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Immigrazione, il problema vero è l’integrazione

L’immigrazione in Italia non è più un’emergenza perché si sono arrestati i grandi flussi. C’è da affrontare il tema dell’integrazione sociale di quei tanti immigrati (oltre un milione e mezzo) che sono senza lavoro e residenza e che, insieme a 5 milioni di poveri italiani, sperano di non diventare “invisibili”. È necessario agire sulle cause del fenomeno migratorio e non solo sull’effetto finale (bloccare gli sbarchi) come hanno fatto Minniti e Salvini. Per tal motivo va sviluppata, in accordo coi 28 Paesi della Ce, una politica di accoglienza che includa la revisione del regolamento di Dublino (asilo dei migranti al primo Paese di sbarco) e preveda la divisione degli immigrati in maniera proporzionale alle capacità e al numero di abitanti di ogni singolo Stato. Andrebbe rivista la missione Sophia, le cui navi potrebbero pattugliare il Mediterraneo con l’aiuto delle ONG, proprio per escludere i presunti collegamenti di esse con i trafficanti. Il vero intervento epocale dovrebbe essere quello di restituire “l’Africa agli africani”, cioè la ricche nazioni del nord del mondo dovrebbero restituire le ricchezze espropriate negli anni (pozzi di petrolio, ricchezze minerarie, ecc.), altrimenti parlare di “aiutarli a casa loro” è solo un’ipocrisia. Sul fronte sociale lo Stato dovrebbe investire risorse nel recupero degli oltre 5 milioni di appartamenti abbandonati o mai ultimati, presenti su tutto il territorio nazionale, rilanciando così l’edilizia e dando case a italiani e immigrati. Si darebbe, così, dignità alle persone, perché non è giusto che vivano come topi (vedi alla voce: Baraccopoli di San Ferdinando o Cara di Mineo). Gli immigrati non costituiscono un pericolo, semmai lo sono gli italiani che li sfruttano nei campi per due euro all’ora. Certo, occorre una forte presenza dello Stato, che deve dare lavoro e colpire, al tempo stesso, qualunque forma di delinquenza (italiana e immigrata) si sviluppi. Gli immigrati sono anche una risorsa, contribuendo a un punto del PIL italiano e al fondo pensioni INPS, pertanto i governi hanno il dovere di lavorare per dare un futuro civile per loro come per gli italiani, considerando che le scelte nel medio termine avranno importanti ripercussioni sulle future generazioni e sui tanti uomini invisibili che popolano le nostre città.

Enrico Cillari

 

I politici dovrebbero pensare di più al bene dell’Italia

Di Maio non può perdere la faccia, Salvini non può perdere la faccia, e mentre i due galli del pollaio governativo litigano sul Tav, l’Italia va a rotoli. I politici attuali non hanno neppure una pallida idea di cosa voglia dire “governare per il bene del Paese”, pensano solo al proprio miserabile tornaconto elettorale, pesano ogni decisione sulla base dei sondaggi, guardano solo a un palmo dal naso anziché guardare ai prossimi anni, ai prossimi decenni. Aggrappati alla zattera del quotidiano barcamenarsi perdono la possibilità di salire sul transatlantico della Storia. Che pena vedere Conte, Di Maio e Salvini sulle poltrone che furono di Cavour, D’Azeglio, Ricasoli… Quelli hanno fatto l’Italia, questi la disfano!

Gianluigi De Marchi

 

Estorsione in un’impresa agricola

Penso che alcune critiche al reddito di cittadinanza, escludendo quelle strettamente politiche o basate su pregiudizi, nascano da una scarsa conoscenza del mondo del lavoro, dei profondi cambiamenti che lo hanno attraversato negli ultimi venticinque/trenta anni, della precarietà, o addirittura sporadicità che lo caratterizzano, della frammentazione in mille tipologie contrattuali. Il reddito di cittadinanza è una prima risposta (che andrà valutata e migliorata nel tempo) a un mutamento strutturale (non a una crisi episodica e temporanea), frutto anche di tante scelte politiche sbagliate del passato prossimo e remoto.

Antonio Maldera

 

Alta velocità, è indispensabile quantificare gli svantaggi

Riguardo il Tav, le critiche sono state mosse essenzialmente su due fronti: si dice innanzitutto che perderemmo i finanziamenti dell’Europa e, in secondo luogo, che perderemmo posti di lavoro. Vorrei rispondere a entrambi i punti: innanzitutto, è vero che potremmo dire addio ai finanziamenti europei, ma è vero anche che potremmo risparmiare le migliaia di miliardi di euro a carico dello Stato (cioè di tutti i cittadini) che servirebbero successivamente per ultimare l’opera. E allora, avreste il coraggio di dire ai parenti dei morti del ponte Morandi e di quelli periti sui cavalcavia in questi anni che le spese del Tav, anche a loro carico, sono prioritarie rispetto alla messa in sicurezza dei cavalcavia?? O ai terremotati dei vari sisma che anche loro contribuiscono al Tav, o agli alluvionati puntuali di ogni autunno che devono finanziare il Tav come opera prioritaria, prima di mettere in sicurezza il territorio? O agli avvelenati della terra dei fuochi o delle grotte carsiche usate come discariche che il Tav è prioritario e quindi in quelle zone si può continuare a morire?? O ai tarantini che anche con i loro soldi è più urgente fare il Tav piuttosto che rendere meno inquinante l’acciaieria???

Ma passando al secondo punto: i posti di lavoro persi per non fare il buco sono di gran lunga inferiori a quelli che si creerebbero nello spendere la stessa cifra a vantaggio dei cittadini in opere realmente urgenti. Questo è il motivo principale per cui il Tav va bocciato in quanto i costi finanziari sarebbero tutti sulle spalle dei cittadini, con l’aggiunta di costi sociali che comprometterebbero la loro sicurezza e la loro salute. E i benefici sarebbero solo per i trasportatori delle merci. Questa è l’ottica giusta per valutare i costi e i benefici.

Francesco Degni

Cari Cinque Stelle, il potere non è sempre brutto e cattivo

 

“Se bisogna andare a casa perché non vogliamo buttare soldi per opere vecchie non vedo il problema. Io un lavoro ce l’ho”.

Stefano Buffagni, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sul Tav Torino-Lione

 

Forse Buffagni non avrebbe davvero problemi a ritornare nell’ombra, alla sua tranquillità di professionista, agli affetti a cui per necessità di cose forse oggi non riesce a dedicare tutto il tempo desiderato. Ma se anche la sua fosse una dichiarazione obbligata che gli si strozza in gola, non sapremmo biasimarlo. Perché, diciamolo, il rimpianto sarebbe umano per un uomo politico sanamente ambizioso. Né sarebbe facile un repentino ritorno al passato dopo aver appena assaggiato il miele del potere. Che non è sempre quella cosa brutta, sporca e cattiva contro cui i grillni (e chissà anche il giovanissimo Buffagni) riempivano d’indignazione le piazze al tempo del Vaffanday.

Per carità, le famigerate “poltrone” possono non essere sempre sinonimo di casta o comunque di privilegio. E siamo convinti che Buffagni, e gli altri Cinque Stelle con incarichi parlamentari e di governo le occupino (quasi sempre) con dignità e onore, come richiesto dalla Costituzione. Però è innegabile che entrare nella stanza dei bottoni (anche se il vecchio Nenni confidò di non aver trovato nessun bottone da pigiare), e poter essere il terminale di decisioni strategiche e stanziamenti di fondi e demiurgo di nomine e carriere una certa euforia la può trasmettere. Così come essere continuamente scortato da una ressa di taccuini, microfoni e telecamere pronti a cogliere perfino un sospiro ministeriale per poi ricavarne magari un editoriale. Rinunciarvi da un giorno all’altro potrebbe non essere gradevole. Esprimere disinteresse per il potere nel momento in cui quel potere è messo in discussione può essere apprezzabile. Più utile alla collettività sarebbe piuttosto approfittare di un’esperienza nelle istituzioni per acquisire competenza e arricchire i propri saperi.

Per esempio: conoscere e approfondire i dossier, esprimersi con proprietà di linguaggio, contrapporre solidi argomenti alle altrui contestazioni. Terreno sul quale non sempre i Cinque Stelle hanno dato il meglio di sé, attirandosi le accuse di ignoranza e di inettitudine. Per questo riteniamo che il limite dei due mandati andrebbe esteso anche agli eletti del M5S di livello nazionale. Troncare il mandato parlamentare e di governo nel momento in cui la macchina pubblica non appare più un meccanismo misterioso (e quando l’esperienza di uno non è più uguale a quella di un altro) rappresenta solo una forma di ottuso egualitarismo, dannosa per la collettività.

Antonio Padellaro

Autostrade replica: “Nessuna omissione, ponte A16 sicuro”

“La sicurezza è sempre stata confermata, non c’è mai stata volontà di omettere informazioni”. Autostrade replica alle notizie, riportate anche dal Fatto, sulla sicurezza del ponte Paolillo sulla A16: si tratta delle intercettazioni fra Gianni Marrone, dirigente della società, e alcuni tecnici di Spea. In quei colloqui, avvenuti circa tre mesi dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, Marrone, direttore del tronco di Bari, avrebbe chiesto agli ingegneri di Spea di rivedere i report sulla sicurezza del ponte nel Foggiano, su cui gravavano alcuni dubbi, per evitare richieste del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. Secondo Autostrade, però, le conversazioni “si riferiscono a un’incongruenza nella documentazione della costruzione, negli anni Settanta, superata dal collaudo e dalle relative prove di carico sulla trave installata”, mentre “non vi è nessun riferimento alla staticità del ponte”. “Si tratta – conclude la nota – evidentemente di frammenti estrapolati da un confronto più articolato tra committente e fornitore”.

Il notaio paga i suoi operai ma si fa restituire lo stipendio

La busta paga era corretta: 65 euro al giorno, ma 40 tornavano nelle sue tasche di imprenditore agricolo, restituiti da pastori e operai “padri di almeno tre figli e in condizioni di analfabetismo”, come dicono i carabinieri di Lercara Friddi (Palermo) che ieri hanno spedito agli arresti domiciliari il notaio Gianfranco Pulvino, 53 anni, proprietario di un’azienda agricola a Valledolmo. Insieme a un suo collaboratore, anch’egli indagato, L.F., il notaio deve rispondere di estorsione nei confronti degli undici operai dopo sei mesi di indagini della compagnia di Lercara Friddi, guidata dal maggiore Vincenzo Sieli.

Una vicenda che sembra provenire dalla Sicilia degli Anni ‘50, quando lo sfruttamento del lavoro era la prassi delle campagne e il caporalato l’unico metodo di reclutamento. Secondo l’accusa, il notaio aveva imposto ai lavoratori di restituirgli 40 dei 65 euro previsti dal contratto di lavoro e corrisposti correttamente in busta paga per superare i controlli ed apparire formalmente in regola: ad accompagnare gli operai in banca era il suo collaboratore che riscuoteva i contanti sotto la minaccia di un licenziamento. Consapevole del rischio di essere scoperto, il notaio aveva anche approntato un vademecum, sequestrato dagli investigatori, con le indicazioni da fornire agli organi di vigilanza in caso di controlli. Tra le accuse figura anche lo sfruttamento del lavoro: i carabinieri hanno infatti scoperto che gli operai lavoravano anche 13 ore al giorno nell’azienda intestata alla madre del notaio, e tra loro c’erano pastori che accudivano greggi d’inverno, senza luce né acqua. Saranno tutti interrogati dalla procura di Termini Imerese che conduce l’inchiesta e ha fatto scattare il provvedimento cautelare.

Professoressa ha un figlio da uno studente di 14 anni: indagata per violenza sessuale

Era in difficoltà con due materie in seconda media, così i genitori lo avevano mandato a ripetizioni private da un’insegnante di Prato. Mai avrebbero immaginato che tra i due potesse nascere una relazione sessuale che in poche settimane si sarebbe trasformata in una gravidanza. L’incredibile vicenda è successa a Prato e vede come protagonisti un ragazzino di 14 anni, che frequentava una scuola media inferiore, e una professoressa di 38. A denunciare l’accaduto ai carabinieri sarebbero stati proprio i genitori del ragazzo dopo la sua confessione a casa. La Procura di Prato adesso ha aperto un fascicolo e l’insegnante è indagata per violenza sessuale: venerdì pomeriggio i carabinieri hanno perquisito la sua abitazione, alla ricerca di elementi utili alle indagini. Il suo avvocato, Mattia Alfano, ha spiegato che la donna avrebbe “dato il consenso all’acquisizione del dna”. L’accertamento sarà eseguito nelle prossime ore e quella sarà la conferma definitiva dell’accaduto. Non è ancora chiaro quanti siano stati i rapporti sessuali tra lo studente e l’insegnante ma secondo la versione confermata dagli investigatori e da fonti della Questura, la donna sarebbe rimasta incinta dopo uno di essi, avrebbe portato avanti la gravidanza per mesi senza nasconderne la paternità ad amici e parenti e alla fine avrebbe dato alla luce il bambino. Nelle ultime ore la Squadra Mobile di Prato è andata avanti in maniera serrata con le indagini per chiarire con precisione la dinamica delle ripetizioni (le lezioni erano due a settimana). Vista la delicatezza di un’indagine che coinvolge un minore e il reato di violenza sessuale, il procuratore capo di Prato, Giuseppe Nicolosi, ha chiesto “il massimo riserbo per non inquinare le indagini”.

La sua azienda è fallita dopo le denunce alla mafia: arriva la cartella esattoriale

Gli hanno notificato ieri mattina una cartella esattoriale da 39 mila euro, debiti della sua vita passata da imprenditore, e adesso Ignazio Cutrò, che vent’anni fa denunciò i suoi estorsori a Bivona, un centro dell’agrigentino, e cinque anni fa ha dovuto chiudere la sua azienda sommerso dai debiti, accusa: “Non ho un centesimo da parte, sono disperato, ho denunciato la mafia e ho perso tutto. Lo Stato ha fatto vincere Cosa nostra, nascondendosi sotto la gonnella della burocrazia. Un messaggio devastante per chi denuncia”.

Tra i primi testimoni di giustizia siciliani, nell’ottobre del 2015 Cutrò è stato assunto alla Regione siciliana e lavora negli uffici di Bivona del dipartimento Acqua e rifiuti. Adesso chiede aiuto alla politica “affinché non vengano aggredite casa e stipendio, la mia famiglia ne ha già passate tante e non resisterei a questa mortificazione”. In una lettera si scaglia contro la burocrazia: “Spiego ciò che accade solo in parte, perché raccontare tutto fa male anche a me” e cita la vicenda dell’imprenditore Rocco Greco, morto suicida due settimane fa: “Aveva denunciato la mafia ed era estraneo agli ambienti della malavita – scrive Cutrò – ha perso tutto per ritardi della burocrazia e purtroppo si è tolto la vita, vedendosi tradito dallo Stato”. E racconta: “Stamattina (ieri, nda) è passato un ragazzo, pensavo venisse a trovarci per un caffè, invece era il ‘postino’ della Riscossione Sicilia: entro 5 giorni da oggi pretendono circa 39 mila euro, cioè parte di un debito accumulato con gli organismi dello Stato, mentre la mafia mi danneggiava e mi attaccava l’azienda”. E conclude, sibillino: “Una volta mancano le norme, un’altra c’è l’uomo delle istituzioni che tratta una pratica o dimentica di evaderla. È più difficile accettare quando si sbaglia, e alcuni non potranno mai ammettere di aver sbagliato”.

“Compriamoci il parco”: i cittadini contro la costruzione di 4 grattacieli

“Facciamo una colletta e compriamoci il nostro parco”. Se non lo fa il Comune, allora ci pensano direttamente gli abitanti. L’idea “sediziosa” è arrivata l’altra sera nella sala parrocchiale di Santa Maria Ausiliatrice a Verona. E i carbonari dell’ambiente non avevano facce minacciose, ma il volto rosso di passione e di freddo degli abitanti di via Mameli. La gente che da anni si batte contro la realizzazione di quattro torri di dieci piani – una sessantina di metri di altezza – proprio davanti alle loro finestre. “Parliamo di uno degli ultimi spazi verdi rimasti ancora liberi”, racconta il consigliere comunale Michele Bertucco (Sinistra in Comune), anche se presto potrebbe essere ricoperto di cemento, come tanta parte della periferia di Verona.

Sì tratta dell’area ex Bam che da anni ormai è oggetto di una lotta di resistenza da parte degli abitanti. Una storia purtroppo come altre, nel Nord Italia dove ogni giorno viene coperta di calcestruzzo un’area grande quanto un campo di calcio. Il Veneto non ha fatto eccezione, anzi, soprattutto negli anni in cui la Regione era governata da Giancarlo Galan (centrodestra): dal 2001 al 2006 sono state realizzate abitazioni per 788 mila persone, quando la popolazione è aumentata di 248 mila. Sono state rilasciate concessioni per 94 milioni di metri cubi di costruzioni, l’equivalente di una palazzina alta e larga dieci metri e lunga 1.800 chilometri. La superficie urbanizzata in Veneto è aumentata del 324% rispetto al 1950 (mentre la popolazione è cresciuta del 32%).

Già, perché negli anni Sessanta c’era chi parlava di una Verona pronta a crescere fino a 400 mila abitanti. E invece si è fermata a 258 mila persone. Eppure si vuole costruire ancora, come appunto nell’area Ex Bam. Ma qui le imprese, nonostante il via libera delle amministrazioni, se la devono vedere con i cittadini. E nella sala parrocchiale qualcuno ha lanciato la proposta: rifondere la società proprietaria, la Gruppo Italiano Costruzioni srl. Davide contro Golia, proprio come, ha raccontato il Fatto, è successo con gli ambientalisti sardi del Gruppo di Intervento Giuridico (Grig) che hanno lanciato una raccolta di fondi per acquistare la spiaggia di Chiaia, quattro ettari sul mare di smeraldo, prima che finissero nelle mani degli investitori arabi. In Sardegna l’operazione sembra in dirittura d’arrivo: sono stati già raccolti 85 mila euro su circa 100 mila previsti.

Insomma, l’idea sembra diffondersi: dove il pubblico cede, i cittadini si difendono da soli. A Verona, a dire la verità, sarebbe più difficile: i costruttori hanno già versato parte degli oneri di urbanizzazione, poi ci sono i costi per la progettazione e altre spese. Ma Bertucco è convinto che ce la si possa fare a fermare “gli alberi di trenta piani”, per dirla con le parole di Adriano Celentano: “Si può ricorrere alla cessione del credito edilizio”. In pratica i diritti a costruire maturati potrebbero essere utilizzati in altre zone. Non in via Mameli, per mangiarsi quell’ultimo lembo verde. Così nessuno ci rimetterebbe. E la colletta? Intanto potrebbe servire per presentare un ricorso al Tar. La battaglia è appena cominciata: il comitato degli abitanti (che si chiama Asma) ha organizzato manifestazioni e girotondi.

Racket e attentati, colpo alle “paranze”: 15 finiscono in cella

Undici arrestie quattro fermi in due diverse operazioni della Mobile e dei carabinieri sono il bilancio dell’offensiva della Dda di Napoli contro le “paranze dei bambini” nel centro storico. Nelle carte delle indagini si raccontano i dettagli della “violenta contrapposizione sorta tra il clan Sibillo ed il clan Buonerba/Mazzarella per acquisire la supremazia ed il controllo degli affari illeciti sul territorio urbano di Forcella, della Maddalena, di via dei Tribunali e, più in generale, sull’area dei Decumani”. Con l’ordinanza del gip Cervo – pm Woodcock e De Falco – sono finiti in carcere i piccoli boss che hanno preso il posto dei fratelli Emanuele e Pasquale Sibillo dopo l’uccisione del primo e l’arresto del secondo, tra l’estate e l’autunno del 2015, e un paio di esponenti dei Buonerba che nell’ottobre 2015 fecero scoppiare una bomba a mano davanti alla casa di un affiliato ai Sibillo. I 4 fermi contro il clan Sibillo invece riguardano un recente episodio: i colpi di pistola esplosi nella notte del 24 febbraio contro la pizzeria Di Matteo, quella in cui Clinton mangiò la “pizza a portafoglio”, i cui titolari erano costretti da due anni a pagare il pizzo ogni settimana.

Sipario su The Snake, super boss di “Broccolino”

The Snake, il “Serpente” Carmine Persico, famiglia Colombo di New York, non morde più e non era “Immortale”, come invece lo qualificava un altro dei suoi appellativi da boss. È tra i re indiscussi nella Brooklyn criminale degli anni Settanta, la “Broccolino” degli italo-americani che tifano per i Cosmos di Giorgio Chinaglia e Pelè. È morto tre giorni fa a 85 anni alla Duke University Medical Center, a Durham in Carolina del Nord, mentre stava scontando 139 anni di detenzione dal 1985 per una sfilza di reati: omicidio, racket, riciclaggio e cospirazione.

Il sicario “pentito” Gregory Scarpa nel 1986 rivela all’Fbi un progetto di The Snake e di un altro grande boss, John Gotti: l’omicidio eccellente di Rudy Giuliani, procuratore arcinemico della mafia italo-americana di New York e futuro sindaco della città, oggi consigliere per la sicurezza informatica della Casa Bianca di Donald Trump.

Una vita da romanzo criminale, anzi da film, come Quei bravi ragazzi (Goodfellas): proprio nella pellicola di Martin Scorsese del 1990 recita uno dei picciotti per molti anni al servizio di The Snake, tanto da esser arrestato 28 volte: Tony Sirico. Da scagnozzo ad attore, Sirico ha costruito la sua fortuna attuando una sorta di metodo Stanislavskij al contrario, passando dalle rapine alle scene nel 1977 in una puntata della serie tv Il tenente Kojak, per poi arrivare al grande cinema e recitare in opere di Woody Allen e John Landis, fra gli altri, e in produzioni televisive cult, come I Soprano, girati nei panni di Paulie Gualtieri, fedelissimo del boss Tony Soprano.

Mentre Sirico conquistava Hollywood il suo vecchio capo The Snake veniva arrestato dopo la latitanza e messo sotto processo. Il colpo di scena da cinematografo, a questo punto, è il grande boss che decide di rinunciare all’avvocato per difendersi da solo in aula di tribunale. Ma con scarsa fortuna, rimediando condanne e un viaggio in California, al penitenziario federale di Lompoc. Successivamente trasferito in Carolina del Nord, The Snake ha diramato ordini alla famiglia Colombo almeno fino al nuovo millennio. Il sipario è sceso tre giorni fa: Carmine Persico si è arreso alla malattia, sconfitto, mentre scontava 139 anni, dopo esser sopravvissuto a una ventina di tentativi di essere ucciso e a tre guerre interne nella mafia newyorkese.

Ieri de Magistris, oggi Woodcock: chi fa giustizia la paga

All’ingresso del cinema Modernissimo un signore anziano guarda il manifesto del dibattito Storia di una toga strappata, storia di due inchieste Why Not e Poseidone e si lascia sfuggire: “Sono passati più di dieci anni, perché dobbiamo interessarci ancora alle indagini scippate in Calabria a Luigi de Magistris?”.

Di lì a poco ci sarà la discussione con l’ex pm, oggi sindaco di Napoli, e il direttore del Fatto Marco Travaglio. E una risposta si trova sottolineando i fatti di cronaca recenti, musica simile a quella suonata a Catanzaro tra il 2007 e il 2009. Sei giorni fa il Csm ha sentenziato la censura per il pm Henry John Woodcock che ha indagato a destra, al centro e a sinistra, e si ritrova una macchia disciplinare per un colloquio con una giornalista che doveva restare riservato. De Magistris ricorda dal palco di avergli telefonato subito per esprimergli solidarietà: le due vicende hanno un filo conduttore comune.

“Dodici anni dopo una sentenza della corte d’Appello di Salerno ha stabilito che la sottrazione di Why Not e Poseidone (due indagini sui finanziamenti alle imprese e sulla mancata depurazione del mare calabrese, nda) fu illegittima, mi procurò un danno – sottolinea il sindaco – e fu un vantaggio agli indagati. Queste cose si dovevano sapere e siamo riusciti a non far calare il sipario. Contro di me usarono il tritolo istituzionale per fermarmi ma oggi siamo qui a raccontare perché quei fatti sono ancora molto attuali e alcune persone girano ancora all’interno dello Stato”.

Nel 2008 l’Anm presieduta da Luca Palamara si schierò a favore del Csm che sanzionò e cacciò i pm di Salerno che ritenevano fondate le denunce di de Magistris. Dieci anni dopo il Csm presieduto da Giovanni Legnini ha istruito il processo contro Woodcock e tra i consiglieri c’era anche Palamara (la sentenza però è stata emessa da un Csm rinnovato). Ieri a Napoli si è detto chiaro e forte che certe cose non sono coincidenze. “La vicenda accaduta a de Magistris fu la prova generale per colpire totalmente o di striscio altri magistrati che in questi anni non hanno guardato in faccia nessuno, un refrain che si è ripetuto ogni volta che un magistrato ha applicato la legge in maniera uguale per tutti: proveranno a fargliela pagare in tutti i modi”, dice il direttore del Fatto Quotidiano, ricordando Woodcock “punito per le conseguenze di un colloquio riservato con una giornalista (sul caso Scafarto, nda), e se vi dicessi con quanti magistrati ho parlato io… li potrei fregare tutti… poi Woodcock ha solo espresso una opinione confermata dalla Cassazione, e cioè che gli errori del capitano Scafarto erano in buona fede”.

De Magistris annuisce, applaude, toglie il microfono alla moderatrice Fabiola Conson, si emoziona. Morde la lingua per trattenere le lacrime quando le attrici Pina Turco e Rosaria De Cicco rileggono la lettera di solidarietà di Salvatore Borsellino e quella a sua firma e rivolta a Napolitano con cui si dimise da magistrato.

Con de Magistris trasferito d’imperio al Riesame di Napoli, Why not e Poseidone naufragarono tra poche condanne e molte assoluzioni, ma secondo Travaglio “non potremo mai sapere se quelle inchieste erano buone o cattive perché furono lasciate a quelli che probabilmente neanche le avrebbero volute fare se fosse dipeso da loro… io ho il sospetto che le inchieste fossero buone, perché se l’imputato colpevole ha la fortuna di imbattersi in un pm cialtrone o incapace, lo lascia lì, al suo posto, mentre qui gli imputati non vedevano l’ora di levargli le indagini”. “Fu una sconfitta dello Stato – chiosa de Magistris – perché su quei fatti non sapremo mai più la verità”.