Ed estensione sia. Con un voto storico il parlamento britannico ieri sera ha approvato a stragrande maggioranza (412 a 202, quindi anche con il sostegno laburista) la mozione del governo May: entro il 20 marzo ci sarà un terzo passaggio parlamentare per il suo accordo con Bruxelles, già affossato due volte. In caso di approvazione, il giorno dopo la May chiederà al Consiglio europeo una estensione tecnica dell’art 50 fino al 30 giugno, tre mesi in più per approvare la legislazione necessaria all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
Se invece per la terza volta il Parlamento boccerà la ratifica di quell’accordo, la May chiederà una estensione molto più lunga, di 12 o 21 mesi, vincolata però ad una decisione del parlamento su quale direzione seguire.
Una road-map finalmente chiara ma, soprattutto, un ultimatum ai falchi del suo partito e agli unionisti del Dup che, facendole mancare voti cruciali, sono stati i primi responsabili della bocciatura del suo piano. Tradotto: se stavolta non mi sostenete rischiate di perdere quella Brexit che è la ragione principale della vostra esistenza politica.
Una linea rilanciata a distanza anche dal Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che ieri ha gettato alla May un salvagente twittando: “Prima del summit europeo della prossima settimana farò appello ai leader dei 27 stati membri perché siano aperti ad una estensione lunga, se il Regno Unito la riterrà necessaria per ripensare la sua strategia su Brexit”.
Che significa? Che una lunga estensione potrebbe portare a vari esiti non graditi ai falchi: nuove elezioni o, più probabile, la temutissima virata verso una soft-Brexit, magari con unione doganle permanente come vorrebbe il Labour di Corbyn.
Prospettiva di fronte alla quale potrebbero forse riconsiderare i meriti del deal portato a casa dalla May: controllo dell’immigrazione, uscita dalla Corte di giustizia europea, uscita dal mercato unico e, con dei caveat, dall’unione doganale.
E infatti cominciano ad esserci avvisaglie di cedimento: il Dup ieri ha fatto sapere di aver ripreso il dialogo con il governo, a cui chiede solo garanzie che, in caso di approvazione del deal, l’integrità costituzionale con la Gran Bretagna verrà preservata. E i Tory euroscettici cercano ulteriori chiarimenti legali sulle modalità di uscita unilaterale dal meccanismo della backstop.
Insomma, stratagemmi per cedere senza perdere la faccia, dopo mesi e mesi di opposizione dura e pura.
Certo, resta il convitato di pietra, quella Unione Europea disposta ad una breve estensione tecnica ma per cui una estensione lunga sarebbe molto complicata. Implicherebbe la partecipazione dei britannici alle elezioni europee, cioè al parlamento europeo e, soprattutto, a decisioni cruciali sulla prossima Commissione e sul prossimo budget.
Come sottolineato dalla Commissione poco dopo il voto di ieri: “Una estensione dell’art 50 richiede l’assenso unanime dei 27 stati membri. Sta al Consiglio europeo valutarla, dando priorità al buon funzionamento delle istituzioni europee e tenendo in considerazione le ragioni di una possibile estensione”.