“Jellyfish”, l’orto galleggiante per resistere all’apocalisse

Un giorno, se le terre emerse saranno oasi nel mare, l’orto sulla zattera sarà comune come l’automobile. Per ora, Jellyfish barge, la serra galleggiante nata a Sesto Fiorentino nel 2014, è attraccata alla darsena di Pisa, ma è sbarcata anche alla Triennale di Milano nel 2018. L’orto promette di sfamare una famiglia intera, senza consumare suolo. Le previsioni climatiche del resto non sono incoraggianti: Venezia potrebbe essere sommersa tra 80 anni, secondo l’Istituto di ricerca Enea. Intanto cresce la popolazione globale. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite bisognerà sfamare quasi dieci miliardi di persone, entro il 2050.

Quando la terra coltivabile scarseggerà, produrre ortaggi su una zattera potrebbe valere la sopravvivenza. Ne sono convinti al Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (Linv), dove lavorano gli inventori di Jellyfish: 6 ricercatori (esperti di botanica, agronomia e design) coordinati dal professor Stefano Mancuso. Il seme, a dire il vero, viene piantato nel 2009 dagli architetti Antonio Girardi e Cristiana Favretto. Immaginano una piattaforma galleggiante in grado di trasformare acqua salata in acqua dolce. Stefano Mancuso e il suo team di neurobiologi offrono la soluzione. Così, nel 2015 viene lanciata la start-up Pnat ( si pronuncia Pi-nat come le noccioline), grazie gli investimenti della Regione Toscana e dell’Università di Firenze. Al concorso internazionale Ideas for change Award, bandito dalle Nazioni Unite per premiare le idee più innovative, la serra galleggiante è tra i cinque finalisti.

La struttura, di 80 metri quadrati, è semplice: una cupola di vetro sale dal pavimento in legno (a forma di ottagono), posato su una base galleggiante in plastica riciclata. Jellyfish produce fino a 150 litri di acqua e 800 piante in un mese, con la tecnica idroponica. L’acqua del mare viene distillata sfruttando l’energia solare. L’elettricità arriva sia dal sole che dal vento. Le piante crescono meglio, immuni dai parassiti e dagli inquinanti nei terreni.

L’idea ecologica piace. Jellyfish ha ormeggiato sui Navigli milanesi per l’Expo e nel 2016 ha gettato l’ancora a Stoccarda, in una mostra sulla riqualificazione degli spazi urbani. In attesa del disastro climatico, e che il mondo si trasformi in un romanzo cyberpunk, la serra galleggiante può servire pure al business. Alla porta di Pnat hanno bussato i proprietari di lussuosi resort nelle isole del Pacifico: colpiti dal design, volevano arricchire l’offerta per turisti facoltosi. Anche i ristoratori sono interessati, per coltivare a chilometro zero prodotti bio.

Il costo della serra galleggiante si aggira sui 20mila euro. Ma il valore di Jellyfish è il contributo all’ambiente. La “zattera medusa” infatti ripulisce le acque dagli agenti inquinanti. In più, il cibo prodotto lontano dalla terra è pulito e senza pesticidi. L’hanno capito a Noli, provincia di Genova, dove hanno posato una serra sul fondo del mare per coltivare basilico e lattuga. Si chiama l’Orto di Nemo, un’idea di Sergio e Luca Gamberini (padre e figlio) sbarcata nel 2013 in Arabia Saudita, dove la sabbia non lascia spazio all’agricoltura. Quando in Italia mancherà la terra sotto i piedi, almeno, potremo scegliere se coltivare su una zattera o sott’acqua.

Così il clima impazzito cambierà le nostre vite (a breve)

Dimenticate per un attimo il solito immaginario: ghiacci polari che si sciolgono, orsi bianchi che finiscono in acqua. Pensate invece, se ce l’avete, alla vostra casa al mare, magari acquistata proprio perché stava a due passi dalla riva. In pochi decenni, potrebbe drasticamente svalutarsi, se è vero – come mostrano le proiezioni dell’Enea che Il Fatto ha riportato lo scorso lunedì – che il mare lungo le coste italiane rischia di innalzarsi entro 80 anni, senza interventi, di circa un metro.

Della possibile bolla immobiliare che starebbe per crearsi a causa del cambiamento climatico negli Stati Uniti si parla già da qualche anno. Agli agenti immobiliari, scrive il New York Times, ora si chiede non quanto la casa sia vicina al mare, ma quanto sia al riparo dalle mareggiate. Già oggi, secondo uno studio dei ricercatori dell’Università del Colorado, le proprietà esposte alle inondazioni hanno un valore inferiore del 7% rispetto a quelle più protette. Valore destinato a scendere. E l’impatto economico potrebbe essere persino peggiore della crisi immobiliare del 2008, perché i prezzi delle case a bordo mare – ma anche di seminterrati o piani terra a rischio allagamento – non torneranno più a salire. Ma altri importanti settori delle nostre esistenze rischiano cambiamenti repentini. Li sta mettendo nero su bianco un documento del ministero dell’Ambiente (consultabile sul sito): il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc), che nasce da un processo di dialogo multisettoriale ed è coordinato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici. 400 pagine per supportare le istituzioni nazionali, regionali e locali nella scelta delle azioni più efficaci di contrasto e adattamento al cambiamento climatico.

Ecco chi consulta il climatologo

Prima di indicare le soluzioni, però, il Piano indica l’impatto sui vari settori ambientali e umani e indica un arco temporale: 30 anni. “Dalla variazione della frequenza delle alluvioni agli effetti sulla salute, dalle conseguenze economiche a quelle sui beni culturali: il cambiamento climatico è un problema multidisciplinare, non a caso nel mio gruppo di lavoro ci sono ingegneri e architetti”. A parlare è Paola Mercogliano, fisica e climatologa, responsabile del laboratorio di meteorologia del Centro Italiano Ricerche Aerospaziali e responsabile della Divisione del Cmcc che si occupa di studiare le conseguenze quantitative e qualitative del mutamento climatico che, spiega, “è già in atto da tempo”. “Oggi io mi confronto con medici, economisti, agricoltori. Noi forniamo dati anche a chi fa valutazioni finanziarie e alle assicurazioni. Ma facciamo anche formazione alle guardie forestali, così come consulenza alle aziende: per una ditta che produce vestiti sapere come sarà il clima è fondamentale per fare le nuove collezioni”.

Meno farfalle e più specie aliene

È interessante, anche se preoccupante, scoprire che l’acqua nel prossimo futuro potrebbe ridursi non solo in quantità ma anche in qualità, anche se il problema fondamentale è sicuramente quello della siccità, specie al centro-sud. “Se, come riportano i dati prodotti da previsioni e simulazioni del clima, in alcune zone pioverà di più in inverno e molto meno nei mesi caldi, bisognerà capire come gestire l’acqua”, spiega Mercogliano. Sarà più frequente incontrare fiumi secchi, e laghi asciutti, con grave perdita di biodiversità. E pazienza se non vedremo più farfalle (molte popolazioni animali potrebbero sparire), il problema è un possibile aumento di “specie vettrici di agenti patogeni, con invasioni di nuove specie aliene”.

Il tedesco? Trova il sole a casa sua

Il principale effetto sull’agricoltura è quello di una riduzione della resa (ad esempio di mais, girasole e soia, ma anche vite e olivo potrebbero sparire dal sud Italia). Pesanti le conseguenze fisiologiche sugli animali allevati, mentre potrebbero entrare in crisi sia la produzione di molluschi che la troticultura. Niente più pasta alle vongole non rappresenta magari un problema grave. Più importante è il possibile calo dei turisti stranieri in Italia, specie del nord Europa, che per trovare il clima caldo non dovranno far altro che restare a casa loro. Sempre più italiani, invece, rimarranno in Italia, ma il saldo finale sarà negativo, anche perché le nostre montagne perderanno l’attrazione dello scii. “La neve artificiale a lungo termine non va bene, perché costa e ha bisogno di acqua ed energia”, spiega Andrea Bigano, ricercatore senior del Cmcc. “Certo, magari si andrà in montagna più spesso in estate, per fare escursioni o per visitare i borghi, invece che sciare, e al mare sempre più in autunno e in primavera, ma questo vuol dire che il calendario delle vacanze dovrà mutare. Probabilmente continueremo ad avere turisti stranieri nelle città d’arte (meno d’estate), ma, per scongiurare le conseguenze delle ondate di calore sarebbe utile predisporre servizi di allerta meteo per eventi estremi in più lingue”.

Quanto è vecchio il dibattito sul Tav

Capitolo trasporti: se è vero che la diminuzione delle nevicate è un bene, il surriscaldamento degrada l’asfalto, e rischia di dilatare persino le strade ferrate, con aumento dei rischi di deragliamento. “Quando oggi si costruisce un ponte, ma anche un aeroporto, è fondamentale tenere conto del fatto che dovrà resistere a piogge diverse rispetto a quelle attuali”, spiega Mercogliano. Un altro capitolo riguarda poi il pericolo di danneggiamento di industrie pericolose, con fuoriuscita di sostanze, a causa di fulmini, alluvioni e frane. Da considerare anche i possibili guasti alle infrastrutture energetiche provocati da alberi caduti, tempeste e vento, con possibili black out di energia. “Il picco delle richieste energetiche – continua Andrea Bigano – si sta spostando in estate, quando è più difficile raffreddare gli impianti e gli invasi hanno meno acqua. Inoltre il settore energetico produce emissioni di gas serra, ma è vittima esso stesso degli impatti del cambiamento climatico. Le possibilità di adattamento dipenderanno da come decideremo di ridurre le emissioni”.

Salute, aumenteranno le disuguaglianze

Il Piano spiega pure gli effetti sulla salute. Anziani, bambini e malati cronici saranno più a rischio. Minori precipitazioni e alterazioni del vento possono inoltre provocare un aumento di pollini e muffe, mentre l’ozono e gli inquinanti urbani aumenteranno le crisi allergiche. Cresce anche il rischio di nuove infezioni, a causa di insetti vettori di malattie di paesi tropicali, ma anche le malattie legate alla qualità degli alimenti, perché il caldo favorisce i batteri del cibo. “Su questo fronte – spiega Mercogliano – dobbiamo mettere in atto azioni per salvaguardare le fasce deboli o il cambiamento climatico finirà per aumentare le diseguaglianze sociali”. Ma ad ammalarsi di più non saranno solo le persone, ma anche gli edifici, in particolare quelli storici, come chiese e monumenti, a causa delle precipitazioni intense e dello stress termico.

Infine, una menzione al sistema assicurativo: per gli eventi estremi, le attività economiche e le relative infrastrutture saranno sempre più assicurate. Il costo delle polizze aumenterà e le assicurazioni avranno sempre più bisogno di previsioni esatte. “Nonostante i premi alti, infatti, le assicurazioni devono sborsare cifre alte per riassicurarsi a loro volta, visto che – secondo l’Università di Berkeley – i danni da cambiamento climatico ammontano nel 2017 allo 0,25% del Pil mondiale, circa 190 miliardi di dollari, tra i 4 e i 6 per l’Italia,”, dice il professor Carlo Carraro, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e membro del comitato strategico del Cmcc. Ma come lo stesso Carraro precisa, gli interventi di contrasto e adattamento al cambiamento climatico sono tantissimi, dalle “micro” azioni – sostituire le vecchie lampadine con quelle a Led soprattutto nel pubblico – agli strumenti crescenti offerti dalla cosiddetta finanza climatica. Ma prima è fondamentale visualizzare come cambieranno le nostre vite. Sicuramente in peggio, ad esempio, per gli aviofobici, visto che tra le conseguenze del cambiamento climatico c’è un aumento delle turbolenze in quota: l’aumento delle temperature può significare anche, chi l’avrebbe detto, un carrello di bibite rovesciato nell’aereo. Intanto, venerdì 15 marzo, gli studenti di tutto il mondo scenderanno in piazza per lo sciopero globale contro il clima. Loro, tra trent’anni, saranno vivi e vegeti. E pazienza per la casa al mare dei genitori svalutata: pretendono almeno di poter respirare.

6 minuti di volo, poi lo schianto al suolo. Tragedia in Etiopia: 157 morti, 8 italiani

Solo sei minuti in volo, poi lo schianto. Sono 157 le vittime del volo Ethiopian Airlines, un Boeing 737 precipitato ieri dopo esser partito da Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, diretto verso Nairobi in Kenya. A bordo c’erano kenyoti, cinesi, statunitensi, francesi, britannici, indiani. Persone di 32 nazionalità, dicui otto italiani. Tra questi, l’assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia Sebastiano Tusa, archeologo di fama internazionale, che era diretto a Malindi per una conferenza dell’Unesco. E poi Virginia Chimenti, Maria Pilar Buzzetti e Rosemary Mumbi, impegnate con il World Food Programme; il presidente della Ong Cisp e rete LinK 2007 Paolo Dieci; tre volontari della Ong Africa Tremila, Carlo Spini, sua moglie Gabriella Vigiani e il tesoriere Matteo Ravasio.

Sul disastro stanno indagando investigatori etiopi e statunitensi. La Ethiopian Airlines ha precisato che è “troppo presto per fare speculazioni sulle cause dell’incidente” e che “ulteriori indagini saranno condotte” in “collaborazione con le parti coinvolte, tra cui il produttore Boeing, l’autorità civile per l’aviazione etiope e altri enti internazionali”. La compagnia di Stato etiope intanto ha fornito una prima ricostruzione dei fatti: il Boeing 737-800 Max è decollato alle 8.38 (le 6.38 italiane) da Addis Abeba, con destinazione Nairobi, e dopo sei minuti ha “perso contatto”. L’arrivo sarebbe stato previsto alle 10.25 locali (8.25 italiane), ma il velivolo è precipitato vicino al villaggio di Tulu Fara, una sessantina di chilometri da Addis Abeba. In volo qualcosa da subito è andato storto: i radar hanno evidenziato una “velocità verticale instabile” e il comandante ha contattato terra ottenendo l’autorizzazione al rientro d’emergenza.

Il Boeing 737-800 Max è lo stesso tipo di quello dell’indonesiana Lion Air precipitato nell’ottobre scorso. Anche in quel caso lo schianto arrivò poco dopo il decollo: a 13 minuti dalla partenza da Giacarta. Le vittime furono 189, tra cui l’ex ciclista italiano Andrea Manfredi. Le cause dell’incidente ancora non sono state accertate, ma si tratta di due casi con dinamiche simili.

Quanto basta per alzare il livello di allarme sull’ultimo gioiello della casa costruttrice statunitense di aeromobili. Nel valutare le cause del disastro di ottobre scorso, diversi esperti della comunità aeronautica hanno messo in dubbio la mancanza di informazioni da parte delle compagnie e dei piloti sul nuovo sistema per evitare lo stallo del velivolo. Emersero domande su un possibile difetto delle sonde che regolano la velocità e sulla durata, considerata dagli esperti troppo limitata, dell’addestramento dei piloti per il nuovo modello. Il 737 Max viene consegnato da ormai due anni ed è destinato a coprire voli di breve e medio raggio. Molte compagnie (in particolare le asiatiche) hanno cominciato a ordinare il nuovo aereo, e così nel 2019 la Boeing ha deciso di aumentare la produzione passando da 52 a 57 unità in un mese. La sua principale caratteristica è l’efficienza del motore in termini di risparmio energetico: 20% in meno di consumo di carburante rispetto alle versioni precedenti, risalenti agli anni ‘90.

Salvini rassegnato all’accordo con la Cina

L’intesa con la Cina sulla Via della Seta che Giuseppe Conte è pronto a firmare a fine marzo, durante la visita del presidente Xi Jinping, è ormai accettata anche dalla Lega. Dopo le critiche arrivate dagli Usa, ieri Luigi Di Maio spiegato: “Comprendiamo i timori, ma riguarda il nostro Export, non è un accordo politico”. Più cauto Salvini: “Basta che venga tutelato l’interesse nazionale sulle telecomunicazioni e i dati sensibili”. Riferimento alle accuse di spionaggio a Huawei, a cui l’Italia non ha chiuso le porte.

Zingaretti: “Voglio una nuova sede per il Pd”

Uno dei primiatti di Nicola Zingaretti da segretario del Pd sarà simbolico: “Voglio costruire una forma di partito radicalmente diversa. Penso a grandi forum tematici aperti anche chi non è iscritto e vorrei cambiare la sede nazionale del partito da via del Nazareno”, ha detto ieri sera ospite di Fabio Fazio. La sede – grande e costosa, scelta anni fa – era diventata il simbolo del patto tra Renzi e B. Anche su un tema più di sostanza, il nuovo segretario dem rompe col passato: “Basta presunzione, servono alleanze”

Vaccini, oggi scade l’autocertificazione

Occhi puntati sulle scuole di tutta Italia: oggi infatti scade i termine dell’autocertificazione sui vaccini previsto dalla legge. “Per gli asili nido, senza certificato i bimbi non potranno entrare. Per le altre scuole applicheremo le norme, che prevedono solo sanzioni pecuniarie”, avvisa l’Associazione nazionale dei presidi. Allarme lanciato dopo che Matteo Salvini ha chiesto senza successo al ministro della Salute Giulia Grillo un decreto per consentire l’ingresso in ogni caso nelle scuole dell’infanzia

Milano, arabi alla Scala: scontro Fontana-Sala

Continua lo scontro politico sulla possibilità che l’Arabia Saudita entri nel cda del teatro alla Scala investendo 15 milion. “Al gioco del ‘io non c’ero e se c’ero dormivo’, si iscrive anche il governatore Attilio Fontana”, ha attaccato ieri il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che della Scala è presidente, ma nel cda sede anche un rappresentante della Regione: “O non l’hanno informata o fa il furbo”. “È il sindaco che prova a fare una furbata”, ha replicato Fontana, che al Corsera ha detto di “non sapere nulla” della trattativa.

Di Maio zitto, la Lega insiste: “Non è Conte a decidere il No”

È il giorno della tregua gialloverde. Solo che ognuno la interpreta un po’ a modo suo. Luigi Di Maio, per dire, pur di non rompere la momentanea pace siglata sul Tav decide di non rispondere alle domande. E al villaggio Rousseau in corso a Milano preferisce circondarsi di transenne e bodyguard, prima di concedere un paio di frasi a mezza bocca, in cui bolla come “folclore” la discussione su “chi ha vinto e chi ha perso”, perché “non è una partita di calcio”.

Un paio di chilometri più in là, alla scuola di formazione della Lega, Matteo Salvini ci tiene comunque a chiarire in quale metà del campo gioca: “Ho commentato al telefono con Telt il contenuto della lettera”, fa sapere, come a dire che la Lega non ha intenzione di interrompere i rapporti con la società italo-francese che oggi lancerà gli inviti a presentare manifestazioni di interesse per le gare. D’altronde, ha precisato poco prima su Raitre il sottosegretario del Carroccio Giancarlo Giorgetti, “per fermare definitivamente il Tav occorre un passaggio parlamentare: né Conte né il Consiglio dei ministri possono decidere sopra le Camere”. Tradotto, il problema non solo è rinviato, ma non sarà nemmeno di facile soluzione. Conte comunque si appresta a incontrare Macron per convincerlo a mollare. Nel frattempo, sia i 5Stelle sia la Lega si allenano per l’ennesima campagna elettorale alle porte. E danno lezioni di comunicazione ai rispettivi militanti e candidati, dall’uso della tv alla “politica dei selfie”. Salvini ci mette il buon esempio. Si dice “orgoglioso di aver mangiato due etti e mezzo di pizzoccheri che annegavano nel burro e negli spicchi d’aglio”. Poi consegna i diplomi agli alunni della Lega: immortalati, 4 alla volta, tutti e 500.

“Telt ha ceduto: sul Tav più tempo e a costo zero”

L’accordo dell’ultimo minuto ha evitato la crisi e ora il ministro più esposto assicura che sul Tav M5S e Lega troveranno un’intesa definitiva: “Faremo sintesi, non possiamo cadere per un buco che vogliono fare in una montagna”. E rivendica: “Se siamo arrivati al rinvio dei bandi, è anche grazie all’istruttoria che ho condotto in questi mesi”. Questo e altro sostiene il titolare dei Trasporti, Danilo Toninelli.

Luigi Di Maio ha parlato di “grande successo”. Ma l’intesa per il rinvio dei bandi con Telt, la società che gestisce la Torino-Lione, pare più che altro un’acrobazia semantica. Avete fatto quanto Telt vi suggeriva già mesi fa, in due lettere.

Quanto accaduto in queste ore è il frutto del lavoro di mesi. Io ricordo che le manifestazioni di interesse per il Tav dovevano partire già a metà settembre. E tra i tanti episodi cito una riunione del 3 dicembre scorso con la ministra dei Trasporti francese Borne, dopo una seduta del Consiglio europeo a Bruxelles. Erano le 2 del mattino, quando firmammo la lettera da inviare alla Telt, in cui spiegavamo che non si poteva partire con i lavori perché bisognava attendere l’esito dell’analisi costi benefici.

Però nella risposta a Giuseppe Conte di due giorni fa, la società italo-francese scrive “confermiamo”: cioè farà quanto aveva proposto a dicembre.

C’è una novità importante nell’ultima lettera di Telt, perché precisa che negli inviti alle imprese a presentare candidature verrà inserita la facoltà per la stazione appaltante, cioè per la stessa società, “di non dare seguito in ogni momento alla procedura, senza che ciò generi oneri per la stazione stessa né per i due Stati”, Italia e Francia. Quindi al nostro Paese non costerebbe nulla.

È la clausola di dissolvenza, già prevista dalla legislazione francese.

Ma nel testo c’è un passaggio in più, rilevante. Nella legge francese è previsto che l’interruzione della procedura debba essere motivata in base a ragioni o fatti di interesse pubblico generale. Invece in base a questa lettera lo stop all’iter non dovrà essere in alcun modo motivato.

Avete ottenuto solo un rinvio di qualche mese. E il Tav rimane un’ipotesi concreta, non crede?

Non ho mai nutrito alcun pregiudizio nei confronti dell’opera. Ma l’analisi costi-benefici ha dimostrato senza alcun dubbio che la Torino-Lione è stata una scelta sbagliata.

Magari potevate fare prima, no? Vi siete ridotti alla vigilia del Cda di Telt.

Non mi vengano a dire che ci abbiamo messo troppo per fare una valutazione seria. L’opera è stata ideata quasi trent’anni fa, e io sono arrivato nove mesi fa.

Ora dovrete trovare un’intesa con la Francia e con la Ue. Cosa volete ottenere?

Innanzitutto puntiamo a evitare che si sprechi denaro pubblico. Faremo un passo per volta, partendo dal dato che c’è una sproporzione evidente tra gli oneri previsti per la Francia e quelli per l’Italia.

L’accordo lo dovrà trovare innanzitutto il premier Conte, colui che vi ha tirato fuori dai guai all’ultimo momento utile.

Il Tav si basa su un trattato internazionale, quindi era ovvio che si passasse dal presidente del Consiglio, il quale ha svolto un lavoro prezioso.

Per bloccare l’opera serve un voto in Parlamento. E i voti necessari non li avrete mai.

Non sono preoccupato: troveremo una sintesi con la Lega, che ha accettato la nostra impostazione.

Il Carroccio vuole fare il Tav, e Salvini ha minacciato la crisi di governo, tanto che Di Maio lo ha accusato di “fare folclore”. La sintesi pare lontana, no?

Sono state dette cose sbagliate. E sarebbe opportuno che i governatori Zaia e Fontana parlassero di meno. Stanno mettendo a repentaglio un esecutivo: siano più responsabili.

Si era parlato di sue dimissioni. E tanti dicono che la Lega voglia il suo ministero. Lei quanto traballa?

Gestisco decine di dossier delicatissimi, non mi stupisce che qualcuno non mi voglia lì. Ma io sento il sostegno di tutto il Movimento, e l’ho avvertito anche nell’ultima assemblea congiunta. Non ho mai pensato di dimettermi.