosciuto” Imane Fadil. Naturalmente, come tutto ciò che dice da quando si sveglia a quando si corica, non è vero niente: nel 2010 la ragazza marocchina fu sei volte ospite delle “cene eleganti” ad Arcore, si esibì nella danza del ventre, ricevette da lui un anello e una busta con 5 mila euro, ma rifiutò l’invito a fermarsi a dormire da lui; e lo incontrò altre due volte, in un ristorante milanese e in un’altra villa in Brianza. Ma il guaio peggiore non è che B. ha conosciuto Imane. È che lei ha conosciuto lui. E ha pure testimoniato contro. Se sia stata uccisa, da chi e perché, lo appureranno i giudici. Il cui prodest, una volta tanto, allontana i sospetti da B., che tutto poteva augurarsi fuorché il ritorno dei bungabunga sui giornaloni, che li avevano rimossi per riabilitarlo come leader moderato e argine al populismo. Non solo: da viva Imane poteva essere contestata al processo Ruby-ter da Ghedini & C.; da morta, i suoi verbali dinanzi ai pm valgono come prova inconfutabile. Ma i vari ambienti criminali, italiani e internazionali, che circondano B. autorizzano i soliti sospetti di eccessi di zelo, favori non richiesti o messaggi ricattatori. Senza escludere la tragica coincidenza: l’ennesimo anello di un’impressionante catena di disgrazie occorse a persone che hanno incrociato la strada di B. e si sono messe di traverso.

Negli anni 70 i proprietari terrieri di Segrate che non volevano vendere al costruttore di Milano 2 ricevevano visite di uomini armati e cambiavano idea. Il 21 maggio 1992 Paolo Borsellino parla con due giornalisti francesi di indagini sui rapporti fra B., Dell’Utri e lo “stalliere” Mangano: due giorni dopo muore ammazzato Falcone, due mesi dopo pure Borsellino. Nel ’93 un giovane attivista di Ravenna, Gianfranco Mascia, lancia i comitati Boicotta Biscione (BoBi). Il primo avvertimento anonimo gli arriva sul telefonino: “Smettila di rompere i coglioni. Sei una testa di cane. Bastardo. Vi spacchiamo il culo. Gruppo Silvio Forever”. Il 24 febbraio 1994, a un mese dalle elezioni, Mascia viene aggredito da due uomini a volto scoperto che lo immobilizzano col filo di ferro, gli tappano la bocca con un tampone e lo violentano con una scopa. Il portavoce bolognese del BoBi, Filippo Boriani, consigliere comunale dei Verdi, riceve una busta con una lingua di vitello mozzata e un biglietto: “La prossima sarà la tua”. Autunno ’94: Edoardo Pizzotti, direttore Affari legali di Publitalia, viene licenziato in tronco dopo aver rifiutato di coprire i traffici di Dell’Utri & C. per inquinare le prove sulle false fatture del gruppo.

Ericeve telefonate minatorie e mute a casa, provenienti (risulta dai tabulati) da Publitalia. Un anno dopo racconta tutto testimoniando al processo di Torino contro Dell’Utri per frode fiscale: subito dopo, due figuri dal forte accento campano lo avvicinano nel centro di Milano e lo salutano così: “Guarda che ti facciamo scoppiare la testa”. Nel luglio 1995 Stefania Ariosto inizia a raccontare al pm Ilda Boccassini quello che sa sui giudici comprati da Cesare Previti con soldi di B. La notizia rimane segreta per sette mesi, ma non per tutti. Alla vigilia di Natale, un pony express recapita alla Ariosto una scatola in cui galleggia nel sangue un coniglio scuoiato e sgozzato, con un biglietto d’auguri: “Buon Natale”. Nel marzo 1996, dopo gli arresti, L’Espresso dedica allo scandalo Toghe sporche varie copertine con i verbali e le foto della Ariosto: il 22 maggio, a Camaiore, un incendio doloso polverizza la villa della vicedirettrice Chiara Beria di Argentine. Marzo 2001: Daniele Luttazzi mi ospita a Satyricon, su Rai2, per parlare fra B. e Cosa Nostra. Oltre alle minacce pubbliche del centrodestra, riceve lettere anonime, telefonate e visite di strani ladri in casa: “Il Giornale pensò bene di pubblicare la mia dichiarazione dei redditi, col mio indirizzo di casa ben visibile.

Oltre alle lettere, mi arrivarono alcuni dossier anonimi, pieni di informazioni sulla mia vita privata e le mie abitudini. Come per avvertirmi: ehi, guarda che sappiamo tutto di te”.
Negli stessi giorni Indro Montanelli, che mi ha difeso dagli assalti berlusconiani, riceve chiamate di insulti e minacce ed è costretto a cancellare le iniziali I.M. dal citofono di casa. Lo racconta a Repubblica: “La cosa più impressionante sono state le telefonate anonime. Ne sono arrivate cinque, una dopo l’altra, tre delle quali di donne. Non so chi avesse dato loro il mio numero, che è assolutamente introvabile… Quella berlusconiana è la peggiore delle Italie che io ho mai visto… Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo… Non sono spaventato: piuttosto sono impressionato, come non lo ero mai stato… Io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt’al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino… Queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile”. Nel 2003 il pm fiorentino Gabriele Chelazzi, che indaga sulla trattativa Stato-mafia e i mandanti occulti delle stragi, muore all’improvviso d’infarto a 59 anni. Nel 2006 il pentito Cosimo Cirfeta, imputato con Dell’Utri per aver depistato le indagini di mafia sull’inventore di FI, muore nella sua cella a Bari inalando il gas di un fornelletto da cucina. Nel 2009 scoppia Puttanopoli e le due testi-chiave se la vedono brutta: Patrizia D’Addario riceve strane visite in casa e alla sua ex amica Barbara Montereale qualcuno fa esplodere l’automobile. Nel 2012 parte il processo Ruby e il rag. Giuseppe Spinelli, cassiere di Arcore e custode dei segreti finanziari di B., viene rapito con la moglie e poi inspiegabilmente rilasciato in poche ore senz’alcun riscatto. Il 1° marzo 2019 muore Imane Fadil: l’ultima coincidenza.

La Juventus trova i “ragazzacci” dell’Ajax

La fortuna aiuta gli audaci, dicono. E la Juventus con l’impresa contro l’Atletico Madrid probabilmente un pizzico di buona sorte se l’è pure meritata: nei quarti di finale se la vedrà con la “cenerentola” Ajax, che ha appena fatto fuori il Real Madrid tricampione d’Europa. Evitate tutte le inglesi e il Barcellona, il sorteggio è positivo: d’accordo la spensieratezza dei giovani e il nuovo calcio totale olandese, ma è comunque il pesce più piccolo (insieme al Porto) che nuotava nell’urna di Nyon e certo non può fare paura a Cristiano Ronaldo e compagni.

Andata ad Amsterdam il 10 aprile, ritorno 6 giorni più tardi a Torino. Gli altri accoppiamenti sono Tottenham-Manchester City, Liverpool-Porto e Manchester United-Barcellona.

Quest’anno, poi, a differenza che in passato la Uefa ha deciso di stilare una specie di tabellone tennistico, per cui già si conosce il percorso fino alla finale di Madrid: in un’eventuale semifinale i bianconeri incrocerebbero la vincente del derby inglese. Dall’altro lato Liverpool e Barcellona.

L’urna svizzera è stata dunque abbastanza favorevole all’Italia. O meglio, alla Juventus, perché lo stesso non si può dire del Napoli in Europa League: gli azzurri di Ancelotti hanno pescato subito l’Arsenal, una delle grandi favorite per il titolo, in quella che può essere davvero considerata come una specie di finale anticipata. La Juve, invece, in Champions potrà arrivarci con comodo: l’impressione è che dopo aver superato l’ostacolo degli ottavi ed essere stata a un passo dall’eliminazione contro l’Atletico, ora la strada sia un pochino in discesa. Almeno per questo turno.

L’Ajax è la vera favola di questa edizione: squadra rivoluzionaria, età media di appena 24 anni, zero tattica e pensieri, solo pallone e felicità. Il genio di Tadic, la velocità di Ziyech, la classe di De Jong, il fisico di De Ligt: sembra quasi di rivivere l’epopea del calcio totale dei tempi di Cruijff, tornato a vestire le casacche degli olandesi per sfidare le aride regole del fair play finanziario, dove vince quasi sempre il più ricco. Proprio per questo, però, forse può sorridere Allegri: il leader De Jong è già stato venduto al Barcellona, dove potrebbe seguirlo il capitano De Ligt (obiettivo di mercato proprio dei bianconeri). La banda di mister ten Hag si scioglierà presto, perché non può competere nel calcio moderno con le grandi d’Europa. Come appunto i bianconeri. Loro, in fondo, la loro storia l’hanno già scritta con quel 4-1 al Bernabeu che ha posto fine all’era del Real. Adesso tocca alla Juventus.

Miró il plagiatore di materia ora si affaccia sul Fontanone

Il segno, quel tratto immarcescibile, ovunque nel mondo riconoscibile. Anzi, quei segni, un vero vocabolario redatto e continuamente aggiornato in quasi sessant’anni di mestiere, di arte. Quell’abecedario delle linee, a ognuna delle quali corrisponde un colore, una forma, un concetto, una finestra sull’oltre-reale che Joan Miró, (Barcellona, 1839 – Palma, 1983), pittore, scultore, plagiatore di materia e maestro del surrealismo spagnolo, archivia per poi riutilizzarlo ogni volta che in testa gli appaia un uccello, o il sesso di donna, o di uomo, un astro o delle scale. Un vocabolario di segni, dicevamo, che si può ammirare in una mostra piccola e sintetica nella residenza dell’ambasciatore di Spagna a Roma, al Gianicolo.

Un cameo, come fosse una sbirciatina dal buco della serratura della onnicomprensiva Fondazione Miró di Barcellona, quella che l’artista stesso fondò ad “appena” 80 anni, la sua età più prolifica, nel 1972. A questo stesso periodo appartengono i tre quadri – Personaggio, uccello I, Personaggio, uccello II, Personaggio, uccello III – e le due sculture – Donna, uccello e Uccello – portati a Roma dal ministero degli Esteri spagnolo del non a caso catalano ministro Josep Borrell, in collaborazione con la Fondazione privata Abertis attraverso la Fondazione Miró che sarà possibile riscoprire nella mostra aperta al pubblico dal 22 marzo all’11 maggio, su prenotazione. Siamo pur sempre a casa dell’ambasciatore, che, per inciso, risiede in uno dei luoghi più suggestivi di Roma, dirimpetto al Fontanone del Gianicolo, a guardare l’intera Capitale all’ombra della bandiera gliallo-rossa. “In questa residenza nell’anno 1947 il marchese De Desio, ambasciatore di Spagna aprì a nome dello Stato la sede dell’ambasciata presso il Quirinale. Le sue maestà Juan Carlos e Donna Sofia la onorarono della loro presenza durante la visita ufficiale e qui ricevettero il presidente della Repubblica italiana il signor Sandro Pertini, il giorno 29 aprile del 1981 ”, recita la scritta su una delle porte che si aprono a ventaglio dall’ampio ingresso della residenza in cui al muro compaiono ritratti dell’ex re di Spagna, Juan Carlos, e dei suoi antenati predecessori.

Ed è in questo contesto, in cui i segni e la materia di Miró parlano con la scura luce dei quadri di artisti spagnoli del XVII secolo o arazzi medievali, che le opere risaltano in tutta la loro straordinaria unicità. Perché quel tratto, prima diafano, come nelle Costellazioni – la serie di 23 tempere che l’artista fuggito dalla Guerra civile spagnola nel 1939 e approdato a Varengeville sur Mer, in Normandia, crea l’anno seguente per evadere dall’orrore delle forme e delle opere precedenti – muta e plasma attraverso le linee che tendono all’evasione della realtà e si fa sempre più marcato fino ad arrivare alle opere degli anni 70, ora esposte in ambasciata. Tanto era cosciente di aver forgiato un dizionario unico, che in fuga dalla Normandia bombardata dai nazisti, quelle Costellazioni le strinse sottobraccio. In un viaggio disperato che va dal Nord della Francia, a Barcellona, fino al paesino di Mont-roig vicino Tarragona, dove risiederà a dipingere ancora, lontano dal subbuglio intellettuale di Parigi.

E infatti lo ritroviamo qui, nei quadri degli anni 70, quel tratto plasmato anche nella materia quotidiana forgiata con la tecnica della cera persa, nelle sculture Donna, uccello (per la seconda volta in viaggio fuori da Barcellona dopo il 1987 e per la prima volta in Italia), dove quel segno di donna, prima una semplice bottiglia, si fa portare in Paradiso dall’uccello che l’artista fa nascere forse da un punteruolo che – chissà – ha trovato sulla sua scrivania. Mentre in Donna vige il segno della rigenerazione, con il sesso femminile inciso nel bronzo. Dunque Miró, la miglior sintesi, in una passeggiata nelle due sale dell’ambasciata spagnola, per conoscerlo meglio, così come lui desiderava e motivo per il quale creò la sua Fondazione. Perché “una forma non è mai qualcosa di astratto, è sempre un uomo, un uccello o qualcos altro”.

“Con il teatro non si mangia. E il cinema è dei soliti noti”

Nei momenti di sconforto, fastidio o semplice incazzatura, la soluzione è una: “Prendo la borsa, vado sul Tevere, mi cambio e scendo in acqua”. In acqua? “Da qualche tempo scarico tutto con il canottaggio, ogni tanto mi ribalto pure con la canoa, e dalla prospettiva più bassa ho visto di tutto, ogni tipo di animale, mai un topo”. Impossibile. “È vero, e da lì Roma è bellissima”. Non scherza Roberto Ciufoli, questa volta è serio; serio come i motivi professionali che lo portano a remare, remare e ancora remare: “La questione è complicata: nel cinema lavorano sempre gli stessi, il solito gruppetto, oramai neanche ti chiamano per un provino; mentre nel mondo del teatro la prassi è quella di non pagare gli artisti. E per molti la vita è diventata impossibile”.

Non c’è spazio.

Sul teatro non c’è nemmeno molto interesse: in platea non vedo mai un attore cinematografico, un regista, sono pochi i responsabili dei casting, a meno che sul palco non ci sia uno degli attuali big, uno del cerchio magico, e allora arrivano in massa.

Gli incassi del cinema denunciano una certa crisi.

Per forza, quali sono le novità? Lo dico da spettatore.

Niente provini, per lei.

Mi chiamano difficilmente, è capitano per la fiction con Marco Giallini su Rocco Schiavone. Ed è andato bene. Un’altra volta, Andrea Preti, giovane produttore, mi ha coinvolto nel film Un nemico che ti vuole bene dopo avermi visto a teatro.

Stupore.

Una meraviglia.

Economicamente si può vivere con il “palco”?

Questo è il punto: oggi si può sopravvivere.

Mentre una volta…

Uno spettacolo poteva durare due o tre stagioni, da ottobre a maggio, e qualche volta si aggiungevano le date estive; negli ultimi anni per chiuderne una devi lavorare su due o tre produzioni.

Sopravvive, quindi.

Premessa: la questione non è personale, ma generale. Anzi, ho una buona paga e soddisfazioni: potrei viverci bene.

Arriva il “ma”.

Non pagano, e lì scatta la sopravvivenza; c’è un teatro che mi deve dei soldi da anni, e sono costretto a vestire il ruolo del “recupero crediti”: chiamo e sollecito, chiamo di nuovo e sollecito ulteriormente.

Niente.

Macché, mi dicono “non c’è un euro”, poi però scopro che il teatro è sempre pieno e se ne vantano pure. Qualcosa non torna…

È benestante sulla carta.

Nell’immaginario ricopriamo il ruolo di chi solleva la quotidianità altrui, di chi porta lo spettatore su lidi delle mente più piacevoli della realtà.

Invece?

Nel mio mondo c’è una fame e una disperazione che ti avvolgono; a prescindere mi sento fortunato. Anzi, lo sono.

Cosa lamenta?

La fine del sistema, non vogliamo capire che questo è un lavoro e, in quanto tale, va pagato, altrimenti diventa un hobby.

I produttori ci provano.

Vorrei avere una lavagna dei buoni e dei cattivi, un TripAdvisor per avvisare i colleghi ed evitare fregature.

Tra attori certe situazioni già si conoscono.

È vero, ieri mi ha chiamato un collega e mi ha parlato di un progetto, quando ho scoperto chi lo produce non ho resistito: “Ma sei matto? Quello è una fregatura”.

Risposta?

Occhio preoccupato: “Non vorrei passare per piantagrane”.

Sotto schiaffo.

La sensazione è una: siamo tutti seduti al tavolo della roulette e stiamo perdendo, ma nessuno ha il coraggio di alzarsi.

Quando non pagano, quali sono le motivazioni dei produttori?

Che non gli arrivano i soldi dai teatri, mentre i teatri lamentano i mancati finanziamenti del ministero (Ci pensa un attimo). Se penso a quando abbiamo rinunciato alla televisione per una tournée…

Ai tempi della “Premiata Ditta”.

Andavamo così forte, sold out in tutta Italia, da poterci permettere un “no” alla Tv.

In parte vivrà ancora dei guadagni di quel tempo…

Seeee! Sono un caso economico particolare: ho sbagliato investimenti, ho sperperato e poi ho concluso con una delle cazzate più grandi.

Sveliamola.

Matrimonio all’americana e divorzio all’italiana, un cretino totale. Comunque mi sono divertito tanto.

Bene.

Un po’ alla George Best: “Ho speso in donne e belle macchine, il resto l’ho sprecato”.

Quanto è durata?

Abbastanza, credevo che il lavoro non si sarebbe mai fermato.

Torniamo all’oggi.

Non siamo una categoria unita, accettiamo la legge del ribasso, se uno rinuncia c’è la fila di chi vuole sostituirlo; e poi non veniamo considerati “utili” alla comunità, bensì superflui: attualmente il modello dominante è quello di calciatori e tronisti.

Ha partecipato al reality “La talpa”.

Il meccanismo è puntare sul peggio di chi partecipa, capire chi e se scopava: il montaggio dipendeva solo da quello; gli aspetti positivi, la solidarietà, la complicità non li mostravano.

Altri parametri.

Sotto ogni punto di vista, questa realtà non funziona. Per questo spesso mi estraneo e vado in canoa, lì la prospettiva è migliore.

Strangola la moglie e si getta su un coltello: femminicidio-suicidio

Prima ha strangolato la moglie. Poi ha incastrato un coltello nel braccio della donna e si è buttato sull’arma, lasciandosi trafiggere dalla lama. L’omicida si chiama Gino Damiani, 60 anni, idraulico di Castelvetrano, in provincia di Trapani. La vittima, Rosalia Lagumina, era di 12 anni più giovane. A trovarli, questa mattina, sono stati i vigili del fuoco, entrati nell’appartamento dopo una segnalazione dei carabinieri, allertati dal socio di lui dopo l’assenza a lavoro e le mancate risposte al telefono. Li hanno trovati l’uno sull’altra morti, distesi sul letto. I parenti riferiscono che la donna aveva deciso di lasciare il marito: i due vivevano da separati in casa. Rosalia non dormiva più insieme al marito, ma nel lettino di uno dei figli, nella stanza al piano superiore dell’abitazione. Sul caso di femminicidio indaga ora la Procura di Trapani, che sta raccogliendo le testimonianze dei familiari e dei vicini. I due morti avevano due figli, una ragazza di 23 anni, sposata, che vive a Selinunte (in Sicilia), e un ragazzo di 25 anni, che abita al nord e tornerà questa sera in paese per i funerali.

Unioni civili, assegno di divorzio anche per coppia di due donne

Anche in caso di unione civile il partner più debole economicamente ha diritto ad un assegno di mantenimento. La sentenza, a suo modo storica, arriva da Pordenone: il Tribunale, presieduto dal giudice Gaetano Appierto, ha stabilito in una causa di divorzio fra due donne unite civilmente un “mensile” di 350 euro a carico della coniuge più benestante (e che occupa ancora l’abitazione condivisa ai tempi della relazione). È la prima volta che succede in Italia.

Le unioni civili come il matrimonio, dunque. Anzi, anche di più: la sentenza, infatti, deriva dall’applicazione del cosiddetto divorzio diretto, che invece non è ancora regolamentato in Italia per le coppie eterosessuali. Si tratta di due donne residenti a Pordenone che già convivevano stabilmente dal 2013 e che avevano potuto perfezionare la loro unione solo nel 2016, dopo l’intervento della legge Cirinnà. La norma non soltanto equipara in toto l’unione civile al matrimonio, ma “consente di accedere al divorzio senza passare per la fase della separazione e non prevede l’obbligo di fedeltà”, come spiega l’avvocata Maria Antonia Pili, presidente di Aiaf Fvg (Associazione avvocati per la famiglia).

Grazie alle nuove norme, la donna ha chiesto e ottenuto il riconoscimento di un assegno divorzile periodico che possa colmare il peggioramento delle proprie condizioni economiche. Secondo i giudici, infatti, è “altamente verosimile che nel corso della convivenza, siano state adottate dalla donna economicamente più debole decisioni in ordine al trasferimento della propria residenza ed alla attività lavorativa dettate non solo dalla maggior comodità ma anche dalla necessità di coltivare al meglio la relazione”. Per questo la sua ex compagna dovrà versarle 350 euro al mese.

L’ultima “banda degli onesti”. Arrestati con 36 milioni falsi: “Banconote di altissima qualità”

I due novelli Totò e Peppino, falsari delle banconote provenienti da Napoli e Casoria, si erano rinchiusi nel capannone di via San Giusto 71 a Pomigliano d’Arco (Napoli) da dodici giorni. Quasi due settimane senza mai uscire, dormendo e lavandosi lì, e nutrendosi di biscotti, avvolti negli odori di porchetta e salumi provenienti dall’azienda alimentare dei padroni di casa che avevano fittato loro una parte dei locali, ignari e incolpevoli di quel che accadeva al piano terra.

In dodici giorni i due hanno stampato trentasei milioni di euro falsi in banconote da 50 euro di altissima qualità, che avrebbero ingannato chiunque, grazie a macchinari performanti di nuova generazione in grado di fare miracoli sulla carta filigranata. Perché nel ramo si lavora così: si pianta ‘l’industria’ in un attimo, la si spreme in pochi giorni e poi si scappa col prodotto senza lasciare tracce. E le attrezzature sarebbero state recuperate in un secondo momento. Sarebbe andata così anche stavolta, se il nucleo di polizia economico finanziaria di Napoli agli ordini del colonnello Domenico Napolitano non li avesse stanati, al termine di appostamenti e rapide indagini, forse avviate da una soffiata di qualcuno insospettito dall’andirivieni dei macchinari. I due falsari, 36 e 37 anni, sono stati arrestati in flagranza di reato. Il rapporto è stato trasmesso alla procura di Napoli Nord, guidata da Francesco Greco, che procederà alla richiesta di convalida. Una procura specializzata nel reprimere la contraffazione di denaro: il 21 aprile del 2017 eseguì l’arresto di 19 persone del “Napoli Group”, un cartello di falsari ritenuto responsabile, disse il procuratore Greco, del 73% delle contraffazioni di euro in Italia, e addirittura del 79% a livello mondiale; l’operazione fu chiamata “La banda degli onesti”. Nel film i falsari delle diecimila lire erano tre. Stavolta, per sfornare 36 milioni di euro, ne sono bastati due.

Via ai test sulle zanzare Ogm: la nuova sperimentazione contro la malaria ai Tropici

Al via nei laboratori del Polo di Genomica di Terni i primi test sulle zanzare Ogm contro la malaria. Si tratta della fase avanzata del progetto “Target Malaria”, sviluppato nel centro della città umbra dalla Fondazione Bill&Melinda Gates. E tra sei mesi sono attesi i primi risultati: gli studiosi, capitanati dal coordinatore del progetto Andrea Crisanti, docente di Parassitologia molecolare all’Imperial College di Londra, vogliono capire se l’innesco di una reazione a catena genetica, tecnicamente definita “Gene Drive”, permetterà di rendere sterili le femmine, in modo da arrivare ad annientare l’intera popolazione presa in esame.

Una tecnica che potrebbe dunque rivoluzionare la lotta alla malaria in tutto il mondo. “Ci sono grandi attese per questo progetto – spiega Crisanti – che rappresenta una svolta tecnologica: se infatti l’esperimento porterà a un risultato positivo, saremo a un passo dal poter affermare che questa tecnologia funziona.” I test sulle zanzare, arrivate dalla Gran Bretagna, sono iniziati in questi giorni, dopo che la struttura di Terni ha ottenuto tutte le autorizzazioni del caso. I laboratori del Polo di Genomica sono stati scelti proprio perché offrono tre livelli di sicurezza che impediscono alle zanzare modificate di fuoriuscire e persino di sopravvivere e proliferare, qualora venissero accidentalmente liberate nell’ambiente. In più, le zanzare saranno anche “ingannate” per evitare che possano pungere. “Le tratteremo – prosegue Crisanti – con del sangue bovino racchiuso in contenitori ricoperti da una membrana che imita la pelle. Ogni passaggio dell’esperimento sarà tracciato, con l’obiettivo di verificare se la reazione a catena genetica riuscirà ad azzerare la popolazione nel giro di 8-10 generazioni, come indicato dai primi test di laboratorio condotti a Londra”.

“La Cupola non influì sui risultati”: i giudici civili reinterpretano Calciopoli

Una sentenza della Corte di Appello civile di Napoli riapre Calciopoli. I giudici hanno negato il risarcimento a Victoria 2000 srl, socio unico del Bologna che retrocesse in B nel 2005, all’epoca della “Cupola” e delle designazioni arbitrali “truccate”, come stabilito penalmente dal processo di Napoli.

Victoria 2000 srl, la società che faceva capo al presidente dei rossoblu Giuseppe Gazzoni Frascara, aveva citato in giudizio Luciano Moggi, la Juventus, la Fiorentina, i fratelli Della Valle, i dirigenti Innocenzo Mazzini e Sandro Mencucci, gli ex arbitri Massimo De Santis e Pierluigi Pairetto, chiedendo un indennizzo per la retrocessione che aveva abbattuto il valore del pacchetto azionario iscritto a bilancio per circa 30 milioni. Ma quella retrocessione, sostengono i giudici, non dipese dalle designazioni arbitrali decise a tavolino da Moggi & C., e quindi dalle frodi sportive finite in prescrizione. L’ex patron del Bologna non è riuscito a dimostrare che i fischietti falsarono i risultati.

I magistrati hanno sentenziato che molto probabilmente le partite delle squadre concorrenti nella lotta per la salvezza si sarebbero concluse con gli stessi punteggi. Ed il Bologna avrebbe comunque perso a Torino contro la Juventus, ininfluente il pessimo arbitraggio pro-bianconeri di Tiziano Pieri: il direttore di gara – si legge – “non risulta condannato in sede sportiva e fu assolto in sede penale” ed in campo “commise degli errori” però “considerati mere violazioni delle regole del gioco”. Insomma, non ci fu dolo, tanto che Pieri fu rimproverato dai designatori e non fu più nominato arbitro internazionale, quindi “non ricevette alcun premio dall’aver agevolato la Juventus”. Inoltre, secondo i giudici, il Bologna andò in B anche perché in crisi finanziaria. Le perdite di 38 milioni complessive scritte nei bilanci di esercizio 2002 e 2003 e la conseguente politica di riequilibrio economico “produsse inevitabilmente una diminuzione dello spessore tecnico della squadra”. Anche il Bologna Fc si era costituito in giudizio, insieme al Brescia, ma le loro iniziative sono state dichiarate ‘estinte’ perché presentate dopo la scadenza dei termini.

La frode sportiva è un reato di pericolo e la dichiarazione di responsabilità non fa scattare automaticamente l’esistenza di un danno. L’onere di provarlo spetta al danneggiato, e l’ex socio unico del Bologna non l’ha fatto. Una pagina delle motivazione spiega perché nemmeno la pratica-clou del sistema Moggi, falcidiare di cartellini le squadre che dovevano incontrare la Juve, non può da sola rappresentare con certezza un danno. Il Bologna giocò a Torino senza tre squalificati “per le ammonizioni pilotate da De Santis durante la partita con la Fiorentina”. Però “Victoria 2000 (…) non ha dedotto nessuna circostanza per dimostrare che l’assenza di quei tre calciatori fu determinante. Non ha detto, ad esempio, se i loro sostituti erano inferiori; se disputarono una pessima partita, commisero errori, fallirono uno o più gol che avrebbero consentito al Bologna di pareggiare”. La beffa finale: “Uno degli errori di Pieri consistette nell’errore di valutazione di un fallo di gioco che non andava dato, da cui nacque il gol vittoria della Juve”. Come a dire: con o senza squalificati non sarebbe cambiato nulla, bastava la punizione “inventata”.