L’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è un’eccellenza della sanità in termini di prestazioni e di ricerca, ma è assai più difficile dire se lo sia anche per la qualità dell’amministrazione: il fatto che sia di proprietà del Vaticano e operi in territorio italiano genera una serie di opacità che il Fatto ha cercato di dissipare.
I FONDI PUBBLICI. Il Bambino Gesù riceve ogni anno dalle Regioni 192,3 milioni di euro (dato 2018) come corrispettivo per le prestazioni sanitarie a beneficio degli iscritti al servizio sanitario nazionale. Questa è solo una parte del denaro pubblico italiano che finisce al Bambino Gesù del Vaticano. C’è pure un fondo da 50 milioni di euro che lo Stato assegna alla struttura. Perché? La spiegazione è vaga e non argomentata: “Per le riconosciute caratteristiche di specificità ed innovatività dell’assistenza”, recita la legge di Bilancio 2009 che rende perpetuo il fondo. A sua volta, la norma rimanda a una legge del 2004 che stanziava 50 milioni senza troppe spiegazioni.
Per effetto dei tagli lineari del 2010, quei 50 milioni sono poi diventati 43,5. Comunque parecchi, cui si aggiungono 2,7 milioni per le prestazioni a favore di cittadini stranieri dell’Unione Europea o di altri Paesi con cui l’Italia ha accordi e altri 1,3 milioni per i minori stranieri. L’ospedale può ambire, inoltre, a una buona parte dei 9 milioni assegnati nel 2018, ma non ancora ripartiti, per le cliniche sanitarie “anche private accreditate, riconosciute a rilievo nazionale e internazionale per le caratteristiche di specificità e innovatività nell’erogazione di prestazioni pediatriche”. Al conto si sommano anche 1,6 milioni per cinque progetti di “ricerca finalizzata” e 330 mila euro per l’ammodernamento delle attrezzature scientifiche.
I CONTI. Come usa questi soldi il Bambino Gesù? La struttura è presieduta da Mariella Enoc, nominata nel 2015 da papa Francesco dopo le dimissioni di Giuseppe Profiti, che ha ricoperto l’incarico per 7 anni. Jorge Mario Bergoglio aveva confermato Profiti per un altro triennio, ma il manager ha lasciato in anticipo. Era stato anche coinvolto nello scandalo per la ristrutturazione col denaro della Fondazione del Bambino Gesù dell’appartamento in Vaticano dell’ex segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Nel 2017 Profiti è stato condannato a un anno dal Tribunale della Santa Sede per abuso d’ufficio.
Il principale collaboratore di Enoc è Ruggero Parrotto, ex dirigente di Poste, molto vicino all’ex ministro Tiziano Treu, oggi capo del Cnel. Il Fatto ha domandato all’ufficio stampa se l’avvento di Parrotto abbia spinto – come riferiscono fonti interne –l’ospedale a rivolgersi spesso allo studio legale del prof. Treu e per quali cifre. La risposta non ha chiarito il valore delle consulenze, ma ha spiegato che “lo studio ha aiutato l’ospedale nella preparazione di pareri e accordi di collaborazione scientifica internazionale sul tema delle terapie geniche e oncologiche”.
Enoc e Parrotto rispondono alla Santa Sede, nello specifico al segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. Al ministero della Salute italiano devono mandare soltanto uno schema sintetico di bilancio per mantenere lo statuto di Ircss (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) e alla Regione Lazio il bilancio completo per la convenzione. Per tutti gli altri, però, il bilancio resta un segreto ben custodito. Da qualche anno, sul sito dell’ente, c’è un “bilancio sociale” ricco di colori e figure, in cui la parte sui conti è più che essenziale: si legge che i ricavi 2017 sono stati 322,2 milioni, i costi 313,4, quindi il margine operativo (Ebitda) è positivo e pari all’8,8 per cento, ma il risultato netto è negativo perché vanno aggiunti al conto “ammortamenti e risultato della gestione finanziaria”, e così si arriva a -10 milioni.
Registrare una perdita aiuta sicuramente a evitare che qualcuno possa chiedere una riduzione dei fondi pubblici all’ospedale. I vertici promettono che “il nuovo percorso virtuoso avviato a partire dal 2015 proseguirà nei prossimi anni nell’ottica di garanzia di veridicità, trasparenza, intellegibilità e comparabilità anche a beneficio di tutti gli interlocutori, nazionali ed internazionali, a supporto dei flussi di finanziamento funzionali all’attività di ricerca e assistenza”.
LE PERDITE. Sulla trasparenza, in effetti, c’è ancora da lavorare. In fase di approvazione del bilancio 2016, il Bambino Gesù ha deciso di cambiare principi contabili. È passato dallo standard Ias, quello più diffuso per i bilanci civilistici, a uno praticamente sconosciuto ai commercialisti italiani: Ipsas, uno standard internazionale usato per le amministrazioni pubbliche. Si potrebbe aprire un dibattito se l’ospedale vaticano sia da considerarsi un’amministrazione pubblica, ma se la vedranno i suoi vertici con il ministero della Salute di Giulia Grillo i cui uffici spiegano al Fatto che “l’ultimo bilancio esaminato applicava i principi Ias”. Eppure la modifica è un po’ strana perché con l’occasione del cambio di principi contabili, il Bambino Gesù ha rivisto a posteriori addirittura i conti del 2015. Secondo quanto hanno rivelato al Fatto fonti interne, quel cambio di criteri contabili ha permesso di ridurre le perdite contabilizzate negli anni 2015-2017 di 55,2 milioni di euro, attingendo a fondi di riserva usati per tamponare il rosso dell’esercizio (8,3 milioni nel 2015, 24,5 nel 2016 e 22,4 nel 2017). “Si tratta di una stima scorretta e priva di fondamento, i nuovi criteri contabili non hanno introdotto alcun beneficio, ma hanno adeguato l’ospedale alle regole di contabilità usate a livello internazionale”, replicano dall’ufficio stampa del Bambino Gesù. A parte che gli Ias precedenti sono criteri contabili molto più utilizzati, anche a livello internazionale, degli Ipsas, resta impossibile verificare quanto l’ospedale afferma perché è impossibile consultare i bilanci. Sul sito non è più disponibile neppure il bilancio sociale 2015, non c’è alcun documento redatto con i vecchi criteri contabili e restano le scarne cifre col metodo Ipsas.
I revisori. L’ospedale ribatte che si tratta di un segno di grande trasparenza vantare un bilancio certificato dalla società di revisione Deloitte, una scelta volontaria e non obbligata dalla legge. La certificazione, però, ha una postilla: “Vale limitatamente alla sottoposizione del bilancio al Consiglio di amministrazione”. Vuol dire che all’esterno del Cda il documento “non vale”? Per l’ufficio stampa “è una frase standard negli incarichi di revisione volontaria”. Resta il fatto che quel bilancio non è consultabile. E che – secondo quanto risulta al Fatto – anche i bilanci precedenti erano certificati, dallo studio di commercialisti romani Ciccioriccio. Sulla base delle fatture che il Fatto ha ottenuto, l’incarico di revisione a Deloitte è costato 41 mila euro per il 2017. Ma non è l’unico rapporto con Deloitte, c’è almeno una seconda fattura di luglio 2018 da 15 mila euro per servizi diversi dalla revisione, cioè “attività di riconciliazione del libro cespiti” (controllare che i beni iscritti a bilancio esistano davvero e abbiano il valore indicato). Un incarico che non configura un conflitto di interessi, ma che indica un rapporto che va oltre la mera certificazione indipendente del bilancio.
Gli immobili. Poi ci sono le strategie immobiliari di cui nel bilancio sociale non c’è traccia. Il 14 giugno 2018 monsignor Mauro Rivella va dal notaio Paride Marini Elisei a firmare un atto di acquisto di una palazzina color ocra, di ampia metratura e da tempo in disuso, di viale di Villa Pamphili a Roma, ai civici 84 e 100. Rivella è il segretario dell’Apsa, l’organismo vaticano che amministra il patrimonio immobiliare, allora affidato al cardinale Domenico Calcagno. Il monsignore va su mandato del Bambino Gesù che ha chiesto all’Apsa di comprare la palazzina e allargare le proprie attività, oltre alle sedi nel centro della capitale di Gianicolo e San Paolo fuori le mura e sulla costa di Palidoro e di Santa Marinella.
Quel complesso immerso nel verde, circondato da alberi dal fusto sottile, di proprietà della Provincia di Roma, era in vendita dal 2011 per 45 milioni di euro. I dirigenti di Bnp Real Estate, il fondo di valorizzazione immobiliare della banca francese, hanno organizzato per anni aste che sono andate deserte, l’ultima nell’autunno 2017. Per Bnp è un sollievo trovarsi di fronte un cliente risoluto e, soprattutto, liquido. Apsa completa l’operazione da 40 milioni di euro (inclusa Iva) con un bonifico finale di 36,7 milioni e consegna la palazzina al Bambino Gesù. Nel contratto di acquisto non si menzionano mediatori o parti terze, ma l’ospedale del Papa, proprio per l’immobile di viale di Villa Pamphili, ha saldato tre fatture a Ad Tesciuba per un totale di circa 1,5 milioni di euro, la cifra non viene confermata o smentita né dal Bambino Gesù né da Elio Tesciuba, azionista di maggioranza, amministratore della piccola società di “consulenza gestionale e pianificazione aziendale” fondata nel febbraio 2018.
Tesciuba è un imprenditore, titolare di numerose aziende, investe nello sviluppo tecnologico sanitario e, una decina di anni fa, ha creato un gruppo che “facilita” i rapporti scientifici tra Italia e Israele. È anche presidente di Progettiamo autonomia robotics, la società che ha inventato “ReWalk”, uno strumento per la riabilitazione motoria che il Bambino Gesù ha utilizzato nel 2015 per una sperimentazione. Che servizio Ad Tesciuba ha fornito all’ospedale vaticano e perché viene scelta? Il Bambino Gesù sostiene che ha coinvolto Ad Tesciuba per fronteggiare una situazione di emergenza e per la “consolidata esperienza nel campo di Elio Tesciuba”: “Si è ritenuto opportuno avvalersi di un supporto consulenziale esterno senza il quale, stante la complessità della procedura, non saremmo riusciti a portare a termine l’acquisto nei tempi necessari. La società Tesciuba ha provveduto, tra le altre cose, alla perizia in ordine alla fattibilità del cambio di destinazione d’uso dell’immobile e all’utilizzo del sottosuolo, all’acquisizione di tutta la documentazione necessaria (verifica della titolarità, rilievi planimetrici, analisi catastale ed urbanistico-edilizia, due diligence tecnico amministrativa, ecc…). Con le sole risorse interne non ce l’avremmo mai fatta”.
Sentito dal Fatto, Tesciuba rivendica con orgoglio il lavoro per il Bambino Gesù e sottolinea la strepitosa efficienza dei tecnici dell’ospedale, ma rivela pure che lui ha segnalato l’immobile alla direzione dell’ospedale tra l’ottobre e il dicembre 2017, perché vicino al Gianicolo, e ha seguito la transazione dal primo giorno all’atto dal notaio. Dopo una rapida riflessione – nel frattempo, per curiosa coincidenza, Tesciuba apre la sua nuova società in febbraio – il 2 e il 23 marzo l’Apsa paga un acconto di 3,3 milioni di euro a Bnl per l’offerta vincolante. Altri tre mesi, e Rivella chiude l’affare. Oggi la palazzina ospita 150 dipendenti e forse entro il 2020 sarà inaugurato il settore sanitario.