Lavia sulle spalle dei “Giganti”

Avanti un altro Pirandello, che – di questa stagione 18-19 – è il must have: I giganti della montagna diretto da Gabriele Lavia, che conclude così un suo ideale trittico dopo i Sei personaggi e L’uomo dal fiore in bocca.

Sostenuto dal Nazionale di Toscana, insieme con lo Stabile di Torino e il Biondo di Palermo, lo spettacolo vanta un grande sforzo produttivo, dallo sfarzo scenografico al robusto cast: affiancano, infatti, il capocomico Lavia ben ventidue interpreti, attori ma anche musicisti, mimi e danzatori.

La trama è onirica: una sgangherata compagnia di giro, guidata dalla contessa-primattrice Ilse, viene accolta in una villa incantata, “La Scalogna”, abitata da un mago-regista, tal Cotrone, e dal suo ensemble di straccioni. Cotrone è un tipo bizzarro, metà stregone e metà ciarlatano, metà uomo e metà fantasma: dice di essersi “fatto turco per il fallimento della poesia della cristianità” ed è colui – da indicazioni dello stesso regista – “che vive rifugiato o emarginato nella propria illusione che il teatro, cioè la poesia originaria, possa essere il luogo assoluto, lontano dai bruti giganti (forse noi stessi!)”.

A lungo meditato, scritto nel 1933 ma mai concluso, I giganti della montagna è considerato il testamento spirituale di Pirandello: anche per questo, come ogni testamento che si rispetti, è “fatto della stessa sostanza dei sogni”, nel solco, pure, della sempiterna tradizione drammaturgica che si interroga su vita e (è) sogno, sull’illusion comique, sulle trappole per topi, sulla grande magia e via così. È sempre la stessa storia: è realtà o recita? È verità o finzione? È veglia o sonno? È aldiquà o aldilà? Ma no, è un gioco, direbbero Cotrone, Pirandello e qualsiasi altro esperto di arte drammatica: basta crederci, proprio come i bambini.

L’allestimento è ricco – anche di trovate – e sfarzoso: dalle magniloquenti scene di Alessandro Camera (bellissimi il teatro diroccato e i sipari sghembi) agli sgargianti costumi di Andrea Viotti, dalle spumeggianti luci di Michelangelo Vitullo alle eloquenti musiche di Antonio Di Pofi, e poi le maschere e poi le coreografie e poi i movimenti di scena e poi gli ingressi che sfruttano tutto lo spazio, perfino la platea, a ricordare ogni volta il gioco del teatro-nel-teatro… La mole dei lavori in corso, in palcoscenico, è tanta, ma non sempre ben concertata: i gridati, la grinta e la rissosità di alcuni interpreti sfuggono alla conduzione del Lavia regista, ma soprattutto sono poco allineati rispetto alla recitazione del Lavia attore.

Il testo, indubbiamente, non aiuta, pieno com’è delle solite zavorre novecentesche di Pirandello (e la maschera e il volto e la psicologia e la sofistica…), compreso quel suo certo gusto per il torbido, le corna, la gelosia, i suicidi, i problemi della carne dall’ombelico in giù. Vana, infine, se non inattuale, è la speranza di un teatro-fortino, ultima roccaforte dell’umanità. O forse solo dei fantasmi, per chi ancora ci crede.

 

A Napoli con la Sandrelli, a Palermo con la Dante

Stefania Sandrelli torna sul set per recitare a Napoli in La tristezza ha il sonno leggero, una commedia familiare tratta dal libro omonimo di Lorenzo Marone, che segna l’esordio nella regia dell’attore Marco Mario De Notaris, qui anche tra gli interpreti principali insieme a Serena Rossi e Ciro Priello del gruppo The Jackal. Produce Luciano Stella per Mad Entertainment con Film Commission Regione Campania.

Emma Dante sta per iniziare a Palermo le riprese del suo secondo lungometraggio dopo Via Castellana Bandiera: Le sorelle Macaluso, prodotto da Minimum Fax Media e tratto dall’omonimo spettacolo teatrale, con temi come la famiglia e la diversità.

Renée Zellweger è tornata nell’Inghilterra della sua zitella pasticciona Bridget Jones per interpretare il ruolo di Judy Garland in Judy, il biopic di Rupert Goold prodotto da Pathé e BBC Films. In scena l’arrivo nella Swinging London del 1968 della straordinaria cantante e attrice scomparsa pochi mesi più tardi a soli 46 anni.

Si intitola Gloria Mundi il nuovo film di Robert Guédiguian che ha appena ultimato le riprese nella sua Marsiglia con interpreti a lui cari, tutti reduci dallo splendido La casa sul mare: sua moglie Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin,Robinson Stévenin, Gérard Meylan e Anaïs Demoustier. Il 21esimo lungometraggio del grande regista francese, da sempre attento ai temi del lavoro e della giustizia sociale, racconterà le vicende di Daniel che esce dal carcere e torna a Marsiglia: lì ritroverà sua figlia Mathilda, che ha appena partorito, e il suo compagno autista Nicolas, che una notte viene assalito da alcuni tassisti decisi a sbarazzarsi della concorrenza sleale.

“Il colpevole”, quando (ed è raro) c’è un’idea vera

Ve lo ricordate Locke di Steven Knight, battezzato nel 2013 dalla Mostra di Venezia? Il suo gemello diverso è il sorprendente esordio alla regia del danese Gustav Möller: The Guilty, ovvero Il colpevole. Premio del pubblico al Sundance, Rotterdam e Torino, approdato nella shortlist di nove titoli del Best Foreign Language Film agli ultimi Oscar, con Locke ha affinità esplicite: anche qui un one man show, ma lo spettacolo è senza clamore; anche qui il rispetto delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione; anche qui economia di mezzi e dispendio di ingegno. Non è un’assoluta novità, eppure, The Guilty conquista e gratifica, perché rimette sul piedistallo cinematografico una merce sempre più rara: l’idea, anche meno, un’idea.

Se il Tom Hardy al servizio di Knight era in movimento da fermo su un suv, il suo emulo Jakob Cedergren alza l’asticella drammaturgica e non si muove dalla scrivania, al massimo, cambia stanza per non farsi sentire o disturbare dai colleghi. L’Asger Holm che interpreta è un poliziotto impiegato, computer e auricolare con microfono, al centralino per le emergenze: il pericolo corre sul filo, il soccorso è gestito da remoto, e che manca? Ovvio, la visualizzazione del caso stesso e, ancor prima, dei richiedenti aiuto: sono solo voci, in dialogo breve quando non addirittura troncato con Asger. Scegliere a chi dar retta, e a chi no, è questione di empatia, anzi, telepatia, e l’agente parrebbe sapere il fatto suo: il resto sta a noi spettatori, dobbiamo immaginare quel che sentiamo, vedere quel che non vediamo, senza bisogno di sospendere l’incredulità, bensì di alzare le antenne. E prepararci: non tutto è come appare, figuriamoci, non tutto è come si dice. Sei mesi di preparazione, tredici giorni di riprese (rispettando l’ordine della storia), tre macchine da presa a inquadrare Cedergren contemporaneamente, un remake americano con Jake Gyllenhaal già in cantiere e alcuna ispirazione, almeno dichiarata, a Locke, La vita corre sul filo di Pollack o La conversazione di Coppola, The Guilty ha un titolo indiziario, che cerca di onorare in più direzioni e accezioni: solo una ve la possiamo dire senza incorrere in spiacevoli spoiler, e riguarda proprio Asger, che l’indomani dovrà affrontare un processo.

Colpevole anche lui, e chi altri? Chi cade in bicicletta, chi è coinvolto in una rissa, chi in un problema familiare, molti sono i chiamanti, ma pochi gli eletti: quale il reo, e reo confesso? Giostrandosi tra la routine del centralino e l’avvenimento straordinario, riverberando sulla fronte di Asger i nostri dubbi – è innocente? – e dosando sapientemente non conoscenza e inquietudine, il thriller inforca la cuffia e si mette in ascolto delle nostre peggiori paure, senza dimenticare di farsi saggio snello ma puntuto sulla veridizione. Insomma, mollate le false certezze e correte in sala: alla sbarra del Cinema, Il colpevole è innocente.

 

Le nuove star del botteghino da Van Gogh a Caravaggio

Quella che il pubblico italiano prova per l’arte non è propriamente fascinazione – quel sentimento di malia che si subisce dinnanzi all’altro da sé – quanto piuttosto un’affezione famigliare: l’arte ci è vicina, ci appartiene. E accanto ai dati positivi degli ultimi anni sugli ingressi nei musei (il 2017 si era chiuso con 50.103.996 visitatori totali e 193.631.308 euro di incassi, e il 2018 migliora con oltre 55 milioni di visitatori e 229.360.234 euro), lo testimonia anche il successo che nei cinema italiani riscuotono i film biografici sugli artisti, più di dieci soltanto l’anno scorso.

Certo, è lontana l’era di L’arte e gli amori di Rembrandt (1936) di Alexander Korda, La luna e sei soldi (1942) – il film di Albert Lewin basato sulla vita del pittore francese Paul Gauguin – o di Brama di vivere su Vincent van Gogh del ’56, diretto da Vincente Minnelli e La vita di Leonardo da Vinci, sceneggiato Rai del ’71 di Renato Castellani: sparute pellicole in decenni, quando ancora il cinema doveva rispondere al desiderio piccoloborghese di evasione degli spettatori cui poco si confaceva la figura dell’artista, l’irregolare per eccellenza, eternato nella sua stranezza, o meglio, nella sua alterità.

Qualcosa cambia sul finire del secolo appena trascorso e l’inizio del nuovo millennio, dal successo di pellicole come Surviving Picasso (1996) di James Ivory o soprattutto Pollock (2000) diretto e interpretato da Ed Harris, che tentano un racconto più privato. Si apre, dunque, un filone di biopic atti a narrare il mito a partire dall’essere umano, che ripaga anche nei numeri, tra cui spiccano Frida (2002) di Julie Taymor sulla dirompente pittrice messicana e La ragazza con l’orecchino di perla (2003) di Peter Webber sull’ossessione per la bellezza dell’olandese Johannes Vermeer. Ma andiamo ai dati: in Italia, al box office Frida ha incassato 1,8 milioni di euro; il film di Webber 2,5 milioni di euro.

I titoli iniziano ad aumentare, tanto da poter canonizzare un “cinema dell’arte” che agli spettatori italiani piace assai: nel 2014 Big Eyes di Tim Burton, sulla pittrice Margaret Keane e l’annosa questione dell’attribuzione delle sue opere, incassa nelle prime tre settimane di programmazione 2,7 milioni di euro; nel 2015 The Danish Girl di Tom Hooper sul pittore danese Einar Wegener (il primo uomo a sottoporsi all’operazione di riassegnazione sessuale) arriva a 3,7 milioni nelle prime quattro settimane e Mr. Turner di Mike Leigh sul paesaggista inglese a 1,4 milioni nelle prime tre settimane. Si giunge, così, oggigiorno a Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità di Julian Schnabel che nelle prime otto settimane raggiunge 3,9 milioni di euro e si piazza già ventisettesimo tra i cento film più visti in Italia del 2018/2019

Un grande impegno per portare in Italia l’arte al cinema lo producono Sky Arte e Nexo. Iniziano nel febbraio 2012 con Leonardo Live, una cinematografica visita guidata alla National Gallery sul genio di Vinci. “Da lì,” ci racconta Franco di Sarro, Ad di Nexo Digital, “sono nate poi le prime stagioni di tre contenuti ciascuna. Ora proponiamo ogni anno circa dodici docu-film che spesso diventano veri e propri fenomeni al botteghino, come di recente Tintoretto. Un ribelle a Venezia”. Fiero di aver “riportato l’arte sulla mappa degli argomenti” è anche Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte: “Il successo di questi progetti dimostra che c’è un pubblico che ha grande fame di arte.” E le classifiche confermano: nel 2017 i loro Loving Vincent, un delizioso viaggio nella vita e nell’arte del pittore olandese attraverso 60.000 tele dipinte a mano, e Caravaggio l’anima e il sangue non solo incassano quasi 2 milioni di euro (il primo) e 1,5 milioni (il secondo), ma rientrano nei cento film più visti dell’anno: rispettivamente ottantunesimo e novantasettesimo, il che – in una classifica dominata da Avengers, Cattivissimo me 3 – è tanto. Anche nel 2018, Michelangelo. Infinito incassa quasi 1 milione e si piazza ottantanovesimo.

Su tale scia anche Magnitudo Film che, dopo il successo di Bernini e Leonardo Cinquecento, è in sala con Canova, penultimo appuntamento della stagione “L’arte al cinema”.

Se sia un fenomeno in crescita perché il botteghino risponde, o un’opera di illuminato mecenatismo, cosa importa. Resta una bella storia, quella del cinema dell’arte, soprattutto se – tornando ai rallegranti dati sugli ingressi nei musei degli ultimi anni – vogliamo credere a un circolo virtuoso dell’arte, che in qualche modo gli artisti e le opere tradotti in un linguaggio cinematografico spingano gli spettatori a visitare i musei e viceversa.

Manuel Bortuzzo è tornato in acqua: il video sui social

Manuel Bortuzzo è tornato in acqua. Da qui riparte la sua riabilitazione a un mese dalla notte in cui fu ferito con un colpo di pistola davanti a un locale del quartiere Axa a Roma, restando paralizzato agli arti inferiori. Sorridente come si è sempre mostrato, dopo la nuotata in piscina ha salutato in un breve video tutti quelli che si stanno interessando alle sue condizioni: “Ciao ragazzi, finalmente sono tornato in vasca oggi – ha detto al termine della nuotata – Un’emozione bellissima. Oggi inizia la mia riabilitazione qui, in acqua. Un saluto a tutti e ci vediamo presto”. Quasi 100 mila in due ore le visualizzazioni. Pochi giorni fa Manuel, 19 anni, aveva affidato a un post su Instagram il ricordo di quella sera che gli ha cambiato la vita. Un post molto romantico e dedicato alla sua fidanzata, presente al momento degli spari: “Ciò che voglio ricordare è quell’attimo in cui sono caduto a terra, un attimo prima di non ricordare più nulla, quel momento in cui cercavo di pensare a tutte le cose che non sono riuscito a fare nella mia vita. Ma non ci riuscivo. Il mio unico pensiero era ‘ora o mai più, lo deve sapere’. Ed è lì a terra che ho preso il suo viso nelle mie mani e le ho detto per la prima volta ‘ti amo’. Per me il 3 febbraio è stato questo”.

Alessandro, Raffaele e Antonio. I tre stupratori dell’ascensore che non studiano e non lavorano

Provengono da famiglie di modesta condizione sociale ma che non hanno mai avuto problemi con la giustizia, non studiano, non lavorano, sperperano le loro giornate fumando droghe leggere e bighellonando tra i bar e le piazze, i tre ragazzi under 20 fermati l’altro ieri con l’accusa di stupro di gruppo a una 24enne nell’ascensore della stazione Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli. Uno di loro, Alessandro, ha compiuto 18 anni da poche settimane, mentre Raffaele e Antonio ne hanno appena 19. Dai loro profili facebook, decisivi per l’identificazione compiuta dalla vittima, emerge la banale normalità di un’esistenza sfaccendata: la passione per i capi di abbigliamento firmati, i capelli ben curati, l’attenzione al look, la voglia di conoscere belle ragazze, che piacciono soprattutto se vistose. Non hanno battuto ciglio all’arrivo della polizia, aiutata nelle identificazioni anche dalle immagini delle telecamere di sorveglianza piazzate proprio nei pressi dell’ascensore. Oggi il Gip di Napoli dovrebbe decidere sull’istanza di convalida del fermo avanzata dalla sezione Fasce deboli della Procura, coordinata dall’aggiunto Raffaello Falcone. Incastrati dal racconto della ragazza, che li ha riconosciuti, e dalle telecamere, i tre probabilmente proveranno a difendersi nel modo più facile e più odioso: sostenendo che la ragazza debole che avevano già provato ad aggredire a febbraio si sia accompagnata a loro spontaneamente.

“E’ un fatto gravissimo che ha suscitato sdegno, indignazione e mobilitazione in tantissimi ma vedo anche che in queste ore girano parole indegne sulle donne e anche su questa ragazza vittima di stupro. Provo ribrezzo” ha commentato il sindaco di Napoli, Luigi de Magistirs, ai microfoni di radio Crc. ”Bisogna chiedere più controllo e prevenzione – ha aggiunto – e meno male che il sistema di videosorveglianza ha consentito di individuare i presunti responsabili di una vicenda così brutta, agghiacciante e criminale”.

Croce Rossa senza stipendio. Esposto della Lega in Procura

Condizioni sanitarie precarie e stipendi che da mesi non vengono pagati. La situazione in cui vivono oltre ducento lavoratori della Croce Rossa di Roma viene riassunta in un esposto che il consigliere regionale della Lega Laura Corrotti, ha depositato in Procura a piazzale Clodio, nella speranza che vengano svolte “le opportune indagini – si legge nell’atto – al fine di esercitare l’azione penale”.

La vicenda è quella già narrata da Il Fatto Quotidiano nelle scorse settimane: il personale qualificato della Croce Rossa, lo stesso che lavora nei presidi sanitari e a bordo delle ambulanze, non riceve una regolare retribuzione dallo scorso novembre. Secondo il consigliere della Lega, in realtà, dopo gli articoli di stampa e un’interrogazione al Presidente della Regione Nicola Zingaretti, “alcuni dipendenti riferiscono di aver ricevuto in questo lasso di tempo un acconto delle somme dovute di circa 500 euro”.

Il direttore della Croce Rossa di Roma, Pietro Giulio Mariani, aveva spiegato il problema: “Molti enti non hanno pagato o lo fanno in ritardo”. Questo si ripercuote sui bilanci dell’associazione, sulle forniture e sugli stipendi.

Dopo aver ricevuto alcune segnalazioni dei dipendenti “di Nuovo Salario, Torrespaccata, San Pietro e San Basilio”, il consigliere Corrotti ha dunque deciso di informare la Procura, “per segnalare sia le mancanze dal punto di vista retributivo, nelle quale i dipendenti in questione, oltre a ricevere cambi di mansione non conformi alla loro formazione, non ricevono stipendio da più di tre mesi, sia da quello igienico sanitario che rendono l’ambiente di lavoro insano e invivibile”.

Il suicidio dell’ematologo Francesco Lo Coco: aperto un fascicolo per istigazione

“Sembrava che qualcuno gli stesse facendo terra bruciata intorno. E lui non capiva il perché”. S’infittisce il mistero sulla morte di Francesco Lo Coco, il medico luminare dell’ematologia lanciatosi domenica scorsa al Ponte della Musica a Roma. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. “Un atto dovuto”, chiariscono subito fonti inquirenti, sostenendo che si tratti solo di un modo per fare qualche accertamento in più, sui dispositivi elettronici e sulle (tante) conoscenze dell’uomo.

Come riferiscono al Fatto persone che collaboravano con il professore 63enne, ultimamente le cose al Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università Tor Vergata le cose non andavano particolarmente bene. Da un po’ di tempo qualcuno era arrivato a mettere in discussione il suo ruolo di responsabile presso il Laboratorio di Diagnostica Integrata Oncoematologica e, nel frattempo, lui aveva fatto richiesta per una cattedra presso il Dipartimento di Ematologia alla Sapienza. Per cambiare aria? Può darsi, è quello che stanno cercando di capire gli inquirenti. Fatto sta che alla Sapienza – dove era stato anni fa – non è mai tornato: in graduatoria è finito secondo, superato da un altro professionista del settore proveniente dall’Università di Novara.

Ovviamente, i problemi di lavoro possono essere fra gli indicatori di una situazione di fragilità personale. L’unico, al momento, visto che per ora non sono emerse né difficoltà in famiglia, né a livello di salute. E l’apertura dell’inchiesta da parte della Procura ha reso ancora più diffidenti i compagni di viaggio e i colleghi di una vita del professore, che si sono trincerati nel silenzio. Segno che qualcosa, a livello professionale, deve essere accaduto. Per quanto riguarda i possibili risvolti penali, le indagini fin qui non hanno permesso di individuare una pista precisa. Ammesso che ve ne siano.

Sciopero della logistica ai magazzini Zara. Operai aggrediti con bastoni e pistole taser

Un’aggressionecon bastoni e pistole taser ai danni di tre facchini dei magazzini romani di Zara. Proprio mentre siamo nel pieno di uno sciopero e di una trattativa sindacale che sta cercando di definire i risarcimenti dovuti a questi lavoratori, per straordinari mai pagati, da parte delle cooperative che gestiscono la logistica per conto dell’azienda di abbigliamento. L’episodio denunciato dalla Filt Cgil è avvenuto mercoledì mattina, verso le 7.30, nel deposito di Castel Giubileo, a Nord della Capitale. Le persone coinvolte hanno riportato fratture alle dita delle mani e abrasioni.

Per comprendere il contesto della vicenda bisogna compiere qualche passo indietro. Come detto, questi magazzinieri non sono dipendenti diretti di Zara, che tra l’altro ha preso le distanze dal fatto, ma delle coop che dal marchio spagnolo ricevono l’appalto per i servizi di spostamento merci. Nel corso degli ultimi anni, in queste attività, sono state segnalate varie irregolarità: turni da 12 ore al giorno, con straordinari non inseriti in busta paga, tredicesime non versate, ferie non godute. Storie molto frequenti nel settore della logistica, con le vittime che quasi sempre sono straniere (in questo caso soprattutto egiziani). Le azioni dei sindacati hanno portato queste aziende a prestare maggiore attenzione alle norme e ad applicare il corretto contratto collettivo, cioè quello del facchinaggio (fino a febbraio è stato usato quello del commercio). Ai lavoratori però non basta che sia stata stabilita la normalità: vogliono un indennizzo per tutti i torti subiti negli scorsi anni. E così sono partiti gli incontri con i sindacati in vari territori del Paese, in particolare nei pressi delle grandi città. Per far valere le proprie rivendicazioni, questi addetti sono impegnati in azioni di sciopero. “Anche se si stanno astenendo dal lavoro – spiega Alessandro Antonelli della Filt – non ritengono di essere stati sollevati dalla responsabilità di sorvegliare la merce del magazzino, perciò lo stanno presidiando con turni da tre o quattro alla volta”.

Sembrerebbe quindi che la cooperativa dalla quale dipendono abbia interpretato questa presenza come un’occupazione, perciò ha inviato la vigilanza privata che, per sgomberarli, ha usato “oggetti contundenti e pistole elettriche”, affermano i sindacati. Il gruppo Faro, titolare delle tre coop coinvolte, non ha ritenuto di dover fornire la propria versione. Su quanto successo sta indagando la Polizia, con gli uomini del commissariato di Roma Fidene intervenuti sul posto. “Ci hanno detto che sono professionisti e non era loro intenzione fare male – aggiunge Antonelli – ma volevano ridurre il loro potere negoziale liberando il centro dall’occupazione. Ma questo dovrebbero farlo le forze dell’ordine, non la vigilanza privata”. La trattativa sta comunque andando avanti. L’ultima offerta delle aziende è questa: tremila euro a testa per ogni anno di lavoro passato con le coop fino a cinque anni; dal sesto al decimo il risarcimento diventa mille euro all’anno. I sindacati la considerano ancora troppo bassa per poter ripagare lo sfruttamento subito.

Ancora due donne uccise dai compagni a Messina e Napoli

Ha confessato di averla uccisa dopo cinque ore di interrogatorio. Cristian Ioppolo 26 anni, ha ammesso di avere ammazzato la sua convivente Alessandra Immacolata Musarra (nella foto con Cristian), di tre anni più piccola. La donna è stata ritrovata dai familiari priva di vita in un’abitazione del quartiere di Santa Lucia Sopra Contesse a Messina alle prime luci del mattino: sul corpo evidenti segni di violenza, soprattutto al volto. Alessandra è stata picchiata a sangue con calci alla testa e pugni, aveva i capelli strappati. Le indagini si sono subito indirizzate verso il fidanzato: “Tanta, troppa violenza… Stamattina non apriva la porta e siamo entrati con la scala dal balcone, non ho capito subito che era coinvolto il fidanzato. Avevo ricevuto un messaggio e ho chiamato mio figlio che sta sotto per andare ad aiutarla ma lei non rispondeva sono salito e l’ho trovata morta. Non so come spiegare tanta violenza”. Ed è stato arrestato a Napoli Vincenzo Lopresto, 41 anni, per aver ucciso la moglie, Fortuna Belisario, 36, in un appartamento alla periferia Nord della città. L’uomo ha colpito la moglie con una stampella sequestrata dalla Polizia. La coppia aveva tre figli, tutti minorenni.