Premio Sacharov a Navalny, la figlia sogna la Russia nell’Ue

Cerimonia all’Europarlamento per la consegna del premio Sacharov 2021, rivolto a chi sostiene la libertà di pensiero. Il riconoscimento è stato conferito ad Alexej Navalny, l’oppositore russo che sta scontando una pena in un centro di detenzione. A ritirare il premio è stata la figlia Daria Navalnaya: “Nonostante tutte le difficoltà che l’Ue ha e dovrà incontrare, io credo nel suo futuro e che un giorno il mio Paese ne entrerà a far parte”. Sui rapporti tra Europa e Mosca, Daria ha invitato i leader ad affrontare a viso aperto il capo del Cremlino: “Non capisco perché coloro che sostengono la necessità di relazioni pragmatiche” con la Russia “non possano aprire i libri di Storia e imparare che la pacificazione con dittatori e tiranni non funziona mai”. Secondo Navalnaya, “anni di flirt con Putin gli fanno credere che per aumentare la sua popolarità può anche iniziare una guerra”.

Putin, Jinping e il nemico comune

Le cose con Biden non vanno bene. E allora Xi e Putin si cercano e si tengono bordone a vicenda: messe da canto tensioni e rivalità, Cina e Russia esibiscono la solidità delle relazioni bilaterali che “hanno superato varie tempeste e dimostrano nuova vitalità”. Parole del presidente russo Vladimir Putin condivise da quello cinese Xi Jinping, nei resoconti del loro secondo vertice 2021. Mentre esaltano il loro bilateralismo, Cina e Russia, incuranti della contraddizione, si presentano come “il pilastro del vero multilateralismo e gli alfieri dell’equità e della giustizia internazionali”. L’incontro tra Xi e Putin chiude il triangolo delle consultazioni fra i tre maggiori protagonisti della politica mondiale, dopo i vertici sempre virtuali tra il presidente Usa Joe Biden e Xi il 15 novembre, con lo spettro d’uno scontro per Taiwan sullo sfondo, e Putin il 7 dicembre, con le tensioni sull’Ucraina in primo piano. Ed è pure una risposta al Vertice delle Democrazie della scorsa settimana, convocato da Biden senza mandare l’invito né a Xi né a Putin. I rapporti tra Usa, Russia e Cina disegnano un triangolo scaleno che è quasi isoscele: il lato più corto corre tra Mosca e Pechino, mentre Washington è pressoché equidistante. Tra Usa e Cina, c’è una sfida proiettata nel XXI Secolo; tra Usa e Russia, un confronto nel presente. Per Xi e per Putin, il deterioramento delle relazioni con Biden ha coinciso con il deterioramento delle relazioni con gli alleati europei degli Stati Uniti. Lo scorso week-end, il G7 dei ministri degli Esteri ha denunciato l’ammasso di truppe di Mosca ai confini con l’Ucraina e le violazioni dei diritti fondamentali a Hong Kong e nello Xinjiang, oltre che l’aggressività di Pechino (solo verbale finora) verso Taiwan. Nel concreto, Xi e Putin non sono andati molto oltre generiche dichiarazioni di unità d’intenti e di volontà di cooperazione. Il leader cinese è pronto a “nuovi piani di cooperazione in vari campi, per lo sviluppo duraturo e di alta qualità dei legami bilaterali”. Per quello russo, “è stato forgiato un nuovo modello di cooperazione tra i due Paesi” che include la “determinazione a trasformare il nostro confine comune in una cintura di pace eterna e di buon vicinato”. Pechino – dicono a Mosca – ha dato “pieno sostegno” a un’iniziativa russa per ottenere “garanzie di sicurezza” dall’Occidente. In polemica con Biden, che ha annunciato il boicottaggio diplomatico dei Giochi invernali 2022 di Pechino, Xi e Putin si sono scambiati cortesie respingendo “ogni tentativo di politicizzare lo sport e il movimento olimpico”, Putin andrà a Pechino per l’inaugurazione, come Xi andò a Sochi nel 2014.

La giustizia non funziona. Ma Macron fa spallucce

La giustizia francese è “malata”. Lo hanno denunciato ieri centinaia di magistrati, avvocati e cancellieri che, indossando le loro toghe, si sono riuniti davanti al ministero dell’Economia, a Parigi. Lo sciopero indetto dall’Unione sindacale dei magistrati e da altre 16 organizzazioni è stato seguito in massa e già si parla di mobilitazione “storica”. Altri raduni si sono formati davanti ai tribunali di diverse città. Le toghe denunciano un budget per la giustizia insufficiente malgrado gli annunci del governo, un numero di professionisti insufficiente rispetto alla quantità dei fascicoli da trattare, i tempi sempre più stretti per chiudere i casi, la disumanità delle istituzioni. All’origine della protesta c’è una lettera firmata da tremila magistrati che Le Monde ha pubblicato il 23 novembre. Nel giro di tre settimane le firme sono diventate 7.500, di cui oltre 5.400 magistrati, sui novemila totali. Ad agosto, scrivevano, una loro giovane collega, Charlotte, 29 anni, si è tolta la vita: “Era magistrato da due anni, l’avevano inviata di tribunale in tribunale per completare gli effettivi delle giurisdizioni in difficoltà del Nord. Charlotte aveva capito la mole di lavoro e il livello di esigenza di cui doveva farsi carico per diventare la magistrato umana e rigorosa che voleva essere. A più riprese, ha allertato i suoi colleghi della sofferenza che le causava il lavoro. E il suo non è un caso isolato”.

Le toghe denunciano una “politica del numero”, con divorzi per esempio trattati “in 15 minuti”: “Siamo di fronte a un dilemma – scrivono – giudicare velocemente ma male, o giudicare bene ma in tempi inaccettabili”. Denunciano le udienze archiviate, i congedi per malattia che si moltiplicano, le riforme fatte in fretta, la mancanza di risorse umane. Secondo i sindacati, la Francia conta 11 magistrati per 100 mila abitanti, contro 18 della media europea. A metà ottobre Macron ha aperto a Poitiers gli “stati generali della giustizia” per riformare l’istituzione. Un esercizio criticato dai diretti interessati che non si sentono ascoltati. Il guardasigilli Eric Dupond-Moretti , difendendo il suo bilancio al governo, ha ricordato ieri alcuni numeri. Per il 2022 il budget del ministero della Giustizia sarà portato a 8,9 miliardi di euro, contro i 6,8 miliardi del 2017 (+30% in cinque anni). Il numero dei magistrati è cresciuto dell’8,5% tra settembre 2017 e settembre 2021. Nello stesso periodo sono stati assunti 870 cancellieri. Il ministro ha anche denunciato lo “stato di grave deprivazione” in cui si trovava la giustizia nel 2017, quando Macron è arrivato all’Eliseo, ricordando che all’epoca nelle giurisdizioni mancava persino il wi-fi: “Siamo stati noi a fornire computer portatili al 100% dei magistrati”, ha detto. Ma alle toghe non è piaciuto l’atteggiamento del ministro che si è vantato di aver “riparato le emergenze più evidenti”, mentre il malessere all’interno dell’istituzione è palpabile. Dupond-Moretti ha anche messo in dubbio la sincerità della protesta, a meno di cinque mesi dalle Presidenziali: “Spero che non ci siano strumentalizzazioni – ha detto –. Mi sorprende che si contesti ora mentre sono vent’anni che la giustizia è all’abbandono”.

Ieri l’udienza del processo per gli attentati del 13 novembre 2015 è stata espressamente aperta in ritardo dal presidente della Corte speciale, Jean-Louis Périès, in “sostegno” ai colleghi che “si mobilitano per un miglior funzionamento della nostra istituzione”. La Corte di Cassazione ha denunciato una “giustizia esangue”. Già nel 2019 i sindacati avevano allertato sulla situazione della magistratura “sull’orlo del collasso”. Né è la prima volta che giudici e avvocati scioperano. Li avevamo visti lanciare le toghe nel gennaio 2020 contro la riforma delle pensioni, poi sospesa a causa dell’epidemia, in un clima di mobilitazione sociale generale. Ma le loro proteste sono rare. Questa volta è persino comparso l’hashtag #JusticeMalade sui social.

Dresda connection: il patto contro Berlino tra neonazi e No vax

Avevano armi, munizioni e stavano preparando un attentato contro il primo ministro della Sassonia, Michael Kretschmer. Ieri i reparti speciali sono intervenuti per bloccarli. Gli estremisti si erano conosciuti in una chat no-vax di Telegram. Alcuni si sono incontrati di persona in diversi parchi di Dresda. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, le prime minacce al politico sono contemporanee all’entrata in vigore alle restrizioni per i non vaccinati. I 130 utenti del gruppo Telegram Dresden Offlinevernetzung (“Dresda fuori dalla rete”) non sono che la punta dell’iceberg. In Sassonia solo il 57% della popolazione è vaccinata. Il risultato è un tasso di incidenza settimanale che, all’entrata in vigore delle restrizioni, superava i 1.200 casi ogni 100 mila persone.

Terapie intensive sature e ospedali incapaci di accogliere pazienti. Due settimane fa, il primo ministro del Land ha bandito i non vaccinati dalla vita sociale. Per entrare nei bar, cinema, ristoranti e in tutti gli esercizi commerciali non essenziali bisogna mostrare la prova di immunizzazione. Fatta la regola, trovato l’inganno. All’ora di pranzo il cielo è grigio, la temperatura è pochi gradi sopra lo zero. Su Prager Strasse, la via commerciale che collega il centro storico e la stazione ferroviaria, bar e ristoranti sono vuoti, all’interno. Ma guardando i dehor affollati si potrebbe pensare a una giornata di inizio primavera. Dietro al bancone una donna cinquantenne riempie i piatti con una zuppa di patate e wurstel, poi li porge da una finestra verso l’esterno. “Non importa se siamo vaccinate o no. Queste misure non sono accettabili” due sorelle gemelle trentenni, una di loro spinge il passeggino con la figlia di pochi mesi, si siedono con la zuppa a un tavolino sotto a un ombrellone. “Hanno deciso che anche quest’anno dovremmo passare tutto l’inverno chiusi in casa – spiega una delle due – se ci dobbiamo testare va bene, ma imporre il vaccino per poter stare assieme alla propria famiglia è troppo”. Dresda si trova a pochi chilometri dal confine con la Repubblica Ceca. L’area è una delle roccaforti del partito di estrema destra Afd. Alle elezioni del Land nel 2019, Kretschmer, candidato con i conservatori della Cdu, venne rieletto con meno di cinque punti di scarto dal candidato dell’ultradestra. L’Afd aveva raccolto il 27% dei consensi, con un aumento di quasi 18 punti. “I gruppi neonazi che nel 2015 hanno sfruttato la questione migratoria per raccogliere voti, adesso stanno capitalizzando le proteste contro le misure restrittive anti-Covid”. Hans Vorländer è un politologo che insegna alla facoltà di Filosofia a Dresda e tiene lezioni a Parigi, Città del Messico, Torino e Bologna. “Se in Italia c’è un rifiuto delle imposizioni governative è sovente legato alla sensazione che lo Stato sia assente – continua il professore –, qui è esattamente l’opposto. Siamo nella ex Ddr, lo Stato, l’apparato qui controllava tutto. Le limitazioni personali sono sempre viste in quell’ottica”. Secondo Vorländer il movimento no-vax è eterogeneo e senza una chiara leadership. “Questo rende più facile l’infiltrazione e la scalata per i gruppi estrema destra. Per ogni nuova misura restrittiva c’è una nuova manifestazione e di volta in volta sono loro che ottengono più visibilità, più forza. Per scalare il movimento tentano azioni che caratterizzano l’intero gruppo”.

Lo scorso fine settimana ci sono state proteste contro le misure anti-Covid in tutto Paese. In Sassonia sono diventate marce con scontri violenti tra polizia e manifestanti. In alcuni casi hanno rievocato cortei e atteggiamenti della Germania degli anni 30. Venerdì sera a Grimma, una piccola cittadina poco lontana da Lipsia, una trentina di persone con fiaccole in mano si sono radunate davanti all’abitazione privata di Petra Köpping, la ministra della Salute della Sassonia.

Lo Striezelmarkt, con 600 anni di storia, è il mercatino di Natale più antico di Dresda. Sulla piazza di Altmarkt c’è solo un grande pino addobbato. “Sono stupidi, stanno rovinando il Natale. Non solo a loro che non si vaccinano, ma a tutti”. Christopher Vogt è uno studente, attraversa la piazza con la mascherina sul volto “non ci sono solo le regole, c’è anche la volontà di uscire da questa situazione”. Dall’altro lato della piazza c’è il palazzo della Cultura, uno dei simboli in ogni città dell’ex Ddr. Dalle vetrate al secondo piano pende uno striscione “Il vaccino protegge. Anche la cultura”. Il problema è per tutti lo stesso: superare l’inverno. Per una parte della Sassonia la soluzione è seguire le indicazioni, mentre per l’altra, sempre più numerosa, la democrazia è a rischio se il governo impone limitazioni personali. “Se avessimo voluto che Berlino ci dicesse cosa possiamo e non possiamo fare ci saremmo tenuti il socialismo”. Tobias ha 52 anni e lavora in una pasticceria del centro. “Dobbiamo evitare il contagio. Io mi testo tutti i giorni che vado a lavoro. Non è obbligatorio, ma lo faccio”.

È l’est contro l’ovest. Non importa se a governare sia la conservatrice Angela Merkel o il socialdemocratico Olaf Scholz. Se a febbraio, come promesso dal neo cancelliere, verrà introdotto l’obbligo vaccinale, questo sarà l’epicentro dello scontro.

Mail box

 

In un mese, Gualtieri ha già aggiustato Roma!

Ho letto la classifica sulla qualità della vita delle città italiane: Roma sale dal 32° al 13° posto. Caro direttore, vuole vedere che i giornaloni danno il merito al sindaco Gualtieri che si è inserito da un mese?

Antonio Perrone

Caro Antonio, mi sa che lei sottovaluta i miracoli di Gualtieri e dei giornaloni al seguito.

M. Trav.

 

I No vax devono pagarsi le spese ospedaliere?

Ogni tentativo di convincere otto milioni di persone a vaccinarsi sembra fallire. Si è parlato di “obbligo”, con giuste remore ad attuarlo. Tuttavia basterebbe semplicemente togliere la gratuità del servizio sanitario nazionale a quei non vaccinati (fatta eccezione per quelli con reali problemi di salute) che ricorrono alle cure mediche ospedaliere dopo essere stati contagiati. Tutto a spese loro, insomma. Spesso l’andare a toccare il portafoglio delle persone risulta molto più efficace di tante altre vie, tendenti a realizzare una libertà individuale che vada di pari passo con quella collettiva.

Aldo Martorano

No, caro Aldo: il servizio sanitario nazionale è pubblico, cioè di tutti. Escluderei piuttosto chi non paga le tasse e dunque se ne serve a spese di noi fessi che le paghiamo.

M. Trav.

 

Per battere il Covid-19 il vaccino è fondamentale

Caro Travaglio, condivido in gran parte il suo editoriale “Tutta la verità”. Ma rimane da capire cosa intenda per “respingete la retorica dell’altruismo: quello è un atto di sano egoismo, perché l’unica certezza che dà è abbattere il rischio di Covid in forma gravissima o mortale”. Io ritengo che ridurre la vaccinazione a un fatto egoistico tout court sia quantomeno sbagliato. La vaccinazione ha in sé una grande capacità epigenetica: non solo stimola la classe anticorpale, ma dà anche una risposta adattiva contro il virus, costringendolo a variare e ridurre la sua virulenza al fine di sopravvivere. Insomma, quello che fa ad esempio l’herpes, un non-organismo che adattato, sopravvive senza recare grandi danni al sistema immunitario. Il vantaggio che si trae dalla vaccinazione non è semplicemente egoistico, ha un valore che va oltre la terapia intensiva e ha il pregio di costringere il virus a trovare soluzioni di compromesso che gli consentano di non estinguersi. Il vaccino è oggi l’unica soluzione di massa, sino a quando non si troverà un farmaco in grado di bloccare la sua riproduzione.

Pier Luigi Currelli

Certo, caro Pier Luigi, ma io mi riferivo alla retorica “vaccinati=immuni”, cioè non contagiosi per gli altri. Un’equazione che si è purtroppo rivelata falsa.

M. Trav.

 

Come dovrebbe essere l’erede di Mattarella

Nel caleidoscopio del “toto-nomi” per la futura presidenza della Repubblica sta passando di tutto: condannati, riciclati, ecc. Sarebbe ora di fermare tale girandola di nomi e cominciare a ragionare invece sulle caratteristiche, qualità, capacità che debba avere e su quali garanzie debba essere in grado di darci. Lo si vorrebbe: incensurato, libero da vincoli di partito, impegnato a un rigoroso rispetto della Costituzione e inoltre che non solo sia presentabile agli occhi del mondo ma abbia anche il senso della dignità. Il nostro Paese ha bisogno di una personalità che possa infondere fiducia nelle istituzioni e speranza di una società più giusta e inclusiva.

Albarosa Raimondi

 

La continua decadenza di giornali e televisioni

Non so se dal dopoguerra l’informazione in Italia sia sempre stata così. Dopo il Minculpop ci si era illusi che potesse nascerne una libera. Invece per i giornali più diffusi siamo arrivati alla testata padronale unica, mentre i restanti vengono gestiti da un padrone che li riempie di servi obbedienti. Quanto alla tv, non ne parliamo. Una parte è lottizzata in modo ferreo e l’altra è usata come arma di disinformazione a tutela di interessi privati. Il diritto all’informazione è una chimera, e di giornalisti alla Biagi o Montanelli non se ne vedono molti.

Mario Frattarelli

 

Dare della “badante” a Fascina è offensivo

Una preghiera, per favore: non chiamate la signora Fascina “badante” dell’anzianissimo B. Per un semplice motivo: le badanti sono rispettabilissime signore che davvero prestano un’opera meritevole per tante famiglie. Pertanto trovo l’accostamento, anche solo lessicale, veramente offensivo per chi lavora duramente senza riconoscimenti e prebende di notevole lucro economico. Proporrei la più adatta definizione di “hostess sanitaria”, amorevolmente dedita al benessere geriatrico di B.

Susanna Di Ronzo

Caro metano Prezzi alle stelle e nessun aiuto per gli automobilisti

Il governo attuale aveva previsto un aumento del prezzo del gas metano per autotrazione contenuto nel 30%. Ho constatato però che numerosissimi distributori non stanno seguendo questa direttiva esponendo prezzi che si aggirano attorno al doppio del prezzo di qualche settimana fa. Tutto ciò risulta legale?

Simone Zaccarella

 

Gentile Zaccarella, il caro prezzi che ha investito il settore energetico è all’attenzione del governo, ma solo per la parte legata alle bollette dell’elettricità e del gas. La Federmetano ci ha confermato che nonostante anche i prezzi del metano per autotrazione negli ultimi mesi abbiano raggiunto livelli senza precedenti, l’esecutivo non ha mai previsto un loro contenimento. Sono le associazioni e diversi parlamentari che continuano a richiedere delle misure per attenuare l’impatto di questi maxi-rincari. Tra le richieste ci sono l’applicazione dell’Iva agevolata del 5% anche per il metano autotrazione in modo che gli operatori del settore possano applicare questa riduzione poi agli utenti finali, ma anche un credito d’imposta per l’acquisto di gas naturale autotrazione agli autotrasportatori o l’introduzione di incentivi per la trasformazione a gas naturale. Ma sono rimaste delle richieste e nel frattempo i proprietari delle vetture a gas metano si sono ritrovati a fare il rifornimento con un prezzo che, in molti distributori, a ottobre è arrivato a superare quello della benzina. L’aumento repentino dei prezzi, secondo i calcoli di Federmetano, ha spinto verso cifre che nessuno avrebbe mai immaginato, costituendo una vera anomalia se si considera che dal 2005 a oggi il prezzo medio annuale del gas si è sempre attestato intorno ai 24,50 cents/smc. Un record negativo che, evidentemente, va a penalizzare gli utilizzatori di quel milione e 100 mila autovetture che circolano in Italia a metano. Eppure chi ha fatto questa scelta, l’ha fatta sia per motivi economici, di risparmio, ma anche per motivi ambientali, facendo una scelta di mobilità diversa da quella tradizionale. E mai come in questi mesi di crisi, la questione energetica dovrebbe spingere a ripensare al green.

Patrizia De Rubertis

Impaurire col Covid fa nascere di meno

“Nei primi nove mesi dell’anno in corso le nascite sono state 12.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2020, un calo quasi doppio rispetto a quanto osservato tra gennaio e settembre 2019. Lo rileva l’Istat segnalando che “tale forte diminuzione è da mettere in relazione al dispiegarsi degli effetti negativi innescati dall’epidemia da Covid-19, che nel solo mese di gennaio 2021 ha fatto registrare il maggiore calo di sempre (quasi 5mila nati in meno, -13,6%)”. Se dovesse continuare questo andamento, il rischio concreto sarebbe un invecchiamento della popolazione con la conseguente insostenibilità economica del sistema. Il calo delle nascite è pari a circa il 9% dei decessi provocati da Covid, una mini-pandemia passata in silenzio. Se osserviamo la curva delle nascite e la sovrapponiamo a quella del Covid e degli eventi correlati, come il lockdown, le misure di contenimento, è evidente che può dedursi una correlazione. Il numero di nascite, dopo un calo significativo, ha un innalzamento a marzo 2021. Il presunto concepimento è quindi tra giugno e luglio dello scorso anno, quando abbiamo vissuto l’euforia della fine della pandemia. Il dato, poiché affrontare una gravidanza e una nascita durante un’emergenza sanitaria incute certamente timore, è facilmente comprensibile. Questi “non nati” sono, in massima parte, le vittime della paura del domani, che si sommano a quanti, già nati in epoche che oggi definiremo felici, hanno subito psicologicamente il peso della gestione catastrofista della pandemia. Lancet a ottobre ha pubblicato un interessante studio sui disturbi d’ansia e depressione che fino al 2019 interessavano 280 milioni di persone al mondo: sono incrementati del 25% (70 milioni!) In Italia i casi di depressione sono quintuplicati. Anziché pubblicare i decessi giornalieri per Covid e quanti positivi sono stati identificati (di scarsa importanza in una popolazione vaccinata all’85%), sottolineando sempre quando il dato è negativo e mai quando è positivo, dovremmo cominciare a diffondere messaggi che diano fiducia: i risultati raggiunti e le prospettive future, a breve, ce lo permettono. Basta catastrofismo e viva la vita!

 

Le Camere umiliate o dell’ipocrisia

Ci seguail lettore in questi quattro passi nell’ipocrisia: vedrà che si riveleranno istruttivi anche quanto a cosa realmente sia il dibattito pubblico. Parliamo della legge di Bilancio per il 2022: approvata il 28 ottobre in Cdm, sparita per giorni, la manovra risulta presentata in Senato l’11 novembre e “annunciata nella seduta del 16”. Ieri il ministro dell’Economia Daniele Franco ancora faceva riunioni sulle modifiche e, ci informava l’Ansa, “il voto sugli emendamenti in commissione non inizierà prima di venerdì”. Il Bilancio è atteso in Aula martedì 21 dicembre: verrà approvato con la fiducia e spedito alla Camera, che dovrà approvarlo col voto di fiducia senza neanche discuterlo. Ecco, ora torniamo al 2018 dei puzzoni al governo, quando una manovra arrivata alle Camere il 31 ottobre, fu in parte riscritta per volere dell’Ue a inizio dicembre: spettacolo abbastanza indecoroso, sicuramente cialtronesco dopo i proclami di guerra gialloverdi. All’epoca Emma Bonino – “in lacrime” giurano i resoconti – denunciò “il più grave attacco alla nostra democrazia”: “Il Parlamento umiliato, esautorato e ridotto all’irrilevanza”. Giorgio Napolitano fece sapere di “condividere profondamente l’allarme della senatrice”. E ancora: “È una pagina buia per il Parlamento, che viene umiliato” (Graziano Delrio). “È la prima manovra extraparlamentare della Repubblica” (Andrea Marcucci). “Il Parlamento è stato umiliato sulla legge portante dello Stato, una cosa di enorme gravità” (Laura Boldrini). “Una situazione senza precedenti: una vergogna” (Antonio Misiani). Alla Camera si sfiorò addirittura la rissa. Sui giornali l’editorialista democratico non tollerava l’offesa alle istituzioni rappresentative: “Parlamento umiliato o, se preferite, sfregiato, violentato” (Huffington Post). Ecco, il primo votarello sul ddl Bilancio 2022 arriverà, simbolicamente, venerdì 17 e non ci pare (escluse le Madonne ai crocicchi, felici per l’avvento di Draghi) di aver visto piangere nessuno, sicuramente non per le Camere “umiliate”, anzi “sfregiate” , no “violentate”. Forse per questa gente dipende da chi è il violentatore. Oppure non è che il Parlamento se l’è un po’ cercata? Sapete come sono ’sti tecnici quando vedono le Camere in minigonna…

Garcia Marquez intervista Figliuolo

Avete presente l’incipit di Cent’anni di solitudine? “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio…”. Ieri La Stampa, unendo la cronaca alla letteratura, ha voluto omaggiare in un colpo solo Gabriel Garcia Marquez e il Generale Francesco Paolo Figliuolo, la cui intervista è anticipata da un attacco leggendario: “Quando si appresta a rispondere alle nostre domande, il generale Francesco Paolo Figliuolo ha appena saputo che il governo ha appuntato sulla sua divisa una quarta, luccicantissima stella”. Prima di arrivare alle suddette domande ci si mette un po’, perché gli onori all’Alpino non finiscono qui. Abbiamo il Colle “che non ha fatto mistero della sua stima per il Commissario”, la gestione dell’emergenza “che ora potrà andare ancora meglio”, una promozione “attesa da tempo”. Logico che, così coccolato, Figliuolo sia colto da annuncite: “Natale sicuro, ecco il piano”, “Abbiamo vaccini per tutti coloro che presenteranno”, “Fino a Natale 500 mila dosi al giorno”. Viene solo un dubbio, leggendo promesse del genere: ma non sarà la stessa intervista di Pasqua 2021?

Mario è come Virna: con quella bocca può dir ciò che vuole

E dunque l’emergenza continuerà: il governo ha “allungato” i termini dello stato d’emergenza fino al 31 marzo. E questo nonostante la legge sullo stato d’emergenza, com’è noto, preveda un termine di dodici mesi prorogabili per altri dodici e non plus ultra. Termini fissati per il ragionevole motivo che l’emergenza, se diventa norma, cessa di essere tale. Nel decreto legge varato martedì non si fa cenno da nessuna parte alla legge che prevede lo stato d’emergenza, né per derogare né per prorogare. Sono citati articoli della Costituzione e mille decreti, ma la legge no (ovvero l’art. 24 del decreto legislativo numero 1 del 2018), diversamente da come era stato fatto da questo stesso governo a marzo e poi a luglio. Un modo un po’ troppo disinvolto per aggirare i termini perentori di cui sopra, perché si tratta di una modifica “tacita” della legge.

Se state pensando che sono solo tecnicalità e dunque questioni di lana caprina, passiamo dalla forma alla sostanza: di fatto così si normalizza lo stato d’emergenza. Cosa che è una evidente contraddizione in termini. Ma non solo. La materia è delicata perché con lo stato d’emergenza si possono “toccare” con più facilità le libertà fondamentali. Forse si poteva trovare un modo meno pasticciato per prorogare i poteri del Cts e del Commissario straordinario. Senza voler notare, poi, che il Parlamento ha 60 giorni per convertire in legge il decreto: un lasso di tempo che copre una buona parte del nuovo stato d’emergenza. Per ipotesi è anche possibile che il decreto non venga convertito e che i suoi effetti non vengano fatti salvi, il che produrrebbe un discreto caos (che in greco, mica per niente, vuol dire vuoto). Naturalmente non succederà: al governo ci sono i migliori, sostenuti da una maggioranza che copre praticamente l’intero arco costituzionale e in totale assenza di contropoteri, tipo il sistema dell’informazione (vittima di una collettiva freccia di Cupido).

La faccenda della proroga è stata legata in queste settimane alle tormentate sorti del Quirinale: vigente un nuovo (o vecchio) stato d’emergenza, secondo alcuni commentatori, il premier sarebbe legato alla sua poltrona di Palazzo Chigi come non era stato nemmeno Vittorio Alfieri ai tempi del “volli, volli, fortissimamente volli”. Secondo altri, invece, la “proroghina” di soli tre mesi darebbe a Mario Draghi la possibilità di traslocare serenamente al Colle in febbraio perché il suo successore avrebbe tutto il tempo di organizzarsi. A questo proposito, va segnalata un’intervista di Sabino Cassese a Repubblica, in cui il giurista non manifesta tentennamenti a proposito del garbuglio che si presenterebbe nel caso fosse Draghi, nella nuova veste di Capo dello Stato, a gestire le consultazioni per la formazione di un nuovo governo (causato dalla caduta del suo). Nessun dubbio, le consultazioni le fa lui: “È un presidente in carica, le fa lui dopo avere giurato”. Ma infatti, che problema c’è? Draghi si dimette, salta il fosso del Colle e poi, consultando i partiti, sceglie il suo successore. Che nel caso fosse il ministro Daniele Franco sarebbe una successione dinastica. Non vogliamo nemmeno pensare ai fiumi d’inchiostro che si sarebbero versati se il protagonista di queste acrobazie istituzionali fosse un altro presidente del Consiglio. Ma dopo un anno di silenzi di Mario Draghi, abbiamo capito che lui è come la splendida Virna Lisi nel famosissimo Carosello del dentifricio Chlorodont: con quella bocca può dire (o non dire) quello che vuole.