Non c’è solo il memorandum con la Cina per la Via della Seta a spaccare il governo. Ieri Matteo Salvini ha deciso di aprire un altro scontro interno sugli F-35, schierandosi apertamente con gli Usa, preoccupati da una possibile revisione del programma. Sugli F35 la storia è nota: l’Italia deve a Lockeed per le commesse già completate 389 milioni di euro, che gli americani reclamano. Salvini ha difeso l’intero programma al quale l’Italia ha aderito nel 1998. M5S vorrebbe rivederlo, riducendo i costi. “Nessun passo indietro sugli F35. Sarebbe un danno per l’economia italiana ogni ipotesi di rallentamento e ravvedimento. Se non lo facciamo noi lo fanno francesi e tedeschi” è la stoccata che, in mattinata, lancia il leghista. E, non a caso, poco dopo arriva notizia di un faccia a faccia a Palazzo Chigi tra il premier Conte e il ministro Elisabetta Trenta. “Ci sarà una ricognizione delle esigenze, in modo da assicurare che le prossime commesse siano effettivamente commisurate alle nostre strategie”, spiega Palazzo Chigi. Se ne occuperà la Trenta. Mentre a breve saranno pagati gli arretrati. Finora, peraltro, né la Francia né la Germania hanno acquistato F-35, e lavorano in partnership a caccia più moderni dei velivoli Lockeed.
Il risveglio atlantista di Salvini. Sulla Cina gela Di Maio e il Colle
Per essere la quinta colonna di Vladimir Putin in Occidente, Matteo Salvini e la sua Lega sembrano piuttosto sensibili agli ordini in arrivo da Washington. Anche a costo di dare un dispiacere al Quirinale che si è assai esposto – con un pranzo al Colle e poi sulla stampa – per benedire il Memorandum tra Italia e Cina contrattato dagli ultimi due governi e che dovrebbe essere firmato a Roma durante la visita del presidente Xi Jinping la settimana prossima.
Quel testo, come Sergio Mattarella ha fatto spiegare ai quirinalisti di fiducia, non è un trattato da cui derivino obblighi di alcun genere, è ancorato al diritto europeo assai più dei 13 già firmati da Stati Ue con la Cina col via libera di Bruxelles, non contiene alcun impegno “per un uso della tecnologia 5G attraverso Huawei”. Le pressioni di Donald Trump, però, hanno più presa di Mattarella sui leghisti, il cui delegato ai rapporti di potere – Giancarlo Giorgetti – s’è appena fatto un giro negli Stati Uniti spostando gli equilibri interni in direzione atlantica.
Così Salvini, ieri mattina, ha indetto una conferenza stampa alla Camera che è sembrata una smentita di Mattarella: quell’intesa “non è un testo sacro, tutto è migliorabile”. No, il problema non è il famigerato 5G (“non c’è nel testo, sono due cose diverse”), ma proprio in generale Pechino: “Prima di permettere a qualcuno di investire sul porto di Trieste o Genova guarderei bene. Se fosse un americano nessun problema. Se invece venisse dalla Cina sarebbe diverso”. Qualche ora ed è il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi – ex Barclays ed ex Forza Italia, dal 2016 garante nella Lega degli interessi atlantici e, in particolare, del giro trumpiano – a rimettere tutto in gioco: “Inizio a dubitare della firma. Per ora quelle tre parole – energia, telecomunicazioni e interoperabilità – restano. Da parte della Lega c’è la volontà di rendere potabile questo documento. Però io credo che, al di là delle rassicurazioni, nel memorandum il 5G ci sia ancora”. E tanti saluti a Mattarella e anche a Salvini.
La Lega con questo battage mediatico tenta di accreditarsi a Washington, ma non è chiaro se vorrà portare la sua prova di fedeltà fino a impedire la firma del Memorandum schiaffeggiando, oltre a Luigi Di Maio, anche Mattarella. Il problema – a parte le tre magiche paroline di Picchi (secondo cui scrivendo “energia, telecomunicazioni e interoperabilità” si mette in pericolo la Nato) – è che c’è poco da mediare con la Lega perché i suoi argomenti sono pretestuosi, se non falsi.
Il 5G, ad esempio, è davvero un’altra partita e Huawei al momento è già presente in due delle tre sperimentazioni avviate in Italia sotto l’egida del Mise, mentre nella terza c’è l’altrettanto cinese Zte: gli Usa – che accusano le aziende di Pechino di essere un pericolo per la sicurezza – sono in ritardo sulla “quinta generazione” di internet e puntano per le reti 5G sulle scandinave Nokia e Ericsonn e la coreana Samsung e pretendono che i loro alleati facciano altrettanto, cosa che si può fare però anche firmando l’intesa con Pechino e i 50 protocolli che l’accompagnano. Va detto, per completezza di informazione, che il capo di Vodafone, Nick Read, ha sostenuto che, escludendo Huawei, aumenteranno assai i costi e l’operatività in Europa ritarderà di almeno due anni.
Quanto ai porti, è chi a Trieste e Genova lavora a non aver gradito l’uscita di Salvini: premesso che i porti italiani non possono essere venduti, né gestiti da soggetti esterni (sono demaniali e guidati da un’autorità di governo), Trieste tratta da anni sotto l’egida di Bruxelles l’ingresso di aziende cinesi e ora “tutto è pronto per siglare un accordo, non svendendo alcunché ma anzi potenziando la parte pubblica”; quanto a Genova – dice Augusto Cosulich, ad della Fratelli Cosulich – è già piena di investimenti cinesi: “Ansaldo Energia detenuta al 40% dai cinesi, Esaote comprata dai cinesi, il porto di Vado in cui i cinesi sono al 49% nella piattaforma container pronta a fine anno e poi le nostre società coi cinesi, Cosco shipping Italy e Coscos”. Non è un caso che il leghista ligure Edoardo Rixi sia preoccupato “che due giorni dopo i francesi firmino cose che magari noi italiani non abbiamo voluto firmare”.
Sindrome di Down: il consigliere leghista offende tre bambini
La sbornia da social genera mostri. Mercoledì, durante lo “shut down” (il collasso) di Facebook, Instagram e Whatsapp, un collaboratore della Lega Toscana, Augusto Casali, non si è lasciato scappare la ghiotta occasione: “Facebook, Instagram e Whatsapp in questo momento” ha twittato, allegando una foto di tre bambini con sindrome di down. Il 20enne lucchese ha avuto un ruolo come consigliere della strategia social della Lega locale. Gestisce inoltre la pagina Facebook “Dio Imperatore Salvini”, che inneggia ironicamente al leader leghista. Casali ha cancellato il post, ormai diventato virale, ma il suo profilo twitter è stato bloccato per le proteste. Al Fatto si descrive come un perseguitato politico: “Mi pento, ma gli attacchi sono esagerati: mi stanno trattando come se fossi Luca Traini (il nazifascista che ha sparato a sei stranieri a Macerata, ndr)”. E conclude: “Usano me per colpire Salvini”. La Lega Toscana ha preso le distanze dal giovane: “Non è dei nostri” ha detto la commissaria Susanna Ceccardi. La smentisce un post della pagina “Lega Siena”. E lo stesso Casali: “Mi sono anche candidato al consiglio comunale di Lucca”. Non è stato eletto.
Conte: “Non esiste alcuna giustificazione del femminicidio”
Il premier Giuseppe Conte non si sottrae dal dibattito sul femminicidio divampato in questi giorni dopo le sentenze dei tribunali di Bologna e Genova. Entrambe, nelle motivazione delle sentenze, spiegano che le attenuanti delle pene sono state riconosciute per reazioni emotive (“rabbia e disperazione profonda, delusione e risentimento”). Conte è tornato sulla questione, polemizzando con i togati: “Nessun sentimento, pur intenso può giustificare o attenuare la gravità di un femminicidio”. Secondo il capo del governo – tra l’altro ex vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa – “le sentenze dei giudici si possono discutere, anzi in tutte le democrazie avanzate il dibattito pubblico si nutre anche di questa discussione. L’importante è il rispetto dei ruoli e, in particolare, la tutela dell’autonomia della magistratura”. Conte però chiede una “rivoluzione culturale”, perché la crescita della società deve muovere dalla “valorizzazione del patrimonio femminile”. E conclude: “Per criticare il significato di una sentenza occorrere una specifica competenza tecnica. Ma vi è un aspetto che riguarda il dibattito pubblico, e su cui la politica può e anzi deve legittimamente intervenire”.
“Ora basta: cominciamo a fare i nomi di chi fa circolare le foto private”
Caro direttore, condivido in pieno il suo editoriale di ieri “Sarti per signore”. Quello che stanno facendo a Giulia Sarti è veramente indicibile. E le Iene spero la facciano finita con questa spazzatura.
Secondo me – in attesa di una legge tanto giusta quanto, in ogni caso, tardiva – quello che possiamo fare è proporre un atteggiamento di tipo diverso nel momento in cui si ricevono filmati o foto relativi alla vita privata altrui.
Il punto non dovrebbe essere più: “Ho ricevuto foto della Sarti” che alludono, mortificandola,
a una loro visione. L’atteggiamento dovrebbe essere: ”Tizio – con tanto di nome e cognome – mi ha inviato foto private”, esponendo alla gogna mediatica non più il soggetto delle foto ma colui che le diffonde.
Io non voglio più leggere titoli in cui è la vittima a essere sbattuta in prima pagina sui giornali, o in tv.
Voglio leggere articoli su chi si permette
di diffondere, guardare e giocare con la vita altrui. Vorrei che in prima pagina fosse pubblicata la faccia di chi, “casualmente” o meno, ha di fatto permesso la diffusione di foto e video senza il consenso della persona interessata. O anche quella di Filippo Roma,
al quale fa tanto ridere tutto questo.
Palazzo Chigi “processa” il patrocinio: abusivo, non è passato dal Cerimoniale
Le regole per ottenere il patrocinio della presidenza del Consiglio sono poche, ma chiare. E quello esibito dal World Families Congress che aprirà a Verona alla fine di marzo non ne ha seguita neanche una. Ecco perché da palazzo Chigi si ostinano a dire che quel patrocinio “non è mai stato concesso”: perché non è passato nemmeno di striscio dai canali ufficiali che lo avrebbero dovuto autorizzare.
È vero sì, esiste la possibilità che un ministro – in questo caso il leghista Lorenzo Fontana – possa concedere in autonomia la “benedizione” del governo: ma vale solo se a chiederlo sono enti pubblici o di alta rappresentanza. E solo nei casi “più meritevoli sotto il profilo della qualità”. Che c’entra dunque un convegno di una associazione dalla mission a dir poco discutibile, che ha tra i relatori chi sostiene che l’omosessualità sia un reato, perfino punibile con la pena di morte? Nulla. E infatti il World Congress of Families avrebbe dovuto seguire la trafila ordinaria e rivolgersi all’ufficio del Cerimoniale della presidenza del Consiglio, che si occupa in maniera “esclusiva” di queste pratiche e si avvale della collaborazione delle prefetture: “Un’istruttoria” – spiega il Cerimoniale – che valuta “la validità della manifestazione, l’affidabilità, la serietà dell’organizzazione e dei promotori”. Il World Congress of Families l’avrebbe superata? Non possiamo saperlo: la richiesta – una volta firmata dal segretario del ministro (nemmeno da Fontana in persona) – è stata inoltrata direttamente al Dipartimento per l’editoria, titolato a concedere l’uso del logo. In estrema sintesi, il convegno di Verona si fregia del simbolo di palazzo Chigi senza aver tenuto conto delle regole che servivano per ottenerlo. Martedì il segretario generale di palazzo Chigi Roberto Chieppa lo ha scritto ai due capi dipartimento: quel patrocinio non esiste, ripensateci. Anche perché non è detto che l’associazione promotrice del congresso – che consiglia di prenotare l’albergo a Verona attraverso il suo sito – non abbia fini di lucro, un altro requisito che il Cerimoniale doveva e non ha potuto verificare. Dalla Famiglia aspettano il rientro del ministro da New York, all’Editoria sono intenzionati a dire che “non ci sono i presupposti per l’uso del logo”, l’unico aspetto su cui possono intervenire.
Nel dubbio Di Maio e Salvini litigano: “Io non ci vado”, “Io sì”.
L’autodifesa: “Il pm non mi smentisce”
Una memoria difensiva di cinque pagine, già inviata il 28 febbraio al Gip del tribunale di Rimini, e due fotocopie di agenzie stampa. È questa la documentazione spedita ieri dalla deputata Giulia Sarti al Collegio dei probiviri dei Cinque Stelle, per difendersi davanti al tribunale di primo grado del Movimento.
Carte con cui ribadisce la sua innocenza, nel procedimento aperto nei suoi confronti dai probiviri lo scorso 4 marzo per le mancate restituzioni di parte degli stipendi al M5S. E la miccia era stata la decisione del pm di Rimini, che a febbraio aveva chiesto l’archiviazione per il reato di appropriazione indebita nei confronti di Bogdan Andrea Tibusche, accusato dalla deputata di aver usato per altri fini, e a sua insaputa, il denaro destinato alle restituzioni. Ma Sarti, che nel frattempo si è dimessa da presidente della commissione Giustizia di Montecitorio e si è autosospesa dal Movimento, continua a dirsi innocente. Ed è quello che ripete nella memoria inviata al Gip e ai probiviri, dove spiega perché non abbia presentato ricorso contro la richiesta di archiviazione della Procura. E la giustificazione è che le motivazioni addotte dal pm per l’archiviazione “non destituivano in alcun modo di fondamento” le affermazione e il materiale presentato dalla deputata a sostegno delle sue accuse all’ex compagno.
Sarti, ovviamente, contesta la versione di Tibusche, bollando come “parziali ed eccentriche” alcune delle sue tesi. In particolare, nega di avergli mai dato il permesso di pagare dal proprio conto corrente l’affitto di un immobile a Salerno, come invece sostenuto dall’ex compagno “e solo dalle sue parole”. E fa notare come “momentanee insufficienze di fondi” sul suo conto siano state la causa di alcuni dei mancati pagamenti. Infine, sempre secondo la deputata, è falso anche un altro episodio raccontato da Tibusche, ossia che Sarti abbia usato parte delle mancate restituzioni per aiutare economicamente il padre. Come a dire, è la sua parola contro quella del suo ex assistente. Ma il succo della memoria difensiva resta quello, ribadire che le sue affermazioni “e tutta la documentazione bancaria da lei prodotta” non hanno trovato “alcuna smentita” dalla Procura. Così la deputata ha ritenuto “superfluo” opporsi alla richiesta di archiviazione, ossia riproporre dichiarazioni e documenti già presentati. Ma sul finale si gioca anche un’altra carta, facendo notare come la Procura abbia chiesto l’archivazione con “formula dubitativa”.
Sillabe che vogliono instillare il dubbio nei tre probiviri, le parlamentari Nunzia Catalfo e Paola Carinelli e il capogruppo del M5S in Veneto, Jacopo Berti. Obiettivo non facile da ottenere, visto che il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, ha definito “doverosa” l’espulsione. Ma Sarti insiste. E a sua difesa allega anche due agenzie stampa, dove si ricorda come la Procura non abbia proceduto per calunnia nei suoi confronti. Ossia, per il pm Sarti non è una bugiarda. E chissà se peserà per i probiviri, che possono scegliere tre diverse sanzioni: dal richiamo fino alla sospensione e all’espulsione. Dovranno decidere entro 90 giorni, alla scadenza dei quali potranno chiedere a Sarti “ulteriori chiarimenti”, oppure archiviarla o sanzionarla.
Foto, video sessuali e altri ricatti online: 940 casi solo nel 2018
Foto che passano di chat in chat, video inviati agli amici. È così che – tra le risatine dei più – il fenomeno del revenge porn in pochissimi mesi è diventato dilagante. “Ha registrato un’impennata pazzesca” spiegano dalla Polizia postale. Il dato da consultare, per capire quale sia la dimensione del fenomeno oggi in Italia, è quella indicata nell’ultimo report del 2018 sotto la voce “ricatto on-line” (e che raccoglie i numeri delle denunce arrivate nel corso dello scorso anno). Una catalogazione nuova, diventata necessaria per l’aumento dei casi rispetto al 2017, quando il fenomeno aveva ancora caratteri marginali.
“Nell’ambito dei reati contro la persona perpetrati sul web – si legge nel rapporto della Polizia postale – il ricatto on-line è un fenomeno in continua crescita, con 940 casi trattati nel 2018, atteso che il dato emerso è parziale e fortemente ridotto rispetto alle reale entità del fenomeno”. In pratica, 940 è il numero delle denunce che la Polizia postale ha analizzato, ma non è la fotografia di ciò che accade. Il problema infatti è che le donne (ma anche gli uomini) molto spesso fanno un passo indietro quando arriva il momento di verbalizzare la propria querela. “Per questo non è possibile avere una statistica precisa del fenomeno”, spiegano. Anche perché sono davvero innumerevoli i casi di persone che alla fine decidono di non denunciare”.
Ci sono poi due fattori che limitano la prosecuzione di questo genere di indagini: la mancanza di una normativa specifica che regoli questi comportamenti (l’esplosione del caso Sarti ha dato un’accelerata, è in commissione giustizia la discussione di una legge che introduce il reato di revenge porn a firma M5s) e la difficoltà nell’identificare chi diffonde immagini intime. Dei 940 casi finiti sul tavolo della Polizia postale, infatti, solo venti persone sono state identificate e denunciate, e, tra queste, due sono quelle arrestate.
A preoccupare gli addetti al mestiere poi ci sono quei gruppi, presenti per esempio su Facebook, dove vengono pubblicate immagini e video private di persone inconsapevoli. È “l’ultima modalità della violenza sulle donne”, il fenomeno dei “cosiddetti stupri virtuali”: “All’interno di gruppi chiusi – annota la Polizia postale – i partecipanti di sesso maschile condividono foto, ricercate sui social o copiate da contatti Whatsapp, di donne ignare, ritratte nella loro vita quotidiana, dando poi sfogo a fantasie violente e comportamenti offensivi”. Proprio per contrastare tutto ciò, il social network ha introdotto negli ultimi anni alcuni meccanismi (come il photo-matching) che riescono automaticamente a setacciare la piattaforma e a identificare e cancellare foto di nudi e video. E, una volta rintracciati questi materiali, si è inoltre in grado di capire subito se quel contenuto sia stato ri-postato. Anche all’interno di gruppi chiusi.
“Nel terzo trimestre del 2018, abbiamo preso provvedimenti su un totale di 30,8 milioni di singoli contenuti relativi a immagini di nudo e atti sessuali di adulti – ci spiegano da Facebook e Instagram –, mentre circa il 95,9% dei contenuti su cui poi abbiamo preso provvedimenti è stato identificato prima che gli utenti lo segnalassero”. Inoltre il colosso social, per evitare proprio il revenge porn, ha lanciato un progetto pilota nel 2018 in alcuni Stati che prevede che gli utenti stessi segnalino e inviino a Facebook il materiale che temono possa essere diffuso, così che la piattaforma lo possa bloccare in anticipo se qualcuno dovesse provare a condividerlo, anche sulla chat Messanger.
Il ricatto on-line quindi si muove su numeri impressionati. Per questo, in Italia si raggiunge un numero pari a tutte le denunce per il 2018 che riguardano “estorsioni a sfondo sessuale, stalking, molestie sui social network, minacce e trattamento illecito di dati personali”, e che per tutto l’anno precedente aveva riguardato “955 persone denunciate e 8 tratte in arresto”.
Come detto, nel 2017 il fenomeno non era così imponente. Era infatti inserito in una catalogazione più ampia, quella dei reati informatici: sulle 917 denunce conteggiate (e 8 persone arrestate), erano comprese anche quelle per diffamazione, cyberstalking, trattamento illecito di dati personali, sostituzione di persona.
I partiti giurano: “Subito la legge sul revenge porn”
Chissà che dalle pieghe disgustose del caso Sarti non venga fuori, alla fine, qualcosa di buono. Ad ascoltare le dichiarazioni dei partiti sono tutti d’accordo: serve una legge contro il revenge porn, la diffusione non autorizzata di foto e filmati a sfondo sessuale. Serve in tempi rapidi, senza badare alle bandierine degli schieramenti politici.
Ne sono convinte donne e uomini dei Cinque Stelle, della Lega, Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia. I grillini hanno incardinato proprio ieri il loro testo in commissione giustizia al Senato. Prevede la reclusione per chi pubblica e diffonde immagini sessuali – senza averne il consenso – da sei mesi a tre anni, con multe da 75 a 250 euro. Se a farlo è il coniuge o una persona legata sentimentalmente alla vittima, la pena aumenta: da uno a quattro anni. Fino a un limite da cinque a dieci anni in caso di morte della persona offesa.
La prima firma sulla legge è della senatrice 5Stelle Elvira Evangelista: “Spero che diventi una legge trasversale – dice –. L’argomento riguarda tutti, senza distinzioni di colore politico. Una condivisione aiuterebbe senza dubbio a rendere tutto più veloce”. Un auspicio ribadito al Fatto da un’altra Cinque Stelle, la ministra per il Sud Barbara Lezzi: “Mi auguro che l’iter della proposta di legge sul revenge porn sia rapido, rapidissimo. Internet è entrato nelle nostre case da oltre 20 anni ed è inaccettabile che il Parlamento non abbia ancora adottato una contromisura rispetto a questo fenomeno ignobile. Spero che ci sarà la massima disponibilità e convergenza da parte di tutti i partiti”.
Si potrebbe davvero fare in fretta. Così almeno si deduce dalle posizioni di alcune delle più influenti parlamentari, di tutti i gruppi. Un’altra ministra, la leghista Giulia Bongiorno (Pubblica amministrazione), concorda con le colleghe sull’urgenza: “È sicuramente utile iniziare a lavorare su questa figura di reato, mancando allo stato una reazione specifica dell’ordinamento per questo tipo di condotte. Aggiungo che non c’è la percezione della gravità delle conseguenze che subisce la vittima, e su questo delicato aspetto oltre ad un intervento legislativo si deve lavorare anche sul piano culturale”.
Mara Carfagna di Forza Italia si spinge ancora più in là, proponendo norme di severità esemplare: “Io farei come in Inghilterra, dove il revenge porn è punito come uno stupro, con il carcere. Il riconoscimento legislativo è fondamentale per la tutela della vittima e la legge deve prevedere un supporto per chi vive un’invasione brutale della propria sessualità e intimità. Forza Italia ha presentato al Senato un suo disegno di legge, ma quando una proposta su questi temi arriverà alla Camera mi atterrò al merito e non agli schieramenti”.
In commissione giustizia al Senato, dove è stata incardinata la proposta grillina, per il Pd siede Valeria Valente: “Non ho ancora letto nel merito il disegno di legge della collega – dice – ma lo farò appena rientro dall’estero. Su questi temi io collaboro sempre, guardando al merito delle questioni. Valuteremo il testo ed eventuali divergenze, ma credo che sia importante licenziare una legge sul revenge porn molto presto, e se possibile con la massima condivisione”.
Giorgia Meloni apre: “Dico assolutamente di sì alla collaborazione su temi come questo – spiega l’ex ministra – che devono unire la politica e che hanno come obiettivo quello di tutelare gli interessi dei cittadini. Per quanto riguarda la proposta del M5S, Fratelli d’Italia la valuterà nel merito e deciderà se votarla senza pregiudizi”. Da destra a sinistra, si associa anche la senatrice di LeU Loredana De Petris: “Si può agire subito, sulle immagini sessuali come anche sul diritto all’oblio. Se siamo tutti d’accordo, potremmo approvare il testo già in sede deliberante (direttamente in commissione, senza passaggio per l’aula, ndr)”.
Per ora sul revenge porn ci sono quattro proposte di legge distinte in campo. Oltre a quella già citata dei Cinque Stelle – l’unica il cui testo sia già incardinato – ce ne sono altre tre di Forza Italia. Due alla Camera (firmate da Galeazzo Bignami ed Elvira Savini) e una al Senato (firma di Enrico Aimi).
I testi si somigliano, sono ispirati dallo stesso principio: punire chi divulga immagini o filmati sessuali all’oscuro della compagna (o del compagno). Le differenze riguardano per lo più la severità delle pene da infliggere.
Ieri il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha promesso di seguire personalmente del caso Sarti, con riferimento alle indagini della polizia. Il resto spetta al Parlamento: le parole della politica sono scritte sull’acqua, ma stavolta le condizioni per una risposta forte, rapida e unanime dei partiti ci sarebbero davvero tutte.
Savona alla Consob: per l’Anac nessuna incompatibilità
Arrivail nulla osta dell’Anac alla nomina alla presidenza della Consob di Paolo Savona. L’Autorità evidenzia che non esiste incompatibilità per il suo passato ruolo nel fondo di investimento Euklid, di cui è azionista, ma rischia due potenziali conflitti di interessi. L’Anac ha verificato che Consob al momento non vigila su Euklid (di diritto inglese), ma nel caso in cui Euklid investa in Italia Savona potrebbe trovarsi in conflitto nel dover assumere decisioni che in qualche modo lo riguardino. Situazione che può essere “sterilizzabile” con la sua astensione al momento del voto della Commissione che guida l’Autorità di Borsa. Esiste però anche un potenziale conflitto di interessi dovuto al fatto che l’ex ministro degli Affari Ue, come presidente Consob “potrebbe avere accesso ad informazioni riservate utili per la gestione del fondo stesso”. Qui non basterebbe l’astensione, ma l’Autorità anticorruzione rinvia le valutazioni alla Consob stessa. L’autorità guidata da Cantone, invece, non si esprime sull’eventuale incompatibilità o conflitto di interesse dovute alla legge Frattini per l’incarico di Ministro: se ne deve occupare l’Antitrust. Savona arriva dunque in Consob con una sfilza di profili critici.