Senza aborti e senza gay: il festival filorusso di Verona

C’è chi vuole mettere in galera gli omosessuali, l’arciprete che definisce “cannibali” le donne che abortiscono, la scrittrice italiana Silvana De Mari secondo cui “l’atto sessuale tra due persone dello stesso sesso è una forma di violenza fisica usata anche come pratica di iniziazione al satanismo”. Questa è la famiglia e la società della lobby tradizionalista che si riunirà a Verona dal 29 al 31 marzo per il 13° World congress of families (Wcf), osteggiato dai gruppi femministi ed Lgbt, con già 100mila richieste raccolte dal movimento globale AllOut perché venga negato il patrocinio del governo.

Nato alla fine degli anni Novanta dalla collaborazione dello studioso americano Allan Carlson (presente a Verona), con alcuni sociologi russi convinti che la libertà sessuale occidentale avrebbe distrutto il Paese, questa associazione lavora a fianco di Vladimir Putin a partire dal 2011, proponendo e facendo approvare diverse leggi chiave: quella che limita il diritto all’aborto, quella che vieta la “propaganda gay” e una terza che depenalizza la violenza domestica.

L’uomo centrale da tenere d’occhio, è che sarà a Verona, è Alexey Komov. Ex proprietario di night club e appassionato di yoga, convertitosi poi all’ortodossia cristiana, incrocia il Wcf nel 2010 diventandone presto uno dei leader (è il rappresentante per la Russia). Tra i sostenitori della legge contro la “propaganda gay”, dichiara che nel suo Paese non c’è un problema di omofobia, anzi, i giovani vanno protetti perché “lo stile di vita omosessuale non è salutare”. Komov, amico e collaboratore dell’oligarca Konstantin Malofeev, è una vecchia conoscenza in Italia: è presidente onorario dell’associazione “Lombardia Russia” di Gianluca Savoini, uomo di riferimento per Mosca del ministro Salvini (Komov anche è citato nell’inchiesta dell’Espresso sui presunti soldi russi alla Lega). Spesso è stato ospite nel nostro Paese, oltre che della Lega, di Toni Brandi, presidente di ProVita, associazione antiabortista che ha riempito le città di manifesti con immagini di feti in occasione del 40esimo anno della legge 194. Brandi è un altro relatore: per lui “i gay hanno tendenze pedofile, rompono i coglioni e possono essere curati” (è inoltre grande amico del neo-fascista Roberto Fiore). A un convegno di ProVita del 2016, l’attualeministro Lorenzo Fontana (relatore a Verona) disse: “C’è una deriva nichilista e relativista della società occidentale, ma la Russia – rappresentata qui dall’amico Alexey Komov – è l’esempio che l’indirizzo ideologico e culturale in una società si può cambiare”.

Eccolo allora “l’indirizzo ideologico”: basta guardare dichiarazioni e biografie dei relatori. C’è l’arciprete ortodosso Dmitri Smirnov che definisce “cannibale” chi ricorre all’aborto: “Non sperate di avere gioia, avrete braccia macchiate e piedi che sguazzeranno nel sangue dei vostri bambini assassinati”. Antiabortista anche Ignacio Arsuaga, a capo della ricchissima Ong spagnola CitizenGo, attiva anche in Italia: “Vogliamo una Spagna senza aborti e lavoreremo per raggiungere questo obiettivo”. Ci sarà Katalin Novak, ministra della Famiglia ungherese che ha partorito la legge che esenta dal pagamento dell’imposta sul reddito le donne con almeno quattro figli perché, ha dichiarato il presidente Orban, “non vogliamo più migranti, ma più bambini ungheresi e in generale più bambini europei cristiani”. Ci sarà Lucy Akello, ministra ombra in Uganda e sostenitrice del cosiddetto “Kill the gay bill” (finora respinto) che prevederebbe l’ergastolo – in una prima stesura, la pena di morte – per chi si macchia di “omosessualità aggravata”. E infine lui, il presidente del Wcf, Brian Brown, sostenitore di campagne contro i matrimoni gay e i transgender nell’esercito, e convinto che le pulsioni omosessuali si possano “riparare”. “Dove sono i ricercatori che studiano la possibilità che lo stile di vita gay stesso sia distruttivo?” si è chiesto una volta. A fine marzo tutti a Verona, verrebbe da rispondergli.

 

 

 

 

 

 

 

Famiglia, tre ministri sul palco. Il logo è abusivo, la Lega insiste

Ieri mattina, nella sala degli Arazzi del Comune di Verona, il sindaco di centrodestra Federico Sboarina e il presidente del World Families Congress hanno snocciolato il parterre de rois che tra due settimane verrà a sedersi con la lobby omofoba e antiabortista internazionale: il vicepremier Matteo Salvini, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, quello della Famiglia Lorenzo Fontana. Mezzo governo sarà lì, l’altra metà lo considera un raduno “da Medioevo”. Ed è costretta a vedere certificato dal bollino della presidenza del Consiglio il valore della tre giorni veronese. Hai voglia a “benedire” (dice così il vicepremier M5S Luigi Di Maio) le istruttorie avviate da palazzo Chigi: la verità è che le strade della burocrazia sono già state tutte percorse e i pasdaran della Lega le hanno affrontate senza il minimo disturbo.

L’ultimo tentativo l’ha fatto ieri il dipartimento per l’Editoria, che è titolare della concessione del logo governativo. Dopo aver ricevuto, martedì, la lettera del segretario generale della presidenza del Consiglio Roberto Chieppa che in sostanza li informava dell’illegittimità del patrocinio concesso alla manifestazione di Verona, il capo dipartimento Ferruccio Sepe ieri ha scritto alla collega alla Famiglia, Ermenegilda Siniscalchi. Sepe, in pratica, le ha spiegato che non sussistono i presupposti per supportare il World Families Congress: non solo perché non ha seguito l’iter previsto dal Cerimoniale, ma anche perché ci sono dubbi sull’assenza di finalità di lucro della manifestazione e pure sul valore culturale della kermesse. Ma siamo ormai a una guerra a colpi di formalità: se il ministro Fontana non revoca di sua sponte il patrocinio, lo spauracchio del logo non intimorisce nessuno, figuriamoci gli organizzatori di un convegno che avrà tre ministri sul palco. La via amministrativa, dunque, è finita in un vicolo cieco. Resta quella politica: anche stavolta, tra i litigiosi gialloverdi, l’unico a poter mettere la parola fine sarebbe il premier Giuseppe Conte. Con la lista di beghe che ha da aggiustare, avrà voglia di occuparsi anche di questa?

Sblocca cantieri, stop a soglia del 30% sui subappalti

Prima un tavolo tecnico con i sindacati lunedì, poi il testo in Consiglio dei ministri mercoledì. È il crono programma del governo per il decreto sblocca cantieri stilato al termine di oltre cinque ore di confronto tra il governo da una parte, con il premier Conte e i ministri Di Maio e Toninelli, e le varie realtà coinvolte dall’altra. “Vogliamo raccogliere istanze e suggerimenti”, ha spiegato il premier rassicurando i sindacati che non hanno ancora ricevuto il testo. Del resto si tratta di un assemblato di articoli in costruzione in cui norme dei 5 Stelle sono integrate con le indicazioni della Lega. Dallo schema di decreto che è filtrato emerge che il testo è composto da 29 proposte di modifica al Codice dei contratti pubblici: si va dall’eliminazione per i subappalti dell’attuale soglia del 30% dell’importo dei lavori all’estensione del criterio del “prezzo più basso”, fino all’introduzione di una soglia per l’obbligo dei criteri ambientali minimi. Ma c’è un grande tema che ancora divide i due partiti di governo: la Lega vorrebbe un super commissario per le opere pubbliche, sul modello dell’Expo di Milano che nei fatti sarebbe un commissariamento del ministro dei Trasporti Toninelli. Ma i Cinque Stelle hanno smentito l’ipotesi.

Conte-Macron, bilaterale per accantonare il Tav

L’incontro di Giuseppe Conte e Emmanuel Macron, “un bilaterale”, si svolgerà giovedì prossimo a margine del Consiglio europeo a Bruxelles. Sarà il primo faccia a faccia dopo la crisi che ha riguardato Italia e Francia e che ha portato al richiamo dell’ambasciatore francese da Roma (poi rientrato). E sarà l’occasione per capire se sul Tav Macron potrà essere o meno una sponda per l’Italia. Conte, in particolare, non dispera di poter avere una mano nel rivedere o accantonare l’opera. “Vedere per credere” è l’auspicio che si sussurra a palazzo Chigi e quindi nessun esito è prefigurabile.

Quello che il presidente del Consiglio porterà nella borsa è certamente la “Relazione tecnico-giuridica” firmata dall’avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello di cui il Fatto ha già dato conto nell’articolo di Gianni Barbacetto. In quella relazione si legge che il costo del tunnel di base, 9,63 miliardi, pesa soprattutto sulle spalle dell’Italia, 5,57 miliardi, cioè il 58%, nonostante il tracciato del tunnel sia solo per il 21 per cento in territorio italiano. Con il risultato bizzarro che l’Italia paga la galleria 280 milioni a chilometro, mentre la Francia ne sborsa solo 60.

Il dato è rilevante soprattutto perché i francesi lo citano nella loro Enquete d’utilité publique, una sorta di analisi costi-benefici, da cui si ricava che “l’operazione è positiva per la Francia, in ragione del fatto che l’Italia si accolla la maggior parte dei costi”. La Francia, infatti, ha deciso di rimandare le opere del tratto francese a dopo il 2038: “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase”.

Un terzo elemento di dialogo riguarda la violazione da parte di Parigi dell’articolo 16 del Trattato del 2012. Si tratta del punto in cui si stabilisce la disponibilità del finanziamento come “condizione preliminare” per l’avvio dei lavori della parte comune. Ma, mentre l’Italia ha già stanziato 2,63 miliardi e la Ue 570 milioni, la Francia non ha stanziato nulla. E questo nonostante gli avis de marché, cioè gli avvisi di interesse ai lavori, siano stati pubblicati ieri sulla Gazzetta europea.

Il confronto con Macron dovrà trattare tutti questi argomenti, ma sul tavolo ci saranno altri dossier a cominciare da quello libico dove entrambi i paesi sono interessati a una soluzione del conflitto anche se sostengono, almeno parzialmente, fronti opposti. Importanti anche i temi economici: dai cantieri navali Stx, al ruolo delle banche francesi in Italia fino alle vicende azionarie di Tim o di Enel. Senza contare la situazione degli ex terroristi che hanno usufruito dello status di rifugiato politico in Francia e di cui l’Italia chiede l’estradizione. I margini per eventuali punti di intesa, dunque, ci sono.

Macron, con l’intervista a Fabio Fazio andata in onda su Rai1, ha dimostrato di voler lanciare segnali di pace all’Italia che saranno consacrati dalla visita di Stato che il presidente Mattarella farà a Parigi nel mese di maggio. Si vedrà da questo bilaterale se il ramoscello d’ulivo possa riguardare o meno anche il Treno ad Alta velocità tra Torino e Lione.

Mail Box

 

L’ascesa di Salvini è così irresistibile?

In molti si stupiscono per l’ascesa (ir)resistibile di Matteo Salvini e non riescono a darsene una ragione. La psicoanalisi può darci un aiuto a comprendere le dinamiche alla base del successo di questo discutibile uomo politico: è l’insicurezza che pervade il nostro tempo, è fonte di un’ansia incontenibile e condiziona il comportamento e il pensiero della maggior parte della gente. A tale proposito, Wilfred Bion, uno psicoanalista inglese dello scorso secolo, scoprì i meccanismi che usano i gruppi per difendersi dall’angoscia e dall’insicurezza: il primo è la ricerca della dipendenza da un capo onnipotente capace di risolvere tutti i problemi. E non c’è dubbio che il leader del movimento leghista stia rappresentando, a volte in modo caricaturale, l’immagine dell’uomo forte e dell’eroe senza macchia e senza paura. Il secondo meccanismo descritto da Bion è la ricerca di un nemico comune, identificato come unico responsabile dei mali che affliggono il gruppo, e che finiscono per diventare il bersaglio dell’odio e del rancore di tutti. Gli immigrati, che non hanno alcuna possibilità di difesa, sono diventati il capro espiatorio ideale e il “perfido” Salvini è stato abilissimo a sfruttare la paura delle persone, per guidare una serie di attacchi feroci contro questi poveri disgraziati. Il nostro Matteo, però, deve stare attento perché, come ci insegna Bion, i gruppi sono molto instabili: quando i fantasmi di onnipotenza si dissolvono alla luce della realtà, il capo, che sembrava invincibile, viene messo rapidamente da parte nell’attesa di un nuovo messia.

Domenico Forziati

 

Bisogna avere il coraggio di difendere Giulia Sarti

Volevo ringraziare Marco Travaglio per l’editoriale sul caso di Giulia Sarti. Ha scritto come sempre cose bellissime e molto toccanti. Sono profondamente indignata che in un Paese come il nostro possano accadere fatti così gravi e così lesivi della dignità e della rispettabilità umana. Sono ancor più indignata perché la Chiesa tace, invece che scagliarsi contro chi abusa di chi è in difficoltà, cioè di quelle tante donne che hanno riposto fiducia sulla persona sbagliata. Su questo cala un silenzio ipocrita, a volte compiacente.

Forse c’è chi pensa che se la sono cercata e che se la sono meritata. Grazie per aver alzato la sua voce, mentre tanti altri tacciono nella speranza che tutto venga riassorbito, come sempre, nell’indifferenza generale, perché l’indifferenza è quel magma che lascia che i carnefici possano continuare ad essere quegli ignobili che offendono il rispetto e la dignità altrui, dando un pessimo esempio ad altri, e che le vittime restino tali, ancora e sempre senza voce. Tutta la mia solidarietà a Giulia Sarti, non da donna a donna, ma da essere umano ad essere umano, e tutta la mia stima e la mia continua fiducia, negli anni, ad un giornalista del suo calibro.

Franca Nicoletti

 

Forse Conte deve ripassare le sue conoscenze giuridiche

Può essere revocato un trattato internazionale da una lettera firmata dal Presidente del Consiglio di uno dei paesi firmatari dell’accordo? Qualunque persona di buon senso, anche priva di approfondite conoscenze giuridiche, risponde con chiarezza: NO! Un trattato internazionale è firmato dai Governi, ma viene sancito ufficialmente dai Parlamenti dei paesi interessati; quindi la revoca non può che seguire la stessa strada, con un passaggio in Parlamento. Invece l’Italia, guidata da un professore di diritto amministrativo, blocca la TAV con una letterina del Presidente Conte! Una squallida manifestazione di impotenza da parte del premier, che non ha il coraggio di informare il Parlamento delle sue intenzioni, perché sa benissimo che la stragrande maggioranza dei senatori e degli onorevoli è a favore dell’opera. Se un suo studente dicesse all’esame che la lettera è uno strumento giuridico valido, lo boccerebbe con un tre; ma il professore in aula insegna cose che al Governo smentisce… Professor Conte, ripassi a Settembre! (se ci arriva…)

Armando Parodi

 

DIRITTO DI REPLICA

In relazione all’articolo “Truffa a RFI: “Piazzavano” terriccio a rischio amianto per i terrapieni ferroviari”, pubblicato ieri su Il Fatto Quotidiano, segnaliamo il testo del comunicato stampa diffuso il 14 marzo: “In relazione alle notizie riportate dai media circa le indagini della Procura della Repubblica di Roma nei confronti di alcuni imprenditori, le società FS Italiane e Rete Ferroviaria Italiana stanno valutando ogni azione a propria tutela. Le indagini, che vedono Rete Ferroviaria Italiana come persona offesa, riguardano un dipendente in servizio presso la predetta società e due dipendenti in pensione (uno di FS e uno di RFI). Le Società hanno già fornito e continueranno a garantire la piena collaborazione all’Autorità giudiziaria e agli inquirenti per lo svolgimento dei necessari accertamenti”. Vi chiediamo di darne conto ai vostri lettori sia nell’edizione cartacea sia sul vostro sito web.

Ufficio Stampa FS Italiane

 

Come riportato fin dal titolo dell’articolo in questione, “Truffa a Rfi: Piazzavano terriccio a rischio amianto per i terrapieni ferroviari”, Il Fatto Quotidiano ha evidenziato che l’azienda è parte lesa nell’indagine della Procura di Roma, ai cui atti il testo dell’articolo si è fedelmente attenuto.

A. Oss.

“Seif” si quota. La Borsa non è un “mostro” ma un’opportunità per aziende in crescita

 

Cara redazione, stamattina ho avuto qualche difficoltà ad acquistare le azioni del “Fatto quotidiano”, ma alla fine sono riuscito ad acquistarne 2000. Spero che sia un caso isolato perché le vie del boicottaggio sono infinite in Italia. Odio la Borsa perché sento che è manipolata da personaggi a dir poco inquietanti, ma per sostenere l’unico vero quotidiano diffuso in tutto il territorio italiano mi sono piegato volentieri a questo compromesso. Mi viene un piccolo dubbio: la meravigliosa indipendenza di questo giornale non potrebbe essere intaccata da questi “mostri” che riescono a condizionare il mercato a proprio piacimento? Cordiali saluti.

Angelo Casamassima Annovi

 

Caro lettore, ci spiace che abbia trovato difficoltà nell’acquistare le azioni della Societa Editoriale Il Fatto, ma sono convinta che siano state difficoltà tecniche o dovute alla disponibilità di azioni in vendita, che nulla hanno a che vedere con un boicottaggio. Nel ringraziarla per aver acquistato duemila azioni, dimostrando fiducia nella nostra avventura, ci tengo a tranquillizzarla in merito alle sue preoccupazioni sulla Borsa e sulla possibilità che questa intacchi l’indipendenza dei nostri giornalisti: la Borsa non è un “mostro”, ma un’opportunità per imprese che vogliono crescere. Certamente è importante tutelarsi dai rischi che può comportare l’apertura al mercato azionario; è importante che le Società quotande e successivamente quotate adottino statuti che rendano impossibile minare l’ampia autonomia delle direzioni giornalistiche e della redazione. Per questo abbiamo attuato una profonda revisione della nostra corporate governance con opportune integrazioni statutarie. Intanto, tenga presente che abbiamo ceduto in Borsa solo il 16,7%. Abbiamo inoltre fissato come limite di possesso azionario il tetto del 17% e tale limite potrà essere eliminato solo con un quorum pari all’ 82,9% del capitale sociale, il che implica che la modifica potrà essere adottata solo se condivisa da un’amplissima schiera di azionisti. Sono stati poi inseriti meccanismi in tema di Opa che scoraggiano tentativi di scalata. Infine sono stati introdotti specifici requisiti di onorabilità per gli azionisti che superino il 5% del capitale sociale. Fatto questo, i rischi non sono superiori a quelli a cui è sottoposta una Società per azioni non quotata, che potenzialmente può vendere pacchetti di azioni a chiunque, fatto salvo il diritto di prelazione degli azionisti.

Cinzia Monteverdi – presidente e Ad di Seif

Al Bond Carrisi e Toto, la Spectre di Cremlino S. Marco

Il suo nome è Carrisi, Al Bano Carrisi. È stata una settimana campale, i sette giorni che cambiarono Cellino San Marco. Un tempo l’erede di Claudio Villa, oggi l’agente segreto Al Bond è il nuovo Le Carrè, Graham Greene, Ian Fleming. Molti si sono stupiti per l’inserimento nella black list dell’Ucraina a causa delle sue simpatie per Putin, dalla Russia con amore; ma francamente non si capisce perché. I tempi cambiano, se Lino Banfi è commissario dell’Unesco non si vede perché Al Bond Carrisi non potrebbe essere collaboratore della SPECTRE. Sospetti di doppiogiochismo aleggiavano dai tempi della sua partecipazione sotto copertura al Ballo del Qua Qua. L’ombra di un intrigo ordito dal Cremlino – Cremlino San Marco? -, il legame con l’americana Romina Power, quindi con la leccese Lecciso, una rivalità mai veramente sopita, proprio come quella tra Russia e Ucraina. Ed è solo l’inizio: ieri alcuni deputati ucraini hanno chiesto di mettere al bando Toto Cutugno, “l’italiano vero” sarebbe in realtà un altro filorusso. Siamo in piena Sanremo Connection, una Cantantopoli dall’effetto domino e dai colpi di scena a ripetizione. L’ambasciatore di Kiev ha espresso il desiderio di incontrare Al Bano per andare a fondo della questione, e lui ha subito accettato: “Spero di convincerlo che la musica non ha catene davanti a un buon bicchiere di vino”. E magari pure un panino. Chissà se l’ambasciatore berrà quel bicchiere, addenterà quel panino, o li passerà prima a un assaggiatore.

Turbocapitalismo anche nello spazio

Nel giugno 2018, per la celebrazione del 50° anniversario della prima Conferenza delle Nazioni Unite sugli usi pacifici dello Spazio extraterrestre, si è svolta a Vienna la Conferenza Unispace + 50, alla quale ha partecipato anche la Santa Sede.

In preparazione a tale incontro, nel marzo 2018 la Specola Vaticana aveva organizzato – nella sua sede, nei giardini delle Ville Pontificie, a Castel Gandolfo – un gruppo di lavoro estivo per discutere le molte questioni degli usi pacifici dello Spazio e delle relative tecnologie.

Al seminario hanno partecipato 30 persone provenienti da 9 nazioni; tra di esse, vi erano scienziati, diplomatici, educatori e rappresentanti delle industrie spaziali. (…)

Il suddetto seminario ha avuto un significato particolare per la Specola Vaticana, perché negli ultimi 25 anni la nostra ricerca si è focalizzata sulla comprensione dell’origine e della composizione degli asteroidi del Sistema solare: corpi che, nel prossimo futuro, potrebbero giocare un ruolo determinante nell’esplorazione dello Spazio. Il loro sfruttamento è ricco di opportunità, ma comporta problematiche di carattere morale. (…) In pochi decenni, questi corpi potrebbero diventare nuove fonti di utili risorse naturali. Negli ultimi mesi del 2018, due diverse sonde spaziali – una dell’Agenzia spaziale giapponese Jaxa e l’altra dell’americana Nasa – hanno raggiunto alcuni asteroidi che per le loro modeste dimensioni e per le loro orbite, prossime alla Terra, sono tra i candidati che in un futuro non troppo lontano potrebbero risultare utilizzabili come fonti di minerali. (…)

In questi anni, sono stati scoperti circa 500.000 asteroidi, la maggior parte dei quali orbitanti nello Spazio tra Marte e Giove e di dimensione radiale minore di 10 chilometri. (…) Poiché passano vicino alla Terra, molti di tali Near Earth Objects (NEOs, “Oggetti prossimi alla Terra”) – alcuni tanto piccoli da avere un diametro di poche decine di metri – sono stati osservati con telescopi e anche mediante radar. Al ritmo di circa uno al mese, già troviamo piccoli NEOs che arrivano a distanze da Terra paragonabili a quella della Luna. (…)

Che tipo di materiali varrebbe la pena ricavare da tali asteroidi? Possiamo farcene una prima idea ipotizzando che la composizione degli asteroidi corrisponda a quella dei nostri meteoriti. Circa il 10% della massa di un meteorite ordinario è metallica: si tratta in primo luogo di ferro e nichel, ma con tracce significative di metalli di maggior valore, come oro, platino, rame, argento o zinco. (…)

Il risultato appare sorprendente: da un asteroide dal diametro di appena un chilometro proverrebbero 100 milioni di tonnellate di ferro; e, supposto un valore di poche centinaia di dollari per tonnellata, è facile concludere che il valore totale sarebbe dell’ordine di decine di miliardi di dollari. (…) In realtà le più preziose risorse disponibili a breve termine non sono probabilmente i metalli da riportare a Terra, ma piuttosto l’acqua e l’ossigeno, che potrebbero essere usati come carburanti per i veicoli spaziali, e così facilitare l’esplorazione dello Spazio o perfino la vita umana in esso. (…)

Questa è la motivazione che oggi prevale nella nascente comunità delle risorse spaziali. Negli ultimi 5 anni, alcune compagnie si sono impegnate per realizzare lo sfruttamento di minerali dallo Spazio; ricordiamo, ad esempio, la Deep Space Industries, la Kepler Energy and Space Engineering e la Planetary Resources. Uno sguardo alle loro pagine in rete fornisce abbondanti dettagli su ciò che esse sperano di fare, su come sperano di farlo e sulle difficoltà incontrate per il finanziamento di tali attività speculative. Al momento, sia per Planetary Resources sia per Kepler Energy il futuro si presenta incerto.

Anche l’Agenzia civile governativa responsabile del programma spaziale e della ricerca aerospaziale degli Stati Uniti (Nasa) si occupa con grande impegno dell’ingegneria di base per l’attività mineraria nello Spazio. Sul suo sito internet si discute di argomenti relativi alla connessione di apparecchiature sulla superficie degli asteroidi in condizioni di gravità molto ridotta, alle modalità per scavare negli strati superficiali del regolite (il mantello che ricopre gli asteroidi) e ai possibili modi per estrarne metalli. (…)

Lo sfruttamento di asteroidi ricchi di acqua per ottenere dal loro ossigeno e carbonio combustibile per propulsori spaziali a breve termine permetterà di rendere più facili i viaggi nello Spazio. Ma lo scopo a lungo termine di tali viaggi è, in definitiva, l’uso dello Spazio a beneficio dell’uomo.

Le attività minerarie e il lavoro industriale sulla Terra sottopongono a serie tensioni l’ambiente circostante. Spostando queste attività al di fuori della Terra, si potrebbero custodire meglio l’ambiente naturale e la bellezza del nostro insostituibile Pianeta. (…) Tutti questi vantaggi, a conti fatti, fanno diventare molto allettante, e in alcuni casi necessario, l’uso delle risorse spaziali per rendere sostenibile la vita dell’uomo che, all’attuale livello di sofisticazione industriale, comporta un grave costo ambientale.

È da notare che le risorse dello Spazio sono a disposizione di chiunque possa accedervi. Lo Spazio è disabitato, il che significa che tali risorse non sono sotto il controllo di abitanti dei luoghi in cui esse si trovano. Ma, proprio per questo, accadrà che le risorse spaziali resteranno solo nelle mani di nazioni e multinazionali in grado di agire nello Spazio. (…)

La competizione per i NEOs più facilmente sfruttabili richiederà nuovi criteri per decidere ciò che costituisce una pretesa legittima, e nuovi procedimenti per dirimere le controversie. tanto più essi vorranno prendersene cura.

Nella sua enciclica Laudato si’, papa Francesco ha dato grande risalto a vari problemi sociali e morali legati al cambiamento tecnologico, anche in relazione a innovazioni che nell’insieme presentano, per la vita dell’uomo, grandi promesse di un futuro miglioramento. Se le risorse spaziali andranno sostituendo quelle minerarie della Terra, quale effetto ne deriverà per l’economia di quelle nazioni – spesso tra le più povere – che vivono soprattutto dell’esportazione di materie prime? Se si otterranno risorse dallo Spazio, senza dubbio gran parte del lavoro attuale verrà svolto da robot pre­programmati e a controllo remoto. Ciò significa che ci saranno minori opportunità per l’impiego di manodopera non specializzata. Che ne sarà di tali lavoratori, che sono, spesso, tra i membri più poveri delle nostre società?

Eliminando il lavoro connesso con attività minerarie terrestri – un lavoro comunemente associato ad aree di notevole povertà e di scarse opportunità –, verranno indebolite le strutture sociali che a quelle comunità danno un’identità culturale e la consapevolezza del significato del vivere. Che cosa avverrà a tali persone? Dove andranno, e come influirà tutto questo sulla cultura e sulle economie dei luoghi che le accoglieranno? Che cosa possiamo pianificare ora, per prepararci a un futuro in cui, con ogni probabilità, avverranno queste gravi trasformazioni?

Lei 35 anni, lui 14: non può essere amore tra loro?

Da un lato assistiamo al caso di tre sventurati i quali, nell’ascensore della ferrovia Circumvesuviana, stazione di San Giorgio a Cremano (le porte si aprivano e chiudevano dando un turpe ritmo all’azione) violentano una donna, attirata col pretesto di scusarsi d’un’altra aggressione non andata a “buon” fine. I particolari non sorprendono: i tre non hanno fatto la scuola obbligatoria, il solo loro interesse è la cura “del look”, giusta i canoni estetici dell’ambiente di provenienza, e gli abiti “firmati”. Inutile domandarsi la scala dei valori delle famiglie in cui si sono, a dir così, formati. Immagino al vertice ne siano gli adolescenti di camorra che esibiscono su “Facebook” le bottiglie magnum di Dom Pérignon e la loro effigie mentre imbracciano ‘o fierro, la mitraglietta. Li chiamo sventurati perché senza presente, senza futuro, con menti incapaci persino di cogliere nell’azione il rapporto fra causa ed effetto.

Fino a non molto tempo fa l’indirizzo della magistratura era di riconoscere difficilmente la violenza fatta alle donne. Certo, ci sono sempre stati simulazioni e ricatti. I “paglietta”, in ogni provincia italiana, blateravano trionfalmente l’adagio vis grata puellis, quasi fossimo ai tempi del ratto delle Sabine. Certo, provarla è spesso difficile, anche per l’infinita diversità della dialettica e della casuistica erotica o solo sessuale. Un esempio può vedersi nel recente e bellissimo film di Marco Tullio Giordana Nome di donna.

Ma adesso l’accadimento che m’interessa è inverso, quello di una “violenza” fatta a Prato su di un quattordicenne da una donna di trentacinque anni che gli dava lezione d’inglese. Violenza, viene chiamata. Ma come si fa? Se il ragazzo avesse avuto un rapporto sessuale passivo con un uomo maturo, forse i presupposti per un’indagine ci sarebbero; e non parlo di quel che avviene nell’ambiente dei seminarî, e fra parroci e catecumeni. La psicologia degli adolescenti è quanto di più complesso sia. Gli istinti erotici li provavo a sei anni, i miei primi rapporti completi li ebbi a dodici. Oggi la cosiddetta “soglia” si è molto abbassata. I ragazzi fanno di tutto con compagni e compagne di scuola e di comitiva; e sarebbe bene se il sanissimo istinto erotico si esplicasse di per sé, senza ausilio di alcool e droga.

Un tempo nelle famiglie della borghesia la cameriera aveva obbligo istituzionale di svezzare il signorino. All’inizio del Novecento un cugino di mio padre ebbe due figli, poi riconosciuti, dalla balia toscana dei fratelli piccoli. Nel Carme Sessantunesimo Catullo narra di uno schiavo concubino che dorme con un adolescente, Manlio Torquato, finché questi non si sposi.

Ciò non esiste più. Ma provare la coercizione su di un ragazzo capace anche di fecondare una donna mi pare impossibile. A me sembra che fra la donna e il ragazzo non ci sia stata solo un’eccitazione erotica: che comunque non condannerei, è lo sbocciare della vita in un adolescente, è il manifestarsi perpetuo della vita in una donna. Credo che il rapporto fra i due si possa chiamare amore. La violenta fame d’amore che un quattordicenne prova. Il bisogno d’amore di una donna né troppo giovane né troppo matura verso un giovanissimo. Il film della commedia all’italiana ha ricamato in modo abietto sul versante comico di casi che vanno visti sovente con la delicatezza, la pudicizia dell’animo. Altri ricorrerà al luogo comune dell’interpretazione psicoanalitica, il complesso di Edipo. La saggezza antica invece ci sovrasta. Amor omibus idem, canta Virgilio, l’amore è eguale per tutti; e i medioevali Carmina Burana gioiosamente affermano Amor volat undique, l’amore vola dovunque.

Le trecce di Greta e l’enciclica di Papa Francesco

 

“Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale (…) può sfociare solamente in catastrofi”.

(dall’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco – paragrafo 161, pag. 124 – 24 maggio 2015)

 

Allarmisti, catastrofisti, millenaristi. Quante se ne sono sentire dire, nel corso degli anni, i Verdi, gli ecologisti, gli ambientalisti. E con loro tutti coloro – scienziati, giornalisti, volontari e semplici cittadini – che si mobilitavano per combattere l’effetto serra, l’inquinamento del pianeta e il riscaldamento globale. In difesa dell’Ambiente, della natura, della salute collettiva e della stessa sopravvivenza del genere umano. A favore di uno sviluppo sostenibile, contro il cambiamento climatico.

Poi è arrivata una ragazzina di 16 anni, Greta Thunberg, svedese, con le treccine e lo sguardo vitreo. Ed è diventata di colpo la paladina mondiale dell’ambientalismo, l’eroina del clima, la piccola Giovanna d’Arco in guerra contro i Grandi del mondo. Fino a meritarsi una candidatura al Premio Nobel per la Pace. Un fenomeno mediatico su scala planetaria che ha coinvolto l’intero sistema della comunicazione.

Impugnando l’arma del “panico”, per difendere se stessa, la sua generazione e il futuro dell’umanità, Greta ha lanciato la sfida ai potenti delle Terra, dalle istituzioni europee a quelle internazionali, proclamando lo sciopero globale degli studenti che s’è svolto ieri in 2.052 città di 123 Paesi: milioni di ragazzi che non sono andati a scuola per manifestare pacificamente in nome della tutela ambientale. Altro che Sessantotto! Qui siamo al più grande conflitto generazionale della storia, fra gli adulti che hanno consumato risorse naturali irriproducibili e i giovani, i nostri figli o nipoti, che reclamano legittimamente una svolta, un’inversione di tendenza, un modello alternativo di sviluppo economico e sociale.

A questo punto, la “sfida dei ragazzi” non può più essere elusa. Greta è già diventata un simbolo, un’icona, una testimonial. E poco importa, in fondo, che abbia o non abbia qualche suggeritore o regista alle spalle. Ma, se dovessimo assegnare a lei il Premio Nobel per la Pace, quale altro riconoscimento bisognerebbe attribuire a Bergoglio per la sua enciclica Laudato si’ del 2015, la prima sull’ambiente promulgata da un pontefice? Il titolo della pastorale s’ispira al Cantico delle creature di san Francesco e riassume tutta la cultura cattolica sul rapporto fra Dio e gli uomini e fra loro e l’ambiente, quella che il Papa chiama la “casa comune”. L’enciclica vale per tutti, credenti e non credenti, al di là della fede e della religione. E ci sollecita, come si legge nel testo, a una “conversione ecologica globale” con l’obiettivo di ridurre la “inequità planetaria”.

Nella società della comunicazione di massa, affetta dal contagio virale, può anche darsi che ora lo sciopero di Greta abbia più successo e produca più effetti dell’enciclica di Francesco. Le vie del Signore, come si dice, sono infinite. Ma non c’è dubbio che quell’enciclica ha già avviato un cambiamento di mentalità e di visione, influendo probabilmente sulla sensibilità delle generazioni più giovani. Sono loro che devono prendere in mano il futuro del pianeta, in modo da ripristinare – per quanto possibile – l’equilibrio ambientale, rigenerare il patrimonio delle risorse naturali e migliorare la qualità della vita.