“Sconcertante silenzio dei media: il malessere del Paese va ascoltato”

Maria Cecilia Guerra (LeU), sottosegretaria al Tesoro, lei è stata la prima esponente di governo a non dirsi stupita per lo sciopero di Cgil e Uil. Non hanno peccato di lesa maestà?

Lo sciopero è un segnale forte che il governo deve ascoltare. Non capisco lo stupore né il fastidio verso un atto fisiologico di conflitto sociale. I sindacati rappresentano larghi strati della popolazione, chiedono attenzione su temi importanti e intercettano un malessere diffuso – precarietà, delocalizzazioni, disuguaglianze – che non nasce con la pandemia e sta crescendo.

Condivide le ragioni dello sciopero?

Le comprendo anche se non condivido la valutazione complessiva della manovra. Gli aspetti positivi superano quelli negativi: è espansiva, aumenta il welfare in molti campi, dai fondi per la sanità all’ampliamento del finanziamento del Reddito di cittadinanza all’intervento sulle bollette per le fasce più deboli. Su molti temi non dà risposte, ma la legge di Bilancio non può raddrizzare tutte le storture della società.

Sul Fisco il governo ha indirizzato il taglio delle tasse ai redditi medio-alti.

Personalmente non avrei ridotto l’Irap, avrei concentrato lo sforzo nel ridurre il cuneo fiscale con uno sgravio contributivo, come chiedevano i sindacati. Bisognava puntare all’equità del prelievo, invece ridurre gli scaglioni porta al rischio che il taglio si concentri sulle fasce medio-alte. Così non c’è un effetto redistributivo, ottenuto solo con la decontribuzione sotto i 35mila euro che però è temporanea. Cgil e Uil hanno ragione sul tema dell’evasione fiscale. Un vera riforma deve allargare la base imponibile e far pagare tutti allo stesso modo a parità di reddito. Qui risposte non sono state date.

La maggioranza ha respinto persino il rinvio di un anno del taglio delle tasse sui redditi oltre 75mila euro contro il caro bollette.

Non c’era alcuna ragione di ridurre le tasse a redditi di quella fascia. Draghi ci ha provato, eravamo d’accordo con Pd e 5Stelle, ma il centrodestra ha fatto muro.

I sindacati sono stati isolati. La grande stampa li ha prima attaccati e poi ignorato la manifestazione.

Ieri i giornali, tranne rarissime eccezioni, hanno aperto senza dare la notizia del primo sciopero generale da 7 anni. Prima che inaccettabile lo trovo sconcertante. Questa protesta segnala che serve un confronto vero con chi rappresenta il mondo del lavoro.

Landini ha detto che aumenta la distanza del “Palazzo della politica” dalla società.

Non condivido la generalizzazione, non siamo tutti uguali. La maggioranza comprende il centrodestra che ha visioni opposte su precarietà e disuguaglianze. Loro, per dire, reintrodurrebbero i voucher subito e ora spingono per un altro condono sulle cartelle fiscali.

Considerati anche il blocco dei licenziamenti e il decreto Delocalizzazioni sparito, la politica economica non è a destra?

Ripeto, il governo non è formato da una sola parte, non è di sinistra, ma ha mostrato sensibilità sociale sotto molti profili. Poi ci sono risposte non date e scelte a cui guardo con molta preoccupazione, come le norme sui servizi pubblici locali del disegno di legge sulla concorrenza.

I sindacati accusano il governo di non averli coinvolti né sulle pensioni né sul Fisco.

C’è un problema di metodo, non c’è stato dialogo vero, però il governo ha convocato il tavolo sulle pensioni nonostante lo sciopero. Lo trovo un atto di rispetto e attenzione, un segnale da cui ripartire.

Ma nessuno della sinistra di governo era in piazza.

Ci sono compiti diversi. Chi è al governo ha un altro ruolo ma il mio partito, Articolo 1, ha detto chiaramente come la pensa sui temi sollevati dai sindacati.

Eppure gli attacchi sono stati molti.

È inaccettabile rifiutarsi di ascoltarli e accusarli di irresponsabilità. I soggetti intermedi sono fondamentali, i rapporti nel mondo del lavoro sono squilibrati a sfavore dei lavoratori, lo vediamo su salari e tutele sociali. Il conflitto che si esprime in una grande manifestazione sindacale è salutare, non c’è da averne paura.

Partiti assenti e piazze piene: “Politici lontani dalla società”

Piazze piene e urne vuote, sintetizzano i segretari di Cgil e Uil per affermare la rilevanza dello sciopero generale di ieri. Come a dire che se “voi”, la politica, i partiti, non riuscite a portare gli elettori alle urne, come si è visto alle ultime Amministrative, ma noi, il sindacato, i lavoratori, riempiamo le piazze, qualche domanda dovreste farvela. Ed è su questo registro comunicativo riassunto nel concetto “piazze piene, politica lontana dalla gente, che si è snodata l’ennesima giornata difficile per il sindacato italiano sceso in strada per uno sciopero generale che ha visto la divisione con la Cisl, l’ostilità di quasi tutto il quadro politico, il silenzio della stampa e dei tg, un tentativo di isolamento che è stato rispedito al mittente: “Non ci sentiamo isolati – ha detto Maurizio Landini chiudendo il suo comizio – lo sono quelli che non hanno forza dietro di sé”. La politica, appunto, il Palazzo, il vero nemico di ieri.

“Noi abbiamo già vinto”, spiega Pierpaolo Bombardieri poco prima di prendere la parola e ringraziando il Fatto per aver seguito adeguatamente questo sciopero: “Abbiamo già vinto, perché in una situazione come quella attuale riuscire a riempire le piazze è un successo, mentre i partiti stanno tutti di là”.

La vittoria di uno sciopero generale è soprattutto un fatto di percezione e colpo d’occhio. Difficile affidarsi alle rilevazioni sull’astensione dal lavoro, a meno che il Paese non sia davvero completamente fermo. Le cifre fornite dal sindacato parlano di adesione all’80% tra i metalmeccanici, con punte del 70% nei trasporti e così via. Ognuno potrà poi valutare in relazione ai disagi avuti, ai mezzi di trasporto non trovati. La percezione di chi in piazza ieri c’è stato – piena quella del Popolo a Roma, ma anche Milano, Bari, Palermo – è però quella di una giornata riuscita, proprio per le condizioni eccezionali dello sciopero. Tra cui spicca la siderale assenza della politica istituzionale.

L’unico leader di partito parlamentare è Nicola Fratoianni, di Sinistra italiana, che attraversa il retropalco osservato da tutti e che sembra quasi spaesato dal deserto. Dal Pd o dal M5S nemmeno un singolo parlamentare, qualcuno o qualcuna desiderosa di farsi notare, nulla di nulla. Arriva anche Stefano Fassina, dello stesso gruppo parlamentare di Fratoianni, ma non dello stesso partito e, soprattutto, parte della maggioranza mentre il portavoce di Si è l’unico a opporsi a sinistra.

In questo clima, insistere sulle “piazze piene contrapposte alle urne vuote” è un gioco comunicativo che riesce bene a Bombardieri e Landini. Rivendicano entrambi la politicità dello sciopero, visto che si batte per cose concrete e per interessi generali. E, anche per la totale assenza del M5S, la piazza di Roma viene presentata come un moderno “noi contro lorsignori” con toni molto accesi.

Bombardieri definisce “squadrista” il tentativo dei giorni scorsi di criminalizzare lo sciopero, Landini ricorda che scioperare è un diritto nato proprio dalla lotta al fascismo. Si sottolinea il ruolo negativo di Confindustria con entrambi i segretari generali che prendono di petto Carlo Bonomi, leader degli industriali, che si era definito “triste” per lo svolgersi di questa giornata: “C’è gente che è triste tutto l’anno”.

Ma l’obiettivo sono i partiti della maggioranza. Landini racconta alla piazza come si è svolta la trattativa sulla partita fiscale, il dettaglio delle telefonate con Draghi, frenato dalla “maggioranza della sua maggioranza”. Si riferisce all’ipotesi di rinviare il taglio delle tasse sui redditi sopra i 75 mila euro per redistribuire risorse verso il basso. Non sarebbe bastato a soddisfare i sindacati, ma sarebbe stato il segnale “di qualcosa di nuovo”.

E invece nulla, “la maggioranza della maggioranza” ha frenato e soprattutto, dice Landini, il segretario della Lega ha chiesto la rottamazione delle cartelle esattoriali, “un altro condono fiscale”. Il segretario Cgil insiste così a lasciare un canale di dialogo con Mario Draghi, puntando il dito soprattutto contro i partiti, strada su cui Bombardieri però non lo segue. E infatti, in conclusione della manifestazione, è Landini a dire che l’iniziativa non è conclusa, “torneremo di nuovo nelle piazze”. Con quali speranze? Solo Giuseppe Conte lancia qualche amo, dicendosi pronto a incontrare i sindacati e invitando il governo ad “ascoltare”. Ma la manovra di Bilancio va approvata entro 13 giorni.

Bando Canadair, salvi ex manager di Babcock

Tutti prosciolti perché il fatto non sussiste. Si è chiusa ieri in sede di udienza preliminare l’inchiesta della Procura di Roma e della Guardia di Finanza per turbativa d’asta nei confronti di due ex dirigenti di Babcock – colosso industriale fornitore di elicotteri e canadair – dell’ex capo del coordinamento Soccorso aereo dei Vigili del Fuoco, Salvatore Rogolino e del funzionario Michele Tangorra. I pm avevano messo nel mirino un appalto da 388 milioni vinto nel 2017 da Babcock per la gestione della flotta dei Canadair in tutta Italia. “Un bando perfettamente a misura della Babcock Spa”, secondo gli inquirenti. “Eravamo tranquilli sin dall’inizio”, ha commentato Gildo Ursini, legale dei manager.

Mps, i familiari di Rossi: riaprire le indagini “Parole di una testimone non verbalizzate”

Una testimone che aveva dettagli potenzialmente importanti sulle ultime ore di David Rossi si presentò in questura, ma il suo racconto non venne verbalizzato: “Era sconvolto, lo incrociai in via Vallerozzi”. E cioè nella stessa strada in cui, pochi giorni prima, era stata uccisa una prostituta. Un delitto che, dice oggi il reo confesso dell’omicidio, potrebbe avere collegamenti con il caso Rossi. È solo l’ultima di una serie di “anomalie”, scoperte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, che hanno spinto ieri la famiglia a chiedere la riapertura di un’indagine per omicidio sulla morte dell’capo della comunicazione del Monte dei Paschi, archiviata per due volte come suicidio: “Chi sa qualcosa – ha detto ieri Carolina Orlandi, figlia di David – parli adesso. Non siamo interessati a indagini pro-forma, scollegate dall’accertamento delle cause sulla sua morte”. L’appello è stato lanciato ieri, nel corso di una conferenza stampa organizzata alla Camera dal deputato Walter Rizzetto: “Abbiamo incontrato molti ostacoli prima di partire”. La settimana scorsa, l’audizione dell’ex comandante dei carabinieri di Siena Pasquale Aglieco. L’ufficiale, mai comparso in nessun verbale, ha ammesso di aver partecipato al primo sopralluogo nello studio di Rossi, la notte del 6 marzo 2013, insieme ai pm Nicola Marini, Aldo Natalini e Antonino Nastasi. E ha descritto alcune azioni dei pm che potrebbero aver inquinato la scena. Nastasi ha già smentito il carabiniere. A questo punto la Commissione potrebbe convocare anche i tre magistrati. Non è il solo mistero. Dal fascicolo mancavano due video e 61 foto scattate dalla polizia scientifica, che sono state acquisite ieri dalla commissione parlamentare. La Procura di Siena, insomma, è di nuovo nel mirino: “Sono stati stravolti i criteri sulla turnazione. Su un ufficio non può esserci nemmeno un sospetto di coinvolgimento in una vicenda”, ha dichiarato Carmelo Miceli, legale della famiglia Rossi. Il riferimento è a uno dei pm tirati in ballo da un testimone per i presunti festini. “Le segnalazioni degli ultimi anni sono state raccolte da Siena come fatti non costituenti reato. Questo ci ha impedito il diritto al contraddittorio”. E sul caso, annuncia Nicola Morra, indagherà anche la Commissione antimafia: “Approfondiremo possibili legami con il crimine organizzato, questo è un nuovo caso Calvi”. Intanto, ieri la Commissione ha sentito Carla Lucia Ciani, mental coach di David Rossi: “Non ho mai avuto la sensazione che potesse suicidarsi”.

Mafia, sequestrati 100 mln al re delle coop per anziani

Cento milioni di euro: a tanto ammonta il sequestro di beni e immobili dell’imprenditore messinese Giuseppe Busacca che ha costruito un impero economico che ruota attorno alle cooperative di assistenza ad anziani e disabili nel Messinese. Busacca avrebbe reinvestito soldi illeciti provenienti dal clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto. I sigilli sono stati apposti a società cooperative sociali e aziende agricolo-faunistiche, discoteche e diversi immobili. Il maxi-sequestro nasce da un’indagine che portò all’arresto e poi alla condanna per concorso esterno in associazione mafiosa di Santo Napoli, ex consigliere comunale di Milazzo, infermiere, ritenuto vicino ai clan dei barcellonesi. L’inchiesta accertò i rapporti tra Napoli e Busacca, soci nella gestione di diverse discoteche. Secondo gli inquirenti Busacca gestirebbe “in modo criminale una rete di cooperative nel settore sociale”. L’imprenditore, inoltre, è già stato arrestato per estorsione e per una truffa in erogazioni pubbliche ed accusato di aver assunto alcune impiegate per ottenere contributi, salvo poi costringerle alle dimissioni. “I risultati raggiunti con l’operazione di oggi costituiscono la concreta realizzazione di una strategia adottata negli ultimi tre anni dalla Direzione centrale anticrimine nell’azione di contrasto alle organizzazioni criminali. Alle investigazioni giudiziarie devono essere affiancate le indagini preventive patrimoniali”, dice il direttore Centrale anticrimine, il prefetto Francesco Messina.

“Consip, niente manovre oscure. Fu Renzi a lanciare insinuazioni”

Mi disinteressai del tutto dell’inchiesta, perché quando arrivò la delega del pm Woodcock stavo per andare all’Aise (i servizi segreti per l’estero, ndr). Feci una riunione con i miei e gli dissi di completare gli approfondimenti di delega, poi non seppi più nulla. Perché lo ribadisco? Sulla stampa, per mesi, si è insinuato che l’indagine era una manovra oscura fatta da me e dai servizi segreti. Stavano minando la credibilità di istituzioni come i carabinieri e di gente che lavora. Soprattutto a livello politico, e faccio riferimento a Renzi”.

Sergio De Caprio, alias “Ultimo”, colonnello dei carabinieri in pensione ed ex comandante del Noe, è stato sentito ieri a Roma come teste della Procura nel corso del processo Consip, che vede imputati tra gli altri il padre dell’ex premier, Tiziano Renzi, accusato di traffico d’influenze illecite, e l’ex ministro Luca Lotti, imputato per rivelazione di segreto. Stesso reato contestato all’ex capitano del Noe Giampaolo Scafarto. Era l’inizio del 2016 quando due collaboratori di De Caprio all’Aise ricevono da Scafarto per mail un’informativa dell’indagine Consip, allora condotta dai pm di Napoli (poi spostata a Roma per competenza territoriale). “Mi si chiedeva – ha detto ieri De Caprio – se delle persone in foto appartenevano ai Servizi. Io non ero in grado di rispondere” e comunque “non avevo tempo di leggerle. Era una materia che non mi interessava più”. Quando a novembre 2016 uscì un articolo in cui si faceva riferimento a un’indagine su Renzi sr., Scafarto chiama De Caprio. “Era amareggiato – ha riferito “Ultimo” – Io non sapevo niente dell’inchiesta o di Tiziano, mi spiegò tutto in quel momento. Non aveva posto dubbi sui servizi, ma sulla sua scala gerarchica. Gli dissi che non doveva più parlare con nessuno”. In aula, De Caprio ha ripercorso anche la sua storia al Noe. “Al suo arrivo – ha raccontato – il generale Sergio Pascali aveva messo in discussione il nostro modo di lavorare, per frenare le nostre attività”. E ha aggiunto: “Leggevo sulla stampa che Pascali era stato inviato per ‘regolare il Capitano Ultimo’. E credo fosse così”.

Per gestire la convivenza dei suoi con il generale Pascali, De Caprio ha raccontato di incontri con l’ex capo di Stato Maggiore dell’Arma, Gaetano Maruccia, avvenuti “anche dai falchi”, ossia nel Parco della Mistica, dove “Ultimo” gestisce una onlus. “Lui stesso – ha detto De Caprio – rassicurò Scafarto, De Rosa e Sessa. Disse loro: ‘Se avete problemi dal punto di vista funzionale con Pascali io vi sosterrò’”. In passato Pascali ha dato una sua versione dei fatti. Ai pm il 29 marzo 2018, disse: “Io ho cercato di sistemare in seno al reparto una serie di discrasie (…) questioni interne che riguardavano l’impiego del personale (…) era l’unica cosa che io ho imposto a De Caprio”.

Ieri è stata una giornata di processi per Tiziano Renzi. Perché mentre a Roma si teneva Consip, a Firenze era fissata l’udienza in Corte d’appello del processo che vede lo accusato, con la moglie Laura Bovoli, di false fatture. A Firenze i legali dei coniugi hanno fatto richiesta di legittimo impedimento, producendo un certificato medico in cui si afferma che Renzi sr. è ricoverato “per accertamenti” al San Raffaele. La Corte ha accolto l’istanza di rinvio, specificando però che “non si ricava la prova di un assoluto impedimento a comparire”.

Concorsopoli alla Statale: indagato il rettore Franzini

Due concorsi “pilotati”. Tra questi uno da professore ordinario all’ospedale San Paolo di Milano e un “progetto regionale” di chirurgia robotica. Sta in questo ambito l’inchiesta milanese sui concorsi “addomesticati” all’Università Statale di via Festa del Perdono 7, uno degli atenei più importanti d’Italia. Il fascicolo coordinato dall’aggiunto Maurizio Romanelli è alimentato dagli atti arrivati dalla Procura di Firenze per competenza territoriale. L’indagine toscana, che ha riguardato diversi concorsi per l’ospedale Careggi e l’Università di Firenze, ha incrociato un aspetto milanese. Ed è qui che emerge la figura di Elio Franzini, rettore dell’Università Statale ora indagato per reati contro la Pubblica amministrazione. L’iscrizione non è legata all’inchiesta, questa sì tutta milanese, su altri concorsi “pilotati” alla Statale e che vede tra i 32 indagati anche l’infettivologo dell’ospedale Sacco, Massimo Galli, accusato di falso e turbativa. Tornando a Firenze. La notizia dello stralcio milanese è dell’estate scorsa quando, dopo la trasmissione degli atti, il tribunale accoglie la richiesta della Procura di una misura interdittiva nei confronti di Marco Carini, già professore di Urologia all’Università di Firenze. La figura di Carini finisce sul tavolo della Procura di Milano per un’accusa (fiorentina) di corruzione condivisa con Stefano Centanni, già professore ordinario in Statale, e Francesco Montorsi, all’epoca ordinario dell’Università Vita e Salute e direttore del reparto Urologia al San Raffaele. Sul piatto due posti di professore ordinario di Urologia banditi dalla Statale presso gli ospedali San Paolo e San Donato. La figura di Franzini, per come ricostruito dai pm, riguarda il San Paolo. Tra le intercettazioni agli atti di Milano una in cui, è l’estate 2020, Carini spiega: “Il rettore di Milano mi chiama e mi chiede se c’è la volontà, la disponibilità (…) di un posto al San Paolo di professore ordinario in quanto c’è un progetto regionale che prevede un centro europeo di chirurgia robotica per cui loro (…) volevano anche un urologo”. Il caso dei due concorsi nasce nel luglio 2020 e prosegue a ottobre quando nella commissione viene messo anche Carini. Nel capo d’imputazione di Firenze si legge che è stato “raggiunto un (…) accordo corruttivo (…) tra Carini, Montorsi e Centanni per la spartizione dei posti di professore ordinario presso gli ospedali San Paolo e San Donato”. Questo l’ambito dell’indagine milanese che riguarda il rettore. Franzini è indagato per reati contro la Pubblica amministrazione: l’iscrizione non riguarda la corruzione, ma un titolo di reato più lieve. Certo è che la vicenda della “robotica” diviene pubblica nel settembre 2020 (la telefonata di Carini è di luglio) quando la Statale e il San Paolo annunciano l’apertura della Scuola di Chirurgia robotica. E questo anche se a quella data l’ateneo aveva già la disponibilità di robot chirurgici in altre sedi convenzionate.

Uk, 88 mila contagi. BoJo in lockdown beccato al pizza party

15 maggio 2020. Il Regno Unito è ancora in lockdown, da mesi. Ma, lo rivelano il Guardian e l’Independent, il premier Boris Johnson, che poco più di un mese prima era stato il primo leader mondiale ricoverato in ospedale per Covid, ignora le restrizioni imposte del suo governo al resto del Paese e partecipa a una festa a Downing Street, negli uffici e nel giardino, con pizza e alcool fino a tardi, organizzata dal suo staff subito dopo una delle drammatiche conferenze stampa sulla pandemia. Poco prima, il ministro della Salute, Matt Hancock, aveva raccomandato alla popolazione di “stare a casa il più possibile”, chiedendo loro di “attenersi alle regole, proteggere la vostra famiglia e non correre rischi”, malgrado l’arrivo di una primavera meravigliosa. Le regole, allora, limitavano a due anche gli incontri all’aperto. Aveva aperto la conferenza stampa con i dati: 10.700 ricoverati, 384 morti. E invece, secondo la ricostruzione dei due quotidiani, sarebbe stato lo stesso Johnson a proporre a un collaboratore di partecipare alla festa, anche se solo per 15 minuti, dicendo che “si meritavano un drink per aver battuto SarsCov2”.

Downing Street ha tentato di sminuire la portata dello scoop, riducendolo a una riunione di lavoro: BoJo avrebbe incontrato il ministro della Salute in giardino per discutere di quella conferenza stampa, ritirandosi verso le 19. Versione confermata da Hancock, che però a credibilità sta messo malissimo: si è dimesso a fine giugno, dopo la pubblicazione del video di un incontro molto ravvicinato con la sua amante al ministero, in flagrante violazione di ogni misura di distanziamento. Ma il danno appare enorme: ormai il Paese tutto, opinione pubblica, media e anche lo stesso partito conservatore, disgustato da continue rivelazioni su festini a Downing Street in violazione delle restrizioni, considera il primo ministro un bugiardo seriale. E per questo si ribella a nuove regole, rese necessarie dalla Omicron. Martedì il Parlamento ha votato nuove misure: mascherine obbligatorie nella maggior parte dei luoghi chiusi, lavoro da casa e Pass in alcuni casi.

Sono passate grazie al sostegno del Labour, con 99 deputati Tories all’opposizione. Numeri da crisi di governo, con il Labour stabilmente in testa ai sondaggi. E che fanno temere che un pacchetto di restrizioni più severe non passerebbe il vaglio parlamentare, proprio per l’opposizione interna ai Conservatori. Mentre il governo vacilla ieri i nuovi contagi nel Regno Unito sono stati 88.376. Quasi 10mila in più dal giorno precedente, quando l’Agenzia britannica per la sicurezza sanitaria (Ukhsa), aveva definito la variante Omicron “la minaccia più significativa per la salute pubblica dall’inizio della pandemia”, aggiungendo di aspettarsi dati “sconcertanti” rispetto ad altre varianti.

Sono i numeri in assoluto più alti dall’inizio di una pandemia che nel Regno Unito ha fatto 147mila morti, 164 solo nelle ultime 24 ore. Johnson per ora ha risposto in modo ambiguo: da una parte ha annunciato una accelerazione della campagna vaccinale, fino a un milione di immunizzati al giorno, frenata per ora da gravi difficoltà logistiche. Dall’altra in conferenza stampa, mercoledì, si è ostinato a rassicurare sulla possibilità di incontrarsi per festeggiare il Natale, mentre al suo fianco un terreo Chris Whitty, lo chief medical officer, consigliava di limitarsi ai contatti essenziali.

“Mai più le chiusure, coi vaccini sono inutili. Lo dimostra la Svezia”

Sui dati di Omicron che idea si è fatto, professor Guido Silvestri?

I primi dati preliminari che vengono soprattutto dal Sudafrica – risponde dalla Emory University di Atlanta, dove dirige il dipartimento di patologia generale e medicina di laboratorio, ndr – non sufficienti a trarre conclusioni definitive, dicono che questa variante si trasmette più rapidamente della Delta, che la malattia nei pazienti infettati con Omicron in generale sembra più lieve rispetto agli infettati con le altre varianti e che i vaccini a mRna dovrebbero rimanere efficaci nel proteggere dal Covid severo, soprattutto dopo la terza dose. La preoccupazione fine a se stessa e il panico non servono quasi mai a nulla: è brutto quando vengono usati, a livello politico e mediatico, nella visione paternalistica secondo cui il popolo bue obbedisce solo se spaventato; a me piace pensare che i cittadini facciano la cosa giusta quando sono informati correttamente.

C’è già chi invoca nuovi lockdown

Ilockdown generalizzati dovrebbero essere esclusi dal discorso politico-mediatico e soprattutto scientifico, punto. ​Hanno avuto un senso nella prima ondata, ma ora che abbiamo i vaccini e altri farmaci antivirali dobbiamo smettere di considerare le chiusure come un’opzione possibile. I lockdown hanno costi economici, sociali e psicologici enormi e tali da renderli insostenibili se non per brevi periodi. L’efficacia dei lockdown nel ridurre la circolazione del virus rimane tutto sommato limitata, almeno in società democratiche come le nostre. E il prezzo lo pagano soprattutto i ceti sociali più deboli.

A questo proposito il caso Svezia dà indicazioni?

La Svezia e alcuni Stati degli Usa, come la Florida, hanno scelto di evitare ogni lockdown, e quando si guardano i numeri si vede che, dopo il primo anno di pandemia, la mortalità per Covid in questi paesi è tutto sommato in linea con quella dei paesi limitrofi, se non addirittura inferiore. Di nuovo: la soluzione sono i vaccini, non nuove restrizioni generalizzate. I lockdown non sono sostenibili e rappresentano, nella migliore delle ipotesi, l’equivalente del dare un pesce a un affamato, mentre con i vaccini insegniamo a pescare. Oltretutto, per i soggetti vaccinati, sono ingiustamente punitivi e scoraggianti verso future vaccinazioni.

I numeri in Italia sono di nuovo preoccupanti e ancora senza Omicron, crede che sia stato fatto troppo affidamento sul Green pass?

Il Green pass è valido e importante per combattere la pandemia nel modo giusto dal punto di vista strettamente scientifico, e allo stesso tempo incentivando le persone a vaccinarsi. Quindi kudos al premier Mario Draghi per aver insistito su questa misura. Quanto ai numeri preoccupanti, ricordiamoci che bisogna seguire quelli dei ricoveri in terapia intensiva e dei morti. E quest’ultimo numero ci dice che, nell’autunno 2021, nonostante la Delta e senza zone rosse, i morti di Covid sono circa l’80-85% in meno che nell’autunno del 2020.

Ritiene che il vaccino dovrà diventare annuale o la terza dose sarà l’ultima?

Sono probabili richiami periodici, forse a annuali e in coincidenza con l’arrivo dell’inverno, come per l’influenza. Non mi sembra un grande problema, vista l’assoluta sicurezza di questi vaccini. Magari avessimo vaccini che funzionano per altre malattie infettive che devastano l’umanità, a partire da Aids, malaria e tubercolosi.

Cosa non hanno ancora capito i governi?

Dopo la fase di choc della prima ondata, ogni tentativo di controllare la circolazione di un virus come questo imponendo la separazione fisica forzata delle persone per periodi indefiniti di tempo è inutile e dannoso. Il mondo ormai è un villaggio globale: l’Occidente deve essere meno egoista, favorendo la vaccinazione a livello planetario, ed evitando di prendere misure che colpiscono soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Dalla pandemia ci sta tirando fuori la scienza del Terzo millennio, non le misure di tipo medievale.

Il ritardo nelle terze dosi azzera il Green pass. Cts: “Tamponi per i vaccinati”

La quarta ondata non si ferma. Ieri si sono registrati 26.109 nuovi contagi (numeri che non si vedevano dal 13 marzo ma con 317 morti), ancora 123 vittime e ben 101 ingressi in terapia intensiva (47 posti letto in più occupati rispetto a mercoledì). E se il nuovo picco sembra ancora da raggiungere, nemmeno il Green pass – super o normale che sia – si sente molto bene. A certificarlo non sono tanto i dati epidemiologici del nostro Paese (ancora mediamente migliori di quasi tutto il resto dell’Europa), quanto lo stesso governo, che sul certificato verde tanto aveva puntato.

Da ieri è in vigore l’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza che impone a chi arriva in Italia, anche se vaccinato, un test antigenico rapido nelle 24 ore precedenti all’ingresso, oppure molecolare nelle 48. Una scomunica nemmeno troppo implicita dell’affidabilità del Green pass, certamente comprensibile alla luce dell’incognita Omicron e dell’ormai acclarata diminuzione della protezione dei vaccini dopo cinque mesi dalla somministrazione della seconda dose, ma pur sempre una scomunica. E a confermare il cambio di umore ci ha pensato ieri anche il coordinatore del Comitato tecnico Scientifico, Franco Locatelli, che ha definito “un’ipotesi da considerare” l’eventualità di richiedere un tampone negativo per l’accesso ai grandi eventi anche a chi è in possesso del pass, “se la situazione epidemiologica dovesse peggiorare”.

Ieri il premier Mario Draghi, intervenuto al Consiglio europeo (che ha deliberato di presentare a breve un provvedimento per uniformare le condizioni per derogare al Green pass nei Paesi dell’Unione affinché le restrizioni siano basate “su criteri oggettivi” e non danneggino “il mercato unico” e non ostacolino “in maniera sproporzionata la libertà di circolazione tra gli Stati membri”) ha nuovamente difeso le restrizioni italiane alle frontiere con la (per ora) scarsa circolazione di Omicron in Italia rispetto agli altri Paesi, il che giustificherebbe un intervento per “mantenere questo vantaggio a protezione del nostro Sistema sanitario nazionale”.

Augurandoci che il premier abbia ragione su Omicron (come noto in Italia il sequenziamento dei genomi è lontanissimo dai livelli del Regno Unito, dove si cerca molto e – di conseguenza – si trovano le varianti) va registrato che il governo ha dovuto incassare il cartellino giallo della Fondazione Gimbe e il report settimanale dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica (Altems) che sostanzialmente affermano la stessa cosa: l’Italia è partita in ritardo con la campagna per la terza dose (ieri risultavano trivaccinate 13.082.103 di persone, il 22,08% della popolazione), il che – di fatto – ha messo in crisi anche il sistema del Green pass, trovatosi “scoperto” causa diminuzione dell’efficacia protettiva del vaccino dopo soli cinque mesi a fronte di una previsione iniziale di dodici mesi di validità: “La pandemia – si legge nel report Gimbe – è in fase critica per la convergenza di vari fattori, come la stagione invernale, il ritardo iniziale nella somministrazione delle terze dosi e uno zoccolo duro di non vaccinati. Questo – conclude – preoccupa in vista del Natale e della diffusione di Omicron”.

Altems, invece, dopo aver calcolato i costi sanitari delle cure per i no-vax (circa 70 milioni di euro al mese) ieri ha calcolato i costi del ritardo nella campagna booster: “Oltre 3 ricoveri su 4 (76%) in Area Medica – si legge nel report settimanale – si sarebbero evitati se le persone vaccinate da più di 5 mesi avessero fatto la terza dose; così come si sarebbero evitati sette ricoveri in terapia intensiva su dieci (69%) tra i vaccinati da più di 5 mesi senza terza dose. Il totale dei costi di questi ricoveri evitabili ammonta a oltre 17 milioni di euro”. Quanto ai contagi, secondo Altems, la terza dose over 40 avrebbe potuto evitare “circa 39.455 casi su 57.054 contagi negli ultimi 30 giorni”.

Oggi il monitoraggio settimanale dell’Iss consegnerà al giallo Liguria, Provincia autonoma di Trento e (forse) Marche e Veneto, ma sono ben 26 – dice Gimbe – le province in cui l’incidenza supera i 250 casi ogni 100 mila abitanti. In tutte le Regioni si rileva un incremento percentuale dei casi tranne in Molise, Pa di Bolzano e Friuli-Venezia Giulia, che ha anticipato di una settimana l’entrata in vigore del super green pass. Almeno questa, una buona notizia per Palazzo Chigi.