Revenge porn: che cos’è e perché non ha mai fine

È un fenomeno ben definito, sembra un reato ma in Italia in realtà non lo è. Il revenge porn, o meglio la pornografia per vendetta, è il prodotto di una serie di condizioni: la velocità con cui è possibile scambiarsi immagini e video, la viralità che ne deriva e, in caso della vendetta, la volontà di danneggiare l’altro. In caso di buona fede, la non consapevolezza delle conseguenze

Che cos’è. Per Revenge Porn, letteralmente, si intende soprattutto la diffusione, in Rete, di video e di immagini hard private, da parte di un ex partner per esempio, senza il consenso dell’altro interessato. Il termine, però, nel tempo ha allargato le maglie del suo significato e oggi sempre più si riferisce in generale alla diffusione di materiale pornografico senza il consenso dell’interessato (o di uno degli interessati) indipendentemente dalla motivazione con cui lo si fa.

Il reato. Non esiste un reato specifico di revenge porn in Italia, anche se c’è una proposta di legge a firma Movimento 5Stelle. “A monte, quando si pubblica o si invia un video o delle immagini per la prima volta e senza il consenso dell’interessato – spiega Nunzia Ciardi, direttore del servizio di Polizia postale – si configura il reato di violazione della privacy. Poi, a catena, ne possono seguire altri come lo stalking, la molestia o l’estorsione se c’è il ricatto. Insomma, bisogna valutare il caso specifico”.

Si può fermare? Intercettare ma soprattutto eliminare immagini e video finiti in rete è impossibile. Spesso, infatti, viaggiano tramite messaggi privati e quindi chi li guarda, per farlo, li ha scaricati sul proprio dispositivo (tablet, smartphone o pc) e li ha memorizzati in archivio. Ogni volta che vengono recuperati e spediti, si crea una nuova copia. Una per ogni destinatario del messaggio. “Non ci si rende conto che mettere online video o immagini intime e strettamente personali rende difficilissimo riprenderne il controllo – spiega la Ciardi –. Certo ci sono alcuni strumenti di intervento, si può chiederne la rimozione ai social network o alle piattaforme, da cui vengono sempre rimossi. Ma in privato si attiva un rimbalzo diabolico: con i messaggi di Whatsapp, Telegram o di altri servizi, nei gruppi, una immagine scattata ad esempio nel bagno di una scuola a ricreazione nel giro di pochissimo può arrivare a tutta la città. La pervasività di questi strumenti è massima, i tempi di riproduzione e rinvio è azzerato, la diffusione è esponenziale. Per questo è impossibile fermarli. Qualcosa che forse prima poteva essere bloccato in pochi passaggi, ora non ha più limiti”. Per eliminarli, bisognerebbe cancellarli da ogni singolo dispositivo che li custodisce. “È chiaro che un sequestro di telefonini di massa è impossibile”.

Donne. Il direttore Ciardi conferma che la maggior parte del revenge porn è ai danni delle donne. Ci sono anche casi in cui a essere coinvolti sono gli uomini, soprattutto nell’ambito del ricatto. Secondo gli ultimi dati di Amnesty International sulle violenze online e sui social media, il 16 per cento delle donne intervistate in Italia ha sperimentato qualche forma di abuso o molestia online. Sarebbe utile una legge specifica?

La legge. “Certo, quella sulla privacy, in particolare per casi con esito drammatico, potrebbe non bastare” dice ancora Ciardi. Di sicuro, però, è importante pun tare su prevenzione e consapevolezza: insegnare che ogni invio, ogni ‘inoltro’, ogni comunicazione può avere conseguenze disastrose. “Conta molto la consapevolezza di un uso corretto – conclude Ciardi –. Oltre le norme, la cui adeguatezza è importante, è importante permettere alle persone di capire che le proprie azioni hanno conseguenze amplificate rispetto al passato. La Rete è un mezzo troppo potente per trattarla con superficialità: si è esposti al mondo, il danno è immenso”.

Scandalo Sarti: le immagini a Montecitorio

Racconta un deputato di Forza Italia che ieri in aula, guardando alla sua destra, ha notato un collega con lo smartphone nascosto sotto il leggio del suo banco (la “ribaltina”). E sullo schermo, credendo di essere al riparo da altri occhi, scorreva le immagini di una donna nuda. “Stai attento”, gli ha raccomandato: “Ti vedono i ragazzi delle scuole” (quelli in visita guidata a Montecitorio, che osservano l’emiciclo dalla tribuna in alto). Le foto e i video sono quelli di Giulia Sarti, volto storico del Movimento 5 Stelle, ex presidente della commissione Giustizia, travolta da uno scandalo sessuale ogni giorno più inquietante. È una scena assurda: un onorevole che guarda di nascosto le immagini di un’altra onorevole che fa l’amore. La Sarti in queste ore non si fa vedere, è comprensibile. I colleghi invece la scrutano sui loro cellulari. Le sue immagini sono diventate virali anche dentro al palazzo.

Nel giorno in cui il revenge porn approda in Parlamento, nessuno ha voglia di scherzarci su. Nei capannelli del transatlantico se ne parla, ma con pudore, senza battute o allusioni pruriginose, né distinzioni di partito. C’è un senso di vergogna che attraversa quasi tutti, dai deputati di LeU fino a quelli di Fratelli d’Italia.

Solo uno dei leghisti alla prima legislatura minimizza con parole ruspanti: “Ma sì, ma chissenefrega, è come la storia della scopata in bagno… sono discorsi da bar”. Si riferisce all’altro episodio che ha tenuto banco tra i parlamentari in questi mesi: un deputato del Carroccio e una del Movimento che sarebbero stati scoperti durante un rapporto nella toilette della Camera.

Stavolta però non è “materiale da buvette”, come dice il leghista. Non è gossip, forse un’estorsione o un ricatto. Sicuramente una violenza. E sul tema è intervenuto il Garante della privacy, con un richiamo a media e giornalisti.

I compagni del M5S sono scossi. Anche se Sarti ha un piede e mezzo fuori dal Movimento: la sua permanenza, dopo la questione dei bonifici mancanti, è nelle mani dei probiviri. Ieri hanno fatto filtrare un messaggio distensivo: il verdetto contro di lei non è scontato e ci vorrà “tutto il tempo necessario per far luce e dare un giudizio equilibrato”. Ma fonti dei 5Stelle sostengono che l’espulsione di Sarti rimane inevitabile. Anche se ora la priorità è sgonfiare l’attenzione sul caso e alleggerire la pressione su una donna che sta vivendo giornate terribili.

La preoccupazione per lei sembra sincera da parte di tutti. Spiega Giorgio Mulè di Forza Italia (il partito che ha appena presentato, come i 5Stelle, un disegno di legge per punire la diffusione illecita di immagini sessuali): “La Sarti è una persona che politicamente trovo insopportabile. Ma una violenza del genere spaventa, è una cosa disgustosa”.

Malgrado a vario titolo si dicano tutti schifati, le immagini continuano a girare da una chat all’altra come un virus: non c’è praticamente onorevole a cui non siano capitate sotto agli occhi (“Te le mandano anche persone insospettabili”).

Ai taccuini delle agenzie e alle telecamere dei tg, c’è invece una processione di pubblici messaggi di solidarietà: Giorgia Meloni, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Ettore Rosato, Walter Verini, Barbara Saltamartini.

Solo il Pd si è distinto, in parte, chiedendo alla presidenza di Montecitorio di verificare se sia vero che a casa della grillina siano stati ripresi anche dei politici, o incontri di carattere istituzionale. Roberto Fico – vertice della Camera trasformata in camera da letto e buco della serratura – non ha risposto ai dem, ma ha diffuso un messaggio per la compagna di partito: “La diffusione di immagini private è un atto vigliacco. A Giulia la solidarietà mia e di tutti i deputati”.

Salvini: “Strasburgo voti l’estradizione dell’ex br Casimirri”

Matteo Salvinivuole l’estradizione dal Nicaragua di Alessio Casimirri, l’ex terrorista delle Brigate Rosse che da anni vive a Managua ed è titolare di un ristorante. Per questo si rivolge all’Europarlamento, che nella giornata di oggi dovrà votare l’emendamento presentato dalla Lega alla risoluzione sul Nicaragua, dicendo: “Auspico che tutta l’Europa ci dia ragione: siamo fermamente convinti che i delinquenti scappati all’estero debbano tornare in Italia e scontare le loro pene”. Su Casimirri, infatti, pesano diverse condanne, tra cui quella del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro.

Tuttavia, tra tutti gli imputati del caso Moro, è l’unico ad aver sempre scampato la cattura, insieme al suo ex sodale Alvaro Lojacono (attualmente residente in Svizzera). “Siamo impegnati su più fronti – aggiunge il vicepremier Salvini – e auspico che anche in Europa condividano la battaglia del nostro governo”. L’estradizione dell’ex br venne già tentata nel 2004: allora la Corte Suprema di Managua respinse la richiesta, ribadendo la cittadinanza nicaraguense di Casimirri.

“Fino al ’38 il Duce ha fatto bene, a parte il delitto Matteotti”

Pioggia di polemichesul presidente del Parlamento europeo e numero due di Forza Italia, Antonio Tajani. A scatenarle, le dichiarazioni rilasciate ieri al programma radiofonico La Zanzara su Radio24: “Mussolini? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro paese, poi le bonifiche. Non si può dire che non abbia realizzato nulla”. Ha poi aggiunto di non essere fascista e di non esserlo mai stato, però il dittatore “ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi”. Le critiche non hanno tardato ad arrivare: in molti hanno biasimato queste affermazioni, tra cui il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e il leader dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo Udo Bullmann. Tajani ha risposto su Twitter: “Si vergogni chi strumentalizza le mie parole sul fascismo! Sono da sempre un antifascista convinto. Non permetto a nessuno di insinuare il contrario. La dittatura fascista, le sue leggi razziali, i morti che ha causato sono la pagina più buia della storia italiana ed europea”.

“Coerenti su Pechino, l’Italia non subisce più”

Per l’uomo del M5S alla Farnesina, il nodo è il cambio di atteggiamento: “L’Italia sta governando il processo di intesa con la Cina e non lo sta subendo, e questo fa storcere il naso a chi era abituato a vederci come quelli che subivano”. Il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ostenta fiducia sul memorandum che il governo siglerà con la Cina.

A novembre sul blog di Beppe Grillo apparve un post che bollava la Via della Seta, il piano di accordo proposto dalla Cina, come un “sinistro progetto con cui Pechino vuole creare un nuovo ordine mondiale”. Ora invece il M5S spinge per l’intesa: cambiate idea in fretta…

Assolutamente no. Come M5S abbiamo organizzato già nel 2014 un convegno alla Camera sui Brics (i nuovi colossi, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ndr), nell’ottica di un progetto di apertura ai Paesi del futuro, come venivano definiti allora.

Sarà, ma il post di novembre era durissimo.

Sul blog sono usciti molti articoli in cui si parla in modo prospettico e ottimista della Via della Seta. Però sono stati descritti anche i rischi del progetto di espansione economico e culturale cinese.

Rischi alti, no?

A mio avviso non c’è nulla da temere. La Belt and Road è una realtà che esiste a prescindere da noi, e noi abbiamo scelto di interagire con questo processo, governandolo.

Gli Stati Uniti sono preoccupati e protestano, forte.

Si lamentano, è vero, ma loro temono l’avanzata strategica di Pechino e quindi protestano contro ogni iniziativa cinese. Ma il memorandum e i documenti di collaborazione con la Cina saranno tarati sui principi italiani e comunitari che tutelano la trasparenza e il mercato.

Washington potrebbe presentare il conto, facendo perdere commesse alle aziende italiane.

Non succederà. Gli Usa sono preoccupati solo per la sicurezza delle telecomunicazioni, ma non è un ambito che rientra nel memorandum.

Ma alla Cina potrebbero essere assegnati appalti sul 5G, o no?

La gara per il 5G l’hanno vinta aziende private, che dovranno appaltare i lavori sulla parte infrastrutturale. Ma a gestire le reti saranno queste aziende, e il comitato creato al ministero dello Sviluppo Economico servirà per controllare che si muovano rispettando la sicurezza nazionale. Non abbiamo certo affidato la gestione delle telecomunicazioni ai cinesi.

La Lega manifesta grandi riserve sull’intesa.

Non credo sia nervosa, piuttosto vuole sempre cavalcare il tema della sicurezza nazionale, anche quando si parla di accordi economici. Le fa sempre comodo. E comunque tutte queste dichiarazioni mi fanno sorridere, visto che al memorandum ha lavorato un loro sottosegretario, Geraci (al Mise, ndr).

È certo che stiate chiudendo a condizioni vantaggiose?

Il testo include tutti i requisiti europei, e senza di essi non avremmo mai firmato. Mesi fa Luigi Di Maio, in visita a Shanghai, non lo sottoscrisse proprio perché non c’erano ancora le condizioni.

Ma alla fine cosa rappresenta questo memorandum?

Non è un accordo internazionale, ma un impegno di collaborazione su varie materie. Dovremo fare attenzione a come declinarlo, certo, ma le nostre imprese vogliono giocare questa partita.

Via della Seta: l’ambasciatore Usa convoca il leghista Picchi

Matteo Salvini ha ribadito la necessità di rimanere in contatto diretto con gli Stati Uniti e di non scontentarli. L’ha fatto ieri durante il pranzo al Quirinale, in vista del Consiglio europeo del 21 e del 22 marzo, mentre si parlava della firma del memorandum Italia-Cina, prevista per il 22, in occasione della visita di Xi Jinping. Il governo italiano si avvia a siglare l’accordo sulla via della Seta e la principale preoccupazione della Lega è di non guastare i rapporti con gli Usa di Donald Trump. A stigmatizzare l’ “egemonia cinese” è stato il sottosegretario a Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, durante la presentazione dell’ultimo numero di Limes, con il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo. E soprattutto ieri è stato visto fuori dall’Ambasciata americana di via Veneto a Roma Guglielmo Picchi, il sottosegretario del Carroccio che mantiene rapporti con questa amministrazione da tempi non sospetti. Facile ipotizzare che fosse andato ad incontrare l’ambasciatore, Lewis M. Eisenberg.

D’altra parte, gli Usa stanno esercitando una pressione costante sull’Italia, sostenendo che l’accordo con Pechino metterebbe a rischio sia la sovranità economica, sia la sicurezza nazionale. In particolare, la preoccupazione riguarda il fatto che nell’accordo possa essere compresa la rete 5G. Gli States stanno avvertendo l’Italia che se dovesse comprare equipaggiamenti dall’azienda cinese Huawei, non potrebbe più condividere informazioni di intelligence. La motivazione data è che se si fa entrare un Paese non Nato nel sistema di comunicazioni e infrastrutture è la stessa Alleanza a rischiare. Ma ieri tutto il governo, da Giuseppe Conte in giù (prima in un’intervista al Corriere della Sera e poi al Quirinale) hanno assicurato che il memorandum non contiene accordi strategici tali da impensierire Usa e Ue. E che il 5G non è compreso. Rassicurazioni fatte proprie dal Presidente, Sergio Mattarella. Al Colle, ieri, oltre a Conte e Salvini, c’erano tutti i ministri competenti (Luigi Di Maio del Mise, Enzo Moavero, titolare degli Esteri, Elisabetta Trenta della Difesa, Giovanni Tria dell’Economia, Giorgetti). La riunione è andata abbastanza liscia, ma non è stata ancora risolutiva. Tutti avrebbero ribadito che il patto con la Cina è molto meno pregnante di tanti altri siglati bilateralmente da vari Paesi europei e che le regole di ingaggio italiane sono molto più severe e stringenti del documento presentato nei giorni scorsi dall’Ue. E che l’Italia rimane fermamente nell’Alleanza atlantica. Ma nonostante questo, domani sera è previsto un altro vertice dell’esecutivo. Con l’idea di precisare bene nella bozza cosa si intende quando si parla di “energia” e di “telecomunicazioni”.

Il tentativo è quello di arrivare a un risultato comune. Partendo da una serie di dati di fatto: Trump non è entrato direttamente nella questione, per esempio cercando Conte (che pure ha incontrato più volte), perché in realtà la pressione è tattica e preventiva. Gli Usa stanno anche loro trattando con la Cina un accordo commerciale, non vogliono interferenze. E nonostante tutte le rassicurazioni, come andrà a finire con il 5G si vedrà negli anni. D’altra parte, il governo italiano ha fama di essere poco stabile: condizione che rende l’incertezza endemica.

Quel che appare chiaro, però, è che la Lega, sta cercando di “ingoiare” il sì alla firma, facendo qualche modifica al testo. Lo spiega il sottosegretario ai Trasporti, Edoardo Rixi (uno di quelli più a favore della firma, nel suo partito): “Noi siamo per mantenere delle cautele, ma ci sono già una serie di investimenti, per esempio nei porti. Bisogna tenere fuori il 5G, ma non siamo noi che l’abbiamo fatto entrare: sono stati i governi precedenti e per di più in modo non trasparente”. Picchi chiarisce: “Verranno firmati circa 25 documenti tra Italia e Cina compreso il memorandum che tanta attenzione sta suscitando. I due punti su cui bisogna essere estremamente cauti sono: la parte energetica e le telecomunicazioni. Su questo è necessario ancora qualche approfondimento e dibattito interno al governo”.

Intanto, Adolfo Urso di FdI, vicepresidente del Copasir, ha sollecitato la convocazione del ministro Giovanni Tria al Copasir, “se possibile” prima della firma degli accordi, “che lui stesso ha derubricato a una tempesta in un bicchier d’acqua”. Lo stesso Conte martedì in Parlamento affronterà la Via della Seta.

Sarti per signore

Questa è la prima e spero l’ultima volta che scrivo del “caso” di Giulia Sarti, che dopo le sue dimissioni dalla commissione Giustizia non è più né politico, né giudiziario, né morale: è soltanto una vomitevole schifezza che nasce dalla diffusione in rete di video e immagini intime senza il consenso dell’interessata nella forma più infame: quella del revenge porn, cioè della porno-vendetta che ha già portato al suicidio Tiziana Cantone e altre povere ragazze, e che contro la Sarti assume dimensioni ancor più mostruose per la notorietà del personaggio, la sua appartenenza alla forza politica più invisa al sistema e il conseguente surplus di morbosità dei media. Nel Paese in cui i garanti della Privacy evocavano la riservatezza anche quando un presidente del Consiglio pagava prostitute minorenni dopo aver comprato o fatto comprare finanzieri, giudici, sentenze, testimoni e senatori, accade che le sue tv diventino il megafono di possibili o probabili ricatti contro la Sarti, nella beata impotenza del cosiddetto Garante della Privacy (fervorini a parte). Nel Paese in cui bastava un attacco social al presidente della Repubblica (“dimettiti”: terribile) per mobilitare le Procure e l’Antiterrorismo, o un insulto via web alla presidenta della Camera per proclamare lo stato d’emergenza e scomodare la Polizia postale, da giorni e giorni migliaia di giornalisti, politici e altri addetti ai lavori e ai livori ricevono da gruppi social foto e filmati sui momenti più intimi della vita della deputata. E non accade nulla, perché nulla si può fare: neppure dopo un eventuale processo con eventuali condanne.

Intanto, in tv capita pure di sentir dire che, certo, è roba brutta, ma in fondo questi grillini se la sono cercata, perché chi di web ferisce di web perisce (come se l’email e WhatsApp li avesse inventati Casaleggio e la piattaforma Rousseau servisse a raccogliere filmini hard sugli amplessi degli avversari). Così si continua a parlarne, aumentando il danno e il prezzo del ricatto, con la scusa di ragioni politiche, giudiziarie e morali che non esistono più da un mese: la Sarti s’è dimessa dalla commissione Giustizia (atto doveroso, essendo ricattata o ricattabile) ed è stata deferita ai probiviri M5S che dovranno decidere sull’eventuale espulsione per un paio di bonifici ritirati (non si sa se da lei o dall’ex fidanzato che aveva accesso ai suoi conti).

Ovviamente la deputata ha sbagliato a fidarsi di chi non lo meritava e ora lancia oscuri messaggi dagli studi moralizzatori delle Iene (a proposito: a quando una bella puntatona sugli amori trentennali fra B. e i boss di Cosa Nostra, magari con qualche video hard di fonte interna?).

Ha sbagliato a non effettuare o almeno verificare i versamenti al fondo per il microcredito che i parlamentari M5S sono tenuti a finanziare con una parte dei loro stipendi. Ma non ha commesso alcun reato (i giudici, oltre all’appropriazione indebita dell’ex compagno, hanno escluso anche la calunnia di lei a lui): quei soldi erano suoi; se fosse eletta in qualunque altro partito nessuno ne avrebbe mai parlato; e ciascuno ha diritto di fare sesso come, quanto e con chi gli pare, se non viola la legge. Il resto lo decideranno i probiviri M5S: se verrà fuori che ha trattenuto consapevolmente per un paio di volte ciò che avrebbe dovuto versare, la sanzioneranno. Come han fatto con altri 5Stelle presi a violare una regola magari bizzarra, ma liberamente sottoscritta, e poi espulsi. Ora però la Sarti ha già pagato, per gli effetti collaterali di quelle eventuali irregolarità (ripeto: perfettamente legali, se non ai fini dello Statuto interno), un prezzo terrificante. I giudici romagnoli hanno archiviato le sue denunce al fidanzato senza neppure sentirla, né fare nulla per privare il tizio di possibili armi di ricatto. I media la stanno massacrando peggio che se avesse rapinato una banca o stuprato un bambino. E da settimane circolano sue vecchie foto intime rubate nel 2013 dalla sua mail da appositi hacker (mai individuati e mai neutralizzati col loro materiale venefico), con l’aggiunta dei filmati sessuali trasmessi ieri ai guardoni delle redazioni e del Parlamento: una sequenza e un dosaggio che fanno pensare a una campagna studiata a tavolino da menti malate e pericolose, ansiose di rovinarle la vita per sempre.
Qualunque cosa emerga sulle famose “restituzioni”, oggi l’espulsione non sarebbe un atto di equità, ma di viltà: in un momento così drammatico, per lei e la sua famiglia, Giulia Sarti va difesa e protetta in ogni modo da tutto il Movimento e dalle altre forze politiche, almeno quelle che conservano un pizzico di umanità (e ieri finalmente alcune voci han cominciato a levarsi anche da partiti avversari, da Mara Carfagna in giù). Le appioppino una bella multa, anche pari al quintuplo della somma eventualmente sottratta. Ma evitino di isolarla ancor di più. Anzi, i 5Stelle dovrebbero fare di lei, come delle altre vittime superstiti del revenge porn (Selvaggia Lucarelli ha appena raccontato il caso di Sabrina), le testimonial di una legge che punisca duramente questo orribile delitto e fornisca alle forze dell’ordine e ai magistrati gli strumenti per scoprirne gli autori, ma soprattutto per fermarli in tempo reale e poi imporre l’oblio perpetuo a quella macchina schizza-merda che è ormai il web. Oggi tutto questo è impossibile, tant’è che dopo Tiziana non è cambiato nulla: nemmeno quando la vittima muore suicida, nemmeno quando è una parlamentare della Repubblica. C’è un progetto di legge della pentastellata Elvira Evangelista, ad altri stanno lavorando FI e la Boldrini: si potrebbe subito unirli in un decreto del governo con l’approvazione dell’intero Parlamento. I requisiti di necessità e urgenza sono evidenti. O vogliamo aspettare il prossimo 8 marzo?

Pellicole prima in sala: Netflix disponibile al confronto con il Mibac

Netflix è pronto al confronto sulle disposizioni del “decreto-finestre” nell’ambito della legge Cinema. Lo spiega la sottosegretaria ai Beni Culturali Lucia Borgonzoni, a margine della presentazione del Primo Rapporto sulla Produzione Audiovisiva Nazionale: “Li ho incontrati ieri e sono disposti a discutere a tutti i tavoli, cosa che finora non era successa”. La norma che fa passare i film dalle sale prima che sulle piattaforme, sottolinea la senatrice, va incontro a quel “75 per cento dei film che non aveva sbocchi reali nelle sale e doveva aspettare 105 giorni prima di essere riutilizzato. Non è una normativa ‘anti-Netflix’”.

In Italia, secondo l’Associazione Produttori Audiovisivi (Apa), il sistema conta 7.247 imprese attive (2017), di cui oltre la metà concentra i propri sforzi in produzioni cinematografiche, di video e programmi tv.

In quello che il presidente Apa, Giancarlo Leone, ha definito “l’anno zero della filiera dell’audio-visivo sotto il profilo industriale”, la fiction – non solo film-tv e serie – assorbe il 38 per cento del mercato: “Interessante il netto incremento della presenza internazionale nei progetti dei produttori italiani, l’arrivo di capitali esteri e il successo delle nostre produzioni all’estero”.

“Collaboro con Bob Dylan, ma mi sento italiano”

Quella firma in calce alla mail. “Bob”. E un consiglio: “Vai tranquillo”. Pare facile. Perché Bob è Dylan, e Jack Savoretti si era ritrovato a maneggiare due testi inediti del Profeta. “Mi sentivo come il ladro che scappa con una valigia piena di soldi”, ride il cantautore anglo-italiano. “Era sfumato un progetto con il re del country, Steve Earle, e quelli del suo management, che gestiscono pure Dylan, mi offrirono in cambio queste liriche, trovate in un ufficio di New York, roba del tempo di Time out of mind. Il primo testo era breve e contorto: Dylan non scrive da musicista, è un poeta, vuole ipnotizzarti. Il secondo, Touchy situation, sembrava perfetto. Ho litigato per ore con la mia chitarra, ne stava venendo fuori una cagata. Mia moglie Jemma mi ha esortato a sedermi al piano, e ne è uscita una canzone che sento mia. Dylan-Savoretti, che trip. Poi ho sofferto da pazzi per due settimane, prima che arrivasse il via libera. Una nuova mail, con un pollice in su. Siamo amici di penna, forse”. Ma Jack sa tenere i piedi per terra. “Incontrarlo? Non mi sembra il tipo con cui bere una birra. Come potrei dirgli: sono il tizio che firma una canzone con te?”. A Savoretti non mancano, in ogni caso, chance per duettare. Nel nuovo album Singing to strangers c’è una versione live (registrata alla Fenice) di Music’s too sad without you con Kylie Minogue. “Ho immaginato Kylie che la interpretava con una malinconia alla Edith Piaf”. Il disco è un caleidoscopio con ballate ariose, rock-blues e soul-disco, cantato in inglese con un mood italiano. “L’abbiamo registrato in estate al Forum Village di Roma, nello studio fondato da Ennio Morricone. Ero ossessionato dal Maestro. Al Forum mi pareva di annusare ancora… la sua acqua di colonia. C’erano gli strumenti con cui aveva creato quel suono leggendario. Ho detto alla mia band: ‘Ok, siamo a Roma, comportiamoci da romani. Le cose funzioneranno, ma non provate a forzarle. È la Città Eterna che comanda’. Abbiamo passato i dieci giorni più belli della nostra vita. Ho un mio posto segreto in un ristorantino dietro il Teatro della Pace. E quando torno in Piazza Euclide provo una felicità pazzesca”.

A Roma Jack ha girato i primi due video dell’album. “Candlelight è ambientata a Cinecittà: ho rivissuto il sogno di mio padre, che da attore girava i film di Zorro con Duccio Tessari. Volevo anche riproporre l’ombra della magia felliniana, l’Italia glamour che credeva in se stessa. Oggi sento parlare di noi nel mondo: mai un pensiero positivo”. Nell’altro video, What more can i do?, c’è Alessandra Mastronardi. “Me ne sono ‘innamorato’ vedendola nel film di Woody Allen, non sapevo fosse diventata famosa con i Cesaroni. Dovrò visitare la Garbatella”. L’occasione potrà fornirgliela il concerto capitolino del 18 aprile, ultimo dei tre (il 16 a Padova, il 17 a Milano), in un tour europeo che culminerà il 31 maggio alla Wembley Arena. La “sua” Londra. “Ma ora vivo in campagna nell’Oxfordshire. E mi sento più italiano che mai. Nell’Inghilterra profonda tutti sono per la Brexit, non capiscono in che guaio si sono cacciati. Un vicino europeista è Patrick Stewart, il capitano della Enterprise in Star Trek“. Jack, sangue ligure e cuore a mille. “Nella versione deluxe dell’album affronto Vedrai vedrai di Tenco. Anni fa, quando vivevo un periodo critico in famiglia, la ascoltavo a ripetizione in macchina prima di rientrare. E piangevo sempre. Ora è tutto a posto. Posso andare in giro per il mondo a cantare agli sconosciuti, come dice mia figlia”.