Atmosfera strana quest’anno a Ginevra. L’evento che avrebbe dovuto sancire la svolta definitiva dell’elettrificazione, pare invece ne subisca il peso e la sopporti a malapena, nonostante i sorrisi di circostanza dei top manager accorsi a rilasciare dichiarazioni baldanzose. Il perché non è difficile da capire: i soldi spesi finora (e quelli che lo saranno in futuro) sono certi, i guadagni no. Gli investimenti sulla tecnologia delle batterie incidono profondamente sui bilanci dei costruttori, a fronte di utili tutti da verificare, visto che come ha ricordato lo stesso numero uno di Fca Mike Manley “le auto a emissioni zero oggi valgono circa il 2% del mercato europeo”, anche se le previsioni le accreditano per un 30% nel 2025.
Bisogna comunque prepararsi per tempo, anche se questo ribalta la prospettiva tradizionale con cui si approccia il business: l’offerta non soddisfa più una domanda certa ma potenziale, visto che è tutto da dimostrare il fatto che i consumatori comincino a comprare auto a batteria. Lo stesso Manley si è detto incerto riguardo alla loro effettiva volontà. Si tratta dunque di un salto nel buio, sia concettuale che pratico, da cui ci sarebbe molto da perdere. Ma che stanno facendo tutti, perché lo impongono i limiti sempre più stringenti sulle emissioni, il cui primo step è fissato al 2021: 95 grammi di anidride carbonica per chilometro, di media. “Se non li rispetti ci sono le multe, da centinaia di milioni di euro. Il primo anno magari le paghi, ma poi? Non si può continuare all’infinito, ecco perché abbiamo dovuto per forza virare sull’elettrico”, la sincerità del numero uno del marchio Peugeot Jean Philippe Imparato suona quasi come rassegnazione.
Viceversa l’impatto non sarebbe certo da poco, visto che una recente studio di Pa Consulting ha quantificato in poco meno di 4 miliardi di euro gli addebiti ai costruttori meno virtuosi. Anche qui bisognerebbe chiedersi perché il legislatore europeo, dopo essere andato per lustri a braccetto con l’industria dell’auto, sia improvvisamente diventato così severo nei suoi confronti. E magari non azzardare pensando che la risposta si chiami Dieselgate, nel senso più estensivo del termine (ovvero tutti quelli che hanno fatto i furbi coi motori a gasolio, non solo il gruppo Vw): una roba devastante che ha minato qualsiasi tipo di fiducia tra istituzioni e industria, condannando alla progressiva estinzione una tecnologia, quella del diesel, che allo stato dell’arte (leggi i nuovi Euro 6 D-Temp) rappresenta ancora una valida soluzione contro l’inquinamento. In questo contesto, sono diventate fondamentali le alleanze. Condividere costi, architetture e tecnologie è una condizione imprescindibile per sopravvivere. La potente associazione dei costruttori tedeschi (Vda) ha appena annunciato che la Germania investirà qualcosa come 58 miliardi di euro in elettrificazione (40 miliardi), guida autonoma e connettività (18 miliardi). Con marchi come Bmw e Mercedes che una volta erano come cane e gatto mentre ora si ritrovano insieme su progetti di car sharing (ShareNow) e dal 2025 potrebbero produrre vetture compatte su una piattaforma comune. Un esempio, come se ne potrebbero fare molti altri, che ben fotografa la situazione attuale. E se la Germania si organizza, Italia e Francia hanno provato a rispondere proprio a Ginevra. In maniera abbastanza inaspettata Fca e forse più attesa Psa. L’azienda italo-americana ha dimostrato come in fondo le parole di Marchionne di circa un anno fa (“Abbiamo la tecnologia elettrica, aspettiamo il momento giusto per tirarla fuori”) non fossero del tutto peregrine: Alfa Romeo Tonale, Fiat Centoventi e le versioni ibride di Jeep Renegade e Compass ne sono testimoni. Così come la scena rubata alla più grande kermesse europea, cosa che non succedeva da (troppo) tempo. Si diceva poi di Psa: la nuova 208 segna uno spartiacque: verrà offerta in contemporanea in versione tradizionale ed elettrica. Citycar che vediamo sulle strade di tutti i giorni che cambiano pelle: il grimaldello della mobilità a elettroni potrebbe essere proprio questo.