Disastro aereo in Etiopia, la Boeing affonda in borsa

Tempi difficili per la Boeing, la multinazionale del settore aerospaziale che dopo il tragico incidente dell’Ethiopian Airlines ha dovuto fare i conti anche con un brusco calo nella quotazione dei suoi titoli in borsa, arrivati a perdere dodici punti percentuali (seppur con una lieve ripresa alla chiusura delle Borse europee). Questo a causa dell’incidente di domenica, una tragedia senza superstiti: il Boeing 737 trasportava 157 passeggeri, di cui 8 italiani. Nessuno di loro è riuscito a salvarsi dallo schianto che è seguito al decollo da Addis Abeba. L’11 marzo è inevitabilmente stata una giornata di cordoglio: il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha aperto la plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo esprimendo a nome dell’assemblea le condoglianze alle famiglie delle vittime. Molti dei defunti passeggeri erano diretti all’Assemblea Onu sull’Ambiente a Nairobi, il Forum ambientale più importante del mondo: volontari di ong, funzionari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Insieme a loro viaggiava anche l’assessore siciliano ai beni culturali Sebastiano Tusa. Quest’ultimo, a cui verrà dedicata una serata nella valle dei Templi, viene ricordato come “una perdita irreparabile per il mondo della cultura” dal vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, da Maria Falcone e dal sindaco di Milano Giuseppe Sala. Nel drammatico bilancio, colpisce la storia di Antonis Mavropoulos, cittadino greco e presidente di una Ong, uno dei due passeggeri che avrebbe dovuto imbarcarsi sull’aereo precipitato. Antonis aveva perso il volo per due minuti di ritardo, causati da un disguido con la sua valigia: pochi istanti che gli hanno permesso di salvarsi la vita, come ha raccontato lui stesso in un lungo post su Facebook.

Sono in corso le indagini sulle cause dell’incidente, che purtroppo non è il primo che mette un Boeing 737 al centro della cronaca: un velivolo identico a quello schiantatosi domenica era affondato in mare lo scorso ottobre in Indonesia, causando la morte di 189 persone. Anche allora, tutto era successo pochi minuti dopo la partenza.

Violentata a Napoli, la vittima era già stata molestata

Spinta nell’ascensoree violentata: la ragazza napoletana di 24 anni conferma al pm della sezione “fasce deboli” Cristina Curatoli e al procuratore aggiunto Raffaello Falcone di esser stata vittima di abusi sessuali, la scorsa settimana, nella stazione della Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano (Napoli). I responsabili, dichiara la giovane negli uffici della IV sezione della Procura di Napoli, sarebbero i tre giovani 18enni ora in carcere con l’accusa di stupro di gruppo. Ricostruire i fatti è stato faticoso: la ragazza, accompagnata dai genitori, ha dovuto raccontare nel dettaglio la vicenda e gli antefatti. Venti giorni prima dell’accaduto, infatti, era stata presa di mira dai tre (uno dei quali si era anche denudato) e altri giovani, 6-7 in tutto. A supportare le indagini, sono stati i filmati delle telecamere di video sorveglianza. Ora si cerca un modo per aiutare la giovane donna a superare questo momento difficile. Non è escluso che gli investigatori possano acquisire le immagini dei sistemi di videosorveglianza di altre stazioni della Circumvesuviana, registrate anche nei giorni precedenti alle violenze.

“Sesso in cambio di finti provini”: arrestato il regista Pino Flamini

Abbagliate dall’illusione della celebrità cadevano nelle grinfie dell’orco, un regista che promettendo un futuro nel mondo dello spettacolo costringeva le giovani vittime a subire atti sessuali. Un copione che a Roma si ripeteva proponendo sempre la stessa sceneggiatura: un finto provino in cui doveva essere simulata una scena di stupro. Una recita drammaticamente reale replicata per sette anni, dal 2011 al 2018. L’uomo da ieri è agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale continuata e aggravata nei confronti di cinque ragazze, di cui tre all’epoca dei fatti erano minorenni.

il regista si chiama Pino Flamini, ha 69 anni e tra le aspiranti giovani attrici è un nome noto. Fisico corpulento, capelli lunghi. Su Facebook si presenta come un parigino trapiantato nella Capitale, un produttore, regista, editore e organizzatore di eventi presso la casa discografica “Kings”. Sul suo profilo vengono pubblicizzati anche gli eventi dell’Amor, la non meglio nota Associazione Mondiale Organizzazioni Riunite, in un volantino che raffigura un’avvenente e provocante donna. C’è anche una seconda associazione, in cui il “maestro” appare tra i fondatori: l’Associazione Internazionale Bambini Abbandonati.

Tutte attività che sembrerebbero avere fini sociali ma che contraddicono la personalità dell’indagato che emerge nella richiesta di arresto firmata dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Pantaleo Polifemo. Secondo i pm, Flamini adescava ragazze promettendo comparsate in spot e film. Gli annunci erano pubblicati su Internet: “Per la realizzazione di un film tv Rai, il maestro Pino Flamini effettua casting finalizzato alla selezione di attrici per figurazioni speciali – si legge in un post – Nello specifico si cercano attrici di età tra i 18 e i 22 anni di bellissima presenza, non troppo alte”.

Erano molte le ragazze che rispondevano all’annuncio. I provini per la produzione di un film mai realizzato venivano fatti in zona Aurelia, all’interno del piano seminterrato degli studi dell’“Accademia” di cui è presidente l’indagato. In quella sala isolata Flamini, secondo i pm, chiedeva di mettere in scena uno stupro, abusando poi delle vittime. Per diversi anni il trucco avrebbe funzionato. Ma grazie alle denunce di alcune delle ragazze e degli stessi collaboratori del “maestro”, i militari della Compagnia San Pietro sono risaliti all’uomo sequestrando anche un hard disk con materiale compromettente.

“La scaltra peruviana” era ubriaca: non fu stupro

Ci sono le motivazioni giuridiche, con cui la Corte d’Appello di Ancona, composta da tre giudici donne (consigliere estensore: Marina Tommolini, oggi in altra sede), ha assolto i due imputati peruviani condannati in primo grado a 5 e 3 anni per violenza sessuale. E c’è il giudizio, del tutto personale, sull’aspetto della vittima, espresso dai magistrati: “Al ragazzo neppure piaceva – scrivono – tanto da averne registrato il numero del cellulare con il nominativo ‘Bena (nome di fantasia) Vikingo’, con allusione a una personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina”, come “la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare”. Come dire: sei priva di sex appeal e vieni violentata? I giudici non ti crederanno: non puoi suscitare il perverso desiderio di un uomo di possederti contro la tua volontà. Una motivazione, insomma, che si addice più a una giuria di un concorso di bellezza che a un’aula di tribunale.

Parole sconcertanti per Sergio Sottani, Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Ancona che ha impugnato la sentenza di fronte alla Cassazione (insieme al difensore di parte civile): “Occorre evitare sempre e soprattutto nei processi di genere che l’uso della parola possa costituire una ulteriore forma di violenza nei confronti delle vittime”, ha commentato.

“Il riferimento all’aspetto fisico della vittima è inopportuno e sprezzante – aggiunge il legale della ragazza, Cinzia Molinaro dello studio Scaloni – oltre a essere del tutto irrilevante al fine di escludere la sussistenza della violenza subita”.

Tutto inizia quel 9 marzo del 2015, quando Beba, 22 anni, peruviana, ad Ancona da tempo con la mamma, al ritorno dalla scuola si intrattiene con due connazionali. Alla ragazza viene offerto un bicchiere di birra, beve un po’ troppo, perde lucidità: dalle analisi si scoprirà che aveva un tasso altissimo di benzodiazepina nel sangue, ma per i giudici d’Appello “la circostanza forniva alla scaltra peruviana una prova da sfruttare per avallare la propria innocenza dimostrando alla madre” che era stata drogata, mentre era stata lei ad aver “organizzato la notte goliardica”. Uno dei due fa da palo, Melendez la stupra. L’indomani, ricoverata per emorragia all’ospedale Salesi, viene operata d’urgenza. Sporge denuncia.

I due connazionali condannati in primo grado vengono assolti in Appello perché i fatti non sussistono. “Lo stato di ubriachezza della ragazza, peraltro da lei non taciuto, è stato considerato una sua colpa e non come una condizione di minorata difesa”, ci spiega l’avvocatessa Molinaro.

“I rapporti sessuali non sono stati caratterizzati né da violenza né da costrizione, bensì sono avvenuti con il consenso della vittima”, scrivono i giudici. “Mi chiedo come la lacerazione vaginale e del fornice posteriore possano essere compatibili con un rapporto consenziente”, continua l’avvocato Molinaro che ci racconta l’inconsolabile pianto di Bena quando ha appreso dell’assoluzione dei due. La ragazza è stata costretta a tornare in Perù con la mamma, per sfuggire all’infamia dell’essere stata additata, dalla piccola comunità peruviana anconetana, pietra dello scandalo.

La Cassazione, terza sezione, il 5 marzo scorso ha annullato, come è noto, la sentenza d’Appello: si celebrerà quindi un nuovo processo di secondo grado a Perugia. E adesso è partita un’indagine preliminare dell’Ufficio ispettivo del ministero della Giustizia.

Una “macchia” per una Corte come quella di Ancona che nel 1906 fu l’unica a respingere il ricorso del Procuratore del Re contro la Commissione elettorale che accolse la richiesta di dieci maestre delle scuole rurali di essere iscritte nelle liste elettorali per il diritto del voto (la richiesta fu poi annullata dalla Cassazione e le donne dovettero attendere 40 anni per riconquistare quel diritto).

Il giorno X per i bimbi non vaccinati: niente scuole materne e nidi

Dovrebbero essere “pochi” i bambini delle materne e dei nidi che rischiano di rimanere fuori dalle classi perché non in regola con le vaccinazioni. Nella serata di ieri affluivano i primi dati frammentari dalle diverse parti d’Italia. Il termine dell’autocertificazione è scivolato un giorno in avanti, dal 10 marzo (domenica) all’11 marzo. Scatta quindi da oggi il divieto ai piccoli non immunizzati di entrare in classe. Ieri sei bambini sono già rimasti a casa in Campania, tre a Pagani e tre a Procida. Iniziano a essere rese pubbliche, appunto, alcune stime: a Bologna sarebbero in 300 a non essere in regola coi certificati, in tutta la Liguria 1600 bambini, a Pisa il 10 per cento degli iscritti. La notizia positiva è che invece sono in aumento nei primi sei mesi del 2018 le coperture vaccinali dei bambini in Italia rispetto ai dati al 31 dicembre 2017: in diversi casi è stata raggiunta e superata la soglia minima raccomandata dall’Oms pari al 95%. L’aumento è ancora più marcato nel caso della copertura per la prima dose di vaccino contro il morbillo, che arriva al 94,15%, con un +2,30%; sei le regioni che superano il 95% e altre tre vi si avvicinano.

Sull’ex pm di Etruria si spacca ancora il Csm

Quando c’è di mezzo il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, finito sotto procedimento al Csm perché per un periodo fu consulente del governo Renzi e pm dell’inchiesta su Banca Etruria, le divisioni dentro al Consiglio sono garantite.

Così è stato per la Quinta commissione che si è spaccata esattamente a metà sulla sua riconferma a capo dei pm aretini. Tre consiglieri hanno votato perché Rossi resti altri quattro anni , e altri tre consiglieri hanno votato contro la riconferma.

Il presidente della Quinta Gianluigi Morlini, di Unicost, (la corrente centrista a cui appartiene anche il procuratore), Antonio Lepre di Magistratura Indipendente (la corrente più conservatrice) e Mario Suriano, consigliere di Area (sinistra) hanno votato a favore del magistrato. Contro la riconferma di Rossi, invece, Piercamillo Davigo, di Autonomia e Indipendenza ( la sua corrente, trasversale) e i laici Fulvio Gigliotti, M5S ed Emanuele Basile, Lega.

I relatori delle due mozioni, Morlini e Davigo devono scrivere le motivazioni delle proposte che andranno in plenum per il voto finale, in attesa, a grandi linee, si può dire che chi ha votato contro il rinnovo dell’incarico ha tenuto conto del comportamento, ritenuto evidentemente inopportuno, del procuratore che per un periodo era contemporaneamente pm dell’inchiesta su Banca Etruria, con Pierluigi Boschi nel Cda, e consulente di Palazzo Chigi, con Maria Elena Boschi al governo, all’insaputa del Csm. Sulla valutazione negativa di Rossi come procuratore, per Davigo, Gigliotti e Basile, avrà pesato anche quanto detto da Rossi , nel 2016, al Csm su cosa poteva fare banca Etruria privata, per esempio, ma anche quanto non detto, che aveva già indagato su Boschi senior. I consiglieri della Prima proposero un’archiviazione e non il trasferimento per incompatibilità ambientale ma chiesero una valutazione disciplinare all’ex Pg della Cassazione Pasquale Ciccolo, finita anche quella con un’archiviazione.

Morlini, Lepre e Suriano, invece, ritengono che quella vicenda, archiviata, non incida sulle buone capacità di Rossi procuratore, di cui magistrati e avvocati aretini parlano bene e che ha ricevuto pure un parere favorevole del Consiglio giudiziario.

Era il 21 luglio del 2016 quando il plenum del Csm votò l’archiviazione della pratica a carico di Rossi ma i relatori Morosini ( Area) e Balduzzi (laico di Scelta Civica) ritirarono la firma e si astennero, così come tutti i togati di Area perché, su proposta di Uncost, dalla relazione fu eliminata la proposta di inviare il fascicolo alla Commissione competente per le valutazioni professionali. Già quel Consiglio avrebbe dovuto votare sul rinnovo o meno di Rossi a procuratore, dato che i quattro anni sono scaduti nell’estate 2018 ma i consiglieri, divisi anche allora, e in scadenza a settembre, lasciano la pratica rovente ai loro successori. A ottobre il nuovo Plenum eredita un parere favorevole, relatore l’ex presidente della Quinta, Luca Palamara, anche lui di Unicost. Per Rossi sembrava cosa fatta, ma tra il 17 e il 24 ottobre sono stati votati due ritorni in Commissione a partire da un imput di laici di FI e Lega.

Ora il voto finito tre a tre in Commissione, ma se in plenum Area, che ha quattro consiglieri, voterà così come il suo componente della Quinta commissione, allora Rossi, per la legge dei numeri, resterà procuratore di Arezzo.

In Procura le chat segrete dell’amico di Tiziano R.

Carlo Russo, l’imprenditore amico di Tiziano Renzi, potrebbe non essere più un mistero per i magistrati capitolini. La Procura di Roma ora può accedere ai contenuti del suo cellulare. Quando ormai si pensava che quell’iPhone sarebbe rimasto sempre un’incognita, gli esperti di una società specializzata in Germania – alla quale era stato inviato – hanno risposto: sono riusciti ad “aprirlo”, anche senza il codice che l’imprenditore si è rifiutato di fornire quando sono arrivati i sequestri.

Un pezzo di vita passata di Russo, comprese tutte le chat (anche quelle eventualmente cancellate), adesso è in mano ai carabinieri del Nucleo Investigativo che stanno vagliando il materiale ricevuto. Nel frattempo però la posizione di Russo nell’inchiesta Consip è cambiata. Inizialmente era accusato di traffico di influenze con Tiziano Renzi. Per tutti e due, però, i pm hanno chiesto l’archiviazione. L’impostazione accusatoria è infatti cambiata: il solo Russo è ora indagato per millantato credito per essersi fatto promettere “da Romeo 100 mila euro, come prezzo della propria mediazione (oltre ad altre somme, promesse per singole operazioni)”.

In particolare, è scritto nel nuovo capo di imputazione, nei confronti dell’ex amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, “la mediazione – realizzata, nella prospettazione di Russo, anche per il tramite di Tiziano Renzi – doveva consistere nell’ottenere vantaggi nell’aggiudicazione a favore della Romeo Gestioni delle procedure pubbliche di Consip. A tal fine Romeo prometteva 5 mila euro ogni due mesi per Russo e 30 mila euro al mese asseritamente destinate a Renzi”. Il padre dell’ex premier, però, secondo i pm, era ignaro delle promesse fatte a suo nome a Romeo. I magistrati per Russo hanno chiesto il rinvio a giudizio e sarà il gip, il 28 maggio, a decidere se condividere la loro impostazione. Durante le indagini però quello di Russo è rimasto un mondo inesplorato dagli investigatori: l’imprenditore non si è mai fatto interrogare e si è guardato bene dal fornire i codici di accesso ai suoi cellulari.

La Procura, così, con la consulenza dell’ingegner Sergio Civino, ha consegnato gli apparecchi a un’azienda in Germania. Di un suo iPhone 7 sequestrato Russo parla in una conversazione captata il 21 marzo 2017 da una cimice installata sulla sua auto: “Russo – scrivono i carabinieri – auspica che, nel corso dell’accertamento tecnico sull’iPhone 7 a lui sequestrato, gli inquirenti utilizzino un software da lui definito non autorizzato, in modo tale da poter contestare l’attività eseguita e, di conseguenza, rendere inutilizzabili i contenuti estratti”.

“Carlo – continuano i carabinieri – dice che non farà la richiesta e non solleciterà la restituzione dei telefoni in quanto non vogliono far capire agli investigatori che loro non sono interessati a partecipare agli accertamenti irripetibili. (…) Carlo dice che l’avvocato non sta facendo richiesta di restituzione dei telefoni nella speranza che facciano le operazioni non ripetibili sui cellulari dimenticando di darne notizia a loro in modo che sia tutto inutilizzabile anche se è un’ipotesi molto remota. Dice che più probabilmente stanno prendendo tempo in attesa che esca il jailbreak (software di sblocco) per l’iPhone 7. Carlo dice che il jailbreak non è certificato e il suo tecnico lo potrà contestare”. Alla fine i tecnici tedeschi sono riusciti a mettere il naso nel suo cellulare. Chissà se e quali segreti custodisce.

“Basta col ricatto sui prezzi dalle case farmaceutiche”

“Lo Stato spende circa 22 miliardi di euro l’anno per i farmaci”. Ma quanto paghiamo per un determinato medicinale noi cittadini non possiamo saperlo. Solo l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, lo sa ma non può rivelarlo. Eppure sono soldi nostri. Lo stesso vale nel resto del mondo. Per garantire un mercato più competitivo il ministero della Salute, su impulso di Aifa, ha inviato all’Oms una proposta di risoluzione sulla trasparenza del prezzo dei farmaci: sarà discussa a Ginevra alla prossima assemblea (dal 20 al 28 maggio). Il direttore generale dell’Aifa, Luca Li Bassi, spiega: “Riferiamo il prezzo pattuito con le aziende farmaceutiche solo al ministro della Salute e nessuno può rivelarlo”.

Perché prezzi segreti?

Le industrie inseriscono nel contratto delle clausole di riservatezza in cambio degli sconti. Se non accetti, ti fanno un prezzo più alto.

In pratica vi ricattano?

Sì. Una cosa inaccettabile, perché noi siamo un’istituzione pubblica che usa risorse pubbliche e i cittadini devono sapere come vengono spesi i loro soldi. Non sappiamo quanto Francia, Germania e qualsiasi altro paese spenda per lo stesso farmaco.

E quindi?

Facciamo trattative alla cieca. Nel dossier che ci presenta l’azienda devono comparire i prezzi di listino all’estero. Ma questi sono fasulli perché non tengono conto degli sconti nascosti. Due settimane fa alla riunione dei capi delle agenzie regolatorie europee c’era il solito imbarazzo. “Scommetto che anche tu spendi…”, ci dicevamo, ma la risposta era un sorriso amaro e assoluta reticenza.

Cambiare le regole?

Abbiamo incominciato a negoziare anche sulla trasparenza del prezzo: dirlo a chi ce lo chiede anche se non possiamo pubblicarlo in Gazzetta ufficiale.

Di quanti farmaci stiamo parlando?

Almeno 1800 medicinali, pari al 57% di tutti quelli ospedalieri (fascia H) e in distribuzione in farmacia (A-pht). Senza trasparenza non può esserci vera concorrenza. Non possiamo confrontarci con gli altri Stati.

Oggi si spende troppo?

Sì. Un trattamento contro il cancro costa anche più di 200 mila euro per paziente. Oltre a un database europeo in cui condividere i prezzi sui farmaci, chiediamo all’Oms di inserire tra i requisiti per la registrazione della molecola i costi sostenuti per ricerca e sviluppo.

Quello che Big pharma non ama dire è che anche il pubblico partecipa alla ricerca.

Esatto! Un esempio su tutti è l’Istituto nazionale di sanità degli Usa che emette tantissimi bandi per finanziare le sperimentazioni.

Un’altra richiesta dell’Italia è la pubblicazione di tutti i risultati degli studi clinici.

Le industrie selezionano gli esiti dei test, tacciono alcuni effetti avversi, e noi non abbiamo gli strumenti per stabilire l’effettivo valore terapeutico aggiunto di quel farmaco.

Non ci sono leggi europee sulla trasparenza?

Eccome. La prima risale al 1988 ma come tutte quelle successive resta disattesa. Siamo di fronte a un’asimmetria informativa che tutti i governi, anche il presidente Donald Trump, vogliono risolvere. Quando ero responsabile del fondo mondiale per la lotta ad Aids, Tbc e malaria nel 2005 ho creato un database su cui i governi che beneficiano del fondo devono pubblicare il prezzo di acquisto. È anche grazie a questo che il costo per una terapia annuale anti-Hiv in Africa è passato da 12 mila dollari a 80.

Del Debbio e la grande rivoluzione pane e salame

La grande rivoluzione di Rete4 affidata al generale Gerardo Greco e al granduca Nicola Porro difficilmente passerà alla storia. Pochi mesi dopo il generale ha dovuto battere in ritirata, Porro resiste confinato nella sua corte. Così il giovedì sera, il ground zero del palinsesto, è tornato Paolo Del Debbio con Dritto e Rovescio, un programma rinnovato nella concezione ma nella sostanza assai simile al precedente Quinta colonna. Molti associano Del Debbio alla lezione di Funari, lo accusano di eccessi di populismo (da cui il provvisorio allontanamento nella “rivoluzionaria” Rete4). In realtà è il contrario di Bonolis; a differenza di quest’ultimo, ama mostrarsi semplice, quasi naïf, Dio ci liberi dal senso della vita quando c’è da capire il senso del Tav; ma sotto quella semplicità covano cultura e preparazione. L’idea di Dritto e Rovescio porta alle estreme conseguenze la sua tele-visione: potatura degli opinionisti, tutto il potere al pubblico, composto da interlocutori coerenti ai temi in scaletta; modica quantità di politici, esclusa un’ora e passa di Matteo Salvini. Niente di straordinario in apparenza (a parte il Salvini di default), ma un clima temperato, amabile, di campagna e di paese, agli antipodi dai nervi tesi, le rughe gonfie e i ferri corti della concorrenza. La forza di Del Debbio sta nel restare al di qua dal braccio di mare che separa il popolare dal populismo; la sua forza non è nel suo essere pane e salame; è che il pane e salame gli piace davvero.

Mail Box

 

Il “no” al Tav vuole evitare lo spreco di soldi pubblici

Se i Confindustrioti del Nord ritengono in unanime sintonia che Tav e tunnel del Moncenisio siano così importanti, anzi fondamentali, per i loro destini e per movimentare le loro merci (quali?) verso Lisbona o verso Kiev, perchè invece di continuare a investire gli utili in finanza lasciando vuoti i capannoni della pianura padana (forse in attesa di trasformarsi in poli della logistica…) non li mettono nel progetto? Se sono convinti che la Lione – Torino sia strategica e vincente entrino in società e facciano la loro parte. Se invece non sono altro che famelici inghiottitori di profitti derivati da pubblici investimenti (che arrivano cioè dalle nostre tasse), parassiti senza idee progettuali e imprenditoriali di futuro, allora la smettano di strillare nervosamente e rumorosamente cercando di fare indebite pressioni. Perchè chi, con consapevolezza e disinteresse si oppone alla grande inutile opera, chiede che il governo eviti di scialacquare i denari della collettività in una impresa che si sa già si dimostrerà fallimentare, come le altre analoghe tratte europee e come il tanto magnificato Eurotunnel.

Melquiades

 

L’ipocrisia della dedica a Greta Thunberg

Carlin Petrini ritiene positivo il fatto che Zingaretti abbia dedicato la sua vittoria a Greta Thunberg, la sedicenne svedese che ha chiesto al parlamento del suo paese e a quello europeo, e in generale ai grandi della Terra, di fare qualcosa contro il cambiamento climatico. Ma è proprio l’essersi precipitato a Torino per sostenere il Tav che contraddice la sincerità di quella dedica: onestamente mi è sembrato un atto di grande ipocrisia. Checche’ ne dicano i sostenitori del Tav, l’aspetto positivo che avrebbe l’opera sull’ambiente, grazie allo spostamento delle merci dalla strada alla ferrovia, è meno che trascurabile, anche perché per diverse ragioni non escluderebbe del tutto quello su gomma, anche solo per raggiungere la ferrovia, in zone molto vicine all’abitato dove si concentrerebbe l’inquinamento. Rapporto costi benefici a parte, studi sull’impatto ambientale dimostrano invece che gli scavi e i lavori decennali avrebbero conseguenze molto dannose per l’ambiente, per questo i Verdi nel parlamento europeo non sono per niente favorevoli a quell’opera. Petrini ammette che il Pd non trova un grande consenso presso i giovani, dice di non averne visti molti ai gazebo, e che proprio i temi ambientali potrebbero riportare il partito a intercettare le nuove generazioni. Il sì al Tav del nuovo segretario dimostra quanto questo auspicio sia remoto, perché gli interessi politico-affaristici, che fanno apparire il Pd (dentro e fuori dal parlamento) molto vicino a FI e alla Lega, hanno messo sempre in secondo piano la difesa dell’ambiente. Personalmente ritengo che (specialmente finché in quel partito avranno voce in capitolo gli “Etruschi”) siano questo genere di motivazioni alla base della mancanza di dialogo con il M5S, non gli insulti di cui parla il fondatore di Slow food. Fra l’altro da Petrini mi sarei aspettata una posizione meno ambigua, di quella che appare nell’intervista, sul Tav.

Enza Ferro

 

 

Diritto di replica

Nell’articolo di sabato scorso “Tav ecco la Banda del Buco: aziende fallite e tangentari” a firma di Barbacetto e Giambartolomei, viene richiamata in modo incompleto una vecchia storia del settembre 2012, già oggetto nel 2015 di articoli proprio da parte del vostro stesso giornale. Oggi, così come allora, intendo precisare che nessun trattamento di favore è stato concesso al Sig. Lazzaro; ho conosciuto il Sig. Lazzaro, vittima di intimidazioni e di atti di sabotaggio nel 2012 in diverse iniziative pubbliche di solidarietà e sostegno ai diversi imprenditori danneggiati dalle pratiche violente contro il cantiere. Ho ricevuto successivamente, nella mia funzione di “allora” Direttore della Provincia di Torino, una sua segnalazione in merito a una pratica di volturazione della autorizzazione di cava, trasmessa alla Provincia a seguito del fallimento della sua Azienda e motivata da una successiva richiesta di altra società di affitto del ramo d’impresa.

Come faccio abitualmente, e come è prassi nel caso di segnalazioni, ho chiesto che lo stesso mi trasmettesse per iscritto (via mail) i riferimenti della pratica e del funzionario che l’aveva in carico per poter verificare con lo stesso tale segnalazione. Avuto tale riferimento ho informato il Dirigente e verificato con il funzionario che quanto richiesto dal Sig. Lazzaro non era ammissibile. La sua istanza naturalmente è stata respinta.

Vorrei che fosse inoltre precisato che l’intercettazione dei Ros dei Carabinieri, che è stata “rinvenuta” in più di mille pagine di verbalizzazioni, è stata considerata da parte degli inquirenti priva di alcuna rilevanza giudiziaria e che pertanto nessuna comunicazione, notizia o contestazione mi è mai pervenuta in merito.

Paolo Foietta

 

Prendiamo atto delle precisazioni a un articolo che ricordava una vicenda complessa, riportata in estrema sintesi, ma correttamente. Lazzaro chiese a Foietta un aiuto che, ci scrive Foietta, non venne fornito. Nell’articolo non si dice certo il contrario. Sappiamo bene, infatti, che Foietta non è mai stato indagato per questi episodi.

G.B. e A.G.