Le madamine tornano in piazza. E stavolta vogliono pure i partiti

Tornano in piazza le “madamine”, le promotrici delle manifestazioni a favore del Tav. Oggi pomeriggio alle 15 il comitato “Sì Torino va avanti” si riunisce in un flash mob davanti a Palazzo Carignano, luogo simbolico perché sede del Parlamento subalpino da cui Cavour fece partire il progetto per il tunnel del Frejus. “Abbiamo ricevuto una forte richiesta dai cittadini per una nuova manifestazione per ribadire il sì alla Tav – spiegano le madamine – auspicando certo che lunedì partano i bandi”. È la terza manifestazione dopo i presidi del 10 novembre e del 12 gennaio, proprio nei giorni in cui lo scontro sul Tav sta lacerando i due partiti di maggioranza M5S e Lega. E la novita è che a questa iniziativa, stavolta, saranno invitati anche i partiti con le loro bandiere e i loro simboli. Ovviamente quelli a favore della costruzione dell’alta velocità Torino-Lione. Oltre a loro, anche i candidati alle prossime elezioni regionali in Piemonte, anche se al momento l’unico nome ufficiale è quello, per il centrosinistra, di Sergio Chiamparino (che parteciperà al sit-in: “Ci sarò e spero di incontrarvi in tanti”).

“Matteo dove va? Dovrà sempre passare da noi”

Non crede che i gialloverdi siano davvero a fine corsa: “Non posso pensare che Matteo Salvini faccia cadere il governo sul Tav, non vedo che convenienza avrebbe sul piano politico”. Ma giura che i Cinque Stelle non cederanno all’ultima curva: “Andremo fino in fondo se necessario, quelli per la Torino-Lione sono solo soldi buttati”. Paola Taverna, vicepresidente del Senato e veterana del M5S difende la linea, quella del no al Tav sempre e comunque.

Quanto è vicina la crisi di governo? Di Maio e Salvini si stanno dicendo di tutto.

Io sono sorpresa dalla piega che ha preso questa situazione. Finora abbiamo portato avanti i punti del contratto di governo, nella lealtà reciproca. E l’analisi costi-benefici, come ha spiegato anche il presidente del Consiglio Conte, ha dimostrato che il Tav non va fatto. Dopodiché se la crisi è davvero vicina andrebbe chiesto a Salvini. Ma noi vogliamo andare avanti con questa maggioranza.

Invece il Carroccio continua a dire che bisogna partire con i bandi, già lunedì, per poi magari revocarli. È davvero inaccettabile per voi?

Sì, per noi è assolutamente inaccettabile, perché questi bandi non hanno motivo di esistere, essendo uno spreco. Alla luce dell’analisi tecnica non devono partire.

Ma perché vi siete ridotti a discuterne a ridosso della possibile emanazione dei bandi? Sapevate quanto fosse delicato il tema.

C’erano delle tempistiche dettate da motivi tecnici, l’analisi costi-benefici esigeva un lungo lavoro. E poi la Lega ha anche chiesto di verificarla con tanto di contro-esperti. Ma non sarebbe stato comunque tardi, se ci fosse stato un accordo politico.

Sarà, però vi siete fidati di Salvini, ancora. Eppure già sul caso della Diciotti vi aveva messo di fronte a una giravolta, passando dalla disponibilità a farsi processare al no all’autorizzazione a procedere. Come fate a essere sorpresi oggi?

Se avessimo avuto piena fiducia in lui non ci sarebbe stato bisogno di sottoscrivere un contratto di governo con lui. Lo abbiamo firmato sperando nella sua lealtà nei confronti degli italiani e del Movimento. E in queste ore gli stiamo proprio dicendo questo, ossia che non sta rispettando il contratto. E quota 100, il reddito di cittadinanza, i soldi ai truffati dalle banche? Evidentemente non gli interessano molto.

E perché? Forse il leader della Lega pensa a una nuova maggioranza di centrodestra in Parlamento, magari reclutando eletti un po’ ovunque?

Io non vedo i numeri per questa operazione, né una convenienza. Al limite Salvini potrebbe aver voglia di tornare al voto, ma non credo che ne avrebbe grandi vantaggi a poche settimane dalle Europee. Anche perché non so tra noi e il Carroccio chi ci guadagnerebbe di più in termini di consensi. E comunque ricordo che la legge elettorale è rimasta quella dell’anno scorso.

Tradotto, il capo della Lega dovrebbe comunque trattare con voi per formare un governo?

Sì, dovrebbe sempre parlare con il Movimento. A meno che non voglia tornare da Berlusconi, e allora è libero di farlo. Ma non mi pare che i suoi elettori lo stiano spingendo a riabbracciare Forza Italia.

Oggi Luigi Di Maio lo ha esortato a non fare il gioco del Pd, “che vuole dividerci sul Tav”. Ma Salvini ha risentito così tanto della mossa del neo-segretario dem Nicola Zingaretti, che ha fatto la sua prima uscita pubblica a Torino per sostenere l’opera?

Non credo, anche perché il segretario della Lega e quello del Pd sono lontanissimi per idee. E poi i gruppi parlamentari attuali sono ancora quelli del vecchio Pd, a trazione renziana.

Sia sincera: ora che succede senatrice?

Lo ripeto, continuo a pensare che la crisi alla fine non ci sarà.

Ma se Salvini non si sposta dal sì ai bandi, voi potreste cedere?

Assolutamente no, non ho dubbi. Nell’assemblea congiunta di giovedì ho visto grande compattezza, siamo disposti a tutto. Cedere sul Tav per noi sarebbe come dire che non ci sono più i presupposti per proseguire e realizzare i nostri provvedimenti. Anche perché dopo una mancanza di lealtà di questo tipo, su un tema di così grande interesse pubblico, avremmo sempre la paura di essere pugnalati alle spalle.

Lei non ci crede. Ma se la situazione precipitasse, lei sarebbe disponibile a ricandidarsi con una deroga all’obbligo dei due mandati?

Non ci ho pensato e non voglio pensarci, non riesco neanche a immaginarmi in una situazione del genere. Sono ancora convinta che dobbiamo andare avanti per cinque anni, con il nostro progetto. Ci sono tante cose da completare.

Il passo doppio di Salvini: “Niente crisi. Ma non mollo”

Matteo Salvini si prende un weekend di pausa. Anzi di più, perché secondo la sua agenda personale il vicepremier non tornerà a Roma prima di martedì. Lunedì mattina, infatti, è atteso a Bergamo, mentre la sera sarà in Basilicata per un incontro elettorale (qui si vota il 24 marzo). Pausa lavorativa, però si sussurra dalla Lega. Perché se oggi il ministro dell’Interno festeggerà il suo 46esimo compleanno a pranzo con amici e poi con i figli (a Milano è il giorno del carnevale ambrosiano), domani è probabile che si rimetterà al telefono per trovare una via d’uscita al nodo Tav che sta per provocare una crisi di governo. Anzi, per dirla come il pentastellato Stefano Buffagni, “la crisi è già aperta”.

Un braccio di ferro in cui i due partiti di governo sono arrivati a livelli di tensione massima, con vertici notturni, litigate, musi lunghi e incomprensioni. Il clima è molto teso e la situazione difficile, ma non è detto l’escalation di tensione con i 5 Stelle porti davvero alla rottura. Anzi, il capo della Lega in serata prova a stemperare la tensione: “Non ci sarà nessuna crisi e non ho nessuna nostalgia del passato”.

Nel suo partito però il nervosismo è all’apice e le bocche restano cucite. “Il pallino ce l’hanno Salvini e Giorgetti. Sono loro che conducono la partita. Gli altri, se parlano, fanno solo casino”, fa sapere una fonte autorevole del Carroccio.

Nonostante la consegna al silenzio, però, qualcosa filtra. “Alla fine una soluzione si troverà. Non si può far cadere il governo sul Tav. Abbiamo troppe cose importanti in ballo. La legittima difesa è a un passo, sono vicinissimi anche quota 100 e il reddito di cittadinanza. Davvero si vuol buttare all’aria tutto questo?”, si chiede un’altra autorevole fonte leghista. Convinta che un escamotage, anche tecnico, alla fine si troverà. “Qualcuno dovrà fare un passo indietro e si farà un po’ male. Ma mai male quanto quello provocato dalla caduta del governo…”.

Ieri Salvini ha annullato qualsiasi ipotesi di nuovo vertice serale con Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. “Torno a Milano, nessun vertice. Di Tav ne riparliamo lunedì. Io sono per fare, non per disfare. Festeggerò il compleanno con amici e poi starò coi due miei gioielli, i miei figli”, ha detto dopo un’iniziativa a Palazzo Madama. E il governo? “Siamo nelle mani del buon Dio…”. Una fuga tattica che Di Maio non ha preso bene, tanto da convocare una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Di cui Salvini ha appreso dalle agenzie. In serata, poi, di fronte alle parole incendiarie di Buffagni, sceglie – come detto – di usare toni concilianti. “Nessuna crisi e nessuna nostalgia del passato, lavoriamo per unire e per dare lavoro e sviluppo. Col buonsenso si risolve tutto”.

Insomma, il vicepremier lavora per trovare una soluzione. Anche se le spinte per rompere non mancano. Giancarlo Giorgetti, per esempio, da tempo nutre insofferenza nei confronti dell’alleato. Anche perché è su di lui che convergono malessere e fibrillazioni del Nord, per il reddito di cittadinanza e per il freno all’autonomia. Anche se poi è proprio la Lombardia la regione col più alto numero di richieste di reddito (4.905). Ma pure Giorgetti sa che rompere ora è difficile, perché al voto non si può andare (ci sono le Europee), un governo di centrodestra non ha i numeri (nonostante le sparate di Berlusconi) e governi tecnici o similari rischiano di far perdere voti a un partito che continua crescere. Si tratta, dunque. A una condizione: sull’avvio dei bandi, Salvini non tornerà indietro.

La mossa del premier: “Bisogna rinviare i bandi”

A salvare i gialloverdi da se stessi può essere solo lui, l’avvocato. Il premier Giuseppe Conte, pratico di norme e cavilli, primo pompiere contro il fuoco che divampa, tanto che un sottosegretario, il dimaiano di rito lombardo, Stefano Buffagni lo dice dritto: “La crisi è già aperta”. E un po’ urla al fuoco per scongiurare l’incendio, un po’ è sincero. Ma la certezza è che Conte ora prepara una lettera da inviare a Telt, la società che gestisce il Tav, la mina su cui il governo rischia di esplodere. Una missiva “decisa”, soffiano da Palazzo Chigi, con cui chiederà di rinviare i bandi molto oltre lunedì, il giorno in cui il Cda della società si dovrebbe riunire per organizzare il via alle gare, insomma la data del dentro o fuori per il governo.

Ma dopo l’incontro di giovedì a Chigi tra il premier e il direttore generale di Telt, Mario Virano, i contatti sono stati “continui”, assicurano. E così da Genova Conte si mostra molto sicuro: “Presto conoscerete le mie determinazioni riguardo ai bandi”. Intanto però cerca con i suoi tecnici un appiglio giuridico per congelare tutto, almeno per sei mesi. Ed evitare guai. Perché in un venerdì da guerra fredda il vicepremier Matteo Salvini gioca di finte, colpisce e rassicura, giurando che “non ci sarà nessuna crisi di governo” e che lui non ha “nostalgia del passato” (cioè di Berlusconi). Però nel pomeriggio se ne torna a Milano e dietro di sé lascia la parola d’ordine, “i bandi per il Tav devono partire”, e arrivederci a lunedì, quando si riunirà il Cda di Telt.

Invece l’altro vice, Luigi Di Maio, ripete che mai e poi mai concederà il via libera ai lavori, e in una conferenza stampa a Chigi che sembra l’ultima chiamata morde: “Non mi si può dire ci vediamo lunedì, questo è un fine settimana di lavoro. E non è questione di testa dura, questi sono discorsi da bambini”. Insomma il governo balla a un passo dal crepaccio, anche se Salvini nega per tutto il giorno che il tavolo salterà. Però è un fatto che il leghista schivi volutamente il contraente, dopo il giovedì notte in cui i due vicepremier si erano detti quasi di tutto, con il leghista a provocare: “Vediamo chi ha la testa più dura”. E il capo del M5S a rispondergli: “Irresponsabile, se vuole la crisi se ne assuma la responsabilità”. Così ieri sarebbe servito un chiarimento. Invece niente vertici di governo, niente incontri, niente contatti. Solo dichiarazioni, con Salvini che in mattinata scala la marcia (“il governo andrà avanti”), ma non cambia strada: “Lunedì i bandi devono partire”. E Di Maio si arrabbia, parecchio. Così nel pomeriggio convoca i giornalisti. Mostra un volto provato, ma dentro ha la sicurezza di poter spingere fino al limite, fino alla crisi, perché così gli hanno urlato di fare i parlamentari nell’assemblea congiunta di giovedì.

Voleva capire se la truppa era compatta almeno sul Tav, il vicepremier, e ha scoperto di sì. Quindi può fare muro, anche al ripiego che i leghisti invocano da giorni, ossia far partire i bandi con l’impegno di poterli poi revocare. “Ma se mollasse il punto Luigi perderebbe il controllo del M5S e pagherebbe dazio nei sondaggi, quindi tanto vale giocarsela” riassume un big. E allora in conferenza Di Maio lo ripete: “Bisogna sospendere i bandi e ridiscutere integralmente l’opera”. E la formula è quella del contratto di governo. Perché è quella l’accusa a Salvini, “non sta rispettando un punto del contratto: io sono leale e chiedo lealtà”. E comunque, “in alcuni consessi il M5S potrebbe tentare la prova di forza, ma non parliamo di questo”. E tutti pensano alla Diciotti, ossia al voto sull’autorizzazione a procedere per Salvini in Senato, il 21. Di Maio ovviamente nega di volerlo usare: “Non siamo gente che fa mercimoni”. Ma dal Movimento tra i denti lo ricordano in diversi, che ci sarà quella votazione. E chissà.

Poi c’è un passaggi interessante: “Il Pd sostiene l’opera e incita la Lega ad andare in fondo, chi vuole mandare a casa questo governo tifa per il Tav”. E il riferimento è a Nicola Zingaretti, che come prima uscita da segretario è andato Torino a sostenere l’opera. L’uomo nuovo che Di Maio riconosce come avversario. Ma ora il primo nemico è Salvini, che in serata (ri)giura: “Niente crisi”. E il capo del M5S risponde: “Il governo e la sua tenuta sono una cosa seria”.

Difficilmente ci saranno vertici nel fine settimana, dicono da entrambi i fronti. Tanto c’è Conte, che da Genova fa sapere: “Da lunedì sarò in giro per l’Italia, cantiere per cantiere”. Come a dire che la Torino-Lione presto non sarà più il primo problema. Ma se si sbaglia, saluti al governo.

 

“Manovra azzardata”. Ma tra Bankitalia e governo è pace fatta

Le banche hanno retto bene alla crisi, la collaborazione tra Bankitalia e governo è ottima ma si rischia una pesante recessione. In un momento delicatissimo dal punto di vista economico e politico, arriva l’ennesimo monito del governatore Ignazio Visco: “Di fronte ai rischi concreti che corriamo oggi, forse la politica di bilancio attuata avrebbe potuto essere più prudente, soprattutto per la composizione del bilancio”. Intervenendo alla Camera alla presentazione del libro del’ex ministro Pier Carlo Padoan riflette a 360 gradi sullo scenario attuale: “La coerenza tra il disegno delle misure e la concreta attuazione non è scontato”. Ecco allora che la soluzione potrebbe essere una riforma “tributaria complessiva”, spiega, anziché optare per “gli 80 euro o un abbassamento delle imposte sotto certe soglie di reddito”. Arriva poi il tradizionale refrain: le banche hanno retto bene alla crisi e la nostra vigilanza ha funzionato. Nessun cenno ai disastri bancari di questi anni. In platea molti personaggi di spicco della maggioranza gialloverde, quasi a siglare la pace dopo la burrasca su nomine e critiche al decretone. “Ci possono essere differenze di opinioni, ma il rispetto dell’autonomia c’è sempre”, chiarisce Visco.

L’ultima bufala sullo studio “pro Tav” di Ponti

Tra gli attacchi quotidiani agli esperti selezionati dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, ci mancava solo l’accusa di fare il doppio gioco. Giovedì il Tg di La7 ha rivelato uno studio che, a suo dire, “promuove il Tav”: è realizzato da due società, una delle quali è la Trt srl presieduta da Marco ponti, capo del team che ha redatto l’analisi costi-benefici che invece stronca l’opera. La sintesi del servizio: “Ponti boccia il Tav e lo promuove in Ue”. La notizia è stata ripresa da diversi giornali, che hanno alluso al fatto che Ponti si sia ben guardato dal firmarlo, al contrario di altri esperti della società. La realtà, manco a dirlo, è diversa.

Il ruolo di Ponti. Come spiega l’ad di Trt, Silvia Mafii, “Ponti non ha mai lavorato allo studio, né lo ha mai potuto vedere, visto che non è pubblico”. Mafii ha già spiegato che Ponti “non riceve compensi per il suo ruolo né ha nessuna funzione operativa all’interno della società”, di cui è socio.

L’equivoco. Lo studio – consegnato prima di Natale a Bruxelles, che non l’ha pubblicato – non “promuove” il Tav Torino-Lione, che non viene mai menzionato se non in un allegato non disponibile; né dice se si deve fare o meno. Non è il suo obiettivo. Il dossier non è un’analisi costi benefici, visto che contiene solo i secondi: è redatto per verificare l’impatto della rete principale Ten-T, Trans-European Transport Network, che costituisce i diversi corridoi, in termini di occupazione, tempi di percorrenza e benefici economici e ambientali. È di tipo macroeconomico e quindi viene positiva per definizione.

I risultati. Il dossier stima che queste reti genereranno 800 mila posti di lavoro, il Pil dell’Ue crescerà dell’1,6% in più, con 26 milioni di tonnellate di Co2 prodotta in meno. Per l’Italia il beneficio è di 100 mila occupati. Il corridoio mediterraneo, di cui la Torino-Lione è parte, permetterà un risparmio di tempo del 30% per i passeggeri, del 44% per le merci.

La realtà. Lo studio analizza a livello macroeconomico gli impatti della realizzazione contemporanea al 2030 di tutti i corridoi Ten (in gran parte ferrovie ad alta velocità, ma anche porti, aeroporti etc.), cioè dell’investimento di 556 miliardi. Che nel 2030 le reti siano completate è però inverosimile. Per la Corte dei conti Ue non accadrà nemmeno nel 2050. I risultati dal lato trasporto, poi, sono coerenti con quelli dell’analisi costi-benefici di Ponti e colleghi. E non sono entusiasmanti. I risparmi di tempo, per dire, sono calcolati sui corridoi nella loro interezza (quello mediterraneo è di 9 mila chilometri). Le 26 milioni di tonnellate annue di CO2 in meno su tutti i corridoi, fatti di decine di migliaia di chilometri, sono un’inezia considerato che solo in italia ammontano a 106 milioni. Anche la capacità di attrarre traffico non è sbalorditiva: quello passeggeri sui corridoi crescerebbe tra il 2,4% e il 5,7, quello merci tra lo 0,9 e il 3,1%. Sulle lunghe distanze i valori si assottigliano a 1,5 e 0,9%. Con un calo di Tir e macchine su strada inferiore allo 0,5%.

“La Torino-Lione è dannosa: Parigi e Ue la devono fermare”

“I l Tav è un’opera inutile e Francia e Commissione Ue sbagliano a puntare su questi progetti”. Karima Delli è eurodeputata dei Verdi da due legislature e presidente della Commissione Trasporti dell’Europarlamento. Con lei, francese ed ecologista, abbiamo fatto il punto sul Tav, sulla posizione di Parigi e quella di Bruxelles alla vigilia della decisione da prendere sui bandi di gara che sta facendo tremare l’esecutivo italiano.

Presidente Delli, lei è favorevole o contraria al Tav?

Sono nettamente contraria. La Torino-Lione è un’aberrazione ecologica ed economica. Ma soprattutto, non è stata discussa né con le forze sociali, né con le associazioni del territorio, né tantomeno con i cittadini. In Francia e in Italia sono tantissime le forze contrarie e c’è chi non si prende nemmeno la briga di ascoltarle. Perché andare avanti con questa follia? Perché non ci si ferma subito?

Il governo italiano è diviso, ma il premier Giuseppe Conte vuole ridiscutere il progetto sia con la Francia che con l’Ue…

Io vedo il buon senso e la ragionevolezza solo in una cosa: mettersi intorno a un tavolo e discutere. E fermare i lavori subito.

D’accordo, ma sul versante Ue pare non la pensino tutti come lei. La Commissione insiste sui corridoi europei delle linee alta velocità, nonostante siano stati bocciati dalla Corte dei conti Ue, che li definisce costosi e spesso inutili. Non andrebbe riconsiderata tutta la strategia dei trasporti?

Certo che sì e per un motivo molto semplice: il mondo è cambiato. Se vogliamo migliorare il nostro ambiente e non portarlo allo sfascio come stiamo facendo, dobbiamo curarci dell’esistente. Ci sono linee di trasporti già presenti da cui ripartire. Vanno censite e rinnovate. Il Tav al contrario è un progetto mastodontico, che non serve realmente ai cittadini. Restando nella stessa zona, si potrebbe, ad esempio cominciare a rinnovare la linea storica del vecchio Fréjus ferroviario. Sarebbe un’opera molto più utile e certamente meno cara.

A proposito di soldi, Bruxelles fa sapere che 800 milioni di fondi europei sono a rischio se non si attivano i bandi di gara lunedì. Trecento milioni potrebbero venire a mancare già nel mese di marzo…

Direi che è meglio perdere 800 milioni che investire – e buttare – 25 miliardi.

Venendo invece al versante francese. La ministra dei Trasporti Elisabeth Borne difende la Torino-Lione. Eppure il governo di Parigi non ha mai stanziato i fondi per i nuovi lavori del tunnel. Come spiega queste ambiguità?

Come Bruxelles, anche il mio Paese sbaglia, non c’è dubbio. Devono cambiare rotta e capire che d’ora in poi i soldi vanno messi nella mobilità del quotidiano, cioè l’unica cosa che serve davvero.

Lei che è alla guida della Commissione Trasporti dell’Eurocamera cosa pensa di fare per ridiscutere i corridoi europei dell’alta velocità ferroviaria?

Tutto il possibile per invertire la rotta. Se serve, commissionerò un nuovo rapporto alla Corte dei Conti europea, in modo da mostrare ancora una volta l’inutilità e lo spreco di opere come queste.

Di cosa avrebbe bisogno la mobilità europea del futuro?

Di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Guardiamo il nostro pianeta: la priorità per noi e per le generazioni future è quello di preservarlo, e noi non abbiamo niente di meglio da fare che riempire le montagne di tunnel? Gli scienziati ci allertano sul rischio per la biodiveristà, ma noi continuiamo a pensare che la priorità sia l’alta velocità Torino-Lione. Un’opera, che oltretutto, vedrebbe la luce solo tra 20 anni, nel 2038.

C’era un Nardella che odiava i treni

Ci sono tav e Tav e poi ci sono Nardella e Nardella. Il sindaco renziano di Firenze oggi polemizza in tv con Marco Ponti, il professore che ha guidato l’analisi costi-benefici della Torino-Lione per il ministero dei Trasporti. E benedice le magnifiche sorti e progressive dei cantieri. Su La7, a L’aria che tira, Ponti afferma che “le grandi opere pubbliche e il cemento hanno un moltiplicatore occupazionale bassissimo rispetto ad altri tipi di spesa pubblica”. E Nardella s’inalbera: “Io faccio il sindaco, venga con me a dire agli operai che vanno a casa con le lacrime agli occhi, del moltiplicatore occupazionale!”. Ecco, il sindaco amico degli operai e del lavoro, meno di tre anni fa bocciava senza mezzi termine il Tav di Firenze durante l’incontro in un circolo Arci: “Questo progetto di Alta velocità, che lo Stato ha voluto fare in tutti i modi, appare inspiegabile… È un grande spreco di denaro pubblico… L’Alta velocità è stata progettata 20 anni fa”. È chiaro che si trattava di un progetto molto diverso, e che il buco in questione passava sotto l’amata Firenze e non sotto una montagna. Però rimangono un paio di interrogativi: l’Alta velocità è un investimento irrinunciabile o una tecnologia antiquata? E gli operai senza lavoro piangono solo nei cantieri della Val di Susa?

Reddito, domande e appuntamenti oltre quota 300 mila

Sono oltre 330.000 le famiglie che si sono presentate agli sportelli delle Poste e dei Centri di assistenza fiscale per fare domanda di reddito di cittadinanza. Nei primi due giorni dall’avvio delle richieste per il sussidio sono state 114.286 le domande pervenute a Poste italiane (95.994 presso gli uffici postali e 18.292 online), alle quali si aggiungono i 219.000 gli utenti transitati nei Centri di assistenza fiscale tra domande fatte e appuntamenti fissati per i prossimi giorni. I primi dati territoriali registrano un testa a testa tra Campania e Lombardia, con la prima che supera la seconda con 15.094 domande contro 14.932. Le tabella mostrano anche un equilibrio delle richieste tra nord e sud: al terzo posto c’è infatti la Sicilia con 13.099 domande, seguita al quarto dal Lazio (11.015) e al sesto posto dal Piemonte (10.495). In ogni caso, se l’afflusso appare consistente è probabile che una parte significativa delle richieste presentate non passi il vaglio dell’Inps che dovrà verificare che ci siano tutti i requisiti previsti dalla legge. Gli operatori postali si limitano a raccogliere le domande mentre i consulenti nei Caf informano gli utenti sulle regole per ottenere il Reddito. La verifica comunque spetta all’Inps.

Conte guarda a est e firma l’intesa con la Cina

L’Unione europea continua a far circolare indiscrezioni circa l’aumento del cofinanziamento europeo alle opere transfrontaliere. Il contributo al Tav salirebbe dal 40 al 50% dei costi, ma solo se l’Italia rispetterà i bandi precedenti. Un impegno che potrebbe portare a un miliardo di alleggerimento dei costi e riaprire la partita politica in Italia. Ma si tratta di una indiscrezione, probabilmente fatta circolare ad arte.

Come se avesse lo sguardo rivolto in tutt’altra direzione, il premier Giuseppe Conte ha invece annunciato ieri che Italia e Cina firmeranno a fine mese l’accordo quadro sulla Via della Seta durante la visita del presidente Xi Jinping. Nonostante gli Stati Uniti avessero fatto filtrare la loro irritazione per la decisione del governo italiano, Conte dice che “fedeltà atlantica e intese con la Cina” non sono in contraddizione. Anzi: l’intesa avvicinerà la Cina “agli standard di trasparenza occidentali”. La decisione era largamente attesa, visto il lavoro fatto nei mesi scorsi, in particolare dal sottosegretario Michele Geraci, coordinatore presso il ministero dello Sviluppo della task force sulla Cina. La torta è davvero rilevante.

La Cina scommette sul progetto “One Belt one Road” (Obor) per migliorare la sua influenza in Occidente, far circolare le proprie merci e quindi dare uno sfogo alla propria sovrapproduzione, contendere sul serio agli Stati Uniti l’egemonia su Asia ed Europa. Si parla di circa 300 miliardi di investimenti, di cui 40 tramite il fondo Silk Road Fund. Come nota il rapporto annuale a cura della Fondazione Italia-Cina presieduta dall’industriale Alberto Bombassei (e che conta come presidente onorario Ceare Romiti) il progetto “Obor” “dovrebbe riguardare Paesi che messi insieme coprono il 55% del Pil mondiale, il 70% della sua popolazione e il 75% delle riserve energetiche conosciute”.

A far circolare una sintesi dell’accordo che Italia e Cina si apprestano a firmare è il sito Euractiv. I due Paesi, si legge, “promuoveranno sinergie comunicazioni e coordinamento rafforzati, così come l’accrescimento del dialogo politico”.

L’Italia si candida a essere il principale riferimento europeo della Via della Seta in particolare nell’alto Adriatico a partire dal porto di Trieste dove China Merchants Group è interessato a rilevare la Piattaforma logistica in fase di costruzione.

Ma nella ricostruzione di Euractiv si parla anche di un accordo tra le compagnie dell’elettricità Grid Corporation of China e Terna, di accordi che riguardano Leonardo (la ex Finmeccanica) e forse anche l’Alitalia. Altri accordi sono previsti in Africa orientale dove la Cina ormai ha una presenza economica egemonica che si sta traducendo anche in una presenza militare. E l’Italia vuole collaborare anche in questo campo.