B. cerca colf sul Giornale: la redazione protesta

Il Giornale usato come una buca delle lettere di Arcore. Questo hanno pensato i giornalisti del quotidiano diretto da Alessandro Sallusti quando giovedì si sono trovati in pagina un annuncio che così recitava: “Collaboratore domestico cercasi per villa in Brianza. Richiedesi referenze, patente auto, esperienza come cameriere per servizio a tavola. Offresi stipendio adeguato e alloggio indipendente”. Il curriculum è da inviare alla Società europea di edizioni, ovvero la società che pubblica Il Giornale.

Non è dato sapere se il domestico in questione serva alla villa di Arcore o a quella, poco distante, di Francesca Pascale. Ma per i dipendenti del quotidiano poco cambia, l’annuncio ha il sapore della beffa e conferma una delle loro accuse alla proprietà: l’utilizzo del quotidiano per affari personali, elargendo stipendi a familiari e affini di Paolo e Silvio Berlusconi. La vicenda è la ciliegina sulla torta di un momento delicatissimo. In settimana, infatti, il comitato di redazione si era visto negare l’acquisto di una pagina (a prezzo altissimo) per spiegare ai lettori la situazione. Che è sempre più difficile: Marina vuole vendere, Paolo no, ma la decisione finale spetta all’ex Cavaliere che, come al solito, tentenna. Un incontro tra Paolo Berlusconi e la redazione previsto per ieri è slittato a mercoledì. Intanto la proprietà è intenzionata a non tornare indietro sull’avvio di uno stato di solidarietà che decurterà gli stipendi del 30%, per cui i giornalisti hanno minacciato uno sciopero che potrebbe andare in scena nei giorni caldi della campagna elettorale per le Europee. Nelle ultime ore è arrivato pure l’interessamento ufficiale di Vittorio Feltri, che ha fatto una proposta di acquisto a Marina Berlusconi. “Finora siamo al pourparler, ma io saprei come rilanciare il quotidiano”, ha fatto sapere il direttore di Libero. Nel frattempo, si spera che il domestico per Arcore venga trovato.

Pusher a partita Iva: vende erba con la fattura

Una ricevuta in piena regola, con tutti i crismi del caso: numero della matrice, data (01.03.2019), firma. E soprattutto la dicitura, che recita testuale: “Cessione in data odierna di sostanza stupefacente ‘White Rhino’ (una delle più comuni tipologie di marijuana, ndr) per grammi 31”. Totale: 300 euro.

È anche grazie a questa bizzarra forma di contabilità che i carabinieri di Sansepolcro (Arezzo) hanno arrestato un giovane pusher di 21 anni nato e residente nel piccolo comune della Val Tiberina al confine con Marche e Umbria. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il giovane aveva messo in piedi un deposito di marijuana e hashish in un boschetto poco fuori la cittadina e da lì partiva per recapitare le dosi ai propri clienti. Con un segno distintivo: a ognuno di essi rilasciava regolare ricevuta compilata con cura, come se lo spaccio di droga fosse un’attività lecita paragonabile a quella di un libero professionista qualsiasi.

L’operazione, denominata proprio “White Rhino”, era partita alcune settimane fa dopo che in commissariato erano arrivate diverse segnalazioni su strani e continui movimenti di giovani ragazzi nei pressi del boschetto che si trova in località Basilica, una frazione di Sansepolcro. Dopo le segnalazioni di cittadini e residenti della zona sono partiti gli appostamenti per individuare quale fosse il mittente delle partite di droga e dopo pochi giorni non è stato difficile capirlo: il 21enne è stato fermato in flagranza di reato. Intorno alle 18.30 di mercoledì i carabinieri, appostati nei pressi del boschetto, hanno notato il ragazzo arrivare, dissotterrare un involucro scuro da una buca sotto un albero e tirare fuori tre barattoli contenenti stupefacenti dalle piante vicine. Così è scattato il fermo. Dopo l’arresto, gli uomini del commissariato di Sansepolcro sono riusciti a ricostruire come funzionava il sistema di spaccio messo in piedi dal ragazzo: il boschetto serviva come vero e proprio deposito in cui il giovane pusher posizionava le dosi di hashish e marijuana, sempre ben confezionate e impacchettate. Ed era lì che riceveva i suoi ordini di droga che consegnava personalmente in paese. Ma sempre con l’ossessione per la contabilità.

Il pusher, nonostante l’attività illecita, voleva fare le cose perbene. Oltre alle fatture – precise, regolari e curate – teneva infatti da tempo anche una sorta di registro in cui erano elencati tutti i suoi clienti (nella maggior parte dei casi giovanissimi) che erano associati a un indirizzo, numero di telefono e segni particolari. L’operazione ha permesso ai carabinieri anche di recuperare 1.400 grammi di marijuana e 700 grammi di hashish nascosti tra la vegetazione, dietro gli arbusti. All’interno dell’auto del giovane invece sono stati trovati, e posti sotto sequestro, 3.500 euro proventi dallo spaccio mentre barattoli contenenti stupefacenti sono stati recuperati anche durante una perquisizione nella abitazione del ragazzo.

Renzi liberi ma interdetti dopo 18 giorni agli arresti

“Siamo felici per la libertà. Ma non ci basta: noi vogliamo dimostrare la nostra innocenza. E lotteremo per questo. Grazie a chi ci ha sostenuto in questi giorni durissimi”. I giorni “durissimi” per Tiziano Renzi e Laura Bovoli sono stati ben 18: ieri il Tribunale del Riesame ha revocato gli arresti domiciliari disposti in febbraio dalla Procura di Firenze che accusa la coppia, assieme ad altri indagati, del reato di bancarotta per aver portato al fallimento le cooperative “Delivery service” ed “Europe service”.

Revocati i domiciliari, il Riesame ha disposto la misura interdittiva che vieta ai genitori dell’ex premier di “esercitare attività imprenditoriali o uffici direttivi di persone giuridiche o imprese” per otto mesi. Una misura che Federico Bagattini, l’avvocato che rappresenta Renzi e Bovoli, giudica sostanzialmente superflua, poiché i due si erano già dimessi da ogni incarico: “Dal punto di vista legale – aggiunge Bagattini – siamo contenti per questa prima tappa, che conferma che gli arresti domiciliari inflitti ai coniugi Renzi sono stati totalmente spropositati, come ha riconosciuto il Riesame. Hanno affermato che era sufficiente la minima misura cautelare. E questo perché è un fatto modestissimo”.

In realtà, se sia “modestissimo” oppure no, in attesa delle motivazioni del Riesame, dovranno valutarlo i giudici che, se si andrà a processo, si occuperanno del fascicolo tuttora in fase d’indagine preliminare. Revocati gli arresti domiciliari anche all’imprenditore Mariano Massone, indagato con Renzi e Bovoli per la bancarotta, per il quale è stato disposto l’obbligo di dimora a Campo Ligure (Genova) e il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione dalle 22 alle 6. Oltre l’accusa di bancarotta, per i genitori dell’ex presidente del Consiglio, c’è anche quella di fatturazioni per operazioni inesistenti – circa 250 mila euro – e di aver evaso le imposte sui redditi. Alla soddisfazione dei coniugi Renzi, s’è immediatamente aggiunta, su Facebook, quella del figlio Matteo: “I miei genitori sono tornati in libertà. Il Tribunale del Riesame ha annullato la decisione del gip, decisione che era parsa a molti, dal primo momento, abnorme e assurda. Ovviamente la notizia non avrà la stessa eco che ha avuto l’arresto: il circo mediatico sarà meno interessato. Ma i processi si fanno nelle aule, non sui giornali, e vedremo chi avrà ragione e chi torto. Da rappresentante delle istituzioni confermo, a maggior ragione oggi, la mia fiducia nella giustizia italiana. Da figlio dico che sono stati i giorni più brutti della vita della nostra famiglia”.

L’inchiesta per le presunte bancarotte contestate dal procuratore aggiunto Luca Turco non è però l’unica a impensierire la famiglia Renzi. Il 20 maggio si terrà l’udienza del processo in cui, con l’imprenditore Luigi Dagostino, sono accusati di false fatturazioni risalenti al 2015. Dagostino, che era all’epoca amministratore delegato della Tramor, società che si occupa della gestione dell’outlet The Mall a Reggello (Firenze), secondo l’accusa – sostenuta dalla pm Christine von Borries – avrebbe affidato a due società riconducibili a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, la Party e la Eventi 6, due studi di fattibilità per l’importo di 20 mila e 140 mila euro.

C’è infine un terzo procedimento che riguarda soltanto Laura Bovoli: è stata rinviata a giudizio a Cuneo con l’accusa di concorso in bancarotta documentale per i rapporti tra la Eventi 6 e la Direkta srl, fallita nel maggio 2014.

Nel fascicolo fiorentino che ha portato Renzi e Bovoli agli arresti domiciliari revocati ieri, infine, s’indaga anche su una terza cooperativa, la Marmodiv, che a differenza delle altre due, non è fallita ma è fortemente esposta verso il fisco e l’Inps. Secondo la Procura di Roma, al pari della “Delivery” e della “Europe Service”, sarebbe stata di fatto amministrata dai genitori di Matteo Renzi. Il suo ramo d’azienda è stato da poco ceduto alla società di un amico di Tiziano Renzi, Massimiliano Di Palma, che l’ha rilevata con oltre 500 mila euro di debiti tra fornitori e contestazioni di fisco, Inail e Inps.

Top secret sui porti chiusi, ma i pm di Roma indagano

Potrebbe essere la Procura di Roma, se lo riterrà utile, a farsi consegnare i provvedimenti con i quali il Viminale e le Capitanerie di porto, nel gennaio scorso, hanno negato l’accesso ai porti italiani alla nave Sea Watch 3 con a bordo 47 migranti, perfino dopo l’ordine di far sbarcare i 15 minori da parte del Tribunale dei minorenni di Catania. Ma ci saranno poi questi provvedimenti? O “chiudere i porti” è più facile scriverlo su Twitter che costruirci sopra un atto amministrativo formale, motivato e ragionevole?

Il caso è noto. L’imbarcazione della Ong tedesca il 19 gennaio scorso soccorre i naufraghi al largo della Libia, il comandante chiede invano un “porto sicuro” a Roma e a Malta. Rimane in mare per poi avvicinarsi all’Italia per sfuggire a una tempesta. Il porto di Lampedusa è negato e la nave viene lasciata per giorni davanti a Siracusa, quindi arriva l’autorizzazione a sbarcare a Catania come è avvenuto solo il 31. A quel punto il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro diffonde un comunicato quanto meno insolito per escludere ipotesi di reato a carico dell’equipaggio della nave umanitaria e smentire così le tesi dei ministri Matteo Salvini e Danilo Toninelli secondo i quali sarebbero dovuti andare in Tunisia o chissà dove.

Ora un fascicolo sullo sbarco ritardato è aperto a Roma dopo l’esposto di un gruppo di avvocati dell’associazione “Lasciateci entrare”. È sul tavolo del pm Sergio Colaiocco, per ora senza ipotesi di reato. Intanto però uno dei legali, Alessandra Ballerini – che assiste anche i familiari di Giulio Regeni e qui rappresenta l’Adif, Associazione diritti e frontiere – ha chiesto ai ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e Trasporti, ai sensi del decreto legislativo 33 del 2013 sull’accesso civico e la trasparenza, di pubblicare “provvedimenti” e “comunicazioni” sul “divieto di approdo nei porti italiani” per Sea Watch e la loro risposta alla richiesta dei giudici minorili di far sbarcare subito i minori, che godono di speciale tutela.

Il Viminale le ha risposto, con una lettera del capo di gabinetto Matteo Piantedosi di cui ha dato notizia ieri Avvenire, che “la tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria”. Non è un segreto di Stato, alla magistratura se li chiedesse dovrebbero consegnargli, ma la risposta all’avvocato Ballerini è negativa e priva di motivazione. È comunque un passo avanti rispetto alla prima, a firma del direttore della polizia di frontiera: scriveva infatti che “questa Direzione”, cioè la sua, “non ha prodotto e non detiene alcun provvedimento/comunicazione” sulla vicenda. Almeno il prefetto Piantedosi fa intendere che qualche provvedimento c’è, però ritiene di non essere tenuto a pubblicarlo, sia pure senza spiegare perché. Il ministero delle Infrastrutture non ha risposto.

Se in generale l’accesso ai porti è gestito dalle Capitanerie (Infrastrutture), quando si tratta di navi con a bordo migranti la procedura introdotta nel 2015 prevede che il porto sia indicato dal Viminale, non dalla polizia ma dal Dipartimento libertà civili e immigrazione. Queste comunicazioni sono state acquisite dal Tribunale dei ministri di Catania che vorrebbe processare il ministro Salvini per il caso della nave Diciotti (il Senato dovrà decidere a breve dopo il no della Giunta): email, telefonate, non sempre provvedimenti veri propri. L’accusa, in quel caso, è proprio di aver usato ad altri scopi, politici e di pressione sui partner dell’Ue, i poteri che l’ordinamento assegna per gestire con ordine gli sbarchi.

Agricoltura, si apre il fronte in Sicilia: trattori in strada

Secondo giorno di protesta degli imprenditori agricoli e braccianti della Sicilia Sud Orientale che si sono riversati lungo la statale Catania-Gela, per manifestare contro l’importazione massiccia di prodotti dall’estero e il calo dei prezzi.

“Il governo Salvini dice prima gli italiani – spiega l’imprenditore Gaetano Gentile –, noi siciliani siamo italiani, perché non ci viene ad aiutare? A dare qualche risposta”. Decine di trattori hanno invaso la strada, mentre lungo le carreggiata i manifestanti hanno consegnato dei volantini agli automobilisti. “Le aste giudiziarie lo possono confermare – spiega l’imprenditore Sebastiano Di Bona –, non riusciamo a soddisfare gli impegni che ci siamo presi per affrontare le nostre campagne agrarie”. Martedì prossimo è previsto un incontro con il Prefetto di Catania, i manifestanti andranno avanti se non sarà organizzato un tavolo tecnico con il Governo. “Per il momento è un presidio pacifico – commenta un agricoltore – aspettiamo che il Ministro Salvini si faccia vedere, altrimenti faremo blocchi e manifestazioni pesanti”.

Prezzo del latte a 74 centesimi al litro: trovato l’accordo

Sul prezzo del latte c’è finalmente l’accordo. Dopo settimane di trattative alternate a momenti di tensione la vertenza dei pastori sardi segna un passo in avanti: il tavolo convocato dal prefetto di Sassari Giuseppe Marani ha chiuso un’intesa a 74 centesimi a litro, a titolo di acconto a partire dal mese di marzo fino a novembre. Da quella data dovrebbe poi essere calcolato il conguaglio sulla base dei prezzi medi ponderati del pecorino romano riferiti al borsino annuale 2018-2019. Non solo.

Sempre nel pomeriggio di ieri, si legge in una nota della prefettura, il Capo di Gabinetto del ministero delle Politiche agricole ed il Prefetto hanno incontrato i vertici del Consorzio del Pecorino Romano per sottolineare “l’esigenza di un’apertura” che preveda l’ingresso di una rappresentanza degli allevatori nel cda del Consorzio, favorendo il processo di trasparenza e la ristrutturazione dell’intera filiera della produzione.

Nel prossimo incontro, venerdì 15 marzo a Sassari, si ripartirà da qui e dal decreto sul rilancio dei settori agricoli in crisi che ha stanziato 29 milioni di euro per sostenere la filiera lattiero-casearia sarda, che prevede una novità importante: l’obbligo per i trasformatori di registrare ogni mese nel Sistema informativo regionale (Sian) le quantità di latte ovino acquistate e quelle del relativo prodotto trasformato, nonché le quantità di materia prima acquistata dall’estero.

La trattativa va avanti anche sul fronte delle altre riforme strutturali: “La griglia che aggancia il prezzo del latte al pecorino romano è un primo passo”, spiega Giorgio Demurtas, delegato Coldiretti. “Ora va estesa alle altre dop casearie e soprattutto chiediamo che le quote di produzione del pecorino romano vengano trasferite dai caseifici agli allevatori, agganciando la trasformazione alla produzione primaria e obbligando gli industriali a utilizzare il latte prodotto nel territorio”

A16, Autostrade occulta un altro ponte a rischio

Il ponte Morandi era crollato da poco più di tre mesi eppure al telefono ci si metteva d’accordo su come falsificare le relazioni tecniche sulla sicurezza di un altro viadotto autostradale con una trave collassata, quella sul canale Paolillo sull’A16 Napoli-Canosa nel Foggiano. Il tutto allo scopo di ingannare l’ispettore incaricato dal ministero dei Trasporti di verificare se il ponte potesse sostenere mezzi adibiti ai trasporti eccezionali, scongiurando la chiusura del viadotto e i conseguenti danni economici.

La circostanza emerge da alcune intercettazioni depositate al Tribunale del Riesame di Genova dal pm titolare dell’inchiesta sul Morandi. Parla il dirigente di Autostrade Gianni Marrone (indagato per falso), direttore del tronco pugliese già condannato in primo grado per i 40 morti sul bus precipitato dal viadotto Acqualonga di Monteforte Irpino. Era lui, da quanto emerge, a volere a tutti i costi correggere le relazioni tecniche sul Paolillo sulle discrepanze tra il progetto del ponte e la sua effettiva realizzazione. I suoi interlocutori sono alcuni ingegneri della Spea Engineering (del gruppo Atlantia azionista di maggioranza di Autostrade), società che fornisce servizi in materia di progettazione, direzione lavori e sorveglianza delle opere. Si tratta di Massimiliano Giacobbi, indagato per falso, omicidio e disastro plurimo per il crollo di agosto, Andrea Indovino, Lucio Torricelli Ferretti, Gaetano Di Mundo (indagati per falso) e Francesco D’Antona.

Tutti appaiono ben consapevoli della gravità di quanto stanno per fare. Ecco cosa si dicevano il 14 dicembre 2018 Massimiliano Giacobbi, responsabile dell’unità di sicurezza Spea e Andrea Indovino. È imminente un incontro con l’ispettore Placido Migliorno del Mit, il problema è che nelle travi del viadotto (compresa in quella danneggiata) erano stati utilizzati trefoli (cavi intrecciati) e non fili e che per questo era stato chiesto agli ingegneri da parte del dirigente di Autostrade Marrone di sostituire l’originaria relazione, che metteva in luce tali difformità, con una confezionata ex novo, che le omettesse.

Indovino: Ieri mi ha chiamato per l’ennesima volta Marrone…

Giacobbi: Sì, sì.

Indovino: Vorrebbero che la relazione emessa con le norme attuali che per noi era l’approfondimento della precedente, quindi non era una relazione che stava in piedi da sola perché ha necessità di fare riferimento a contenuti già dichiarati, adesso vorrebbero che questa cosa qua venisse un po’ tagliata, ovvero che questa relazione diventasse indipendente, tra parentesi cercando di eliminare quella parte di testo dove c’era quel rimando alla trave e il problema è questo che io non sono molto d’accordo perché poi finiamo… rischiamo di fare lo scivolone sulla buccia di banana se qualcuno se ne accorge… cioè fare il copia incolla, cioè sovrascrivere l’altra anche se loro insistono non mi piace…

Il fatto che Marrone fosse a conoscenza delle incongruenze tra il progetto e di come fosse poi stato costruito emerge da una conversazione del giorno prima tra lo stesso Marrone e Indovino. Il tribunale del riesame fa notare come tale incongruenza, a norma dell’art.8.3 delle norme tecniche di costruzione, preveda l’obbligo di sottoporre l’opera a verifica di valutazione di sicurezza e la possibile chiusura della circolazione autostradale.

Dice Marrone: “Sul Paolillo c’era un tema particolare che è stato fatto l’as built (la messa in opera ndr) che non coincideva con l’as built, poi è stato fatto, è stata fatta la verifica”. Indovino annuisce: “Si, sì”. “Allora quella verifica va rimodificata”, risponde Marrone. Indovino, per spiegare che dalla nuova relazione era scomparso ogni riferimento alla difformità tra progetto e messa in opera, dice: “Noi, in realtà, in questa verifica qua, consci di questa difficoltà abbiamo volutamente detto il Paolillo presenta travi che in base a indagini recenti sono fatte così, punto”. Marrone è soddisfatto: “Basta, perfetto”.

Il 15 gennaio gli ingegneri di Spea capiscono che l’ispettore Migliorino ha intuito che qualcosa non torna. In questa ultima telefonata parlano Indovino e Lucio Ferretti.

Indovino: Abbiamo omesso il fatto che manca il progetto. Abbiamo detto, la geometria è questa. L’inghippo è questo qua Lucio, che a fronte di una discrepanza del genere noi abbiamo devicchiato (deviato, ndr) in maniera secca il discorso. E fine dei giochi…

Ferretti: Eh, però.

Indovino: Quindi non capisco perché vogliono che ci mettiamo un’altra pezza… Secondo me questa cosa qua è perché loro (i responsabili di Autostrade, ndr) non hanno mai trasmesso i documenti dai quali emergeva che c’era questa discrepanza… e Migliorino non lo sa… il problema è che adesso temono che nel momento in cui questa cosa qua… scava scava perché Migliorino insiste, viene fuori…. stanno cercando di tenere a bada Migliorino… nel frattempo noi dobbiamo andare avanti per tenere a bada il mastino Migliorino, cioè a volte sembra una puttanata.

Ferretti: La chiedono.

Indovino: Eh, ma ce la chiedono perché sanno già che Migliorino li convocherà oggi per oggi sennò gli fa chiudere il ponte.

Nella memoria del pm ci sono molti omissis e la Procura ipotizza “una reiterata falsificazione di atti pubblici”. È noto già che alcuni colleghi degli indagati abbiano detto agli inquirenti che in Spea si ritoccavano a tavolino gli esiti dei “report” sui viadotti. Queste intercettazioni lo confermano.

Zingaretti per il voto, ma resta intatta l’incognita alleanze

Calenda, non Calenda, +Europa, -Europa, Verdi, rossi e Pizzarotti: il nodo alleanze in vista delle Europee per il nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti è ancora tutto da sciogliere. Se in questi giorni si è parlato di un accordo con l’ex ministro Carlo Calenda e la sua lista “Siamo Europei”, ieri invece è stato fatto sapere che l’intesa è ancora da trovare. Zingaretti ha parlato di un dialogo in corso: “Con Calenda ci sentiamo continuamente, ci siamo visti ieri e ci vedremo la prossima settimana. Io continuo a pensare che occorra andare avanti su un impegno unitario”. Martedì invece il segretario del Pd incontrerà Benedetto Della Vedova di +Europa. E poi esserci un nuovo confronto con l’ex 5Stelle Federico Pizzarotti. Ma quest’ultimo (e la sua lista con i Verdi, “Italia in comune) e il partito di Emma Bonino sono ancora molto scettici riguardo l’ipotesi di apparentarsi al Pd. Intanto Zingaretti segue con attenzione la dialettica tra Lega e Movimento 5 Stelle: “Credo che la questione sul Tav sia surreale – ha detto – e in caso di crisi penso si debba tornare alle urne, c’è una maggioranza parlamentare che non è unita su nulla e l’Italia sta pagando un prezzo enorme”.

Cade o non cade?

 

Antonio Padellaro

Fidatevi di Conte, anche questo scoglio sarà aggirato

All’inizio si era definito l’avvocato del popolo (risatine sparse). Del popolo non sapremmo dire ma con Giuseppe Conte da Volturara Appula, il governo un buon avvocato lo ha trovato, anche sul Tav. Mentre i due vice cominciavano a spintonarsi a uso elettorale, l’avvocato usava il linguaggio del corpo per rassicurare il popolo (non particolarmente in ambasce). Con quella conferenza stampa improvvisata davanti a Palazzo Chigi, l’avvocato ci ha detto che una soluzione alla fine si trova e che il governo, figuriamoci, non cade. Lo prendiamo in parola anche perché il prof, che ha al suo attivo un dotto tomo sulla, guarda caso, “Formazione del Contratto” nuota che è un piacere tra codicilli e pandette. Siamo convinti, anzi di più, che l’avvocato del governo saprà estrarre mirabilie giuridiche dal contratto Salvimaio, là dove con magistrale vaghezza si scrive che le parti “si impegnano a ridiscutere integralmente il progetto”. Ridiscutere è la parola chiave e anche questo scoglio sarà aggirato e rinviato. Ce lo ha detto un avvocato.

 

Luisella Costamagna
L’analisi ha bocciato l’opera: Salvini lo accetti e sia leale

Come avevo immaginato, i nodi tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio prima o poi sarebbero venuti al pettine. E infatti… eccoci qua. È crisi, non è crisi? Credo che la questione Tav sia soltanto lo spunto per un riequilibrio all’interno dell’esecutivo, con il leader leghista che da tempo sgomita perché ringalluzzito dai sondaggi e dai risultati delle elezioni regionali e con Di Maio che invece deve trovare un modo per fermare l’emorragia di elettori. Per farlo, non può cedere proprio sul Tav, perché sul No al tunnel il Movimento 5 Stelle si gioca un pezzo importante della propria identità, già messa a dura prova più volte in questi primi mesi di governo. Peraltro, non era stato proprio lo stesso Salvini a dire: “Aspettiamo l’analisi costi-benefici per prendere una decisione”? Be’, l’analisi c’è stata e ha bocciato l’opera, per cui deve accettarlo. Ed essere leale ai patti come lo sono stati i 5 Stelle sul caso della nave Diciotti e su molto altro (pure troppo). E allora il governo non cadrà.

 

Gianfranco Pasquino
Il M5S non vuole le elezioni: si chiuderà con un rimpasto

L’intero impianto di governo è frutto fin dall’inizio di un compromesso tra posizioni molto diverse e sembrava che anche su questo punto avessero trovato una mediazione. Adesso forse influisce il fatto che entrambi abbiano portato a casa i rispettivi obiettivi, ovvero il reddito di cittadinanza, la riforma Fornero e, per Salvini, il salvataggio dal Tribunale dei ministri. Lo scontro sul Tav appare grave perché, rispetto al solito, ho visto i due leader molto lontani. Se devo fare una previsione, anche se è difficile, credo che il Tav si farà, perché il 70 per cento del Parlamento vuole che si faccia. Quanto alla tenuta del governo, teniamo presente che Salvini ha sempre da parte un punto di caduta con il centrodestra, a differenza di Di Maio, e all’interno del Movimento non penso siano in molti a voler tornare a elezioni. Dunque penso che un accordo si troverà, magari con un rimpasto di governo che potrebbe coinvolgere il ministro Toninelli o persino il presidente Conte, che si è molto esposto.

 

Andrea Scanzi
Questa storia è noiosissima e i 5S sbaglieranno comunque

Più passa il tempo e più il Salvimaio balbetta. Anche quando indovina qualcosa, tipo la legge sul voto di scambio, non se ne accorge nessuno. Colpa loro e di un’informazione che li odia. Ora c’è aria di crisi, e il motivo non è certo centrale per le sorti degli italiani: questa storia del Tav è noiosissima, ma un governo nato di per sé bizzarro potrebbe pure cadere per una pagliuzza e non per una trave. I 5 Stelle sono dentro un tunnel (ops): comunque faranno, sbaglieranno. Se diranno sì al Tav tradiranno loro stessi (e perderanno consensi), se diranno no faranno la parte dei cavernicoli (e perderanno consensi). Devono sperare che Salvini abbia paura di far saltare il banco per una “robetta” così e aspetti almeno le Europee, lasciando che i 5 Stelle diano la sensazione di tenere la barra dritta. Il M5S deve continuare a dire no a un’opera scellerata, ma la sensazione è che la slavina grillina prosegua. Con viva e vibrante soddisfazione della Lega e di tutta quella “sinistra” che, per fare un dispetto alla suocera, adora tagliarsi col machete le palle. Ove ancora esistenti.

 

Alessandro Campi
Stavolta tra Lega e pentastellati si è inserita l’opposizione del Pd

È venuto fuori quello che era normale venisse fuori, per una divaricazione di programmi, strategie, principi e elettorati tra Lega e M5S. E per una volta nella dialettica tra gli alleati si è inserita anche l’opposizione, fino a questo momento ectoplasmatica, dato che Zingaretti non a caso è andato nei cantieri torinesi proprio dopo l’elezione a segretario. Ora i 5 Stelle hanno necessità di intestarsi questa battaglia identitaria per frenare la perdita di consensi, ma ho l’impressione che troveranno il modo di mandare avanti il governo fino almeno alle Europee, perché il voto ora non conviene a nessuno, visto che il Salvimaio gode di ampi consensi nei sondaggi. Mandare all’aria un esecutivo così popolare farebbe apparire inaffidabili gli alleati, sfasciati alla prima prova difficile. Temporeggeranno, ma per trovare un compromesso è necessario che il M5S dia un’alternativa precisa alla Lega. Dire che il Tav non si fa non basta, serve dire quale altro progetto partirà con quelle risorse. Su questo terreno si può avviare un’interlocuzione e allora i gialloverdi potrebbero convergere.

 

Aldo Giannuli
Nessuno la vuole, ma la crisi di governo è già nei fatti

Non ci sono santi: nessuno dei due alleati può cedere su questo punto. Se i 5Stelle, dopo che hanno ingoiato già diversi rospi, cedono anche sul Tav allora sono morti; Salvini è messo un po’ meglio, visti i sondaggi, ma se decide che il tunnel non si fa avrà FI e l’elettorato del Nord pronti a saltargli addosso. La soluzione più semplice è un bel rinvio all’italiana a dopo le Europee, ma bisogna anche considerare che la Francia e l’Unione si opporranno in ogni modo a questa melina, anche perché una non risposta in tempi rapidi equivarrebbe a dire No all’opera. A meno di colpi di genio, la crisi di governo è quindi già nei fatti, anche se nessuno la vuole. E se davvero la settimana prossima dovesse cadere il Salvimaio, faccio fatica a pensare ad altri esecutivi in questa legislatura, perché comunque qualsiasi governo nascerebbe anche in base alla propria posizione sul Tav e il voto dei 5Stelle, che sono maggioranza relativa in Parlamento, sarebbe rilevante.

Atp Finals, Giorgetti firma le garanzie: Torino torna a sperare

I soldi che servivano sono arrivati, proprio sul filo di lana: il governo ha concesso le garanzie da circa 80 milioni di euro, necessari a Torino per candidarsi ad ospitare dal 2021 le Atp Finals di tennis, il prestigioso torneo di fine stagione fra i migliori 8 giocatori al mondo. Dopo settimane di melina e tensione, alla fine Giorgetti ha ceduto al pressing del M5S, firmando il decreto che rimette in corsa la città di Chiara Appendino: per sbloccare lo stallo decisivo l’intervento di Luigi Di Maio e del premier Conte. Adesso a Torino devono sperare che non sia troppo tardi: la firma è arrivata infatti una settimana dopo il termine della scadenza, quando i vertici Atp erano già riuniti negli Stati Uniti per scegliere la sede, tra l’organizzatrice uscente Londra e Tokyo. La decisione non è ancora presa, però, e allora Torino torna in corsa. Atp avrebbe preso tempo, in attesa di ricevere i documenti ufficiali e verificare la fideiussione bancaria: segno che ai capi del tennis mondiale piace la candidatura italiana, che potrebbe superare in extremis le rivali (sempre che Londra, la preferita, non rilanci all’ultimo minuto). Torino, Appendino e la FederTennis di Angelo Binaghi però adesso sognano davvero.