Dicesi “normalità”

Dopo 24 ore perse a domandarci cosa diavolo sia la “normalità” che Draghi “difende con le unghie e coi denti”, abbiamo finalmente capito. Normalità è il Green pass, anche turbodiesel, che dura 9 mesi per chi si fa un vaccino che ne dura 5 (se va bene); e che non c’è modo di revocare al titolare contagiato, che va in giro a contagiare con tanto di lasciapassare. Normalità è pavoneggiarsi perché “il Green pass ce lo invidia e ce lo copia tutta Europa” e poi scoprire che non lo vuole nessuno, anzi “Il Green pass divide la Ue: nuove critiche di Bruxelles all’Italia” (Rep). Normalità è appioppare multe da 400 euro a baristi e ristoratori truffati da chi esibisce il pass di un altro perché non sono poliziotti e non possono controllargli i documenti. Normalità è promettere “un Natale normale per i vaccinati”, i contagi sono tutta colpa dei No vax, poi di punto in bianco cominciare a dire che “il vaccino non basta” e “anche i vaccinati (si) contagiano”. Normalità è scomunicare i tamponi perché “scoraggiano i vaccini”, salvo ora pretendere che i vaccinati stranieri esibiscano il tampone alla frontiera e pure i vaccinati italiani, ma solo per i “grandi eventi”. Normalità è sapere che “Omicron è ovunque e a metà gennaio sarà dominante in tutta l’Ue” (Von der Leyen), poi pensare di bloccarla alla dogana, infine leggere sulla Stampa che “altri Paesi sono pronti a blindare i confini” (ma, se si blindano tutti e Omicron è dappertutto, chi sono gli invasori da respingere?).

Normalità è fissare la quarantena di 5 giorni per gli stranieri comunitari e di 10 per gli extracomunitari, come se la razza europea fosse più immune. Normalità è chiedere il tampone ai vaccinati stranieri e pure agli italiani tornati dall’estero per lavoro o per turismo, come se il Covid circolasse più fuori che qui (eppure 9 Paesi Ue hanno meno contagi di noi che, per Draghi, abbiamo “i dati migliori”). Normalità è esentare dal tampone decine di migliaia di lavoratori transfrontalieri che ogni giorno fanno la spola da Paesi messi peggio di noi, tipo Croazia, Slovenia, Austria e Francia. Normalità è sproloquiare di aiuti al turismo (il “bonus terme”!) e poi consentire agli stranieri di entrare in Italia col tampone o la quarantena, ma vietare (unici nell’Ue) agli italiani di andare in Thailandia, Tanzania, Kenya, Messico, Guatemala, Indonesia, Polinesia ecc., mentre possono girare serenamente nel più grande cluster di Omicron al mondo chiamato Europa. Normalità è fare il poliziotto buono del “Natale normale per i vaccinati” e lasciar fare i poliziotti cattivi ai sindaci, che cancellano feste, mercatini e concertoni di fine anno per vaccinati e non. Con tutta questa normalità, cresce la nostalgia per i manicomi.

Lillo e Greg davanti lo “specchio”: dal bar al palco di Zelig, così tutto ebbe inizio

Radio, televisione, cinema, musica, teatro: in questi ultimi 30 anni la coppia comica di Lillo e Greg è riuscita a farsi apprezzare attraverso ogni mezzo espressivo, diventando uno dei tandem più amati dagli italiani. Col tempo, i due sono anche riusciti a farsi conoscere da soli (Lillo ha avuto un exploit dopo la partecipazione al reality show Lol, mentre da oggi fino al 19 dicembre Greg sarà in scena al teatro Garbatella di Roma con Il calapranzi di Harold Pinter), allargando ancor di più un pubblico che va ben oltre a quello, già ampio, che i due si sono costruiti con Zelig o sul grande schermo. Ed è proprio per questa vasta platea che Gramese Editore ha pensato e pubblicato la Biografia (non autorizzata!) di Lillo e Greg. Un titolo che è già tutto un programma: nel libro, i due comici raccontano la genesi della loro formazione, partendo da quando si sono conosciuti al bar della casa editrice dove lavoravano, fino ad arrivare alla quindicesima edizione di 610, il programma che conducono dal 2003 sulle frequenze di Radio 2. La narrazione avviene attraverso modalità particolare, raccontando cioè a specchio com’è accaduto dal proprio punto di vista ognuno degli avvenimenti di cui si compone il saggio. Il risvolto inedito è in termini di stile: nei racconti di Lillo, Greg viene descritto come una specie di nerd rimbambito, una persona goffa e spesso imbarazzante; viceversa, Greg descrive Lillo come una sorta di bifolco, arrogante e maleducato. Da qui, viene spiegato il titolo del libro: Biografia (Non autorizzata da Lillo) (Non autorizzata da Greg).

Fra una risata e l’altra, il saggio scorre con grande fluidità dall’inizio alla fine, ripercorrendo le tappe che hanno caratterizzato la carriera dei due, con risvolti inediti anche ai fan più accaniti. Uno dei loro primi spettacoli dal vivo, al Fonclea club di Roma, ne è un esempio. Capire il confine fra realtà e finzione non è però semplice: in questo caso, da un lato c’è Greg che salva la situazione dopo che la rabbia del suo partner, imbestialito per futili motivi contro un tecnico del suono, rischiava di far saltare l’intero show; dall’altro, il vero motivo del successo potrebbe essere riconducibile al solo Lillo, idolo incontrastato soprattutto delle spettatrici. Fra le tantissime esperienze che i due hanno fatto nel mondo dello spettacolo c’è anche le Iene, la nota trasmissione di Italia 1 che ha tra i fondatori proprio il duo comico. Secondo una versione dei fatti, i produttori del programma volevano in realtà solo Lillo, col fine di sfruttarne il notevole fascino sul pubblico femminile. Una versione però smentita da Greg, che anzi fu talmente galantuomo da addossarsi le colpe del compare pur di non compromettere il buon andamento della trasmissione. A prescindere da quanto sia labile la distinzione fra vero e falso, con questa Biografia (non autorizzata) le risate sono sempre assicurate.

“Spider-Man”, il grande cinema è preda del ragno

Hanno svelato l’Uomo Ragno, chi sia stato lo si sa: Mysterio. L’outing ha risonanza mediatica globale e ricadute personali dolorose, il diciassettenne Peter Parker (Tom Holland) si ritrova con gli elicotteri delle televisioni alla finestra di casa, e a farne le spese sono anche la fidanzata MJ (Zendaya) e l’amico Ned (Jacob Batalon), bollati complici: il sogno condiviso del college, il MIT, va in frantumi. Peter non ci sta, e chiede al Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) di ripristinare il suo segreto, ma riluttante a essere dimenticato da MJ, Ned, May (Marisa Tomei) e Happy (Jon Favreau) compromette l’incantesimo stesso, aprendo un vaso di Pandora che richiama i nemici di Spider-Man da ogni angolo dell’Universo Cinematografico Marvel (MCU). Eppure dietro i cattivoni Electro (Jamie Foxx), Doctor Octopus (Alfred Molina), Goblin (Willem Dafoe), Sandman (Thomas Haden Church) e Lizard (Rhys Ifans) ci sono degli scienziati, ovvero degli uomini: vorrà Peter provare, costi quel che costi, a salvarli o lasciarli alla magia del Doctor Strange e condannarli a morte certa? Basato sui comics di Stan Lee e Steve Ditko, prodotto da Kevin Feige e Amy Pascal per Marvel Studios, sapientemente scritto da Chris McKenna e Erik Sommers, Spider-Man: No Way Home completa la trilogia dell’Homecoming di Jon Watts, talentuoso regista classe 1981, nel migliore dei modi – e mondi – possibili: è un’opera superlativa, non solo nell’alveo delle Feste ma dell’anno intero. Serve, tra le altre cose, a ricordare che non tutti i film grandi sono grandi film, ma questo lo è, e a ribadire a noi italiani come il primato morale e artigianale di Freaks Out e quello identitario e artigianale di Diabolik, vellicati da artefici e media al seguito, sui superhero movies dei turbocapitalisti amerikani siano poco più o poco meno che fregnacce. Non è appunto questione di dimensioni, bensì di materia cinematografica, dunque umana, umanissima: in termini di sacrificio di sé, accettazione dell’altro e del diverso, perdono e non vendetta, (Statua della) libertà e non difesa (lo scudo di Captain America), verità prima di giustizia, appunto umanesimo, No Way Home è summa coraggiosa, preziosa, perfino – con quel che c’è in giro tra sala e piattaforme… – necessaria. Il romanzo di formazione di Peter Parker arriva a conclusione, la domanda del suo (fu) mentore Tony Spark “Are you the Spider-Boy?” trova risposta nel Man. Se “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” e non c’è uno – no spoiler – senza tre, ecco il finale, trinitario e multiverso rito di passaggio, che fa perdonare a Marvel tanta recente tonitruante monnezza, o giù di lì, e issa, dopo Homecoming (2017) e Far From Home (2019), il trittico di Watts oltre l’Amazing dittico di Marc Webb e almeno ai livelli dell’omologo di Sam Raimi. Sarà una sorpresa per fan e neofiti avere contezza dell’Universo Ragno, unire i puntini e avere riconoscimento facciale della cosmogonia, nonché salutare, in un cast indovinato da Tom Holland alle comparse, la splendida singolarità di Zendaya, che ad appena venticinque anni è già una superstar di gusto e sostanza come non se ne vedevano da lustri, se non decenni. Tutto bene, di complessità semplicità, di fede speranza: se non torniamo davanti al grande schermo per questa sciccheria, altro che No Way Home, addio sala.

 

“Io, il Boss e il muro di casa-Elvis”

Sabato 23 agosto 1969. Una settimana dopo Woodstock. Reduce dal festival, Janis Joplin ha un ingaggio per due show alla Convention Hall di Asbury Park, New Jersey. Ha 26 anni. Adocchia un diciannovenne. È Bruce Springsteen. Lui scappa dal retro.

Stevie Van Zandt, andò così?

Erano di fianco a me. Janis fu determinata: voleva un tempo ‘di qualità’ con Bruce. Be’, dovevate essere in quei giorni, per capire cosa fosse la liberazione femminile. Le ragazze chiedevano esplicitamente di fare sesso. A volte questo appariva intimidatorio. Mettevano paura! La Joplin era aggressiva come un predatore maschile. Un essere speciale.

Questa è una delle storie che racconta nella sua autobiografia Memoir, la mia odissea fra rock e passioni non corrisposte. Ma tace sull’aneddoto con Springsteen a Memphis, 29 aprile 1976, dopo un live con la E Street Band. Siete davanti al muro di Graceland e…

…E io non avevo intenzione di intrufolarmi in casa di Elvis, non ero un suo grande fan! Bruce invece, già finito sulle copertine di Time e Newsweek, era sicuro che lo avrebbero riconosciuto.

Cosa accadde?

Gli dissi: ‘Amico, non mi arrampico lì, e in piena notte!. Resto qui in taxi, mi serviranno soldi per farti uscire di galera. O per l’ospedale: i mastini ti morderanno le chiappe’. Springsteen si inoltrò verso l’ingresso.

Chi gli aprì?

Vernon, il padre di Elvis. Sostenne che il figlio era via.

Vedeste Elvis in concerto nel ’77, poco prima che morisse.

Serata piacevole, ma solo un residuo della sua grandezza. L’ultima volta che avevo percepito tutta la potenza rock di Presley era stato con il ritorno nello special tv del ’68.

Girano voci su Springsteen e voi della E Street Band a Roma e Ferrara nel maggio 2022.

Non credete a ciò che leggete, fin quando non vi sarà un annuncio ufficiale di Bruce. Che deve ancora prendere una decisione. A oggi non esiste un piano per andare in tour, vediamo come procede la pandemia. Sì, il desiderio di portare sul palco l’album Letter to you è fortissimo, sono canzoni che pretendono il pubblico, sarà un grande show. Speriamo che quando torneremo in Italia, San Siro sarà in piedi.

Ha firmato una petizione per salvare lo stadio milanese.

È un sito sacro del rock mondiale. Non dobbiamo dare per scontata la sopravvivenza delle strutture leggendarie, troppe sono già sparite. Sarebbe una grande perdita l’abbattimento di San Siro: lì dentro c’è sempre un’atmosfera magica, intangibilmente mitica. E non solo per la risposta travolgente dei fan.

Per lei questo stop forzato è stato fertile.

Ho pubblicato due nuovi album con i Disciples of Soul e rimasterizzato il mio catalogo. Ho scritto questo libro, e ne sto preparando uno più dichiaratamente politico.

Memoir è il suo diario di riflessioni da musicista, attore, attivista. E una miniera di retroscena. Come quello su Van Morrison.

Van è un mio idolo, ma non l’avevo mai incontrato. Ha fama di essere scorbutico. Mi spinsero nel suo camerino. Volevo dimostrargli quanto le sue canzoni avessero contato per me.

E?

Azionai l’aspirapolvere e gli pulii la stanza. Il suo tour manager mi disse che non lo aveva mai sentito ridere così tanto.

Poi gli incontri con Dylan. Anche come produttore.

A libro finito, ho spedito le bozze a Bob, a Springsteen e Paul McCartney: se ero stato indiscreto avrei tagliato le parti su di loro. Invece hanno scritto per me sul retro di copertina. Dylan è astuto e molto divertente.

Lei si è schierato al fianco dei Måneskin. Che in Italia dividono.

Gli italiani dovrebbero essere orgogliosi dei Måneskin, questa controversia è ridicola, sbagliata, ingiusta. Non vi piace la loro musica? Non ascoltateli. Ma è sciocco paragonarli agli dei originari del rock. Il Rinascimento accade ogni due secoli, e nel rock è finito da un pezzo. Non possiamo giudicare i Måneskin confrontandoli con gli Who. Da troppo tempo nessuno aveva ottenuto un successo rock così miracoloso come questa grande e giovane band. Concediamo loro il tempo di evolversi. Le nuove generazioni trarranno ispirazione dai Måneskin.

In due serie tv ha recitato da mafioso: Lilyhammer e nei Soprano. Era stato provinato pure nel ruolo del boss Tony Soprano, che poi andò a Gandolfini.

Il produttore mi vedeva protagonista, la HBO decise per Jimmy. Ma la ruota del destino girò per il verso giusto, facendomi scoprire anche una vocazione da attore. Ora stanno girando un prequel. Sono curioso di vedere come tratteranno il mio personaggio da giovane.

Si chiamava ‘Silvio’. Come Berlusconi.

Oh, non ditemi che sta tornando! Ma davvero qualcuno lo vuole presidente? Anche l’Italia è nei guai come l’America: quel pagliaccio traditore di Trump non molla la presa. I Repubblicani prenderanno il Congresso nel 2022, e nel mio Paese la democrazia sarà finita. Ci sarà una nuova guerra civile, con scontri armati. I buoni devono svegliarsi. Subito.

E tu che tipo di narcisista sei?

Equindi se uno soffre di disturbo narcisistico di personalità, a chi si rivolge? Allo psicoterapeuta. Questa era facile. Purché sia qualcuno che capisce il disturbo e conosce un po’ degli strumenti di cui parlo. E invece se voi avete mariti (di solito), mogli (sì, succede), figli (spesso), amici e colleghi (spesso) che sembrano essere afflitti da questo problema, a chi vi rivolgete? Indovinate? Sì, sempre allo psicoterapeuta. Ma non chiedete come può aiutarvi per cambiare il supposto narcisista. Ammesso che quella persona narcisista lo sia davvero, perché spesso non è così. Andateci a chiedere risposte che riguardano voi. (…)

Ora, poniamo che, spontaneamente o sotto gentile invito di una persona cara – “se non ci vai e per caso non trovi più la camicia celeste, non cercarla nell’armadio. Cerca sul marciapiede, quello sotto la finestra della stanza da letto, la trovi stirata” –, il narcisista si affacci allo studio del terapeuta. (…) I narcisisti vivono vite allo stesso tempo miserabili e tremendamente interessanti, vuote e avventurose, imprevedibili e insensate, piene di mille strade che si sono aperte e tutte si sono interrotte prima della curva oltre la quale avrebbero intravisto il ristoro, il rifugio, la meta. Alcuni di loro lasciano una traccia importante nel mondo, se il narcisismo non infetta in modo grave il loro talento e ambizione. Alcuni, come disse un mio paziente che ancora ricordo, lasciano un segno leggero, si accontentano che si dica di loro: si è distinto dalla massa, la sua vita è stata baciata dal marchio della nobiltà intellettuale. Altri semplicemente soffrono e appassiscono, declinando senza avere mai scintillato. Molte di queste persone, noi psicoterapeuti che operiamo nel mondo scientifico, le possiamo curare. E allora cosa, al meglio di scienza e coscienza, possiamo offrire? (…) Per curare bisogna prima di tutto conoscere la malattia. E allora, com’è fatta la malattia della grande vita?

Esiste un certo accordo che ci sia una distinzione tra sottotipi: ne elenco tre. Il primo è il narcisismo cosiddetto overt, esplicito, grandiosamente grandioso. È quello che trovate descritto nei manuali di classificazione della psicopatologia. Sono persone che hanno livelli estremi di sopravvalutazione di sé (sì, sì, il superciufolismo), costantemente alla ricerca di ammirazione, coltivano fantasie di successo, amore ideale, tendono a sfruttare gli altri e, ciliegina sulla torta, mancano di empatia. Ovvero: di quello che voi provate e pensate e della vostra eventuale sofferenza non gliene frega praticamente niente. Il narcisista overt in purezza nello studio dello psicoterapeuta ci arriva poco e malvolentieri. Se bussa alla porta è perché è andato incontro a disastri esistenziali degni di tale nome, oppure lo affliggono sintomi psicologici significativi: attacchi di panico, depressione persistente, ansia per la propria salute fisica o disturbi alimentari.

Il narcisista che più frequentemente vediamo nei nostri studi è il tipo detto covert o vulnerabile. La grandiosità compiuta la sperimenta di rado. Il suo narcisismo consiste soprattutto in un costante aspirare alla vetta senza raggiungerla mai, insieme all’aspettativa che, malgrado lui se ne stia rintanato in un angolino, gli altri gli debbano ammirazione, apprezzamento e riconoscimenti, è una questione di lignaggio in un certo senso. Si aspetta che gli altri notino le sue qualità senza che, ovviamente, abbia fatto granché per manifestarle. È che gli altri dovrebbero saperle vedere, no? L’esperienza soggettiva di queste persone, mancando il riconoscimento che peraltro non si sono conquistati, è consumata da sentimenti negativi: vergogna, invidia, inferiorità, colpa. Il senso di vuoto colora vaste aree della mappa del loro animo e si declina come solitudine, distanza dagli altri, esclusione sociale o, se preferite, alienazione. (…) A guardare bene, gli esperti si sono accorti che i due tipi, overt e covert, non sono così distinti. La stessa persona può avere giorni di arroganza e prepotenza o, in forma lievemente più gentile, alla D’Artagnan: guascone, spaccone, sbruffone. In altri giorni invece si rannicchia nell’angolo del pub, scontroso e risentito in un silenzioso rimuginare. Nel suo dialogo interno un attimo parla l’idiota, l’attimo dopo il genio incompreso e i due personaggi comunicano tra loro con grande fatica. (…)

E il terzo tipo? L’incontro ravvicinato con i narcisisti del terzo tipo non è oggetto di questo libro. Si tratta del cosiddetto narcisismo maligno, che grossomodo corrisponde alla personalità che gli psicologi di laboratorio chiamano triade oscura. Ne ho parlato ne L’illusione del narcisista. Qui ricordo solo che si tratta dell’insieme di tratti narcisistici, psicopatici e machiavellici. In sintesi, persone votate alla manipolazione e all’aggressività predatoria. (…)

Dicevo, com’è fatta la malattia della grande vita? Piena di sofferenza, al contrario degli stereotipi dipinti dagli psicologi cacciatori di narcisisti sui social. Il sommo sapere social vuole queste persone impassibili, dure, gelide e incapaci di provare dolore. Sperimentano ogni forma di sintomo possibile. Ansia e depressione: alte. A volte la depressione è molto intensa ed è presente un certo grado di pensieri suicidari, specie nella seconda metà della vita. E poi abuso di alcool e sostanze che già di loro di danni ne fanno abbastanza. La stabilità nelle relazioni sentimentali gli è abbastanza sconosciuta e quindi col passare degli anni pagano lo scotto: vivere da soli, si sa, aumenta le probabilità di ammalarsi prima del tempo.

Insomma, da fare ce n’è.

Sapete come si cura una malattia? Capendo cosa non funziona. E poi inventandosi strumenti per aggiustarlo.

Quindi prima di spiegare come si cura il narcisismo, andiamo a scandagliare i meccanismi malmessi. Perché tutti i casini che combinano – che rovinano la vita a loro stessi e, ammettiamolo, non facilitano quella di chi sta loro intorno – alla fine sono solo epifenomeni.

Promemoria: se non siete parenti di narcisisti né vi è toccato condividerci il lavoro, di prenderli e tenerveli non ve l’ha ordinato il dottore.

© Baldini+Castoldi

 

Barca e Brunori gli ospiti vip del Buccino Festival di Arminio

Fra arte e territorio. Saranno Fabrizio Barca e Dario Brunori (in arte Brunori Sas) gli ospiti principali della due giorni al Buccino Volcei Festival, in provincia di Salerno, il 17 e 18 dicembre. La prima giornata vedrà il direttore artistico, Franco Arminio, incontrare l’ex ministro per affrontare una “conversazione con i sindaci del territorio”. La sera in concerto il trio Assurd. Il giorno seguente, al mattino, il dibattito “Parlamenti sull’Italia Interna”, la sera l’incontro fra Arminio e il cantautore Brunori Sas, subito dopo l’esibizione di Canio Loguercio.

Regata Storica di Venezia, Brugnaro lo rifà: premi più alti ad atleti uomini che alle donne

“Ècoerente un sindaco che prima promette pubblicamente e poi non mantiene? Luigi Brugnaro aveva garantito la parità di genere nell’assegnazione dei premi per la Regata Storica di Venezia dopo le polemiche per le discriminazioni nelle passate edizioni. Ecco il totale dei premi assegnati per l’ultima manifestazione da Vela Spa, società partecipata del Comune di Venezia: 16.400 euro per gli atleti, 11.700 euro per le atlete”. Laura Boldrini, ex presidente della Camera, deputato Pd e presidente del Comitato della Camera sui diritti umani nel mondo, lancia una pubblica accusa sulle promesse da mercante della giunta comunale di Venezia.

Il 23 luglio Brugnaro aveva dichiarato: “Premi equiparati”. L’11 dicembre Vela ha consegnato i premi, mantenendo una forbice di 4.700 euro. A Venezia la stridente contraddizione era già stata notata. Monica Sambo, capogruppo del Pd in consiglio comunale, ha chiesto un accesso agli atti per verificare chi abbia preso le decisioni che hanno stravolto la conquistata parità dopo che la tradizione aveva perpetuato la discriminazione. Luisa Rizzitelli, presidente di Assist, l’Associazione Nazionale Atlete, ha rincarato: “Questa storia è una vera schifezza. Dopo i proclami, uno schiaffo inaccettabile del Comune alla dignità delle donne e delle atlete. Occorre rimediare subito e senza trucchetti”.

Vela gestisce gli eventi e le attività di promozione della città ed eroga una seconda tranche di premi ai regatanti della Storica, che si aggiunge alla prima di settembre (solo quest’ultima con bando pubblico). Il nuovo premio è stato consegnato l’11 dicembre da Giovanni Giusto, delegato del sindaco per le Tradizioni. Coerenza avrebbe voluto che anche in questo caso le buste fossero di uguale importo. Così non è stato. Su quali siano le responsabilità, Assist non ha dubbi: “Come possiamo credere che il montepremi di una manifestazione così prestigiosa e identitaria sia attribuito a discrezione degli sponsor privati? Dovremmo forse pensare che la suddivisione dei premi non sia decisa da chi tiene i cordoni della borsa? E che Vela Spa agisca con criteri non condivisi dal sindaco e dalla giunta?”. Fabrizio D’Oria, direttore di Vela, replica tentando di scagionare la giunta comunale: “La ripartizione dei premi è stata decisa per il 2020 dall’Associazione Regatanti e Vela ha mantenuto anche per il 2021 la stessa suddivisione non essendo pervenute diverse richieste di modifica”.

“Boss a Borsellino: ‘Complicità Stato, si guardi le spalle’”

“Paolo Borsellino si recò a Roma al ministero dell’Interno il 1º luglio 1992 e riferì che con una scusa venne accompagnato in una stanza in cui incontrò Bruno Contrada. Quest’ultimo era a conoscenza dell’inizio della collaborazione di Gaspare Mutolo. Borsellino lo percepì come un segnale preoccupante. Pensò che qualcuno dal ministero voleva fargli sapere che Contrada non era solo e c’erano loro dietro di lui. Questo lo appresi da Carmelo Canale e poi da Agnese Borsellino”. È la testimonianza che Antonio Ingroia, ex pm della ‘Trattativa’, ha reso ieri a Caltanissetta nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio del 19 febbraio 1992, dove sono imputati tre poliziotti per calunnia aggravata. “Borsellino – dice Ingroia – aveva interrogato Mutolo che gli aveva detto, fuori verbale, delle rivelazioni da fare su uomini dello Stato. Mutoli gli disse: ‘Dottore si guardi le spalle, nello Stato ci sono complicità con Cosa Nostra’ e fece i nomi di Domenico Signorino (ex pm poi morto suicida, ndr) e Contrada”.

Patroni Griffi eletto giudice della Consulta

Il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi è stato eletto giudice della Corte costituzionale. Subentrerà, a palazzo della Consulta, all’attuale presidente Giancarlo Coraggio, che a gennaio lascerà la Corte, alla fine dei 9 anni di mandato. Coraggio, è anche ex presidente del Consiglio di Stato. Patroni Griffi è stato eletto ieri dopo il ballottaggio con il presidente di sezione Luigi Maruotti. Al primo turno, infatti, non aveva avuto i 61 voti necessari per ottenere la maggioranza assoluta, ma 50. La vera sorpresa è stato il candidato arrivato al ballottaggio, perché in molti davano come “primo sfidante” il presidente di sezione, Oberdan Forlenza. Patroni Griffi voterà alla fine del mese, insieme agli altri giudici della Corte costituzionale, per il nuovo presidente. Secondo l’ordine di anzianità, sempre seguito negli ultimi anni, toccherà a Giuliano Amato, il cui nome è finito nel toto nomine per il Quirinale. Al Consiglio di Stato dovrebbe succedere l’ex ministro di FI, Franco Frattini, di recente eletto presidente aggiunto.

Tg1, Goracci assalita e Maggioni double face: i no-vax italiani non parlano, quelli romeni sì

Ha fatto scalpore il caso della giornalista Rai, Lucia Goracci, malmenata in Romania da una senatrice no-vax mentre lavorava a un servizio per il Tg1. Una disavventura per cui Goracci ieri mattina ha ricevuto parole di solidarietà anche dalla presidente del Senato, Elisabetta Casellati. A stridere in questa storia, però, è una contraddizione tutta interna al Tg1 che non è sfuggita agli addetti ai lavori. Domenica 5 dicembre, a tutta pagina su Repubblica, esce la prima intervista da direttore di Monica Maggioni. “Un Tg1 senza pastone e niente voce ai no vax”, il titolo. Si era nelle ore in cui, a fronte della quarta ondata di Covid, imperversava il dibattito se fosse giusto o meno dar voce (e quanto) ai no-vax all’interno dei programmi d’informazione. “Non darò il microfono ai no-vax perché, se ci va di mezzo la vita delle persone, non puoi mettere sullo stesso piano uno scienziato e il primo sciamano che passa per strada”, ha spiegato Maggioni.

Peccato che qualche giorno dopo avverrà l’esatto contrario. Lucia Goracci, corrispondente Rai da Istanbul, viene mandata in Romania per realizzare un servizio sulla pandemia che in quel Paese sta colpendo duro: qui i vaccinati sono solo un terzo e i no-vax la maggioranza. Così Goracci va a intervistare proprio la negazionista per eccellenza, la senatrice Diana Iovanovici Sosoaca, che prima accetta di parlare e poi sequestra la troupe Rai nel suo ufficio, chiama la polizia e accusa la cronista e i tecnici di essere dei criminali, col marito che addirittura malmena Goracci. La questione si risolve solo dopo una trattativa di 8 ore tra polizia, Rai e ambasciata italiana. Massima solidarietà a Goracci che ha realizzato un servizio che ben descrive il clima in certe parti d’Europa. Resta la contraddizione che le voci aziendali hanno riassunto in una battuta: “Non si dà il microfono ai no-vax italiani, però si vanno a intervistare quelli stranieri…”.

Tra l’altro dopo quell’intervista, Maggioni era stata attaccata da Repoter Senza Frontiere secondo cui “anche in tempo di Covid il pluralismo delle opinioni nei media pubblici deve essere preservato”. “Quando Rsf perde una buona occasione per tacere”, l’aveva difesa su twitter proprio Goracci, che poi se l’era presa con Bianca Berlinguer colpevole di ospitare tutti. “Ora ci pensa lei che ospita puntualmente no-vax urlanti, a tutelare l’informazione…”, twittava l’inviata prima di partire per Bucarest.