Di Matteo: “Giustizia è dovere, non scelta di opportunità”

A Napolia un convegno di Autonomia e Indipendenza sulle “questioni irrisolte” nei rapporti tra politica e magistratura, moderato dal pm napoletano Sergio Amato, il pm Nino Di Matteo l’ha toccata piano: “Fa paura l’idea che l’opportunità ‘politica’ di una scelta giudiziaria possa prevalere sulla doverosità, è il rischio che la magistratura sta correndo in questi anni”. Di Matteo si riferiva al suo processo sulla Trattativa Stato-mafia, e alla scelta di chiamare a deporre Napolitano: “Quanti colleghi mi dicevano che era doveroso chiederne la testimonianza, conforme alla legge, però non era opportuno…”. Per Di Matteo non esiste un conflitto tra politica e magistratura “ma un attacco unilaterale di una parte consistente della politica contro una parte consistente della magistratura che si ostina a pensare che il controllo di legalità debba essere esercitato a 360 gradi”. In questa sede il consigliere Csm Piercamillo Davigo ha ribadito la sua contrarietà all’ingresso dei giudici in politica: “Non ne sono capaci. Ed è un passo avanti che in questo Parlamento ci siano solo due ex magistrati”.

“Reato commesso a Milano” Tutto da rifare: annullati processo e condanne Fonsai

Il processo che aveva portato alla condanna di Salvatore Ligresti, di sua figlia Jonella, dell’ex ad di Fonsai Fausto Marchionni e di uno dei revisori dei conti, Riccardo Ottaviani, non doveva essere fatto a Torino. Per questa ragione ieri la Corte d’appello del capoluogo piemontese ha annullato la sentenza ordinando di inviare gli atti a Milano. È stata accolta la richiesta dell’avvocato di Unipol-Sai Ermenegildo Costabile, secondo il quale bisogna considerare come luogo in cui è stato commesso il reato quello da cui è partita la falsa comunicazione al mercato, quindi Milano (sede della Borsa) e non Torino, dove c’era la sede del grande gruppo assicurativo. Negli anni scorsi per quattro volte il Tribunale aveva bocciato la richiesta di trasferire il procedimento, ma la Corte d’appello ha cambiato avviso.

Era soddisfatta ieri Jonella Ligresti. Lei e gli altri imputati hanno qualche chance perché da una parte il reato di falso in bilancio è prescritto (l’aggiotaggio, invece, si prescriverà nel 2026) e dall’altra perché i precedenti milanesi fanno ben sperare: suo fratello Paolo Gioacchino è stato assolto e a novembre sua sorella Giulia è stata scarcerata dopo l’arresto del 19 ottobre, quando il suo patteggiamento era diventato definitivo.

A Torino, invece, l’11 ottobre 2016 Salvatore Ligresti, imprenditore nel settore immobiliare e finanziario deceduto il 15 maggio, era stato condannato a sei anni di reclusione, Jonella (ex presidente di Fonsai) a cinque anni e otto mesi, l’ex ad Marchionni a cinque anni e tre mesi e Ottaviani a due anni e mezzo. Per i magistrati i vertici di Fonsai avevano realizzato un falso in bilancio celando un buco da 600 milioni nella “riserva sinistri” e avevano così tratto in inganno il mercato e a 12mila risparmiatori. Dopo la sentenza di ieri 2.400 azionisti, a cui il Tribunale aveva riconosciuto un risarcimento, potrebbero rimanere a bocca asciutta.

Morte Astori, indagati 2 medici. Non videro i problemi al cuore con il calciatore “sotto sforzo”

La Procura di Firenze ha chiuso le indagini sulla morte del capitano della Fiorentina, Davide Astori. Gli indagati a cui nei giorni scorsi è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini sono due medici che, prima a Cagliari (2014) poi a Firenze (2017), erano incaricati di certificare l’idoneità sportiva del giocatore. Sono Giorgio Galanti, direttore sanitario del Centro di riferimento di medicina dello sport di Careggi, e Francesco Stagno, direttore dell’Istituto di medicina dello sport di Cagliari. I due medici sono accusati di omicidio colposo e adesso rischiano il processo: secondo i pm di Firenze sarebbero responsabili, per un concorso di cause indipendenti, di aver “cagionato la morte di Astori” che risale al 4 marzo 2018 a causa di una “cardiomiopatia aritmogena biventricolare”. I pm di Firenze nell’avviso di conclusione delle indagini attribuiscono ai due medici “imperizia e negligenza” per aver violato i “protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico”. Secondo gli investigatori, Stagno l’11 luglio 2014 avrebbe rilasciato ad Astori un certificato di idoneità sportiva agonistica senza alcuna controindicazione alla pratica agonistica nonostante “nella prova di sforzo, sebbene non segnalate nel referto, si osservino due extrasistole isolate”. A Galanti, invece, i pm di Firenze contestano il rilascio di due diversi certificati di idoneità nel luglio 2016 e nel luglio 2017 nonostante in entrambi i casi fossero emerse delle aritmie cardiache. Entrambi i medici sportivi, infine, sono accusati di aver omesso di sottoporre Astori “a ulteriori e più approfonditi accertamenti diagnostici sull’origine e la causa delle extrasistoli” e per escludere “una cardiopatia organica o una sindrome aritmogena”. Astori era stato trovato morto alle 9.30 del 4 marzo nella sua camera di albergo, a poche ore dalla partita Udinese-Fiorentina. Ieri pomeriggio, dopo la funzione a San Pellegrino Terme (Bergamo), anche Firenze ha salutato il suo capitano a un anno dalla sua scomparsa.

Evade dai domiciliari, dà fuoco alla ex moglie in auto e scappa: caccia al 42enne ancora in fuga

L’ha prima speronata con l’auto. Poi ha aperto lo sportello, le ha gettato benzina addosso e sul parabrezza. Infine ha dato fuoco a tutto. Ancora a bordo della sua Citroen C1, Maria Antonietta Rositani si è trasformata in una torcia umana ieri mattina a Reggio Calabria, dove l’ex marito Ciro Russo, originario di Napoli, l’ha raggiunta e ha tentato di ucciderla. Ci è quasi riuscito. Le condizioni della donna sono gravi. Trasportata subito agli ospedali Riuniti di Reggio, è stata poi trasferita, con un mezzo dell’Aeronautica militare nel Centro grandi ustioni di Brindisi. Non sembra in pericolo di vita ma la Maria Antonietta ha riportato ustioni nel 60-70% del corpo.

Pure l’uomo, di 42 anni, pare si sia ferito. Subito dopo il gesto si è dato alla fuga a bordo di una Hyundai i30. Chiusa e con ancora i segni dello speronamento, l’auto è stata ritrovata nel pomeriggio a pochi chilometri dal luogo del tentato omicidio. Di lui, invece, nessuna traccia: la polizia l’ha cercato per tutta la giornata, fino a tarda sera. Evaso da Ercolano dove era sottoposto agli arresti domiciliari per maltrattamenti in famiglia, Russo ha vissuto parecchi anni a Reggio Calabria dove non aveva belle frequentazioni che ora, non è escluso, possano essergli tornate utili per la fuga. Nel 2013, infatti, era stato sorpreso in compagnia di alcuni soggetti dediti allo spaccio di cocaina e per questo denunciato. Prima, nel 2011, era stato intercettato e filmato dai carabinieri con un indagato per traffico di stupefacenti, ritenuto vicino ai clan del basso Jonio. Dopo la separazione dalla moglie, era ritornato in Campania mentre la donna è rimasta a Reggio con i due figli. Nonostante i domiciliari, sui social scriveva frasi indirizzate all’ex moglie. Dai messaggi di scuse per gli errori commessi, alle rassicurazioni che non avrebbe dovuto “temere niente”. Se qualcuno li avesse letti quei post, forse si sarebbe accorto che nelle ultime settimane il risentimento stava crescendo. Fino a esplodere ieri mattina con la benzina gettata addosso a Maria Antonietta, che considerava di sua proprietà.

Nuovi bus: belli, veloci e tecnologici. Ma solo per le zone che se li meritano

Bus nuovi a chi paga il biglietto. Venezia città di gondole, ma anche di autobus. Perché su 260 mila abitanti quasi 200 mila vivono a Mestre e dintorni, sulla terraferma. Così all’arrivo dei nuovi agognati bus l’azienda municipalizzata e il Comune hanno lanciato l’annuncio: “Cittadini virtuosi, servizio virtuoso”. Una rivoluzione copernicana: le 28 vetture nuove fiammanti andranno prima sulle linee dove la gente paga di più il biglietto e si registrano meno atti vandalici. Chi fa il furbo e rovina i mezzi pubblici si terrà gli autobus più scalcinati.

In città, come ha annunciato Giovanni Seno, direttore generale dell’Azienda Veneziana della Mobilità (Avm), sono arrivati 28 bus nuovi di zecca. Vetture di 12 e 18 metri che imbarcano gli ultimi ritrovati tecnologici: porte Usb per ricariche di teelfoni o pc e, sulle carrozze più grandi, addirittura il wifi gratuito. Ce n’era bisogno perché il parco circolante ha un’età media di quattordici anni (come, purtroppo, in tante città d’Italia). Ma forse i dirigenti dell’Avm non se la sono sentita di vedere i nuovi bus – costati otto milioni di euro – ridotti in pochi mesi a dei catorci, dove magari una buona fetta di passeggeri non pagano il biglietto. Così hanno escogitato l’idea del premio per virtuosi (o della punizione per i furbi, dipende dal punto di vista): i nuovi bus andranno a chi se li è guadagnati.

È soltanto l’inizio, come ha raccontato La Nuova Venezia: entro il 2020 saranno acquistati altri 147 bus ‘normali’ e 30 elettrici. Anche in questo caso saranno prima distribuiti sulle linee meritevoli. Chissà se altre città seguiranno la politica veneziana e se il “premio” susciterà un reazione virtuosa. Di sicuro evasori e vandali sono un salasso continuo per le aziende della mobilità che spesso per via dei conti traballanti non riescono a rinnovare il parco vetture, in un Paese come l’Italia dove circolano 50 mila mezzi pubblici che ogni anno trasportano 5 miliardi di passeggeri. Molti, troppi, non pagano il biglietto tanto che due anni fa la pena per chi viaggia a scrocco è stata alzata a 200 euro. Tra le città con il più alto tasso di evasione, secondo le statistiche 2017, spiccava Roma (quasi un terzo dei passeggeri non pagava) insieme con Bari e Reggio Calabria (25%). Erano messe male anche Napoli al 17 e Firenze al 14. Meglio le tre grandi città del Nord: Milano, Torino e Genova dichiaravano una percentuale di evasori del 5%. Dati ufficiali, in realtà potrebbero essere il doppio.

Una voragine nei conti. Proprio quei soldi che mancano per comprare nuovi bus. Per non parlare poi del vandalismo. Le cronache quotidianamente riportano notizie di mezzi devastati, dalla Sicilia alla Liguria. A Palermo, addirittura, in alcune zone era stato deciso di far “scortare” gli autobus da vetture civetta della polizia municipale. Finora non è bastato, adesso vedremo se avrà qualche effetto la strategia alla veneziana.

Strano paradosso: chiamiamo “portoghesi” (che giustamente protestano) quelli che non pagano il biglietto e “vandali” (che non ci sono più per reclamare) quelli che sfasciano i bus. E invece i colpevoli sono spesso semplicemente italiani.

Firenze, indagine sul bando firmato anche da Conte

Questa è la storia di un assegno di ricerca che, negli annali del diritto, lascerà traccia per aver prodotto ben due capi d’imputazione: abuso d’ufficio e turbata libertà della scelta del contraente. Ad approvare il bando, per poi autorizzare due volte la proroga, troviamo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che all’epoca dei fatti sedeva nel Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze. Il premier non è indagato. Evidentemente non s’è però accorto dei conflitti di interessi ravvisati dalla procura di Firenze. Altrimenti non avrebbe dovuto prorogare, come ha invece fatto, con altri quattro colleghi, l’assegno di ricerca bandito dal professore e avvocato Roberto Cordeiro Guerra e vinto dal suo allievo, nonché collega di studio, nonché unico candidato, Pietro Mastellone.

A esaminare Mastellone è lo stesso Cordeiro Guerra, nel settembre del 2014, insieme con i professori Stefano Grassi ed Enrico Fazzini (non indagati, ndr). La parte più incredibile della storia scoperchiata dal procuratore aggiunto Luca Turco e dal pm Paolo Barlucchi, riguarda il modo in cui l’assegno è stato finanziato.

L’assegno di 25 mila euro annui giunge dal Centro studi Cirte, presieduto dal professor Lorenzo Del Federico, anch’egli indagato con Cordeiro Guerra e Mastellone. Gli investigatori della Guardia di finanza scoprono che già il 27 febbraio 2013 Mastellone scrive a Del Federico di un “assegno di ricerca a me destinato che con Roberto (Cordeiro Guerra, ndr) stiamo cercando di mettere insieme…”. Un anno dopo, siamo all’11 aprile 2014, Mastellone scrive nuovamente a Del Federico: “Professore – scrive Mastellone – per quanto riguarda l’assegno di ricerca… con Roberto stiamo cercando di far capire come far arrivare i soldi al suo Centro in maniera che non risulti un diretto collegamento con il nostro Studio (anche perché poi Roberto presiederà la commissione giudicatrice)…”.

A giudicare dall’email, quindi, i soldi che Cirte verserà all’università per l’assegno di ricerca, saranno compensati da quello che Mastellone definisce il “nostro studio”: “Al riguardo – continua Mastellone – ci chiedevamo se un eventuale pagamento (o più pagamenti da diversi soggetti fino a capienza da 25 mila euro) da parte di una società nostra cliente… in favore del suo Centro, può inquadrarsi come ‘erogazione liberale’ ai sensi della legge che ammette la deducibilità…”. Un fatto è certo: Cirte finanzia l’assegno. E a vincere è Mastellone. Anche perché è il solo candidato: “Caro Professore – scrive a Del Federico –, ieri s’è svolta con successo la selezione all’assegno di ricerca a Firenze, per il quale ero l’unico candidato. Volevo ringraziarla…”.

Ma chi lo paga, in realtà, questo assegno? Per comprendere di che pasticcio si tratti bisogna leggere questo messaggio, inviato il 27 gennaio 2016, da Mastellone al professor Stefano Dorigo, anch’egli nello studio di Cordeiro Guerra: “…hai pensato al discorso degli onorari mensili miei? Come dicevo al Prof. mi piacerebbe continuare a crescere in questo studio, sia professionalmente che sul piano universitario. Ti riassumo di seguito gli aspetti da considerare. Negli ultimi mesi ho portato i seguenti clienti (…) sto lavorando per vedere se possiamo renderci utili con una serie di clienti del babbo (…)”. La collaborazione di Mastellone in studio sembra insomma proficua e infatti – dopo aver fatto un accenno all’assegno di ricerca – più avanti l’allievo incalza: “Attualmente prendo 1.500 euro al mese… ti chiederei… di inquadrarmi retributivamente come altri collaboratori del mio livello + mantenere la quota onorari del 30 per cento sui clienti che porto allo studio…”.

Ma torniamo all’assegno di ricerca. Scrive Mastellone: “Sul fronte dell’assegno, il primo anno – anticipato in toto dallo studio legale Del Federico (che dobbiamo rimborsare quando ci mandano i dettagli) – è stato da me ‘virtualmente’ rimborsato a Voi, avendo io rinunciato alle mie quote parte del 30 per cento di (…) e una voluntary disclosure. Il secondo anno dell’assegno non mi vede ‘debitore’, in quanto i fondi provengono dal bilancio del Master penale + Del Vita…”. Insomma: Mastellone non si sente “debitore” per l’assegno di ricerca – che, per definizione, dovrebbe essere pubblico – poiché il primo anno l’ha “rimborsato” allo studio, rinunciando alle sue quote, mentre i fondi del secondo anno arrivano da tale Del Vita. E qui la storia si fa paradossale. A maggior ragione perché la ricerca di Mastellone si concentra sulla “cooperazione fiscale internazionale”. Chi è Del Vita? I finanzieri, circa un mese fa, convocano come persona informata sui fatti, la signora Nadia Del Vita, che racconta: “Nel 2015, dovendo far emergere patrimoni immobiliari detenuti all’estero, tramite la procedura di voluntary disclosure, un funzionario della banca Esperia di Firenze mi ha indicato l’avvocato Pietro Mastellone dello studio Cordeiro Guerra. Ho contattato lo studio Cordeiro Guerra e ho preso appuntamento”. Il racconto è surreale: “Mastellone ci ha indicato di versare 9 mila euro all’Università di Firenze per finanziare un assegno di ricerca, che avrebbe considerato come un acconto per la complessiva prestazione relativa alla disclosure…”. La parcella per far rientrare i patrimoni dall’estero si trasforma in una quota dell’assegno di ricerca. L’operazione viene realizzata da una società della donna, la Immobiliare Delpa srl, con “lettera predisposta dallo stesso Mastellone”. Che il 15 luglio 2015 scrive a Dorigo e Cordeiro Guerra: “Ho risolto il problema dell’integrazione per il rinnovo dell’assegno di ricerca con i clienti che ho ricevuto oggi tramite Esperia”. Siamo al capolavoro. E qui entra in scena Conte: è tra i 5 professori che, per due volte, prorogano l’assegno di ricerca a Mastellone.

Il codice etico dell’Università in cui Conte, oltreché professore, era membro del Dipartimento di Scienze Giuridiche, vieta qualsiasi forma di conflitto d’interessi. Anche potenziale. Conte sapeva dei rapporti tra Mastellone e Cordeiro Guerra? Da Palazzo Chigi spiegano che il premier li ignorava. Stando agli atti, la coppia Mastellone – Cordeiro Guerra avrebbe preso in giro, omettendo il proprio conflitto d’interessi, tutta l’Università. Conte incluso. Sul punto da Palazzo Chigi non ci sono commenti. Per Mastellone e Cordeiro Guerra – e altri 43 indagati – la procura ha chiesto il rinvio a giudizio.

Mafia, Pignatone: “Per combatterla non servono eroi solitari”

“Negli anni 70 si diceva in perfetta buonafede che la mafia era una banda di pecorai. Cercare di capire è la premessa per poter contrastare le mafie. È allucinante, ma si credeva che anche a Roma le mafie non ci potessero essere e che non ci fosse la corruzione”. Così il capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone alla presentazione del suo libro Modelli criminali (Laterza), scritto insieme al procuratore aggiunto Michele Prestipino. “Il penale non esaurisce il problema – ha aggiunto Pignatone –. L’azione penale crea spazi di libertà ma se la società civile, le industrie pulite, le liste politiche, se tutto questo non subentra, in pochi anni si tornerà al punto di prima. La dedica del libro è volutamente dedicata a tutti quelli che hanno lavorato con noi. Siamo convinti che la figura dell’eroe solitario in questo campo non solo non serve ma è controproducente”. E ha concluso: “Nell’ultimo rigo del libro è stato scritto: ‘Sarà sempre più forte lo Stato’. La battuta l’abbiamo rubata a Massimo Carminati, succede anche questo. Dopo la lettura della sentenza disse: ‘Questa volta è stato più forte lo Stato’. Secondo noi lo Stato è davvero più forte”.

Denunce ai genitori, diffide agli istituti: ecco cosa è successo senza certificato

La notizia più rilevante, ieri, è arrivata da Livorno: un padre e una madre sono stati denunciati dai carabinieri del Nas per “falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico”. In pratica, per aver detto di aver vaccinato i figli quando non era vero. Ora i due rischiano una sanzione amministrativa e sono anche stati segnalati alla Procura della Repubblica che dovrà verificare cosa sia accaduto.

Oltre il caso specifico, ieri l’Italia sembrava essere divisa tra città e regioni particolarmente virtuose e altre molto meno. Tra le prime, spiccava Napoli, dove solo tre bambini delle scuole comunali (si parla sempre di asili nidi e scuole materne) non risultavano in regola. “Le tre famiglie – ha però spiegato l’assessore all’Istruzione, Annamaria Palmieri – hanno dichiarato alle scuole di voler procedere con le vaccinazioni e pertanto è stato deciso di convocare i genitori”.

A Genova, invece, risultavano in regola tutti i 5.809 bimbi tra 0 e 6 anni. “Coloro che hanno iniziato la frequenza presentando l’autocertificazione o la prenotazione per effettuare i vaccini all’Asl 3 – ha spiegato l’assessore – sono 135 in tutto: i nominativi sono stati inviati per il controllo dell’effettiva vaccinazione e ad oggi, pur essendo in corso la verifica, nessuno è risultato inadempiente”.

A Roma, in periferia, la mamma di una bimba di 3 anni respinta all’asilo ha annunciato che diffiderà l’istituto: “Ieri mi ha chiamato una funzionaria della segreteria della scuola materna e mi ha detto che oggi mia figlia non sarebbe potuta entrare. Ho già contattato un avvocato per capire in base a quale articolo mia figlia sia stata respinta. Ho mandato una mail alla dirigente della scuola per avere chiarimenti e se non avrò risposte manderò una Pec con una diffida a fare entrare la bambina”. In città si stima siano circa 300 i piccoli che devono regolarizzare la loro posizione.

A Pisa sono stati invece 54 su poco più di settecento i bambini degli asili nidi e delle scuole materne non in regola. Molti hanno sanato la posizione dopo una comunicazione arrivata lunedì: in un solo giorno 39 hanno fornito la documentazione richiesta. A Ferrara, invece, se ne contavano solo 12 su una popolazione scolastica di 1.500. In Lombardia, solo un bambino è stato allontanato in una scuola della provincia di Milano. Restano vaghi in Fiuli Venezia Giulia dove le comunicazioni ufficiali hanno parlato di “poche unità”.

Vaccini, il day after: ognuno interpreta la legge come vuole

C’è uno strano modo in Italia di affrontare la legge Lorenzin sul- l’obbligo vaccinale e per scoprirlo, come accade spesso, bisogna andare oltre il bianco e il nero della semplificazione mediatica. Il giorno dopo la scadenza per la consegna dei certificati che avrebbero dovuto confermare le autocertificazioni di avvenuta vaccinazione o dell’appuntamento con le Asl, basta parlare con i diretti interessati per capire che le maglie, le interpretazioni e le deroghe sono molto più vaste di quanto si immagini e che invece, magari, le restrizioni hanno molto meno impatto di quanto raccontato. Insomma, un indecifrabile caos.

“Abbiamo raccolto per tutta la giornata le segnalazioni delle famiglie” raccontano dallo staff di Davide Barillari, consigliere M5S della Regione Lazio che sta portando avanti la battaglia per la libertà vaccinale e che in Regione è il riferimento dei No Vax nonchè, per questo, l’osservatorio migliore per capire cosa stia accadendo a chi ha deciso di non vaccinare i figli. “La particolarità – spiegano – è che solo in due scuole di montagna è stato emanato un atto di sospensione ufficiale. In tutti gli altri casi, qualche decina, i presidi e le segretarie telefonano a casa avvisando i genitori che non possono portare a scuola i figli se non si mettono in regola oppure li attendono all’entrata dell’istituto, in barba a qualsiasi privacy”. La tesi è che le scuole si sentano in difficoltà a negare ufficialmente l’ingresso per timore di ricorsi. Molti, infatti, sono ngià stati denunciati per per abuso di atti d’ufficio.

Passano così anche le pratiche borderline: “Mio figlio – racconta un genitore di Massa – frequenta regolarmente l’ultimo anno delle materne anche se non è ancora vaccinato”. Alla scuola, infatti, è stata presentata la ricevuta della raccomandata che certifica la prenotazione con la Asl di quello che questo papà definisce “un percorso con l’Asl che potrebbe portare poi alla vaccinazione e per il quale l’ultimo appuntamento è ad aprile. Alla preside è bastato”. Un’anomalia? Dall’Asl Roma 1 spiegano che gli obblighi si considerano soddisfatti se viene certificata la prenotazione di un appuntamento con l’Asl, ma per il vaccino. “Può slittare se il bambino si ammala o se ci sono altri problemi – spiegano – ma in generale l’appuntamento è inteso per vaccinare. Se questo non avviene, l’Asl segna la mancata immunizzazione”.

A Bologna, ancora ieri, si segnalavano 300 casi di bambini che alla scadenza non risultavano in regola con i documenti. Qui il procedimento è complesso: le autocertificazioni, e poi le certificazioni, vanno consegnate agli uffici scuola di quartiere. Il numero arriva da questi uffici che, però, non comunicano con le scuole. A questo punto, il Comune invierà una mail a tutti coloro considerati “fuorilegge” avvisandoli della loro condizione e annunciando, qualora non consegnassero le certificazioni, gli atti di sospensione (e non espulsione, precisano, sottolineando che la sospensione implica che si continuerà ad essere iscritti e che si potrà rientrare non appena in regola) da scuola. Il paradosso, però, è che per tutelare la privacy dei bambini i presunti ‘fuorilegge’ non saranno comunque segnalati né ai docenti né ai presidi. “Se dovesse però accadere qualcosa – spiegano dal Comune – sarà loro responsabilità e dovranno difendere e rispondere delle loro scelte”.

Ieri, l’Istituto Superiore della Sanità ha comunque rassicurato: “Solo lo 0,7% dei genitori italiani di bambini in età scolastica è no-vax, ma rimane un 15% che esita ancora sulle vaccinazioni, e su di loro dobbiamo impegnarci e convincerli” ha detto nel corso di un convegno Gianni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità. Un dato che conferma anche Roberto Ieraci, referente scientifico per le vaccinazioni dell’Asl Roma1: “Il numero di chi non vaccina è davvero residuale – spiega – sono molto pochi”. Si potrebbe stimare anche su Roma il numero di chi non è in regola: si aggira intorno ai 300-400 bambini. “In queste ore arriveranno via Pec le comunicazioni per le verifiche – spie Ieraci – e si capirà meglio quale sia l’entità e la dinamica delle vaccinazioni”.

Il M5S vuole il voto digitale: dove funziona e dove no

È stato detto senza girarci troppo intorno: “L’obiettivo è lavorare per introdurre il voto elettronico alle prossime Politiche, cambiando il sistema di voto degli italiani all’estero”. Parola di Giuseppe Brescia (M5S), presidente della commissione Affari Costituzionali di Montecitorio durante il convegno dal titolo E-Vota! ieri alla Camera, confermata dal sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia. Voto elettronico e voto digitale i pilastri della discussione, seppur non ci sia ancora una idea precisa sulla miglior forma da adottare. Voto elettronico e voto digitale, infatti, sono diversi. Nel primo caso c’è un elettore che, al seggio, vota su una macchina digitale cliccando sul monitor. Nel secondo, si può votare online da ogni parte del mondo, con una app sullo smartphone o con il riconoscimento della propria identità digitale. L’intenzione è velocizzare i procedimenti e favorire partecipazione e accessibilità (per i disabili, ad esempio). La controindicazione è che sia difficile garantire la sicurezza e anche quanto previsto dalla Costituzione: “Il voto è personale e eguale, libero e segreto”.

In Germania , ad esempio, il CCC (il più grande e antico gruppo di hacker europeo) nel 2008 è riuscito a rendere il voto elettronico incostituzionale. Al di là delle falle sulla sicurezza dimostrate, i giudici della Corte costituzionale hanno sostenuto che il voto debba sottostare procedure comprensibili per tutti in ogni fase, incluse le verifiche in caso di sospetti di brogli. Con software e hardware la trasparenza viene meno: servirebbe infatti un cittadino con competenze tecnologiche molto elevate per poter capire che cosa succede e nel 99 per cento dei casi questo cittadino non esiste.

In Olanda il voto è stato invece sospeso con un legge. Gli hacktivisti di Bits of Freedom già dieci anni fa avevano dimostrato che il sistema era permeabile ai cosiddetti attacchi “tempest” che, sfruttando l’emissione di onde elettromagnetiche dai monitor, con speciali macchinari rendono possibile ricostruirne l’immagine a decine di metri di distanza. Nel 2017, poi, il ministro degli Interni Ronald Plasterk ha annunciato la sospensione del voto elettronico, lo ha definito “vulnerabile” e parlato di rischio di interferenze. In Norvegia il voto elettronico è stato sperimentato per dieci anni, poi abbandonato nel 2014. Nessuna dimostrazione in questo caso, ma timori degli elettori sulla sicurezza. Inoltre, secondo il rapporto ufficiale sull’e-voting il sistema non ha portato a un incremento della percentuale di votanti. Negli Usa il voto elettronico è utilizzato in molti stati, quello a distanza sperimentato solo per 150 militari del West Virginia in missione. Le debolezze del sistema sono state identificate da Cia, Fbi e Dipartimento di Giustizia, dalle indagini sulle interferenze straniere nelle ultime elezioni e dimostrate durante l’ultima DEF CON di Las Vegas, la più importante conferenza di cybersecurity al mondo. Tanto che gli Stati Uniti si avviano all’approvazione del Secure Election Act, che reintroduce urna e prova cartacea come supporto al voto elettronico.

Alcuni sistemi, tuttavia, hanno avuto una buona accoglienza nella comunità scientifica e sono usati in almeno una decina di Stati negli Usa. Il primo è l’Optical scanning: si garantisce l’integrità del voto con il pezzo di carta su cui si pone la X con il voto, poi lo si inserisce in una sorta di scanner che lo registra e infine viene infilato nell’urna. Il fatto che l’espressione di voto sia originata da mano penna e pezzo di carta non dà possibilità di intercettazione mentre l’optical scanning funge da contatore digitale. Alcuni Stati, invece, prevedono la stampa della scheda su cui votare al momento dell’arrivo dell’elettore. Un sistema denominato Scantegrity: il votante pone la x sulla preferenza e stacca un talloncino che ha un codice, una serie di otto caratteri, per la preferenza che ha espresso (c’è un codice diverso per ogni preferenza e ogni scheda ha codici unici). Può poi accedere al sito di Scantegrity del governo federale, inserire il codice e utilizzare un ‘integrity check – che è un’altra serie di numeri – per verificare che il proprio voto sia stato correttamente scrutinato e conteggiato.

“Di base, i sistemi elettronici possono essere vulnerabili e presuppongono un atto di fiducia nei confronti della macchina e di chi l’ha creata, installata e gestita” spiega Fabio Pietrosanti, presidente del Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani digitali. Ancora oggi in America si discute su cosa sia accaduto alle voting machine vendute tra il 2000 e il 2006, quando l’azienda che le aveva fornite aveva ammesso di aver installato nel software una backdoor, una porta di servizio, che permetteva di accedere al sistema da remoto per la manutenzione e gli aggiornamenti a distanza. “Quando l’espressione di voto viene elaborata da un computer diventa sovvertibile – spiega Pietrosanti – : tra il dito della persona che clicca e il database in cui viene registrato il voto può accadere di tutto, indipendentemente dal sistema di trasmissione dei dati”.

Neanche la blockchain, che è quindi il database, potrebbe bastare. Inoltre questo registro elettronico (su cui oltretutto la fondazione Rousseau ha così tanto puntato da utilizzarlo per la nuova versione della sua piattaforma di voto), seppure in grado di tracciare tutti i passaggi di un voto e quindi eventuali manomissioni, presenta diversi problemi. Per garantire che sia affidabile, ad esempio, il votante deve poter verificare la corretta registrazione del suo voto. Ma, fanno notare in molti, potrebbe allora farlo di fronte a un mafioso che gli offra 20 euro in cambio. Inoltre la blockchain, nella sua versione “pura” – come bitcoin ed ethereum – e quindi più trasparente, è una rete pubblica i cui nodi sono distribuiti su un numero enorme di persone sparse nel mondo, principio che ne garantisce l’incondizionabilità (per modificarla bisognerebbe modificarla per tutti i nodi della rete). Problema: i risultati di voto possono arrivare solo a fine seduta. La soluzione potrebbero essere le cosiddette permissioned blockchain che però, essendo private, non garantirebbero più la stessa distribuzione generalizzata e rischierebbe di essere soggetta al controllo dei pochi nodi che la compongono. E l’affluenza? In Svizzera (dove oltretutto in questi giorni è stata segnalata una grave falla nella sicurezza) il voto a distanza è già utilizzato da una decina d’anni in diversi cantoni, ma la partecipazione non è aumentata. Va meglio in Estonia, dove si è passati dal 30% dell’affluenza online al 44 delle ultime elezioni politiche. Finora non ci sono stati problemi, ma è una micronazione, con 1,9 milioni di abitanti, meno di una media regione italiana.